OTTAVA PARTE
Dopo quella profonda oscurità, per Harry fu difficile abituarsi alla mattinata soleggiata che gli si presentava davanti. Strinse gli occhi un paio di volte prima di mettere a fuoco la scena.
Si trovava nel bel mezzo di una strada di un centro abitato. Gli ricordava vagamente
Little Whinging. Le case erano tutte in pietra, di un monotono grigio scuro. Su ogni porta brillava il numero d'ottone della casa, e i prati erano accuratamente tagliati.
Poi notò una figura sbucare all'improvviso da un angolo della strada, come se fosse direttamente spuntata dal suolo. E, dopo aver riconosciuto la professoressa McGranitt in abiti babbani, Harry ebbe la netta sensazione che fosse sul serio sbucata dal suolo.
Guardò velocemente a destra e a sinistra, come per vedere se ci fosse qualcuno nei paraggi: la strada era deserta. La oltrepassò velocemente.
L'austera e lunga gonna nera, con la camicia grigio scuro, i capelli raccolti in uno strettissimo chignon e l'espressione addolorata dipinta in volto contribuivano a conferirle l'aspetto di un'anziana signora che pareva aver vissuto mille anni di sofferenze. Portava tra le braccia la sua bambina, la figlia che era così intenzionata a nascondere. Harry si chiese per un attimo se la disperazione non l'avrebbe portata a compiere gesti estremi. Poi scosse la testa, come per eliminare quel pensiero. No, non sarebbe mai arrivata a tanto.
La donna si fermò al numero 6, la casa vicino al parco, si sfilò la bacchetta dalla manica della camicia e la puntò contro il cancelletto della casa, che si aprì con un cigolio.
Arrivò alla porta senza fare rumore e, per un attimo, pensò che l'avrebbe lasciata sugli scalini, poi si rimproverò mentalmente. Però notò che abbandonare bambini cominciava a diventare un'abitudine. Suonò al campanello e le aprì una donna molto magra, con gli zigomi sporgenti e i capelli neri e tagliati a caschetto.
Harry si avvicinò per ascoltare.
-Buongiorno, Jane. - la salutò con voce atona e l'espressione fredda.
-Ciao, Minerva.- la salutò l'altra con voce stridula. -Prego, entra.-
-No, non posso, ho fretta.- rispose velocemente. -Tuo marito è sopra con tua figlia?-
-Sì. Ha quasi due anni ormai.- sospirò. -Lei è...- accennò lei indicando la bambina.
-Mia figlia. Sì.- rispose, con le lacrime agli occhi.
-Minerva McGranitt, non essere sciocca.- la rimproverò con sguardo severo.
-Ti ricordi quando giocavamo da bambine?- aggiunse con dolcezza, avvicinandosi per accarezzare la figlia di Minerva. -Hai sempre desiderato una bambina. Non puoi darla via così.-
-Devo, Jane.- rispose. -Non ho altra scelta, capisci?-
-Ma cosa vuoi da me?- domandò, spazientita.
-Tienila tu.- rispose dopo un attimo di silenzio. -So dell'operazione. So che non puoi più avere bambini. Tua figlia non desidera una sorellina?-
Jane annuì, distogliendo lo sguardo.
Harry si avvicinò e notò che la bambina aveva cambiato colore degli occhi. Erano verdi come quelli della professoressa, stesso colore, stesse sfumature.
-I medici hanno detto che non c'è più niente da fare.- disse l'amica e da qui Harry capì che era Babbana. -Ma non commettere questo sbaglio.-
-Fidati è meglio così.- mormorò. -Non dirle che è stata adottata. La tua bambina ha due anni, non ricorderà nulla di quando è arrivata sua sorella.-
-Qual è il nome?- domandò, prendendola in braccio.
-Tutti i documenti sono qui.- E così dicendo le porse una busta. -Posso...posso salutarla?- chiese, timorosa di ricevere un rifiuto.
-Mi pare il minimo.- commentò, avvicinandole la bambina.
Sussurrò così piano che Harry dovette chinarsi anche lui.
-Tesoro, sei tanto amata, tanto amata... Mamma ti ama, papà sono certa ti amerebbe anche lui... Tesoro, sii prudente. Sii forte.-
Di nuovo quella maledetta frase. Era una persecuzione.
Detto questo, le diede un bacio sulla fronte e corse via, senza voltarsi indietro. Appena sentì la porta chiudersi alle sue spalle, si tramutò in gatto e sparì alla vista.
***
Minerva era nell'infermeria vuota della scuola, le spalle poggiate al portone di legno, Poppy Chips dinnanzi a lei.
-L'ho fatto.- mormorò solo. E crollò a terra. Poppy corse ad aiutarla, ma lei ritrasse il bracciò e le disse che stava bene.
-Sicura?-
-No.- rispose, sincera. -Mi sento una vigliacca. Cosa ho fatto?- e si coprì il volto con le mani.
-Ci farai l'abitudine, cara.- la rassicurò, sedendosi anche lei per terra e abbracciandola. Quando si fu calmata, la informò che il suo ex-capo, Elphinstone Urquart la stava aspettando vicino al Lago Nero.
-No, non di nuovo...- borbottò la professoressa, alzandosi in piedi e cercando di aggiustarsi i capelli.
Si precipitò giù per le scale e arrivò nel cortile della scuola. C'era un uomo anziano ad aspettarla, con i capelli grigi ancora striati un poco di nero. Indossava una giacca color oliva, su una camicia bianca e pantaloni neri e dall'aria usata. Stringeva un mazzo di rose in mano e quando lo vide Minerva levò gli occhi al cielo.
-Si rassegnerà mai?- mormorò, stizzita.
-Minerva.- la salutò, aprendole le braccia.
-Elphinstone.- ricambiò, dipingendosi sul volto un sorriso enorme e palesemente forzato.
-Tieni.- e le porse il mazzo di rose.
-Grazie, non dovevi.- rispose educatamente, anche se sul suo volto si leggeva chiaramente che ne avrebbe volentieri fatto a meno.
-Minerva, so che te l'ho chiesto molte volte...- esordì lui. -Ma ti amo troppo per poterti ignorare. So che posso sembrare ostinato, ma vorresti diventare mia moglie?- le domandò, inginocchiandosi teatralmente a terra e prendendole una mano.
-Io... non lo so. Me lo hai chiesto così tante volte...- mormorò lei in confusione.
Rivolse un'occhiata distratta alla torre più alta di Hogwarts, dove un'alta figura a lei così familiare la fissava immobile.
Chiuse gli occhi, ripensando ai momenti felici con Albus.
Quando li riaprì sembrava convintissima. Si volse verso l'uomo e lo fissò intensamente.
-Sì, lo voglio.- rispose, mentre alzava fieramente il mento.
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