Capitolo VIII*
«Che succede, ragazzo? Sei distratto»
«Mi sta guardando» osservò Geoffrey. «Voglio sfidarlo!».
«È la seconda volta che lo dici, ma non ho ancora capito a chi ti riferisci» disse David.
Ma, a quel punto, Geoffrey era già andato: aveva raccolto una seconda spada di legno ed era corso in direzione di un cespuglio, uno dei tanti che circondava la casa di Edd il pazzo. Il ragazzo tenne la spada per la lama e rivolse l'elsa in un punto preciso. Dopo pochi secondi, una mano bruna comparve dal verde e raccolse la sfida. Il nuovo arrivato si diede una spolverata alle vesti e poi scrutò le facce dei presenti, cercando un gesto d'intesa, di approvazione, un qualcosa che gli facesse intendere che gli era permesso restare con loro.
Fu sempre Geoffrey a prendersi cura di lui. «Vieni» gli disse, dopo avergli fatto cenno con la mano.
Assieme raggiunsero il centro del giardino e si prepararono a duellare, mentre tutti gli altri rimanevano immobili, sorpresi e quasi intimoriti per l'arrivo di quel nuovo compagno.
In quei giorni, il loro gruppo di giovani aspiranti cavalieri andava crescendo: quasi ogni domenica, infatti, un nuovo bambino veniva reclutato e inserito nei loro allenamenti.
«Preparati che arrivo» continuò Geoffrey e poi si avventò su di lui.
Fu frettoloso nei primi attacchi, più cauto nei successivi. Voleva scoprire il potenziale del suo rivale, prima di esporsi troppo. Ma il suo avversario non si dimostrò particolarmente attivo: rimase in difesa quasi tutto il tempo.
David, rimasto senza compagno, ne approfittò per studiare il nuovo arrivato: non particolarmente alto, ma con una muscolatura ben sviluppata, muoveva poco il tronco ma si bilanciava bene, spostando il peso da una gamba all'altra. Forse un po' lento nei movimenti, portava pochi colpi, tutti pesanti e potenti; affondi poderosi che Geoffrey riuscì a schivare, tranne l'ultimo, che lo colpì al ginocchio e lo costrinse a piegarsi di lato. A quel punto, l'avversario sferrò un colpo dall'alto verso il basso con entrambe le mani, ma Geoffrey riuscì a essere più rapido di lui. Intuì le intenzioni e, spostando la spada dalla destra alla sinistra, riuscì ad arrivare al collo, imponendogli la resa. Lui alzò le mani e lasciò la presa sull'arma: accettò la sconfitta con serenità e si mostrò comunque soddisfatto. Geoffrey gli allungò la mano, mettendo fino al duello, e poi si complimentò con lui.
«Accidenti: picchi forte, amico» disse. «Come ti chiami?».
«Ahmed» rispose lui, rivelando una voce bassa e roca.
«Io sono Geoffrey» continuò lui, «e lo so che ci stai spiando da almeno un paio di giorni. Hai perso un sacco di tempo, amico: potevi entrare subito nel gruppo. Bastava chiedere».
Ahmed, sentendo quelle parole, abbassò la testa, quasi volesse scusarsi.
«Ci sono dei ragazzi liberi» disse David, raggiungendoli. «Sfidali: qualcuno accetterà».
I due videro Ahmed raccogliere la spada e fermare i ragazzi che aspettavano il turno per duellare. Videro che tutti rifiutavano. Poi Ahmed si avvicinò a quelli che già si stavano esercitando, chiedendo di sostituire chi sarebbe uscito sconfitto. Lo videro racimolare solo rifiuti.
«Ma è assurdo!» sbottò Geoffrey, sguainando la spada e conquistando il centro del giardino.
«Fermi!» gridò, pretendendo l'attenzione di tutti. «Perché non sfidate il nuovo arrivato? Dite che non volete combattere, precisate di essere stanchi, ma appena lui si volta, siete pronti a riprendere» disse. «Ho visto alcuni di voi accettare sfide impari e non preoccuparsi delle sconfitte. Ma voi oggi rifiutate Ahmed. Perché è diverso? Perché è... moro?».
A quel punto, sputò a terra prima di continuare. Era una cosa che aveva visto fare a suo padre quando si preparava a parlar male di qualcuno.
«Voi non sarete mai dei cavalieri» ed era l'insulto più pesante che Geoffrey sapesse formulare.
David si lasciò sorprendere dall'atteggiamento dell'amico. Geoffrey era partecipe ma silenzioso, passionale ma calmo, disponibile. Sapeva coinvolgere, senza essere mai al centro dell'attenzione. Qualità che, però, venivano meno, ogni volta che assisteva a un'ingiustizia. Ora, infatti, sembrava irruento, deciso, sfrontato; disposto a tutto, pur di difendere quella causa.
David non fu particolarmente sorpreso dall'atteggiamento, ma dal fatto che Geoffrey conoscesse Ahmed da meno di un'ora e che già lo avesse preso a cuore. E lo faceva spesso: investiva piena fiducia con chiunque si relazionasse a lui. Gli amici avevano cercato di proteggerlo, facendogli notare che la sua qualità, sebbene splendida e ammirevole, aveva un forte punto debole: portava molte delusioni.
Ma Geoffrey continuò a puntare deciso per la sua strada, noncurante degli avvisi, convinto che quell'atteggiamento, alla lunga, avrebbe portato i suoi frutti.
David non riuscì a fare a meno di dargli ragione: era pronto a lottare con lui. «Io sono d'accordo» disse, affiancando l'amico. «Non accettare Ahmed è come non accettare uno qualsiasi di noi. Chi non è disposto a farlo, può benissimo andarsene e uscire dal gruppo. Non vogliamo persone così».
Fece scorrere dei secondi, affinché gli altri recepissero le sue parole. E, a malincuore, vide qualcuno allontanarsi dal giardino. Poi sfoderò anch'egli la spada e si rivolse al nuovo arrivato.
«Duellerò io con te» disse al nuovo arrivato. «Ma fa' attenzione: sono più forte di Geoffrey».
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