Capitolo V
Essere schiavo significa anche non essere padrone del proprio tempo.
Gli servirono degli anni prima di capire davvero quella frase. Nel frattempo iniziò a studiare la quotidianità, imposta e mai scelta, di sua madre. La vedeva affrontare le consegne con la piena padronanza di una strana calma: la rassegnazione le scarniva i lineamenti e al tempo stesso le appesantiva il portamento. E lui si stupiva nel veder sparire quelle rughe, le volte che passavano il tempo libero assieme: gli occhi, dapprima spenti e stanchi, acquistavano una brillantezza tutta nuova e si muovevano frenetici, pronti nel carpire ogni nuovo dettaglio.
E così, come sempre, Jack si lasciò ammaliare dai gesti rapidi ma minuziosi di sua madre che, immersa nella folla dei giorni di festa, esaminava la chincaglieria delle bancarelle. Il piccolo fu urtato da un passante e, nello scontro, smarrì il suo borsellino. Sentì chiaramente la corda che gli faceva da cintura perdere la tensione del nodo. Con un salto si voltò e poi si tuffò per recuperare la sacca.
«Che tesoro stai rubando?» commentò una voce.
«Non sto rubando un bel niente!» ribatté lui, scrutando la folla per non perdere di vista sua madre.
«Ah, davvero?» continuò l'uomo. «Quindi sai già cosa contiene quella tasca?»
«Certo» rispose Jack, guardandolo per la prima volta.
Una lunga barba bianca e grigiastra che scendeva a cascata, naso arrossato dal vino, grandi occhi blu. Non riusciva a intravedere la bocca, ma sapeva per certo che l'uomo non gli stava riservando la solita smorfia che gli adulti gli dedicavano, quando si rivolgevano a lui.
Dal canto suo, il mercante si trovò davanti un ragazzetto smilzo con i capelli color paglia che cadevano lisci sulla fronte, un viso triangolare e un taglio d'occhi abituato a dubitare.
«Ti va di farmi vedere che merce possiedi?» domandò l'uomo.
«Non vendo nulla» si affrettò a precisare lui.
«Non mi pare di aver detto di voler comprare» ricordò l'altro. «Vieni: ti mostro la mia bancarella». Parlava lentamente, troppo per Jack, ma riuscì a convincerlo. Prima di seguirlo, diede un'ultima occhiata alla madre. La vide bisbigliare con un'amica e poi allontanarsi con lei a passo svelto.
Succedeva spesso che si separassero: Jack non aveva nemmeno compiuto undici anni, eppure aveva già imparato a cavarsela da solo, quando sua madre lo lasciava per riprendere servizio a casa Collins.
«Accomodati dove vuoi» gli disse il mercante.
Jack si sistemò su due cuscini e poi si guardò attorno. Anfore di varia grandezza erano affiancate l'una all'altra, alcune portavano delle grafie con inchiostro nero, altre delle incisioni su sottili strati di ceralacca. Da un lato gli parve di sentire un profumo acre, pungente, come quello che avvertiva nel bosco, tra le foglie e i fiori, subito dopo un forte temporale. Dall'altro, fu attirato da un sentore melenso e dolciastro che gli ricordava il pane condito con le mele, ma più intenso, più invadente.
«Vendi spezie» pensò a voce alta, non riuscendo a trattenere una linguaccia.
«Non semplici spezie: è polvere magica».
Lui non si lasciò ingannare da quelle parole; anzi, si sentì preso in giro: fece forza sulle gambe e si preparò ad andarsene.
«Il commercio mi permette di viaggiare per il mondo, di conoscerlo. E questo è magico».
A quel punto, Jack fermò la sua corsa. «Perché viaggi?» chiese, invitandolo a continuare.
«Perché il posto dove sono nato non mi piaceva».
Si ritrovò tremendamente in quelle parole. Prima di allora conosceva solo la risposta, ma non aveva ancora scoperto la domanda giusta. Aprì la sua sacca e ne versò il contenuto su un nuovo cuscino.
«Ti sei deciso, finalmente» commentò il mercante. «Vediamo quante parti di mondo conservi».
Insieme, separarono uno a uno i pezzi del tesoro.
«Questo potrebbe essere un pettine perso da una principessa araba» disse l'uomo, raccogliendo il primo pezzo, una sottile punta biforcuta.
«A me pare un ferro per il camino».
«Il fazzoletto di un conte» grattando con l'unghia un lembo sudicio.
«Veramente l'ho rubato in chiesa».
«Lo riconosco: è un coccio di un otre di vino spagnolo» continuò noncurante l'altro. «Corteccia di bambù dell'Oriente», stringendo un semplice rametto ingiallito. «L'armatura del dio della guerra», passando il dito su uno spesso strato di cera. «La moneta con cui si paga il viaggio nel Vecchio Continente», indicando, infine, un batuffolo di lana che la muffa aveva reso verde.
«Come riesci a vedere le cose che mi hai detto?»
«Ci riesco perché ho viaggiato».
Bastò poco a Jack per lasciarsi affascinare dalla capacità di inventare storie. Lo ammirava, lo invidiava: decise che avrebbe viaggiato.
A patto, però, di non commerciare mai spezie.
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