Capitolo II

Un grosso cinghiale impagliato e tenuto sulla parete di destra insieme ad altri trofei di caccia, una tela dedicata a un soldato a cavallo, i mattoni polverosi di una fornace abbandonata. Era pur sempre casa di David e loro erano abituati a passare i pomeriggi da lui, eppure non avevano mai trovato il coraggio di esplorare quel lato della villa. Forse perché non ne avevano mai avuto veramente il motivo. Ma questa volta era diverso.

Geoffrey superò con un balzo un'incudine e mise le mani su una rastrelliera. Scelse la spada più piccola e la impugnò aiutandosi con entrambe le mani. Poi divaricò le gambe e si mise in posa. «Fatti avanti, Cavaliere di Rugiada» disse guardando Eleanor. «Oggi non fallirò».
«Geoffrey, è meglio se la posi» chiese Matilda.

Lui non se lo fece ripetere due volte e iniziò ad abbassare l'arma, contento di mollare la presa: non pensava che una spada vera pesasse così tanto. Eppure aveva scelto la più piccola. Mentre faceva calare lentamente la lama, e prima che questa toccasse terra, si sentì un rumore di ferro. Si voltarono tutti in direzione dell'ingresso: con il cuore che batteva rapido in petto, credevano che un adulto li avesse scoperti. Ma non riuscirono a scorgere nessuno sul ciglio della porta e allora si sporsero ancora, allungando il collo.

«Tom!» Disse Matilda, rompendo il silenzio. «Cosa diavolo ci fai qui?»
Il nuovo arrivato è in piedi grattandosi la nuca. «Vi ho seguito» confessò.
«Ti ha visto qualcuno?» Si affrettò a chiedere Jack.
«No. Ne sono sicuro »risponde lui, pronto.
Matilda si avvicinò al fratello per accertarsi che bene bene. «Hai il gomito sbucciato» osservò. «Non fa male» rispose fulmineo. «Fatemi combattere: so come si fa».
Quella mattina, li aveva visti sgattaiolare fuori dalla chiesa prima della predica di padre Raphael e, come faceva spesso ormai, si era messo sulle loro tracce.
«Ma non si nasce cavalieri» disse Geoffrey. «C'è un percorso da seguire, ti devi allenare».
«Ci vorrà molto?»
«Dipende» fece Jack. «Sei bravo?»
«Questo lo scopriremo più tardi» disse David. «Ma ora seguitemi: il motivo per cui siamo qui è un altro» continuò, posando una mano su una seconda porta, rossa, macchiata di polvere e muffa.

Figlio di Patrick Percy, nobile al servizio del sovrano, David era un bambino di dieci anni molto carismatico, mai invadente, propositivo ma introverso. Con i suoi occhi manifestava tutte quelle emozioni che spesso la sua educazione e il suo carattere gli impedivano di liberare spontaneamente.
«Che cos'è? Una spada? Una lancia?» chiese Tom.
Entusiasti, curiosi e un po' avventati, i più piccoli del gruppo si precipitarono al di là della porta, ritrovandosi in un chiostro con un colonnato che anticipava il giardino del palazzo.
«Ma... ma...» farfugliarono all'unisono Jack e Geoffrey, guardandosi e aspettando che uno dei due trovasse la soluzione a quell'indovinello.

Eleanor, invece, sorrise soddisfatta. «Perché vi meravigliate tanto?» chiese, raggiungendo il centro. «David ha ragione: vi sta offrendo l'arma migliore per diventare i migliori».
«Io vedo solo...» iniziò Geoffrey.
«Solo terra» tagliò corto Jack.
«Mi deludete, ragazzi» riprese Eleanor. «Un vero cavaliere sa che la sua arma migliore è l'allenamento e il duro lavoro, l'esperienza».
«Ma certo!» esclamò Geoffrey. «Ora potremmo allenarci tutte le volte che vogliamo».
«Tutte le volte? Adesso non esageriamo» precisò David.
Jack raccolse la terra mista a polvere e con essa si sfregò le mani. «Vogliamo cominciare?» Geoffrey strinse la mano dell'amico. «Così mi piaci! Mettiamoci subito a lavoro».

Eleanor e David continuarono a fissarsi: quell'armeria significava più tempo e più scontri.
Lei si chiese se sarebbe stata all'altezza, lui se sarebbe riuscito a reggere il confronto.
«Credo che ora dovremmo andare» disse, distogliendo lo sguardo dalla sua rivale preferita. Sapeva che il suo rapporto con Eleanor era diverso, insolito, ma non sapeva descriverlo.
Si stuzzicavano, si sfidavano, si sottovalutavano: sembrava che si detestassero, ma in verità era come se l'uno avesse bisogno dell'altra per tirare fuori il meglio di sé, per migliorarsi.

Alla svelta, ma con passo sicuro, si apprestavano a salutare l'armeria di casa Percy. Sebbene il padre non curasse quella sala da tempo, David fu attento nel lasciare tutto com'era e a chiudere con cura le porte. Dopo aver fatto scattare l'ingranaggio, il ragazzo si rimise alla testa del gruppo, per guidarlo ora all'esterno. Sapeva che avevano i minuti contati. 

Superarono la ricca biblioteca, impolverata quasi e forse più dell'armeria, e si ritrovarono nell'ampio ingresso. Questa sala era stata progettata a croce e ogni lato dava accesso ad altre stanze; all'estremità verticale era stata costruita un'ampia scalinata che consentiva l'accesso alle camere da letto. Sul lato sinistro, invece, erano state costruite prima la sala da pranzo e poi, poco lontana, quasi indipendente dal palazzo, c'era la cucina. 

Quando suo padre diede ordine per la ristrutturazione del palazzo, David era piccolo, ma ricordava perfettamente l'insistenza del mastro costruttore che consigliava caldamente di costruire la cucina lontano dal palazzo. Col tempo, capì il motivo: un incendio sorge quasi sempre da una cucina e costruendo questa lontano dal resto della casa si tutela l'abitazione. Anche Eleanor ricordava la cucina: quando erano più piccoli, prima che conoscessero gli altri, scappavano insieme dal cuciniere per rubare delle ciambelle o comunque per fare uno spuntino a tutte le ore del giorno e, qualche volta, anche della notte.

Prima di avanzare ancora, David si voltò verso il gruppo e si portò l'indice sul naso, toccando la punta. Era improbabile che fosse già arrivato qualcuno, ma occorreva comunque il massimo silenzio e la piena concentrazione. Si mosse deciso, sfiorando appena l'alto candelabro che stava nell'ingresso, poco prima dell'uscio. Tirò a sé la porta e, incautamente, si preparò a uscire. Tom, che poco prima era l'ultimo del gruppo, sgattaiolò tra le fila, affiancò David e lo trattenne per un polso. «Aspetta» gli sussurrò. «Guarda!»

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e si voltò alla sua sinistra. Vide una guardia del palazzo, giovane, alta e slanciata, con la divisa macchiata e sgualcita, apparentemente disarmata. David sapeva che, sebbene innocuo, quel soldato avrebbe di sicuro riferito i loro movimenti.

«Ci serve un diversivo» concluse, imbronciando la bocca.
A quel punto, anche gli altri si sporsero, stando ben attenti a non farsi vedere e guadagnando la posizione a turno.
«Già, e ci serve alla svelta» commentò Jack.
«La guardia è esattamente sotto la finestra della prima stanza, al piano superiore» notò Geoffrey.             
«Possiamo risolvere questo inconveniente» disse Matilda. «Tom, hai la tua fionda?»
Il fratello mise una mano in tasca e poi estrasse l'arma. «Ma non sono poi così bravo» si affrettò a chiarire. In quel momento, l'abilità di Tom pareva l'unica soluzione, sebbene il bambino avesse appena confermato di non esserne portato.

«Allora mi sbagliavo, piccolo scudiero».
Eleanor ne approfittò per motivarlo, toccando un punto dove Tom si era dimostrato sensibile. «Non sei ancora pronto per allenarti come cavaliere».
Tom impugnò con vigore la fionda e alzò lo sguardo su di lei. «Dimmi cosa devo fare».
«Sali al piano di sopra e inventati qualcosa» lo spronò Eleanor.
«Qualsiasi cosa, pur di distrarre la guardia» aggiunse Geoffrey.
«Sarà fatto» assicurò lui.

Con un salto afferrò una delle candele del candelabro e iniziò a spezzarla: aveva già trovato il modo per procurarsi delle munizioni. Era un bambino fin troppo sveglio, volenteroso, attento, scaltro ma aveva una pecca: doveva essere pungolato per dare il meglio, aveva bisogno di vedere un obiettivo, un premio. Eleanor lo aveva studiato e credeva di averlo capito.

Le piaceva farlo con tutti e non perché così poteva manovrare le persone intorno a sé, ma perché le piaceva organizzarle, sfruttare i loro pregi e cercare di attenuare al minimo i loro difetti. Le piaceva studiare le circostanze e poi scegliere il compagno con le caratteristiche migliori, affinché non fallisse. Si avvicinò all'uscio e, come gli altri, attese che Tom facesse la sua mossa. 

I compagni lo videro allungarsi dalla finestra e puntare sulla destra, dove c'era un carro lontano pochi passi. Tom sferrò il colpo e, un attimo dopo, videro un cane che si allontanò latrando. La combinazione di suoni attirò l'attenzione della guardia, la quale si voltò verso l'origine dei rumori, ma non fu abbastanza per farla allontanare dal suo posto di vedetta.

Tom si sporse ancora e preparò un secondo colpo. Si sentì un tonfo sordo, poi il rumore di un secchio vuoto che, cadendo, fece scappare un gatto che fuggì miagolando forte. Solo a quel punto l'uomo si decide di andare a controllare il motivo di quel frastuono.

Prima ancora che questi svoltasse l'angolo, David, Jack e Geoffrey uscirono e si dileguarono. Matilda rimase esitante, alzò la testa e cercò gli occhi dell'amica; Eleanor ne intese il motivo.
«Vai: lo aspetto io» disse.
Matilda sorrise e seguì i passi di chi l'aveva preceduta.
Tom arrivò correndo, ancora con la fionda tra le mani e con un sorriso che non celava la sua soddisfazione. «E allora ?» le domandò, quando la vide. «Dubiti ancora di me?»
«Non l'ho mai fatto» confessò lei.                              

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