89-Camila

Una pagina su Twitter, 5Hitalia , ha tradotto un'intervista che Camila ha rilasciato riguardante la sua vita prima di X-Factor. Adesso io inserisco tutto il testo e i crediti beh, vanno ai ragazzi che hanno tradotto l'articolo quindi...andate subito a seguirli, meritano davvero!

Un autobus. Le luci al neon della stazione di servizio in contrasto alle ore scure della mezzanotte. Un sonno profondo. Silenzio. La testa appoggiata alla spalla di mia madre. La sua voce timida ed esitante mentre cercava di pronunciare una frase in inglese alla cassa. Un diario di Winnie the Pooh. Queste sono le cose che mi ricordo quando penso a quando io e mia madre siamo immigrate in America.

Avevo quasi 7 anni all'epoca, sono nata a l'Avana, Cuba. Mio papà è messicano e vivevamo facendo avanti indietro tra il calore di l'Avana e la giungla di cemento che era Città del Messico. Non lo capii allora, ma, cavolo, adesso mi colpisce in pieno. Posso capire quanto dev'essere stato spaventoso per loro. Per mia madre lasciare le strade de l'Avana dove i nostri vicini erano amici, dove ci riunivamo per ogni festività a mangiare carne di maiale e il riso e fagioli di mia nonna, di non sentire il malecòn e il cuore pulsante della città ad ogni onda. Per mio padre lasciare i suoi quattro fratelli e sorelle, il ricordo dei suoi genitori, i venditori di strada che offrivano elote con mayonesa che lo pregavo sempre di comprare la mattina prima di andare a scuola, gli amici con cui era cresciuto... ogni cosa. Di decidere di ripartire da zero.

Con un paio di centoni, i vestiti sulla schiena, nessuna famiglia negli Stati Uniti, e senza avere alcuna idea di quello che sarebbe successo, è esattamente quello che abbiamo fatto. Come diceva mia madre, "Non so dove sto andando, ma non posso restare qui." Ed era abbastanza.

Perché stavamo mettendo da parte le nostre cose? Perché mia nonna mi stava abbracciando più stretta del solito? Dove stavamo andando? "Andiamo a Disney World!" Mi ha detto mia madre mentre attraversavamo il confine tra Messico e Stati Uniti, mentre vedevo mio padre diventare una formica in lontananza mentre lui restava indietro.

Solo Disney World. Ogni volta che adesso devo prendere una decisione e sono spaventata, mia mamma mi ricorda sempre quel giorno. "Quel giorno, sapevo che se mi fossi fermata a riflettere, la paura mi avrebbe fatta tornare indietro. Ecco perché quando hai paura, devi spingerti a saltare. Non pensi, salti e basta," mi dice.

Dopo essersi seduta con un agente dell'immigrazione in un ufficio minuscolo, noi e un gruppo di persone proveniente da altri paesi con simili speranze siamo stati collocati in delle stanze con dei piccoli letti, un hotel pieno di queste stanze. Eravamo io e mia mamma e altre due famiglie in una stanzetta, in attesa che qualcuno arrivasse e ci facesse sapere se ci avrebbero permesso di entrare negli Stati Uniti o se ci avrebbero rimandati indietro. Alcune persone passarono lì giorni, altre settimane di agonizzante attesa sull'esito della risposta. Nel frattempo, io mi chiedevo solamente quando cavolo saremmo arrivate da Disney. Eravamo lì solo da un giorno quando finalmente ricevemmo la notizia. La stanza scoppiava di gioia, tutti intorno a me applaudivano e si abbracciavano e urlavano e piangevano! E io urlavo "Sì! Andremo tutti da Disney!" Cosa ne potevo sapere.

La piccola me e mia mamà siamo finite su un autobus che impiegò 36 ore per arrivare a Miami – è lì che ho i miei ricordi più vividi. Altre cose le ricordo vagamente e le so da storie che i miei genitori mi hanno raccontato anni dopo. Ma ricordo di aver scritto parecchio sul mio diario di Winnie the Pooh durante quel viaggio in autobus.

Siamo arrivate a Miami e ci siamo trasferite in casa di una collega di mio nonno che più avanti diventò la mia madrina. Mia madre era un bravissimo architetto a Cuba, ma quando è arrivata in America nessuno dei titoli che si era guadagnata a Cuba aveva valore, perciò per guadagnare abbastanza da darci da mangiare e farmi andare a scuola ha iniziato a lavorare in un negozio di scarpe ed ad andare a scuola di notte per seguire un corso d'inglese, tutto mentre mi accompagnava e mi veniva a prendere da scuola e mi aiutava con i compiti tutta da sola in un paese sconosciuto. Non riesco ad immaginare quanto debba essere stato frustrante per lei aver lavorato tutta la vita nell'architettura e vedere ogni cosa cancellata quando è arrivata qui.

Un giorno, come se Dio ci stesse ascoltando, due signore di Cuba stavano parlando con lei e le hanno detto: "Oye, tu estás muy bonita para trabajar en Marshalls. (Hey, sei troppo in gamba per lavorare da Marshalls.) Di dove sei?" Mia madre raccontò di come venisse da Cuba e di come fosse in realtà un architetto. Non ci crederete, ma le due donne dissero di avere un fratello che lavorava in quel campo e che aveva bisogno di qualcuno che lavorasse con Autocad, un complicato programma architetturale per il computer. Le chiesero: "Sai usare Autocad?" Dentro di lei, mia madre si disse "Autocad? Che diavolo è? Usiamo carta e matita da dove vengo io." Ma alle signore, disse: "Autocad? Naturalmente. Sì, certo. Posso farcela." Ha imparato ad usare quel programma in una settimana ed ha guadagnato abbastanza per permetterci di trasferirci in un appartamento.

Ha imparato in fretta perché doveva farlo letteralmente, per sopravvivere. Gli immigrati hanno una cosa in comune: La fame. E non intendo letteralmente, anche se pure quello è vero, ma metaforicamente. La fame di fare l'impossibile perché non si ha scelta, perché si è arrivati troppo lontano, perchè sai cosa significa essere in difficoltà, e non darai un'opportunità per scontata. La fame e l'abilità di vincere su persone che si trovano in circostanze migliori delle tue semplicemente perché lo vuoi abbastanza.

Per farla breve, mio papà è arrivato dal Messico un anno e mezzo dopo – avevo un piccolo calendario nella mia stanza dove contavo i giorni – perché non poteva sopportare di stare lontano da noi. Ha incontrato tante difficoltà per attraversare il confine messicano e l'ha avuta più difficile di me e mia madre, rischiando letteralmente la vita per la sua famiglia pur di farcela. Quando è arrivato negli Stati Uniti, ha iniziato lavando macchine di fronte al Dolphin Mall sotto il sole rovente di Miami. Ma abbiamo continuato a lottare... con la comunità latina di Miami, ci siamo aiutati a vicenda. Lentamente i miei genitori hanno continuato a lavorare e a puntare sempre più in alto ed hanno finito per costituire una compagnia di costruzioni che hanno chiamato come me e mia sorella. Mi hanno sempre spinta a concentrarmi sugli studi perché l'unica ragione per la quale siamo venuti qui è che così io e mia sorella avremmo avuto opportunità migliori nella vita di quanto abbiano avuto loro. Hanno detto: "I soldi vanno e vengono, ma la tua educazione, lo que tienes aquí (e indicavano la mia testa mentre lo dicevano), nessuno può portartela via." Mi dicevano che per frequentare un buon college dovevo ottenere una borsa di studio, perciò mi impegnavo il più possibile. Però – colpo di scena – non tutto è andato come pensavamo.

Vedete, in prima superiore, una ragazzina che non aveva mai cantato prima di fronte a qualcuno chiese ai suoi genitori se avrebbero potuto portarla a Greensboro, NC, per fare un'audizione per un piccolo show chiamato The X Factor. Accidenti! Non avevo mai cantato di fronte a nessuno. Beh, mia madre sapeva usare Autocad? No. Sapevo come esibirmi su un palco in TV? No. Ma lo volevo abbastanza, ed ho imparato dalla mia famiglia che se lavori abbastanza e lo vuoi abbastanza, puoi fare l'impossibile.
Avevo torto su una cosa. Mia mamma e papà non hanno lasciato ogni cosa, se la sono portata dietro. Mia nonna cucina ancora carne di maiale e prepara riso e fagioli durante le festività come faceva prima, e mia mare percepisce ancora le onde di malecòn nel suo cuore perché si sente ancora in pace quando è vicino al mare. Mia nonna e mio padre si ubriacano ancora e cantano Luis Miguel in cucina. Abbiamo trovato il nostro posto preferito in Miami per i Taco (ho scritto Taco con la lettera maiuscola per un motivo). E quando conosciamo qualcuno del nostro paese, diamo di matto: "¿De qué parte?" Perché casa è in noi stessi. Perché l'abbiamo portata con noi. Ogni cubano l'ha portata con sé ed è così che abbiamo Miami. I messicani l'hanno portata con loro ed è così che abbiamo il miglior cibo messicano che ci sia. Gli italiani l'hanno portata con loro ed è così che abbiamo la pizza. Gli svedesi l'hanno portata con loro ed è così che abbiamo fantastiche canzoni pop. E la lista va avanti. Per questo quando sento un uomo razzista e bigotto con potere ed influenza parlare con rabbia e ostilità degli immigrati, penso "che stupido.

Sono davvero fiera di essere cubana-messicana. Questo paese è stato costruito sulle spalle degli immigrati. Persone che hanno avuto il coraggio di ricominciare. Quanto siamo forti per lasciare tutto quello che conosciamo con la speranza di trovare qualcosa di meglio. Non siamo impavidi, abbiamo semplicemente sogni che superano le nostre paure. Saltiamo. Corriamo. Nuotiamo, smuoviamo montagne, facciamo tutto quello che serve. Perciò la prossima volta che qualcuno vuole dirvi che vogliono costruire un "muro" al confine, ricordate che dietro a quel muro ci sono difficoltà, determinazione, fame. Dietro quel muro, potrebbe esserci la prossima cura per il cancro, il prossimo scienziato, il prossimo artista, il prossimo batterista, il prossimo qualunque cosa per cui ci si impegna abbastanza da diventare!

P.S. Sono riuscita ad andare da Disney per la prima volta un anno dopo.

Sapevate tutto questo?
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Camila mi sorprende sempre di più...è fantastica

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