Blue

Riccardo occhi verdi, capelli castano chiaro, fisico da palestrato, 24
Giovanni occhi blu, capelli neri, fisico normale, 25
Aurora occhi castani, capelli castani scuri, carattere ribelle, fisico asciutto 20
Francesca occhi celesti, capelli biondi, fisico asciutto 23

Si narra che quattro creature, nate dalle stesse cellule degli dei, un giorno scenderanno sulle terre emerse per scatenare terrore a caos.
Rya, figlia del fuoco, brucerà ogni speranza,
Dålin, figlia della natura, estirperà ogni sogno,
Odur, figlio delle tenebre, spazzerà via le ceneri.
Rakat, figlio della luce, illuminerà il nuovo mondo.
All'alba della centesima eclissi, quattro figli terranno fede alla promessa fatta ai propri padri e compiranno il loro destino.

Giovanni chiuse il libro con violenza e lo ripose nello scaffale della libreria. I libri neri ero impilati l'uno sull'altro ad indicare che quella parte della biblioteca era riservata alla magia nera. Tutto era impolverato ed abbandonato a se stesso in quel luogo, proprio come lui. Per l'ennesima volta nell'ultimo anno il moro uscì silenziosamente dalla biblioteca e si diresse fuori nelle vie semi deserte di Lekat, città famosa per le sue opere d'arte. La città, per quanto fosse bella e popolata, di notte sembrava un vecchio cimitero. Le vie erano deserte, i locali chiusi e tutti erano rintanati nelle proprie abitazioni. Il ragazzo sbuffò, esausto, e si diresse rapidamente a casa sua.
Era un anno ormai che si infiltrava di notte nella biblioteca. Forse per cercare del brivido, dell'avventura o semplicemente per sfuggire alla monotonia, fatto sta che si intrufolava dentro e imparava incantesimi, preparava pozioni e leggeva vecchie leggende. Restava ore là dentro, gli piaceva sentire l'odore delle pagine, toccarle e scoprire cose nuove. Si accovacciava sempre in un angolino e, con una vecchia lampada ad olio che rischiarava l'ambiente, passava l'itera notte a girar quelle vecchie pagine ingiallite.
Lesse la formazione del mondo, di come Aegnor creò il centro della terra e di come Calengol creo la natura e gli animali. La nascita del sole avvenuta per mano di Carnil e la creazione delle tenebre e delle due Lune nate dal cuore di Ithilbor. Quelle leggende gli suscitarono fin da subito curiosità e paura. Sapeva bene che esistevano degli Dei, ma sapere che potevano decidere sulla tua stessa vita lo mettevano in soggezione. Mietitori divini di anime, così li definiva.
La leggenda che più lo affascinava era quella che raccontava della distruzione del mondo. In un certo senso lui sperava che accadesse davvero, sperava che tutta la popolazione scomparisse e venisse portata via, come spazzata da un forte vento. La cosa che apprezzava maggiormente di quello scritto erano le didascalie.
C'erano quattro ragazzi. Il fuoco era rappresentato da una ragazza di colore, un'amazzone, i capelli bruni erano lasciati cadere morbidi sulle spalle e sulle braccia c'erano dei tatuaggi rossicci. La natura era rappresentata da un'elfa dai lunghi capelli biondi, gli occhi erano azzurri lattei, le orecchie finivano a punta e sulla fronte portava un'elegante tiara di ramoscelli. Un ragazzo dai capelli color della pece incarnava l'oscurità e sulla schiena spuntavano un paio di ali diafane simili a quelle dei pipistrelli. Infine, la luce, era rappresenta da un ragazzo molto alto e muscoloso con un paio di ali di candide piume bianche. I quattro erano disegnati in cerchio e si tenevano le mani.
L'aveva letta un centinaio di volte, ma non si stancava mai di darci, ogni notte, un'altra rilettura.
Avvolto nella sue nube cupa di pensieri aprì la porta vecchia di legno e entrò in casa sua. Alimentò nuovamente la sua lampada e si sdraiò sul giaciglio per riposare le ultime ore della notte. Chiuse gli occhi stanchi e venne subito trasporto da Mornon, dio del sonno e dell'oblio, in un mondo fatto di incubi.
Il ragazzo venne svegliato dai raggi del sole che filtravano dalla finestra priva di tende. Si sitiracchiò la schiena e i muscoli indolenziti e poi si alzò aiutandosi con le braccia. La sua casa consisteva in un edificio a pianta quadrata minuto di un tavolo e un letto fatto in paglia. Abitava nel quartiere povero della città dove sua madre l'aveva cresciuto e dove sua nonna crebbe sua madre. Andava avanti così da dodici generazioni e nessuno era ancora riuscito a migliorare le proprie condizioni di vita.
Giovanni prese un pezzo di pane secco e uscì per andare a lavorare. Attraversò il centro città e poi si diresse in periferia dove si trovavano le cave. La città di giorno, differentemente dalla notte, era molto popolata e gioiosa. Tutte le abitazioni erano decorate con colori sgargianti, disegni stravaganti e complessi. Sembravano murales di bambini, ma erano davvero stupendi.
Arrivato, si immerse nelle buie gallerie da cui non ci uscì per tutta la giornata.

Francesca camminò leggera per il piccolo sentiero ripido. I piedi sembravano fluttuare nell'aria per quanto fosse legante e, anche se c'era un forte vento, i capelli biondi, quasi bianchi, non accennavano a muoversi.
La ragazza aveva abitato per tredici anni nella casa dei suoi genitori adottivi e poi si era trasferita da un vecchio mago che gli insegnò la magia bianca. Li imparò a immergersi nella natura, a diventare parte di essa e scoprì il destino che l'aspettava. Considerava il suo mentore come il suo vero padre e, abbandonarlo per compiere il suo dovere, era stato la cosa più straziante che avesse mai fatto.
Si ricordava ancora le storie che le raccontava ogni notte prima di andare a dormire, sotto il suo caldo piumone, mentre lo stregone sfogliava quelle pagine ingiallite e raccontava le storie con voce gracchiante.
Una lacrima solitaria scese lentamente sulle sue guance e la ragazza la lascio scivolare. Non si vergognava delle sue debolezze e se aveva bisogno di piangere, anche difronte a un'intera città, lo avrebbe fatto. Lo stregone diceva sempre di non mostrarsi sempre forti, perché la debolezza, ogni tanto, ti può salvare la vita. Non l'aveva mai capita quella sua frase, ma la dava per un insegnamento e quindi riteneva giusto rispettarlo.
La giovane raggiunse ben presto il luogo di ritrovo e si sedette su una roccia. Il sole quel giorno era particolarmente luminoso e gli occhi lattei della ragazza facevano fatica a stare aperti. Quegli occhi, tuttavia, vagavano in cerca di qualcuno che, di lì a poco, sarebbe dovuto arrivare.

Riccardo volò rapido sopra le nuvole, baciato dal torpore del sole. Le ali piumate fremevano al contatto con l'aria mentre gli occhi verdi riuscivano a malapena a stare aperti per quanto andasse veloce. Ridacchiando fece un avvitamento e poi urlò di gioia.
Fino da quando era piccolo era sempre stato gioioso, non riusciva mai a vedere la parte cattiva della gente o vedere in negativo le azioni di qualcuno, neanche quelle più crudeli. Infatti, anche quando i suoi genitori morirò, non pianse. Certo, non che non avesse sofferto, ma la morte era una cosa che succedeva. Prima o poi tutti dovevano passarci e il ragazzo non vedeva niente di male nel non provare dolore per una cosa del genere. Dopo la morte c'è la vita, e quindi come poteva essere triste? La vita nell'altro mondo era migliore, non c'erano alcun tipi di problemi, non c'erano angosce ne sentimenti negativi. Come poteva non desiderare una cosa così per i suoi genitori?
Si ricordava ancora l'espressione attonita di sua nonna che lo guardava sorridere mentre i due cadaveri bruciavano per il funerale. Da quel giorno, per quanto lui ci avesse provato, nessuno della famiglia lo volle più vedere. Tuttavia era felice, perché lui era sempre stato un tipo solare.
Il ragazzo atterrò leggerlo nella piccola radura alle pendici di una cascata e noto subito Francesca seduta elegantemente su un masso.
-Finalmente- disse con voce vellutata -Stavo iniziando a pensare che ti fossi smarrito- disse alzandosi.
-Dove si trova Aurora? È andata ancora a giocare con i suoi amici animali?- scherzò gaio il giovane.
-No, caro il mio Sole- disse acida una voce.
Dal fitto del bosco ne uscì una ragazza dalla pelle scura, come gli occhi. Si avvicinò con passo felpato verso di loro e si appollaiò sulla roccia calda.
La mora era arrivata dalle terre del sud. Li faceva molto caldo e quelle popolazioni di umani avevano la pelle scura, quasi nera. Aveva sempre vissuto da sola o almeno da quando ne aveva memoria. La sua casa era il bosco, ma abitava in una vecchia grotta molto profonda. Lì, al riparo da sguardi indiscreti, aveva trovato una sorgente di acqua calda alimentata direttamente dal centro incandescente del mondo. Le piaceva il calore e riusciva a sopportarlo egregiamente. Tuttavia, seppur amasse il calore, un'altra cosa che amava era la natura. Le piaceva tuffarsi nei torrenti, fare il bagno nei laghi e passare le giornate tra gli animali. Dava sempre da mangiare ai cervi, quegli animali bizzarri quinto meraviglioso l'avevano sempre affascinata e, anche se sapeva che non avrebbe dovuto amarli, lei li considerava come la propria famiglia.
In effetti, Aurora e Francesca non rispettavano proprio i loro ruoli: Aurora amava la natura e Francesca la riteneva solo sacra, e non osava avvicinarsi troppo alla sua potenza per paura di rischiare troppo.
-Tali a bambini- sussurrò l'elfo -Avete trovato il quarto?- domandò.
-Si- risposero in coro -Si trova a Lekat, la città dell'arte- aggiunse la mora.
Le due ragazze si aggrapparono al collo di Riccardo e aspettarono che le sue ali si muovessero per farle partire in alto e raggiungere quella meravigliosa città. Essendo abbastanza lontani sarebbero arrivati entro sera e, sapendo che il ragazzo si intrufolava nella biblioteca, l'avrebbero atteso lì al calar della notte.

Giovanni, dopo la lunga giornata di lavoro, si diresse al fiume che scorreva vicino a casa sua. Lì tutti i cittadini si recavano ogni giorno per prendere l'acqua da bere. Lui, in quel fiume, ci faceva la doccia. Si spogliò di ogni indumento e, titubando non poco per il gelo, si immerse completamente. Si insaponò velocemente con una saponetta fatta in casa e poi si sciacquò. Si rimise i vestiti e, semi bagnato, barcollò stanco verso casa sua. Il sole stava ormai calando e il cielo era tinto di ogni sfumatura di viola e rosso. Giovanni restò qualche secondo a guardare quello spettacolo e poi si diresse a passo svelto verso la biblioteca.
Accese la lampada e prese uno dei pochi libri che non aveva ancora avuto modo di leggere. Si sedette poi nel suo solito cantuccio ed iniziò a sfogliare quelle vecchie pagine. Quel libro parlava di incantesimi proibiti e magia nera: uno dei tanti argomenti oscuri che amava.

-Secondo voi si sveglierà?- disse felicemente Riccardo.
Francesca scosse la testa indignata da quella felicità -Certo che si sveglierà! Uno come lui, come noi, non può non svegliarsi per uno svenimento- borbottò.
Giovanni inizio ad aprire gli occhi e, dopo un tempo che gli parve infinito, iniziò a mettere a fuoco tre figure chine su di lui. Spalancò immediatamente gli occhi e con uno scatto fulmineo e si allontanò il più possibile. Erano in una grotta e le pareti erano umidicce a cosparse di muschio arancione.
-Cosa volete da me?- urlò, trovandosi davanti le copie esatte dei tre figli degli dei.
-Giovanni, tu sei come noi- sussurrò Aurora porgendogli la mano.
-Tu sei Odur-

I quattro si misero in cerchio intorno ad un altare. Giovanni protese la mani e intrecciò le proprie dita in quelle delle due ragazze. Dopo aver scoperto ed accettato la realtà si diressero nella Terra di Mezzo dove, proprio al centro, si trovava questo santuario. Sopra le loro teste le due Lune erano in piena fase d'eclissi.
Le loro mani si unirono e subito una luce blu scese dal cielo e attraversò la terra passando esattamente al loro centro. I loro corpi si inarcarono e quattro voci intonarono una litania cupa e in una lingua sibilante.
La terra tremò, e la luce blu avvolse l'intero globo.

Okay innanzi tutto vorrei ringraziare @librofantasy2000 per aver creato questo concorso stupendo. Poi ovviamente tutti in concorreit e sopratutto @aragornpotter293160 con cui ho collaborato per questa storia.
Mi scuso nuovamente con la creatrice del concorso per aver tardato tantissimo con la consegna dello scritto, ma non aveva ispirazione e non riuscivo a spiccicare una frase di senso compiuto!
Grazie ancora,
Eldomias

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