Capitolo 98

Candidus si svegliò di soprassalto.

Si mise a sedere con un movimento repentino, confusa e allarmata per ciò che ricordava fosse successo prima che perdesse i sensi. Si trovava ancora nei sotterranei della tenuta un tempo appartenuta alla sua famiglia, che mai l'aveva realmente allevata, accettata o almeno conosciuta: i Radius.

L'ultima cosa di cui avesse memoria degli ultimi avvenimenti era il ghigno compiaciuto di quell'uomo misterioso, Connor Gray, che sembrava avere un legame con il suo amato capo. Dopodiché, tutto era diventato nero, qualcosa l'aveva colpita alle spalle. Che fosse stata proprio Satyria?

Non le venne in mente nessun motivo per cui avrebbe dovuto farlo, se non per difendere lei e Ater da quell'individuo, ma in tal caso significava che non li considerava abbastanza forti. O peggio, che non si fidava abbastanza di loro. Come se non bastasse era anche sparita, infatti non la vedeva in giro.

"Cosa sarà successo dopo che sono svenuta...? Dove sono il capo e quel tipaccio?" bisbigliò, rialzandosi. Accanto a lei giaceva Ater, ancora immobile e privo di conoscenza. "Perlomeno lui è ancora qui." pensò, vagamente sollevata dal fatto di non essere sola. O forse di non aver perduto di vista Ater? Si sorprese a pensare a lui come a un punto di riferimento, e a quanto si sarebbe sentita persa se fosse scomparso all'improvviso.

Guardò bene il suo viso dai tratti gentili mentre dormiva beato, sentì il suo respiro regolare dettato dagli innalzamenti e gli abbassamenti ritmici del petto. Ammirò i suoi capelli lisci e di un nero opaco, le sue ciglia rade ma dal colorito intenso, le labbra dischiuse...

Candidus si accorse di avere le guance arrossate e di sentire d'un tratto un gran caldo, dunque scosse con violenza la testa.

"S-sarà meglio svegliarlo!" affermò, d'istinto.

In un primo momento lo scosse con forza, senza risultati, ma subito sentì di starsi comportando nel modo sbagliato nei suoi confronti. Ancora. Non avrebbe più usato violenza su di lui, né fisica né verbale. Non dopo ciò che aveva fatto per lei. Si chinò quindi verso il giovane, piano, con delicatezza, e gli diede alcune pacche lievi sulla spalla, sussurrando al suo orecchio.

"Ater... Svegliati, Ater."

Dopo alcuni tentativi a vuoto, il ragazzo aprì le palpebre e fissò con i suoi occhi neri quelli bianchi dell'amica d'infanzia.

"Candy. Dov-"

Lei lo interruppe, ponendo un dito davanti alla sua bocca. Ater parve spiazzato dalla pacatezza dei suoi modi. Si chiese se non fosse cambiato qualcosa in così poche ore nella compagna.

"Ater, dobbiamo uscire da qui. Credo che quel mercenario abbia rapito il capo... o magari saranno fuggiti via insieme." gli spiegò lei. Il contatto visivo prolungato con il ragazzo la imbarazzò, così distolse lo sguardo con fare disinvolto, celando le guance rosee con i suoi capelli canuti come le piume di una civetta.

"Ma se così fosse, perché ci avrebbe lasciati qui? Lei ci ha sempre considerati una famiglia." disse Ater, ancora intontito.

"Non mi è tutto ben chiaro, anzi direi che proprio nulla lo sia... ma dobbiamo pensare a noi stessi, per adesso. Forza, usciamo all'esterno." lo incitò la giovane.

Ater indugiò qualche attimo sul viso di Candidus, cercando di decifrarvi qualcosa di familiare, che appertenesse al suo vecchio modo di comportarsi. Ma quello zelo pareva completamente sparito da un momento all'altro. Si domandò quando fosse avvenuto quel cambiamento, pensando che forse era stato graduale e stava man mano mostrandosi nel tempo.

"D'accordo, faccio strada io." concluse il Vulture, rialzandosi.

Non era il momento di pensare a quel genere di cose, entrambi correvano ancora seri pericoli.

I due procedettero fianco a fianco lungo uno stretto passaggio roccioso e asciutto, oltre la voragine che Connor aveva creato nella parete meno di un'ora prima.

"Avverto l'odore del capo, credo sia passata da qui insieme a Connor." mugolò Candidus, tenendosi vicina all'accompagnatore per orientarsi nel buio.

"Speriamo non le sia successo nulla." replicò Ater. "Anche se non è una che corre pericoli con facilità."

"Starà bene di certo, il capo è fortissimo." confermò Candidus, più per ostentazione volta a convincere sé stessa che per vera sicurezza. Dopo circa un minuto, scorsero a una ventina di metri un bagliore bianco, insieme alla forma contorta e irregolare di alcuni ramoscelli oltre la cava.

"L'uscita!" Candidus afferrò la mano di Ater e cominciò a correre di gran carriera verso l'esterno.

L'immagine della chioma innevata e ondeggiante della compagna sfrecciargli davanti rimembrò ad Ater il ricordo del periodo in cui giocavano insieme, da bambini. Fu colto da un magone misto a una certa allegria che lo rendeva stranito. La scena di Candidus sorridente che lo teneva per mano, conducendolo in direzione di una luce abbagliante, gli sembrava quasi uscita da un sogno, o da un passato talmente remoto da apparire come una vita precedente. E forse quella prima di entrare nei Vulture, prima di perdere la sua famiglia e veder scoppiare una guerra, lo era davvero stata in un certo senso.

Si ritrovarono alla sinistra della tenuta Radius, nel punto in cui spesso si erano divertiti a passare del tempo con Danny e Masami, intrattenendosi con giochi da tavolo di cui solo Candidus conosceva bene le regole. L'aria era un po' rarefatta e si avvertiva un lieve tanfo di sangue provenire da qualche zona nemmeno troppo distante.

Attorno a loro, gruppi di alberi bassi e spogli dalle sagome incurvate si estendevano per la sinistra palude come un esercito di scheletri viventi da film dell'orrore. Il terreno molle e fradicio lasciava affondare i piedi per alcuni centimetri, cospargendo le loro calzature di foglie morte e gocce d'acqua stagnante.

"Cosa facciamo adesso?" chiese Ater, fissando con fare incerto Candidus. Ora che riusciva a parlare in serenità con lei, la vedeva quasi come un riferimento, una persona a lui opposta per carattere e aspetto che avrebbe potuto controbilanciare alle sue mancanze, e viceversa.

La ragazza scrutò il cielo plumbeo, poi passò in rassegna il paesaggio nella sua interezza, senza scorgere nulla a parte alberi e nebbia. "Credo che dovremmo allontanarci il più possibile da qui. Ho paura che la battaglia stia volgendo al termine e molti di noi siano caduti... Non percepisco il Kaika di nessuno degli altri nelle vicinanze." propose, alla fine.

Ater annuì, calmo. "Stavo pensando la stessa cosa, dovremmo pensare a una questione per volta, e al momento Satyria ha la precedenza su tutto. Bisogna mettersi sulle tracce di Connor, in questo modo sono sicuro che troveremo anche lei." Cercò una reazione positiva in Candidus, che infatti parve approvare, a giudicare dall'espressione convinta sul viso tondeggiante dai tratti dolci.

Indugiarono entrambi sui loro volti, e non poterono fare a meno di sorridersi per quella complicità spontanea che si era venuta inaspettatamente a creare.

Candidus pensò che era quello il momento giusto per provare a chiarirsi una volta per tutte, senza più nessuna opacità. Forse sarebbero potuti tornare legati come un tempo, o almeno avrebbero tentato di ricostruire il loro rapporto su fondamenta di fiducia e rispetto rinnovati. Ma per riuscirci doveva muovere lei per prima un passo avanti, Ater ne aveva già percorsi fin troppi.

"Senti, Ater..." esordì la giovane, un po' forzatamente.

"Cosa c'è?" sorrise lui, e questo mise subito in difficoltà Candidus, che ciononostante si fece coraggio e proseguì.

"I-io so di essere stata una pessima amica per te... e che la mia stupida testardaggine, no, inettitudine, non mi ha permesso di provare a comprenderti." Il labbro inferiore le tremava. Tutt'a un tratto sentiva una colpa terribile schiacciarle lo stomaco per aver forzato l'amico così tanto nell'ultimo periodo. "Ti ho costretto a compiere un viaggio immenso, a metterti in pericolo... e mettere in pericolo tutti i Vulture, compreso il capo, solo per venirmi incontro. La verità è che se siamo in questa situazione, se stiamo per essere estirpati da questo mondo, la colpa è in gran parte mia." A questo punto le lacrime minacciavano davvero di rompere gli argini e scorrere lungo le sue guance pallide.

"Candy..." Ater le poggiò, indeciso, una mano sulla guancia, che lei al contrario subito strinse fortissimo con entrambe le sue.

"Scusa, Ater! Per tutto quello che ti ho fatto passare, per essere così sciocca ed egoista... Scusami!" La voce della compagna si ruppe in modo definitivo. "Non merito una persona come te nella mia vita!"

D'istinto, Ater la strinse a sé, per poi costringerla a guardarlo dritto negli occhi, le mani sulle sue piccole spalle.

"Non dire così, l'ho fatto perché tengo a te. Tu e Satyria siete la sola famiglia che mi sia rimasta. Rivolterei il mondo per v-"

Ater non concluse la frase e si accasciò, sotto l'espressione inorridita di Candidus, che lo fissava col viso macchiato del suo sangue.

La ragazza sollevò lo sguardo e, minacciosa come una montagna, alle spalle di Ater vide la figura dalla chioma rossa di Okajima Saito. La katana infilzata nella schiena del ragazzo, gli occhi spenti e spietati, verdi come veleno.

"Ater!" urlò la Vulture.

Saito estrasse la spada dal corpo di Ater con un movimento secco, in seguito la fece oscillare in modo che si pulisse dal sangue.

Candidus, sconvolta, cercò di arretrare sulle ginocchia. Nello sguardo dello spadaccino non trovò alcuna compassione: era soltanto un assassino che stava compiendo il suo dovere. Davanti a lei, Ater annaspava e tossiva in preda agli spasmi.

"Ater, no... Cosa gli hai fatto?!" gridò Candidus.

"Tu sei la prossima." Saito le puntò la lama sugli occhi, pronto a trapassarle il cranio.

In un impulso rabbioso, la ragazza urlò e gli scaricò contro un flusso ad arco composto da pezzi di carta taglienti. Questo costrinse il nemico ad arretrare per un attimo, dando così il tempo a Candidus di fuggire in volo verso la fitta palude con Ater sulle spalle, la gambe trasformate in carta che la lasciavano fluttuare rapida nell'aria.

"Diamine, mi è sfuggita." mormorò Saito, già di suo troppo provato dallo scontro con Masamune per inseguirla. Si sedette a gambe incrociate sull'erbetta fradicia, per riprendere le energie. "Non importa. Ormai tutta questa faccenda è bella che chiusa." sospirò, esausto.

Nel frattempo, Candidus si era inoltrata nelle profondità della palude e continuava a gemere e piangere con Ater sulle spalle, il quale la bagnava col sangue che fuoriusciva costante dal suo stomaco. Non sentiva più i suoi lamenti, cosa che preoccupò a morte la ragazza: era segno che avesse perso i sensi.

"Resisti, Ater, non morire... ora cercherò di... ora ti porterò..." Ma Candidus non aveva la minima idea di come aiutarlo. La ferita era troppo profonda perché lei potesse fasciarla con la carta e il suo Kaika non aveva nessuna capacità curativa. "Non puoi andartene proprio ora! Ci eravamo appena riavvicinati, non è giusto!" urlò, esasperata. "Qualcuno ci aiuti!"

Mentre avanzava senza meta sopra le pozzanghere e in mezzo agli arbusti, si ritrovò in una radura gradevole alla vista che stonava con tutto il resto del paesaggio. La serenità regnava tutt'attorno a quel luogo cosparso d'erba soffice e attraversato dal verso di fringuelli e altre varietà di uccellini. Al centro del verdeggiante spiazzo, con enorme sorpresa di Candidus, c'era un grande masso sopra il quale giaceva la figura sinuosa di una ragazza priva di sensi, che subito riconobbe.

"Dorothy Goover?" disse tra sé e sé.

Era impossibile non ammirare il suo viso angelico a riposo in quel luogo tanto pacifico. Un'intuizione improvvisa le balenò alla mente, restituendole la speranza.

"Lei possiede un Kaika di luce, giusto? La luce ha caratteristiche curative, e se potesse aiutare Ater?" pensò con un'espressione euforica. Poggiò dunque con delicatezza Ater sul terreno e poi si avvicinò con cautela alla ragazza. "Sembra davvero svenuta. Con chi avrà lottato?"

La sua domanda trovò subito risposta quando scorse il corpo di Masami di fronte al masso sul quale si trovava Dorothy. Per la concitazione che provava non l'aveva affatto notato prima di quel momento.

Capì che dovevano aver combattuto fino alle stremo delle forze, e che erano quindi precipitati in malo modo su quel posto isolato e idilliaco. Candidus constatò che entrambi erano ancora vivi: c'era ancora speranza per salvare Ater.

"Devo svegliare Dorothy." stabilì, determinata.

In quel momento, una nuvola di fumo si condensò di fronte al corpo di Masami, e da essa prese forma l'immagine di una persona che Candidus ben conosceva.

"Kirai?" lo chiamò. "Cosa ci fai qui? Ci hai lasciati soli a combattere questa battaglia disperata!" aggiunse, infuriata.

Sentiva di dover dare la colpa a qualcuno per ciò che era successo, sebbene sapesse benissimo dentro il suo cuore che le condizioni di Ater e dei suoi compagni erano il risultato della sua chiusura drastica a ogni conversazione col compagno. L'aveva praticamente costretto a viaggiare fino a Northfield per lei, e lì, a detta del compagno, gli erano state estrapolate a tradimento le informazioni circa l'ubicazione della loro base. Non c'era nessuno da biasimare a parte lei. Per questo ora voleva assolutamente la possibilità di rimediare, e Dorothy rappresentava la sua ultima quanto folle chance.

"I miei affari non sono cose che ti riguardano, Candidus." la liquidò in tono secco Kirai. "Sono qui per prelevare i miei sottoposti da questo inferno." proseguì, gli occhi grigi pervasi dalla sua solita indifferenza totale.

"Puoi trovare Danny all'interno della tenuta." lo informò Candidus.

"Ho già percepito il suo Kaika, anche se molto debole. Quanto a Karasu... non lo avverto più." informò l'uomo, in tono sommesso.

"Cosa, il nostro leader? Impossibile..." bisbigliò la ragazza, incredula. Forse era davvero arrivata la fine per i Vulture.

Kirai raccolse Masami e lo caricò sulle sue spalle, per poi rendere di fumo la parte inferiore del suo corpo e dirigersi alla tenuta per raccogliere anche Danny. Prima di sfrecciare via, voltò lo sguardo verso Dorothy, poi su Candidus e infine passò ad Ater.

"Curioso... proprio adesso che è alla nostra mercè, ci serve con urgenza da viva." affermò, con un velo d'ironia nella voce.

Poi, sparì in una folata di fumo grigio.

Volontariamente o no, il fumo emesso da Kirai penetrò nelle narici di Dorothy e la costrinse a svegliarsi in modo prematuro. Dopo aver aperto poco alla volta le palpebre ed essersi messa a sedere sulla grande roccia, tormentata da violenti capogiri, la giovane Guardian mise a fuoco con i suoi luminosi occhi dorati il volto di Candidus. Com'era naturale, si allarmò e assunse all'istante una posizione difensiva, cercando le pistole sotto al giacchetto strappato.

"Aspetta! Non voglio combattere, ascolta ciò che ho da dire!" tentò subito di tranquillizzarla l'altra.

Dorothy la scrutò, un'espressione che era lo specchio della confusione dipinta sul viso. "Cosa vai blaterando? Siamo nemiche, che avremmo mai da dirci?" tuonò in tono diffidente.

Candidus si inginocchiò ai suoi piedi, mettendo da parte tutto l'orgoglio che sempre l'aveva protetta e accompagnata come una corazza, dopo aver lasciato Sunwaning Estate da piccola.

"Ti imploro, usa i tuoi poteri curativi per salvare il mio amico. Farò tutto ciò che vuoi." la supplicò. "Se lo riterrai necessario, sono pronta a sacrificare la mia vita come prezzo. Ma ti scongiuro, salva almeno Ater, concedimi questo. Lui non merita di morire, non me lo perdonerei mai!"

Dorothy non sapeva cosa dire. Continuava a guardare, impietosita, quella ragazza pregarla in ginocchio di aiutare un suo amico, mettendo addirittura in palio la sua stessa vita. In lei rivide sé stessa quando fece la medesima proposta proprio ai Vulture al molo di Gloomport Town, per salvare i suoi più cari amici dalla morte, tempo addietro. Quella volta le era stato concesso di morire per loro, sebbene l'arrivo di Faraday avesse fatto sì che alla fine si salvasse, incolume.

Posò lo sguardo su Ater, ormai non più cosciente. Il moto del suo petto era quasi diventato impercettibile. Infine, si alzò.e si incamminò verso di lui. Sovrappose la mano al suo stomaco insaguinato, un Kaika aureo si concentrò attorno alla pelle della ragazza, che lo trasferì verso l'altro.

"Purification." mormorò.

Il respiro di Ater cominciò a regolarsi e il sangue si asciugò, mentre l'espressione sofferente sul suo volto diveniva più serena.

Candidus non riusciva a credere ai suoi occhi.

"Oh, grazie! Grazie mille! Ti giuro che non avrai mai da pentirtene, non ti daremo più la caccia!" esclamò, al settimo cielo.

Ma la pistola di Dorothy puntata sulla sua fronte la zittì subito. "Un patto è un patto." sussurrò la pistolera, glaciale.

Candidus era già consapevole che avrebbe dovuto pagare caro la sua richiesta, dato che proprio lei aveva usato la sua vita come merce di scambio. Abbassò lo sguardo, rassegnata. Dorothy teneva la pistola salda nella mano, puntata verso di lei in modo che non tentasse di opporsi con la forza.

"Lasciami almeno salutare Ater." mugugnò.

"Fa' presto." concesse Dorothy.

Lei annuì e si accostò al compagno, che stava spalancando le palpebre. Candidus prese ad accarezzargli i capelli, senza dire nulla. Lui, di nuovo cosciente, parve stupito dalla situazione in cui si trovava.

"Credevo di essere mor-" ma fu zittito in un secondo. Zittito Dalle labbra di Candidus premute con forza contro le sue, mentre una cascata di bellissimi capelli canuti gli incorniciava il viso, rendendogli visibile solo quello dell'amica.

Stava piangendo, e le sue lacrime gli bagnavano le guance.

"Ti amo." bisbigliò Candidus, la voce spezzata come un vetro rotto.

"Candy...?" Non appena ebbe pronunciato il suo nome, si udì il suono di un'emissione d'energia, e il sorriso tragico sul volto della ragazza sopra di lui fu distrutto, così come la sua vita. Era stata colpita alla testa da un raggio di luce, dunque non scorse sangue. Era morta in modo pulito.

Ater sobbalzò, una smorfia di disperazione disegnata in faccia. Sollevò il capo appena in tempo per distinguere i capelli bianchi di Dorothy volteggiare nell'atmosfera, prima che si dileguasse alla velocità della luce.

Il ragazzo si rialzò e osservò il corpo senza vita di Candidus, la sua amica d'infanzia, l'unica persona al mondo per la quale avesse rischiato la vita. E che alla fine invece aveva perduto la sua per salvarlo.

"Ater, quando sarò grande io voglio sposarti."

Per qualche ragione, quelle parole da lei pronunciate anni prima risuonarono nella sua mente, come una saetta che incendia un cespuglio in una giornata limpida.

Non c'era più, e non avrebbe potuto parlarci né ridere con lei, per l'eternità.

Ater urlò.

Karen non riusciva a muoversi, nonostante fosse sveglia e vigile.

Dopo la botta terribile subita durante lo scontro tra lei, Baltasar Rocha e Danny Wolf, era rimasta distesa con la faccia sul pavimento freddo per almeno mezz'ora.

Baltasar aveva bofonchiato qualcosa sul sapersela cavare da sola ed era fuggito dall'edificio senza di lei.

"Che gran gentiluomo." aveva pensato la ragazza rossa, rimanendo sola e immobilizzata, e sperando che si sarebbe ripresa in fretta o che quantomeno qualcuno sarebbe passato a soccorrerla, possibilmente non uno dei Vulture.

Per fortuna sentiva di riuscire a muovere almeno le dita dei piedi e delle mani: segno che era in procinto di ristabilirsi, almeno quel poco che le bastava per scappare.

"Maledetto killer da un soldo bucato, mi ha lasciata qui a poltrire. Ma come si fa a essere così sadici?" farfugliò. "Spero almeno che Peter e gli altri stiano bene..." A un tratto, avvertì del fumo inondarle le narici e tossì, infastidita. "Sta arrivando qualcuno? Sarà meglio fingersi morta." Detto questo, abbassò il capo e restò ferma a pancia in giù, simile a un gatto dal pelo ramato che dorme in un condominio durante un pomeriggio assolato.

La curiosità però la forzò ad alzare la testa e guardare: e fu allora che lo vide. La persona che cercava fin dalla sua avventura a Northfield con Peter e Alex, quella che si era rivelata un compagno di Ater quando insieme avevano cercato indizi sul passato della sua amica, Candidus, in quell'orfanotrofio abbandonato.

Uesugi Kirai stava raccogliendo il corpo in fin di vita di Danny Wolf, per poi caricarlo sulla spalla libera, dal lato opposto rispetto a un altro ragazzo che lei non conosceva.

"Edward! Edward!" Karen lo chiamò usando il nome con il quale le si era presentato la prima volta. "Kirai!" urlò anche il suo vero appellativo, frustrata per la sua incapacità di raggiungerlo.

Lui si girò, osservandola per un attimo. Poi le diede le spalle e volò via con i due ragazzi a carico.

Karen digrignò i denti per la rabbia e la delusione. "Proprio ora che ti avevo ritrovato... Maledizione!" ruggì.

In quell'attimo nel quale i loro sguardi si erano incrociati, era successo qualcosa a cui mai Karen, né nessun altro aveva assistito: Kirai aveva sorriso. 

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