Capitolo 69
Appollaiati sul tetto spiovente di una baracca, Satyria e Peste Nera erano intenti a studiare un piano d'azione per riuscire a scovare Peter, perso di vista dopo che aveva fatto crollare loro addosso un cumulo di macerie e detriti di metallo arrugginito e legno umido.
"Dove si sarà nascosto quel coniglietto impaurito?" bisbigliava Peste Nera, sporgendo il becco oltre l'orlo del soffitto. Satyria, d'altro canto, pareva essere molto meno propensa a continuare le ricerche e si era accomodata in tutta tranquillità, con una gamba sospesa nel vuoto.
La donna si sfilò le scarpe, lasciando i piedi nudi al vento pungente e caldo che soffiava in quella zona paludosa, tacita come un cimitero. "Che bellezza riposare i piedi ogni tanto, con questo calore tenere le scarpe è insopportabile." Disse, tutta rilassata. La coda laterale ramata svolazzava lentamente davanti al suo viso, dai lineamenti di una dolcezza sensuale.
"So a che gioco stai giocando, Satyria. Non ti sei mai impegnata seriamente per arrecare gravi danni a quei ragazzini. Il tuo cuore è troppo gentile. Loro sono il nemico, mettitelo bene in testa." sbottò il compagno, visibilmente infastidito dall'atteggiamento rinunciatario della donna.
Satyria lo guardò storto. "Semplicemente non mi accanisco su chi non lo merita. Dorothy Goover ha ucciso Jansen, non i suoi amici. Inoltre hai constatato con i tuoi occhi la loro lealtà, non credo ci avrebbero mai rivelato in ogni caso l'ubicazione di Dorothy." replicò.
"Non dimenticare il nostro voto: ogni Guardian dovrà pagare il doppio delle pene che ci sono state inflitte. Questo governo marcio cadrà insieme a tutti i suoi sostenitori tra atroci torture."
"Non farmi ridere, Peste!" sogghignò Satyria. "È il governo che deve essere distrutto, non dei ragazzini che non conoscono nemmeno un tubo sui dolori della Guerra Rossa. Tu vuoi solo assecondare il tuo sadismo, ti conosco." La donna gli rivolse un sorriso beffardo e confidenziale.
L'altro rispose con uno sbuffo ironico, mentre continuava a osservare attentamente l'ambiente sotto di lui. "Su questo non posso darti torto! Dannazione, dove si trova quel moccioso? Ha azzerato il suo Kaika, è proprio una preda astuta..."
"Dai, siediti un po' anche tu. Non ci capita spesso di poter riposare, si sta bene oggi." scherzò Satyria.
"Non tentare di dissuad-" Peste Nera si interruppe, e tacque di botto. La sua attenzione era stata catturata da una losca e lontana figura alcuni metri a destra, sul sentiero al di sotto dell'abitazione su cui i due Vulture erano appoggiati.
"Cosa c'è?" chiese Satyria.
"Non posso crederci... quindi l'ha trovato lei..." sussurrò Peste Nera. I suoi occhi assunsero un aspetto maligno, la maschera a becco quasi si deformò verso l'alto, per l'ampio e feroce sorriso che l'uomo celava dietro di essa.
"N-non vorrai dire..." mormorò Satyria, incredula alla notizia. Aguzzò anche lei gli occhi violetti, alzandosi a piedi nudi accanto a Peste Nera, e la vide.
La donna davanti all'entrata di una piccola baracca di legno a tetto spiovente, accanto a un mucchio di cianfrusaglie, li stava fissando con intensità, e nel frattempo indicava circospetta l'interno dell'abitazione alla sua sinistra.
"Peter è lì dentro..? Questo significa che..." Satyria sembrava quasi voler scongiurare l'ipotesi a cui la sua mente era arrivata riguardo il destino del povero, giovane Guardian.
"Che per lui sarebbe stato addirittura meglio farsi catturare da noi. Quasi mi dispiace per le atrocità che lo aspettano..." ghignò Peste Nera.
Satyria scrutò la figura scura della pallida donna, tutta vestita di nero. Perfino al suo peggior nemico non avrebbe augurato di finire tra le sue grinfie. Anche a quella distanza, gli occhi rettili di quella persona le davano i brividi, trasmettendo in lei un forte disagio.
Le braccia di Alex penzolavano nel vuoto, sfiorando con le dita il suolo grigio del marciapiede sul quale stava sfrecciando a tutta velocità, trasportato in volo dalle roventi fiamme di Karen. Sybil era nella stessa situazione, dalla parte opposta alla sua.
Il loro peso, però, era una rogna non da poco per la mingherlina ragazza dai capelli rossi, perlopiù ferita in malo modo, che li trasportava sotto le ascelle. E infatti, a intervalli non brevi, si avvertivano segnali di cedimento dalle sue piccole braccia.
"Oof... Non ce la faccio più a proseguire così!" mugugnò Karen, poco prima di perdere il controllo delle sue fiamme e schiantarsi con un tonfo rovinoso a terra insieme ai passeggeri.
Alex grugnì per le botte subite nel momento in cui cadde e rotolò più volte sulla roccia dura. Sybil invece pareva aver avuto una sorte migliore, ma sia lei che Karen riportavano ferite ben più gravi di quelle del ragazzo biondo come l'oro.
La rossa, sdraiata a pancia in su, rivolta verso il cielo terso, respirava troppo faticosamente. Tanto che Alex iniziò a preoccuparsi per la sua incolumità. Di tanto in tanto gemeva per delle dolorose fitte, causate dai buchi che Satyria le aveva procurato nella loro battaglia a senso unico.
"Karen, che hai? Resisti!" Sybil, sebbene soffrisse per i numerosi tagli sanguinanti sul corpo, prestò soccorso all'amica in condizioni pietose.
"Non va bene. Durante lo scontro sono quello che se l'è cavata meglio, nonostante il taglio al fianco mi causi piuttosto fastidio." rifletté Alex. Dopodiché, si mise in piedi e si posizionò davanti alle due ragazze con fare protettivo, quasi paternale. "Non posso lasciare che Karen si sforzi ancora, e di questo passo i Vulture ci raggiungeranno a breve. Devo fare qualcosa per fermarli." sentenziò il ragazzo, mentre già intravedeva all'orizzonte le sagome di Masamune, Bartolomeu e Candidus approcciarsi sempre più.
La ragazza guidava il gruppo in volo, seguita ai lati dagli altri due guerrieri.
"È il momento: devo agire adesso." Alex piantò bene le gambe sul terreno, allungando nel mentre le braccia in avanti, pronto a usare il suo asso nella manica.
"Alex..." sussurrò Sybil, mentre percepiva un'insolita ma familiare energia provenire dal fratello.
L'astuto guerriero rivolse gli indici e i medi di entrambe le mani verso il cielo dello stesso colore dei suoi occhi, i quali furono spalancati così tanto da far sembrare che stessero fuoriuscendo dalle orbite.
"Energia Oscura: tipo sigillante. Triplice barriera." Subito dopo aver bisbigliato queste tre espressioni, si avvertì una distorsione innaturale nell'atmosfera e intorno a Candidus, Masamune e Bartolomeu si formarono delle grandi sfere d'energia arancioni, che sigillarono i tre al loro interno.
"Cosa?" Candidus si arrestò all'istante e studiò le pareti della sfera, con fare impaziente. Tentò di perforarle tramite dei pezzi di carta taglienti, ma non le scalfì nemmeno. "Quel biondino... mi dà sui nervi!" si lamentò, isterica. I capelli le si rizzarono per la rabbia, come se avessero vita propria. "Lo picchio a sangue! Lo schianto, quel perfettino da due soldi! Mezzasega!" La ragazza continuò a insultare Alex e inveire al nulla per diversi minuti, con espressioni sempre più offensive.
"Ci ha fregati." affermò Masamune con pacatezza.
Bartolomeu si sedette a gambe incrociate e restò in silenzio, attendendo in tutta calma che le sfere si disattivassero, consapevole di non poter fare altro contro una tecnica del genere.
Alex, raggiunto dall'eco delle minacce varie di Candidus in sottofondo, voltò le spalle ai nemici distanti bene o male una cinquantina di metri, e si diresse verso le due ragazze sul pavimento.
"È la stessa tecnica che usò contro di me a Northfield... funziona persino contro nemici del genere, pazzesco." pensò Sybil.
"State bene, ragazze? Su, vi trasporto fino al dojo. Quei tre non dovrebbero riuscire a liberarsi per circa un'ora." Alex caricò una debolissima Karen sulle sue spalle e prese Sybil tra le braccia. Poi, formò una sorta di scivolo ghiacciato, che fece estendere sempre più sotto i suoi piedi man mano che avanzava.
"Vedrai, Alex, Peter starà bene." tentò di rassicurarlo Sybil durante la singolare pattinata.
Alex la fissò negli occhi blu marino e sorrise, addolcendo lo sguardo. "Sì, ne sono convinto anch'io. Lui è forte."
"N-Nozomu? Chi sarebbe?" Peter era stato chiamato in quel modo dalla magra e slanciata ragazza che lo stava fissando in modo intenso, seduta su una sedia con schienale alto.
Non appena aveva varcato la soglia di quella porta blu, così isolata da tutto il resto nella baracca, se l'era ritrovata davanti e l'aveva subito riconosciuta.
La ragazza dei suoi sogni.
Finalmente il suo viso non era vago e sfocato, cosicché Peter riuscisse a vederlo con chiarezza e conferirgli un'immagine precisa.
Era molto delicato, tanto da potersi definire angelico, con un piccolo naso all'insù sormontato da un paio di occhi indaco dalla coda appena tirata. Dello stesso colore erano i suoi capelli, pettinati con due piccoli codini alti ai lati del capo e una frangetta che le cascava sulla fronte.
"Niente, non farci caso. Mi sono sbagliata io..." La ragazza gli sorrise con dolcezza, alzandosi in piedi di fronte a lui. La sua voce era calda e vellutata, arricchita da una tonalità alquanto gentile.
Tutto di lei dava l'impressione di una persona benevola già a prima vista.
I suoi abiti erano molto informali: una felpetta della tuta blu con righe bianche sulle maniche, aperta su una leggera maglietta bianca. Anche i pantaloni, sempre blu, erano sportivi, così come le scarpette grigie. Sembrava in tutto e per tutto un'adolescente nella sua cameretta, anche se Peter constatò che doveva avere qualche anno in più rispetto a lui.
"Cosa ci fai qui? Ti sei perduto?" La ragazza si avvicinò di qualche passo e Peter avvertì il calore e il senso di familiarità che gli trasmetteva propagarsi a dismisura. Era in netto contrasto con la tremenda pressione che invece avvertiva nel resto della casa. Come un falò rovente immerso in una notte glaciale.
"S-sì. Ecco, a dire il vero sarei in fuga da dei brutti ceffi. La signora all'esterno mi ha permesso di rifugiarmi qua ma, non so perché, da quando ho messo piede qui dentro avverto un brutto presentimento che non vuole saperne di lasciarmi." Peter le rivelò tutto senza nemmeno un minimo di esitazione, per qualche ragione si fidava di lei in maniera istintiva.
"No..." Il viso della giovane diventò cupo da un momento all'altro.
"Che succede?" chiese Peter, con aria grave.
Lei gli rivolse uno sguardo protettivo e un'espressione rassicurante. "Niente. Vieni con me, ti spiegherò tutto nel frattempo. Devo farti uscire di qui." Lo prese per mano in modo da portarlo con sé fuori dalla piccola stanza.
Peter lanciò un'ultima occhiata a quella camera, all'apparenza normalissima: oltre alla scrivania, sulla quale era poggiata una lampada ricurva, rivolta verso il diario su cui la ragazza fino a poco prima stava scrivendo qualcosa, si poteva notare qualche mensola appesa al muro con sopra vecchi libri e album polverosi, un tappetino tondo e azzurro al centro e un termosifone appoggiato alla parete, sul fondo della stanza.
La cosa che lo sorprese di più fu che non c'erano finestre.
"Senti, non è un po' strano come posto in cui avere una camera?" domandò Peter.
"Seguimi." si limitò a ripetere lei.
"Almeno puoi dirmi il tuo nome?" insistette l'altro.
"Misty... chiamami così." rivelò, dopo aver esitato, la ragazza.
"Oh, d'accordo. Strano nome..."
Mentre percorrevano le due scalinate, tornando verso l'alto, dove si trovava l'angusta area principale della casa, il contatto con la mano di Misty evocava nella mente di Peter sensazioni perdute, nostalgiche, malinconiche. La conosceva già in un certo senso, era sicuro di questo, seppure gli sembrasse impossibile dato che non possedeva ricordi chiari su di lei.
"Il colore dei suoi capelli, dei suoi occhi... è così familiare..." rifletté.
Una volta al piano di sopra, Misty si voltò e lo fissò negli occhi. "Quella donna, Kiryuu, non è una brava persona, Peter. Se ha lasciato che ti nascondessi qui dentro può voler dire solo che ti farà del male, ti torturerà per ottenere qualcosa che desidera. È questo il compito che svolge." spiegò, mantenendo un tono di voce basso.
"M-ma per chi lavora? Per i Vulture?" chiese Peter. "Se è così, non ho scampo. Anche se sfuggissi a lei, ci sarebbero loro ad attendermi all'esterno."
"Non preoccuparti, ti farò fuggire. Vedi quella porta in fondo alla sala? Conduce a un tunnel dove Kiryuu si... sbarazza delle vittime. Puoi passare di là." Misty non attese la risposta del ragazzo e gli diede subito le spalle. "Dovrebbe essere qui, se ricordo bene..." farfugliò, cercando qualcosa sulla ringhiera della scalinata. "Ecco!" Misty toccò un punto preciso di un pomello sul vertice esterno della ringhiera, che dopo uno scatto secco si sollevò, rivelando un pulsante nascosto.
Quando lo premette, Peter avvertì un ulteriore scatto identico al precedente, stavolta proveniente dalla porta d'uscita dietro di lui. Quest'ultima si spalancò, mostrando uno stretto passaggio scivoloso composto nella sua interezza di rocce umide e scoscese.
"Va', forza. Prima esci di qui e meglio è. Fidati, Peter."
"D-d'accord-" ma il giovane si bloccò di colpo a un passo dall'uscita.
Solo in quel momento l'aveva notato di sfuggita, con la coda dell'occhio. Il largo bracciale stretto attorno alla caviglia destra di Misty. Somigliava a quello che Karen portava al polso per non perdere il controllo del suo smisurato Kaika di fuoco, anche il colore era lo stesso, grigiastro nel nero.
"È un sigillo di galena? E inoltre... come fa a conoscere il mio nome? Io non gliel'ho mai detto." pensò Peter, sgranando gli occhi. Finalmente realizzò l'ovvia e terribile verità. "Come ho fatto a non rendermene conto, finora? Se ha un sigillo alla caviglia che soffoca il suo Kaika e si trova segregata in quella camera isolata al piano inferiore, questa ragazza è una prigioniera!"
Peter si voltò di scatto verso di lei, disperato in volto. "Misty, tu..."
Le parole gli morirono in gola, quando lesse sul volto della sventurata un sorriso così amorevole e dolce da paralizzarlo. I suoi occhi azzurro indaco, gentili, velavano una tristezza interiore che provocò un profondo senso di vuoto nel petto del ragazzo.
"Non posso andarmene, se ne accorgerebbe e ci seguirebbe. Meglio se invece provo a guadagnare tempo, in qualche modo. Va', Peter. Mi basta che tu ce la faccia." bisbigliò Misty.
Per qualche ragione, il ragazzo fece come gli era stato detto e si avviò all'interno dello stretto cunicolo in discesa, dalle pareti rocciose, che gli si parava di fronte.
"Tornerò a prenderti. Te lo prometto." le giurò.
Lei gli rivolse un'espressione calorosa di rimando. Poi, Peter si inoltrò nel tunnel, e non la vide più.
Poco prima di sparire nel buio gli era sembrato di aver udito pronunciare le parole: "ti amerò per sempre", ma non ne era certo.
Peter non sapeva cosa lo avesse indotto ad abbandonare quella ragazza con tanta fretta. Forse, all'interno di quell'abitazione aveva sperimentato il lato più codardo di sé, e questo fu ciò che lo spinse a proseguire senza più voltarsi. Nella sua mente venne più e più volte rievocata l'immagine di lei, mentre, accanto allo strapiombo terroso su cui sbucava il tunnel di pietra, le lacrime piovevano a dirotto dai suoi occhi blu rivolti verso il cielo azzurro.
Era stato tutto talmente rapido che gli era parso un altro dei suoi sogni. Solo che stavolta il senso di perdita e la disperazione erano reali, e non lo abbandonarono mai.
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