Capitolo 65
"Che sorpresa è stata ritrovarvi qui, voi siete Takeshi e Saito, vero? Non so se vi ricordate di me..." Karen, scortata insieme a Sybil dalle due guardie lungo un sentiero ricoperto di aghi di pino, si sentiva molto euforica dopo il successo al concorso per Guardians.
Si rigirava continuamente la tessera che Saito le aveva consegnato davanti agli occhi giallo acceso, e ogni tanto rivolgeva un gran sorriso vittorioso a Sybil, che si limitava a rivolgerle cenni di assenso.
"Non posso mica ricordarmi tutte le mocciose che incontro." rispose, indelicato, Takeshi.
"Non dar retta a questo reietto qui a fianco, ricordo bene il tuo scontro con Alex al torneo. Sembra tu abbia sviluppato appieno le tue potenzialità, congratulazioni." disse in tono avvolgente e gentile Saito.
"Eh eh! Ho avuto una brava maestra..." i pensieri di Karen andarono a Mary-Beth e agli allenamenti pomeridiani nella sua graziosa fattoria. Ricordi molto preziosi per lei, che avrebbe conservato sempre nel suo cuore.
"Ah, ho capito. Sei Karin!" esclamò Takeshi.
"Kareeen! Non sbagliare, insomma!" si lamentò lei.
"Karin, Karen... che differenza vuoi che faccia?"
"La fa per me! Immagina se ti chiamassi Takechi invece di Takeshi. Non ti darebbe fastidio?" incalzò Karen.
"Non me ne fregherebbe più di tanto, francamente."
Karen sospirò, arresa. "Sei proprio strano."
Mentre i quattro avanzavano tra gli alberi verdi le cui foglie emanavano un suggestivo odore boschivo, immersi nel verso costante prodotto dalle cicale, Sybil restava in silenzio, all'apparenza pensierosa.
"Tu, invece? Come ti chiami?" le chiese d'un tratto Saito, voltando il capo di novanta gradi in modo da guardarla con la coda dell'occhio.
"Sybil, molto piacere." si presentò la ragazza, con un po' di timidezza.
"Hai deciso di seguirci al dojo del maestro Fujiwara anche se lui non è lì al momento, per caso conosci anche tu i suoi allievi, Dorothy e Somber, come Karen?" continuò Saito.
"Non personalmente. Ho conosciuto gli altri due suoi allievi: Peter e Alex. Siamo... amici, credo." Sybil sperava con tutta sé stessa che Alex l'avrebbe accettata. Dopo aver scoperto di essere sua sorella a Northfield, non aveva fatto altro che impegnarsi in modo da fare ammenda per tutte le cattive azioni di cui si era macchiata.
Compresa quelle di cui non era a conoscenza, come lo schiavismo portato avanti da Hanz Becker, il suo vecchio capo quando lavorava come addetta alla produzione di galena alla Becker's Industries.
Adesso, tutto ciò che desiderava era iniziare una vita normale insieme all'unico legame che possedeva con il suo passato dimenticato: suo fratello minore.
"Beh, rimarrai delusa nel sapere che Peter e Alex non sono al dojo adesso. Stanno svolgendo un incarico a River Town, vicino quel putrido letamaio di Slum Lagoon. Quel posto è davvero orrendo..." sbottò Takeshi, mentre si massaggiava le tempie.
"Che? Allora devo cambiare strada!" esclamò Sybil, interdetta.
"Aspetta, Sybil. Io avrei voglia di rivedere Dorothy e Somber prima di raggiungere Peter e Alex. Perché non mi fai compagnia, così farai la loro conoscenza? Vedrai che sono brave persone. E poi ci dirigeremo a River Town, ok?" le propose Karen.
Sybil sembrò dubbiosa riguardo il piano d'azione della compagna, ma alla fine si convinse che le conveniva fare in quel modo piuttosto che viaggiare sola fino alla città, a qualche chilometro da quella zona.
"D'accordo, Karen. Faremo così."
"Bene! Grazie mille, Sybil." sorrise l'altra.
"Sybil, Karin. Ecco il dojo, siamo finalmente arrivati." declamò Takeshi, sollevato di non dover più camminare.
"È Karen!" urlò la ragazza rossa, esasperata.
Sybil studiò la struttura simmetrica molto piacevole alla vista del dojo di Fujiwara, circondato dal rustico pianerottolo in legno con delle scarpe appoggiate sopra, e dal giardino verde molto ampio, pieno di bonzai e cespugli intagliati e delimitato da una staccionata con un cancelletto a fare da ingresso su uno stretto sentiero ricoperto di foglie secche.
"Che bel posto..." pensò.
Karen scorse la figura di una ragazza sul metro e settanta dai capelli molto lunghi e bianchi, nel giardino, intenta a eseguire degli addominali in canottiera e pantaloncini arancioni.
"Dorothy!"
La ragazza, udendo chiamare il suo nome, alzò la testa e riconobbe Karen insieme alle guardie, assumendo dunque un'espressione felicissima.
"Karen! Che bella sorpresa!" la salutò con esuberanza. Le due amiche si abbracciarono, sovrapponendo le loro guance l'una sull'altra.
"Ma guardatele, sembrano due bimbe delle elementari dopo le vacanze estive..." commentò Takeshi, sovrastato da gridolini eccitati di Karen e Dorothy.
"Beh, noi togliamo il disturbo, allora. Dobbiamo andare a compilare un po' di scartoffie a New Spring per il concorso..." si congedò in seguito Saito.
"Sì, grazie di tutto." disse Sybil, prima che Takeshi e Saito si incamminassero, salutati da Dorothy e Karen con ampi gesti della mano.
"Mi sei mancata molto, sei diventata ancora più bella!" Karen si rivolse all'amica.
"Su, su, smettila, cosa dici..." arrossì lei. "Anche tu sei piuttosto diversa rispetto all'ultima volta, mi sembri maturata. A proposito, devi assolutamente raccontarmi di te e Peter!" soggiunse, ammiccando.
Karen si fece imbarazzata. "Quindi te l'ha detto..?" sussurrò con un sorriso un po' sciocco. "Aaah! Mi considera importante, allora!" urlò poi, dentro di sé.
In quel momento arrivò Somber, atterrando dalla staccionata alla sinistra di Karen, sopra la quale stava assistendo alla conversazione, inosservato.
"Cos'è tutto questo fracasso? Stavo meditando in pace." sbottò.
"Ciao, Somber!" lo accolse Karen.
"Karin, tutto ok?"
"Anche tu, ora?! È Karen! E poi che ti è successo ai capelli?"
L'attenzione di Sybil intanto si era destata particolarmente all'intervento Somber. "C-che carino!" Non riuscì a fare a meno di pensare.
Il ragazzo si voltò verso di lei, facendola arrossire e distogliere subito lo sguardo. "Che ha?" si domandò, le sopracciglia inarcate.
Dorothy dal canto suo scrutò a fondo Sybil, studiandone la forma del volto. "Tu sei..." Le appariva piuttosto familiare, soprattutto per quanto riguardava alcuni tratti del volto e l'espressione scomoda che si ostinava a mantenere.
"Piacere, Sybil."
"Sybil? Sei la sorella di Alex?!" gridò Dorothy, estasiata. "Sì, non c'è dubbio, hai un viso bello e gentile proprio come il suo."
Sybil fu colta alla sprovvista da quell'affermazione e non riuscì a sostenere il contatto visivo, preferendo voltare il capo dall'altro lato. "Ma no... lui è molto più buono di me."
"La sua è tutta modestia. Mi ha aiutata molto durante il concorso, insieme a un'altra ragazza che purtroppo è voluta andar via. Si chiamava Soyo, un tipo abbastanza singolare." spiegò Karen.
"Congratulazioni, non è affatto semplice superare questi concorsi. Sono molto più insidiosi di quanto sembri." affermò Somber, volgendo gli occhi neri sfumati di verde verso Sybil.
"G-grazie." riuscì a rispondere lei, con le gote che arrossivano di nuovo.
"Adesso cosa farete?" domandò Dorothy. "Ora che siete Guardians, intendo. Se cercate consigli, non esitate a chiedere."
"A dire il vero, siamo dirette proprio da Peter e Alex, Takeshi ci ha detto che sono a River Town. Credo partiremo subito, così non farà buio durante il cammino." rispose Karen.
"Volete che vi accompagni? Non abbiamo molto da fare, giusto Somber?" si offrì Dorothy.
"A dire il vero, vorrei parlarti di una cosa in privato." replicò lui, con un'espressione che destò in Dorothy un brutto presentimento. Una strana ansia che la preoccupò, sebbene non sapesse ancora di cosa si trattasse con esattezza, né riuscisse a immaginarlo.
"Tranquilli, sapremo cavarcela!" li rassicurò Karen.
"Già, non c'è bisogno di preoccuparsi." le fece eco col solito tono basso e sommesso Sybil.
Dopodiché, le due ragazze decisero di mettersi in viaggio entro una ventina di minuti. Karen promise a Dorothy che si sarebbero riviste presto e Sybil lanciò un'ultima occhiata di sfuggita a Somber, prima che partissero in fretta e furia. L'una in volo e l'altra correndo rapida al suo fianco.
Una volta soli, Dorothy e Somber si guardarono negli occhi con un po' d'apprensione.
"Allora, di cosa volevi parlarmi?" iniziò lei.
Somber trasse un lungo respiro e si preparò a svelare le proprie intenzioni alla sua più cara amica.
"Goover... io sto andando via." Rivelò.
Peter e Alex si sentivano scomodissimi.
Continuavano a essere sbalzati a destra e a sinistra nel retro di un piccolo furgone pieno di scatole dal forte odore di cartone per qualche consegna, mentre il veicolo percorreva la strada, a quanto pareva piena di fosse, per la periferia di River Town.
"Dovevi proprio chiedere un passaggio a questo qui? La schiena mi fa malissimo dopo tutte queste botte prese, accidenti..." Alex rimproverò Peter, massaggiandosi i lombari con le dita.
"Rilassati, amico, almeno abbiamo risparmiato un bel tratto di strada a piedi. Arriveremo piu riposati a destinazione." Peter appariva più a suo agio, le mani unite dietro la nuca, disteso su una pelliccia che aveva estratto da uno degli scatoloni.
"Di questo passo ci arriveremo più stanchi di prima." obiettò con poca convinzione il ragazzo biondo.
Peter si mise a sedere, muovendosi alla bell'e meglio nel poco spazio in cui i due si trovavano. "Comunque, non ti sembra un po' strano l'incarico che abbiamo ricevuto? Insomma, ho sentito parlare di questo nuovo circo in giro, ma non credevo assumessero dei Guardians per sorvegliarne l'apertura. Non bastava rivolgersi a un normale servizio di vigilanza? Avrebbero anche risparmiato sulla tariffa!" esclamò.
Alex scrollò le spalle. "Non che la nostra sia altissima, ma almeno non ti fai più pagare in latte... L'importante per noi è che alla fine il pagamento avvenga, no? Che importa se l'incarico è in un circo, o se non vogliono badare a spese? Se sorgeranno problemi, protesteremo e alzeremo il prezzo." rispose, strizzando gli occhi all'ennesimo scossone del camion.
"Non saprei. Forse dovremmo essere più selettivi, abbiamo salvato Northfield, che cavolo!" sbottò Peter. "E non siamo nemmeno stati ricompensati dal governo per quello..."
"Era una missione in sordina, sapevamo a cosa andavamo incontro quando abbiamo accettato... Per me, però, la ricompensa più grande è stata vedere di nuovo il sorriso sul volto di Mary-Beth dopo quello che aveva passato, e festeggiare tutti insieme il ritorno della pace. Momenti del genere sono più soddisfacenti di mille pagamenti, dal mio punto di vista." Alex sorrise, riportando a galla quei dolci pensieri.
Peter assunse un'espressione serena. "Già, hai ragione. Chissà come sta Karen adesso, non la vedo da quando ci lasciammo a Cobalt..."
"Lei e Sybil erano rimaste con Mary-Beth, staranno di sicuro alla grande. Ho la sensazione che le vedremo entrambe a breve, molto più abili di prima." affermò Alex, sognante.
"Sono convinto che passerai bei momenti insieme a tua sorella, Alex. È bello che tu l'abbia ritrovata... Quanto a me, dubito riuscirò a scoprire qualcosa sui miei genitori. Ormai è passato quasi un anno da quando abbiamo lasciato Jolly Hall e non ho saputo nulla su di loro." disse Peter, scuro in volto e pensieroso.
"Mi spiace, Pete... vedrai che qualcosa uscirà fuori. Spesso ciò che non riusciamo a trovare, per quanto intensamente lo desideriamo, finisce per raggiungerci da solo in un modo o nell'altro, magari proprio quando smettiamo di cercare." lo incoraggiò Alex.
Peter ridacchiò, sentendo il compagno parlare in quel modo idealista. "Sei proprio un intellettuale, lo sai?"
"Perché, che avrei detto di strano?" arrossì l'altro.
"Niente, niente... hai detto una cosa giusta. In fondo, io una mia famiglia già ce l'ho, a cosa mi serve cercarne un'altra?" sorrise Peter, pensando a Dorothy, Somber e anche a Karen.
Quella ragazza così insicura gli mancava più di quanto osasse ammettere, spesso si ritrovava a pensare a lei per intere ore senza riuscire a interrompersi. Non sapeva come chiamare quel sentimento, poiché non aveva mai amato qualcuno in quel modo prima d'ora. Era di certo molto diverso da quello che provava per Dorothy, con cui si sentiva del tutto aperto e a suo agio. Pensare a Karen, invece, lo faceva sentire stranito, fragile e confuso. Era una sensazione dolce, che gli trasmetteva una strana euforia e lo privava delle sue certezze.
"Chissà dove sei adesso..." pensò.
D'un tratto, il mezzo si fermò. I due ragazzi udirono i passi dell'autista avvicinarsi alla porta sul retro, per poi aprirla.
"Essere arrivati, ragazzini. Voi scendere." Era un uomo dalla pelle ambrata e i tratti somatici simili a quelli di Antonio. Con ogni probabilità, proveniva dal Continente meridionale e non aveva imparato benissimo la lingua locale.
"Ehi, ma che posto è questo? Non mi sembra River Town!" si lamentò Peter, una volta sceso.
"Qui essere Slum Lagoon. Città a quindici chilometri nord-est. Voi camminare e no problema." sentenziò l'uomo alto e ricurvo, senza ammettere repliche.
"Beh, almeno ci siamo avvicinati." tentò di giustificarsi Peter, dopo un'occhiata furibonda di Alex.
L'altro sospirò, iniziando a camminare. "Dai, cerchiamo di arrivare prima di sera." concluse.
Il sole iniziava a calare e il tramonto si approcciava, annunciato da un lieve bagliore rosato all'orizzonte. Intanto, i due amici si guardavano attorno, analizzando lo squallido ambiente in cui si erano ritrovati.
L'autista straniero li aveva lasciati in un largo vicolo umido dietro una sorta di grande baracca, alle spalle della quale si espandeva l'ampio spiazzo dal terreno grigiastro da cui evidentemente erano arrivati, con un sentiero stradale appena accennato e delimitato da una distesa d'acqua paludosa piuttosto vasta.
Proseguendo oltre la baracca, Peter e Alex si trovarono di fronte a una zona abitativa alquanto degradata.
Lungo le strette e tortuose vie che si allungavano come corridoi di specchi in una serie di salite e discese, altre numerose baracche fatiscenti di ferro o legno erano affiancate in maniera adiacente, talvolta separate solo da mucchi di cianfrusaglie, come materassi, mobili e altri oggetti vari che con ogni probabilità non avevano uno spazio in cui essere inseriti nelle abitazioni. Altre case, invece, erano divise da vecchie ringhiere di ferro arrugginito a sbarre oblique.
I putridi bassifondi erano attraversati da un canale d'acqua stagnante, verdognola, piatta e immobile che separava la zona sinistra da quella destra, nelle quali si estendevano le vecchie case.
"Slum Lagoon, eh? Che posto tetro..." commentò Alex, contemplando lo spettacolo che gli si era parato davanti agli occhi.
"Meglio levare le tende al più presto, non mi piace qui." Peter si affrettò a guidare il duo per abbandonare quel luogo lugubre. Camminarono lungo le vie in penombra di Slum Lagoon, facendo attenzione a non inciampare negli oggetti sparsi per terra. Tutto era immerso in un silenzio cimiteriale che rendeva quel posto quasi surreale.
"Questa zona mi trasmette ansia..." rifletté Peter. "È come se tutta questa quiete servisse unicamente a celare qualcosa di terribile."
A un certo punto, il ragazzo si abbatté contro la schiena di Alex, che si era arrestato nel bel mezzo della strada.
"Ehi, che fai, la statuina?" mugugnò.
"Più avanti la via è sbarrata, passiamo per quel ponticello di legno." affermò Alex, indicando il passaggio alla sua destra.
In effetti, notò Peter, alcuni metri davanti a loro, un mucchio di tappeti, materassi e arazzi accatastati su un'asse di legno, accanto a una baracca, rendeva impossibile proseguire.
"Che razza di posto!" sbottò Peter, esausto.
Attraversarono il ponticello, arrivando sulla parte destra dei bassifondi, in cui la strada era libera, e superarono in questo modo l'abitazione che ostruiva il passaggio.
Fu in quel momento che la videro.
Non appena posò gli occhi su quella sagoma ricurva, il cuore di Peter iniziò ad accelerare i battiti, fino a martellargli violento nel petto.
Alex la scrutò, accigliato.
In piedi, accanto agli oggetti appoggiati all'asse legnosa, li osservava, con sguardo fisso, una donna che poteva avere trenta così come cinquant'anni.
Era piuttosto alta, con un fisico curvo e allungato. Il suo viso, bianco come un cadavere e dalle guance scavate, presentava grandi occhi celesti, chiarissimi, con delle enormi occhiaie nere, labbra grandi e screpolate e un'espressione molto tetra, accentuata dagli abiti larghi e tutti neri che indossava.
Anche i suoi capelli erano corvini e molto disordinati, lunghi solo fino alla sommità del collo e gonfi ai lati.
Per qualche motivo, la donna li guardava senza mai distogliere gli occhi, né strizzarli. Dietro di lei sorgeva la sua bassa abitazione in legno putrescente, dal tetto spiovente blu scuro.
"Eh? Che strano, in quella casa..." pensò Peter, pervaso da un senso orribile di disgusto e rabbia che non sapeva spiegarsi. "Quella casa..."
"P-Peter? Che ti prende?" La voce di Alex accanto a lui era preoccupata.
"Cosa?" Peter non se n'era accorto.
Tutto il suo corpo era circondato da un'intensissima aura blu indaco che sgorgava da tutte le parti.
"Che cos'ho? Perché guardando quella donna e quella catapecchia... provo tutta questa ira? E questi che sento cosa sono? Violini? Qualcuno sta suonando? Sono insistenti, fermateli. Fermate questi violini, è un suono così opprimente... basta."
"Peter!" urlò Alex.
L'energia del ragazzo castano si espandeva sempre di più, adesso era arrivata quasi fino al cielo, come una gigantesca colonna eterea. Ma era un'aura calma, che non emetteva alcun rumore.
La donna dall'altra parte del canale non batteva ciglio, nonostante l'insolita scena. "Serve qualcosa?" sibilò, alla fine, con una voce profonda e serpeggiante.
Non appena ebbe proferito parola, Peter percepì la furia dentro di lui raddoppiare.
Rancore, rimpianto, odio, tristezza, rabbia.
Erano queste, le uniche emozioni che riusciva a provare in quel momento. I suoi occhi divennero quasi completamente indaco.
Un ceffone di Alex sferrato con enorme forza lo riportò di getto alla realtà.
"Peter! Che diavolo hai?!" esclamò l'amico.
"I-io..." Il giovane guardò di fronte a lui. La donna dall'aria tetra era rientrata in casa. "Quella persona, quella baracca..."
"Cosa dici? Era solo una comune civile! Avanti, continuiamo. Va bene?" Alex cercò di calmarlo con una mano appoggiata in modo delicato sulla spalla.
Peter si ristabilì, poco a poco. "S-sì. Scusami, proseguiamo verso River Town."
Mentre avanzavano, mettendo metri e metri tra loro e Slum Lagoon, Alex pareva molto riflessivo. "Ha avuto una reazione simile a Northfield, quando Mary-Beth ci espose all'Energia Oscura per la prima volta." pensò, attonito. "Ma che cosa vuol dire?"
Peter si voltò un'ultima volta verso quell'abitazione di legno, in lontananza.
La donna era di nuovo lì. E lo osservava, attenta.
Quei sentimenti negativi riaffiorarono subito in lui, dunque si rigirò all'istante, continuando a seguire Alex.
Non guardò più indietro.
"T-te ne vai? Somber, che vuoi dire?"
Dopo che Somber ebbe pronunciato quelle parole, Dorothy avvertì come un pugno nella bocca dello stomaco e, d'istinto, dentro di sé rifiutò la cosa.
"Proprio quello che hai sentito. Ho deciso di partire." spiegò il ragazzo, serio in volto.
"D'accordo. Quando torni?" Dorothy finse di non comprendere appieno le parole del compagno.
Somber la guardò negli occhi con aria triste e rassegnata.
"Q-quando torni?" ripeté Dorothy, un sorriso nervoso pieno d'angoscia dipinto sul viso.
"Goover..."
"No! Non farlo! Ha a che fare con Mingtian, vero? Non ce la faccio più con questa sto-"
"Dorothy." Somber le poggiò le mani sulle spalle, chiamandola per nome. "Ascoltami, per favore."
La ragazza lo fissava con occhi enormi e sofferenti, già pronti a negare con forza le parole dello spadaccino.
"Non è per Mingtian. È una cosa che ho deciso dopo lunghe riflessioni, non lo faccio a cuor leggero." spiegò lui.
"Ma per quale motivo vuoi abbandonarci?" sussurrò Dorothy.
"Ha a che fare con quella notte, quando ero orfano, a Dismal. Tu c'eri, vero? Eri nascosta e hai visto tutto. Quando uccisero il mio maestro di spada, Ryukengi."
Dorothy rimase in silenzio. Ricordava quell'avvenimento, anche se non aveva mai avuto il coraggio di tirarlo in ballo nelle conversazioni con Somber.
In quel momento pensò che forse avrebbe dovuto farlo, per cercare di comprendere meglio il suo amico.
Ancora una volta, Dorothy si rimproverò per il suo egoismo ed egocentrismo, e pensò di essere una persona pessima.
"Quella volta, furono dei soldati Guardians ubriachi a ucciderlo davanti ai miei occhi, e io me ne stetti nascosto a osservare la scena, impaurito. Non potei fare niente per aiutare il vecchio, e mai ho realizzato nulla per ripagarlo, in tutta la vita. Mi sono unito io stesso ai Guardians, nonostante tutto, cercando il riscatto personale. Mentre eravamo nel Continente orientale, però, ho riflettuto grazie all'influenza di Mingtian, lo ammetto. Ho dubitato. Alla fine, ho compreso solo in quest'ultimo periodo di non poter continuare così, ho bisogno urgente di una svolta."
Mentre Somber parlava, Dorothy pensò di odiare Mingtian con tutta sé stessa per averlo allontanato da lei, sebbene sapesse che non esisteva nemmeno nel presente. E si sentì frustrata perché quella ragazza aveva compreso il suo migliore amico meglio di lei.
"Goover, io mi unirò all'Esercito Guerrigliero. Comprendere il punto di vista di entrambe le fazioni è il minimo che possa fare per onorare la memoria del mio maestro. Non posso pensare solo a ciò che io desidero. Glielo devo."
Quella fu per Dorothy la mazzata finale. Si inginocchiò, stringendosi il petto con forza. "Ti prego, Somber. Ti scongiuro, non lasciarmi. Io non posso vivere senza di te..." mormorò con un fil di voce.
Somber si avvicinò a lei e l'abbracciò strettissima, accarezzandole i capelli. "Io non farò mai qualcosa che possa nuocere a te, Alex e Peter. Sarò sempre il vostro compagno, questo non cambierà mai." le bisbigliò all'orecchio.
Dorothy sussultò. "S-Somb-" la voce le si spezzò, non riusciva nemmeno a dire qualcosa, mentre il ragazzo la lasciava e si voltava per allontanarsi.
"Goover, grazie infinite."
La mano di Dorothy si allungò inutilmente in avanti mentre, accasciata al suolo, osservava la figura di Somber divenire sempre più piccola e distante, tra gli alberi che circondavano il sentiero d'ingresso al dojo.
Ogni tentativo di esprimersi, di chiamarlo, le moriva in gola e lo stomaco le doleva per la disperazione.
Infine, appoggiò il viso sull'erba soffice del giardino. Bagnandola con le sue lacrime.
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