Capitolo 63

Peter, Alex, Dorothy e Somber osservavano l'uomo davanti ai loro occhi, intimiditi dalla sua imponente presenza, sebbene non fosse un gigante di stazza. Non si sarebbero mai aspettati di trovare il capo dei Vulture, Asmodeus Karasu, proprio fuori dal dojo del maestro Fujiwara, che i quattro amici consideravano un vero e proprio rifugio contro qualunque intemperie esterna.

"Immagino siate sorpresi di vedermi qui." esordì Karasu, con il tono mellifluo e minatorio che lo contraddistingueva. "Eppure, non è strano voler rivedere la propria dimora." continuò.

Nei suoi occhi albergava una malinconia che colpì Peter in maniera particolare. Non avrebbe mai creduto, che in profondità, quell'uomo potesse covare sentimenti d'affetto per qualcosa. "Che senta la mancanza di questo luogo? In fondo, stando alle parole di Takeshi, Saito e Antonio, un tempo lui viveva qui insieme a loro." pensò. "Finora non avevo mai riflettuto su ciò che potesse provare Asmodeus Karasu."

Dorothy si fece avanti con fare aggressivo, come a volerlo sfidare.

Nel frattempo, Takeshi osservava la scena, fingendo di dormire, pronto a intervenire.

"Che cosa vuoi? Hai intenzione di crearci problemi?" minacciò la ragazza.

L'atmosfera pesante fu spezzata nell'immediato da un sorriso sereno di Karasu, il quale si avvicinò ai quattro Guardians senza che nessuno di loro avvertisse l'impulso di fermarlo, o di ritrarsi.

"C-cosa fai?" azzardò Alex, mentre Takeshi si accingeva ad alzarsi per difenderli.

Somber si preparò con poca convinzione a evocare la Mugenyoru, per contrattaccare.

Con grande sorpresa dei presenti, però, tutto ciò che Karasu fece, fu posare le mani sulla testa di Peter e Dorothy con un tocco straordinariamente gentile, mentre fissava con aria nostalgica tutti i nuovi allievi del suo vecchio maestro.

"Questa sensazione... che strano..." sussurrò Peter.

"È... piacevole. È calda e benevola." rifletté Dorothy nello stesso momento, mentre la mano di Karasu premeva delicata sul suo capo.

"Ma che cosa?" disse tra sé e sé Takeshi.

Karasu volse i propri occhi corvini verso Peter e i suoi compagni. Le foglie dei ricurvi alberi verdi intorno al vialetto pietroso, all'esterno del cancello d'ingresso al dojo, svolazzavano nell'ambiente, donandogli maggiore serenità e trasmettendo un totale senso di pace.

"Sembra così gentile in questo momento." constatò Alex.

"Ma cosa gli è preso?" Somber era piuttosto confuso riguardo la situazione, nonostante si sentisse in qualche modo attratto da quel comportamento, da quel conflitto interiore che aveva percepito nel samurai vestito di nero.

"Mi raccomando, non lasciate che il mondo in cui vivete vi corrompa. Il vostro legame è prezioso." mormorò Karasu. Il suo sguardo era molto triste mentre elargiva loro quelle parole.

Rivolse gli occhi stanchi ancora una volta verso la piccola ma accogliente abitazione di fronte a lui, poi ritirò i ruvidi palmi dai capelli di Peter e Dorothy, e fece per dileguarsi con calma.

"Karasu, cosa hai fatto, maledetto?!" esclamò Takeshi, sopraggiunto in preda all'agitatazione davanti allo spadaccino.

L'altro gli mostrò un ghigno molto più simile a quelli che Peter e gli altri erano abituati a vedere sul suo volto.

"Li hai captati i segnali, Takeshi? Sta per succedere qualcosa, la squallida pace autoimposta a cui sei tanto devoto verrà finalmente cancellata. Non temere, presto potrai confrontarti con me un'ultima volta." sibilò, con voce bassa e serpeggiante.

"Bastardo... non avvicinarti mai più a loro, mi hai capito?" tuonò Takeshi, un'espressione dura nei suoi accesi occhi azzurri.

"Tu che proteggi sul serio qualcuno? Se questo non è il colmo, allora non so quale possa essere..." replicò Karasu, voltandogli poi le spalle e incamminandosi lontano dal dojo.

Peter lo guardò dileguarsi, stranito da quell'insolita quanto inaspettata esperienza. Riuscì a notare la disperazione negli occhi di Takeshi, poco prima che quest'ultimo si voltasse per mettere distanza tra loro.

"Li hai captati i segnali? Sta per succedere qualcosa..." Queste erano state le parole usate da Karasu.

"Mi chiedo a cosa si riferisse davvero." rifletté Peter, scrutando l'orizzonte.

La ragazzina dai capelli rossi segnati da una laterale sfumatura gialla avanzava nel fitto boschetto di pini che la circondava, attenta a studiare bene l'ambiente per prevedere potenziali pericoli improvvisi. Ricordava le istruzioni che erano state date sia a lei che alle altre persone partecipanti all'evento di quel giorno.

L'omone baffuto vestito con uno smoking elegante, di nome Ken, affiancato da una ragazza giovane e allegra dai capelli verde acqua, aveva spiegato le regole di quella prova in modo chiaro: "Ci sono dodici fibbie d'oro nel boschetto davanti a voi: chi riuscirà a recuperarle e trasportarle al di là di esso, accederà all'ultima fase del concorso."

Karen era riuscita a trovarne una, in un cespuglio che si era rivelato una trappola poiché era pieno di serpenti velenosi, e adesso continuava a girare e rigirare gli occhi in tutte le direzioni con aria circospetta.

"Chissà se anche altre persone sono in grado di utilizzare il Kaika, qui..." sussurrò sottovoce. "Non vorrei dover combattere seriamente."

Mentre proseguiva a passo felpato, udì un fruscio tra gli alberi che la circondavano, e si irrigidì.

"Cosa sarà stato? Magari era solo una volpe." pensò la ragazza.

Proprio dopo aver perso interesse verso quel rumore, due figure accovacciate sfrecciarono dai cespugli, dirigendosi verso di lei.

La ragazza si voltò di scatto, allarmata, lanciando d'impulso una scarica di fuoco rosso acceso davanti a lei. Le due sagome si scontrarono con l'aura rovente, una sorta di fumo leggero venne emesso nell'aria.

In quel momento, la ragazzina capì che non erano persone accovacciate: si trattava davvero di due volpi.

"Sono volpi? Ma non mi sembrano animali comuni... sono fatte di Kaika?" Infatti, i due animali si erano dissolti al contatto col fuoco, per poi ritornare alla loro forma originale subito dopo. Karen era riuscita ad allontanarle con la sua emissione d'aura fiammante, e ora si preparava a contrattaccare ancora.

D'improvviso, una terza figura, stavolta di sicuro umana, piombò su di lei da un albero pochi metri dietro le volpi di Kaika. Karen non reagì in tempo e fu colpita da una tallonata volante nel petto, finendo contro uno spesso tronco alle sue spalle.

"Ugh! Cos'è successo?!" pensò, impaurita. Riuscì finalmente a focalizzare l'immagine del suo aggressore, affiancato dalle due volpi.

Era una ragazza molto esile e carina, un po' più bassa di lei. Aveva capelli di media lunghezza nerissimi e crespi. Sul capo, un ciuffetto ribelle a forma di campanellino ondeggiava allegramente nel vento, e una morbida viola era posata tra i capelli, che ricadevano disordinati davanti ai suoi occhi, anch'essi scuri come la pece. Indossava una tunica a giromaniche nera dal colletto alto bianco, come il nastro che divideva la parte inferiore dell'abbigliamento, che consisteva in un pantaloncino viola. Ai piedi non indossava scarpe, né sandali: erano nudi, sull'erba fresca e bagnata dalla rugiada.

Iniziò a ridere, divertita, mentre accarezzava il muso alle due volpi grigiastre con la punta delle dita. "Eh eh! Ma lo sai che sei proprio interessante, tu? Pensavo di essere l'unica con un po' di potere in questo concorsetto per Guardians!" squittì la ragazzina, mentre si avvicinava a Karen con gli animaletti nebulosi al seguito.

"S-sta' indietro..." azzardò Karen, che aveva risentito di quel calcio più di quanto si aspettasse: era piccola, ma quella ragazza aveva una forza incredibile.

Con sua grande sorpresa, la combattente le tese una mano, invitandola a rialzarsi. "Piacere, io mi chiamo Tokugawa Soyo. Ti va se ci aiutiamo a vicenda?" chiese, con un sorrisetto spensierato.

"C-cosa..?" balbettò Karen, mettendosi in piedi.

"Dai, hai capito. Scusami se le mie due volpette ti hanno spaventata. Ping e Pong sono piuttosto pestifere!" cinguettò Soyo.

"Ping e Pong? Perché le hai chiamate così?" domandò Karen, ancora stranita.

"Perché mi piace il ping-pong!" Esclamò l'altra.

"Ah, capisco..."

"Allora, visto che hai deciso di fare squadra con me, posso chiamare anche l'altra ragazza." disse Soyo, girandosi dall'altro lato, nel punto in cui aveva attaccato Karen all'inizio. "Dai, smettila di nasconderti come una ladra ed esci fuori!"

"Un'altra ragazza? E chi è?" chiese Karen.

"Vedrai, è molto forte! Usa un tipo di Kaika fighissimo. Ho quasi perso contro di lei!" ribatté la nuova alleata.

"Questa affronta tutti quelli che vede..." rifletté Karen.

Intanto, dai cespugli era apparsa la compagna di Soyo: una ragazza più o meno della stessa altezza di Karen, con capelli grigio scuro che si avvivinavano al blu, ai lati dei quali due piccole trecce si univano dietro la nuca. I suoi occhi erano di un blu marino ipnotizzante e sul suo viso risiedeva un'aria spaesata, quasi persa. Come se si trovasse perennemente in una situazione incognita.

"Non c'è bisogno di urlare, ti ho sentita." affermò con una tonalità acuta ed elegante. "Oh, ma tu..." aggiunse poi, guardando Karen.

"Vi conoscete già, per caso?" canticchiò Soyo, le mani incrociate dietro la testa.

Karen riconobbe a un secondo sguardo la ragazza posata che le si era presentata dinanzi.

"Sybil!" esclamò.

"Coraggio, Peter. Mostrami quanto sei migliorato."

"Certo, non prendertela se ti fai male, però!"

Peter e Dorothy erano uno di fronte all'altra e si preparavano ad affrontarsi in una sessione di allenamento, nel primo pomeriggio. Tutto intorno era sereno e silenzioso, si udiva solo il debole flusso del vento estivo.

Alex assisteva alla scena, seduto sulla staccionata che faceva da perimetro all'ampio giardino del dojo. "Dopo l'incontro con Karasu di stamattina, quei due si sono messi sotto con l'allenamento. Sembrano molto motivati a migliorare, per qualche ragione. In fondo, sarà anche un buon metodo per vedere i miglioramenti di Dorothy in questi mesi." pensò il ragazzo dal caschetto biondo.

Dorothy mosse un passo in avanti, le sue pistole puntate verso il basso. Peter era immobile ad attenderla.

"Arrivo, eh?" avvisò la pistolera, spingendosi subito dopo in alto con il flusso di luce scaturito dalle armi, per poi ridiscendere a velocità elevatissima, in picchiata.

Peter indurì il proprio corpo, cospargendolo di Kaika ventoso e fulmineo e, incrociando le braccia, bloccò il calcio ascia di Dorothy, spingendola poi via con una spazzata larga del braccio sinistro.

"Sei sempre un tipo tosto nel corpo a corpo." concesse Dorothy, atterrando elegante su un piede solo, alla sinistra di Peter. "Ora, però, voglio farti conoscere i miei reali risultati!"

Il flusso del Kaika attorno alla ragazza si intensificò, pur rimanendo ai margini del corpo, sotto il suo totale controllo.

Gli occhi passarono a un dorato quasi fluorescente e i capelli iniziarono a variare dal bianco al giallo intenso.

"Web of Light: Godsense!" Esclamò.

"Che potere è quello? Emana un senso di calma e controllo del Kaika assurdi..." analizzò Alex.

Peter si limitò a osservare l'immagine luminosa di Dorothy con impazienza, mentre si puliva l'orecchio con un mignolo, indifferente. "Sembra una figata, lo ammetto. Però adesso vediamo di scoprire se è tutto fumo e niente arrosto, o davvero sei migliorata." ghignò, mettendosi in posizione difensiva.

Come risposta, Dorothy coprì la distanza che li separava in un millisecondo e lo colpì con un calcio alto al mento, facendolo volare in aria per qualche metro. Peter reagì con un pugno elettrico fuso all'aura ventosa con la quale circondò il braccio sinistro, scagliato a velocità esponenziale.

"Electric Wind Fist!"

Dorothy però schivò come se fosse stato sferrato al rallentatore, quasi guidata dal solo istinto. Era come se il suo corpo si muovesse prima ancora che il cervello gli inviasse impulsi.

"Ma che è?!" gridò Peter, subendo un altro calcio verso il basso circondato d'aura lucente, che lo fece rovinare al suolo, alzando parecchia erba.

Dorothy sorrideva, divertita, mentre pareva fluttuare sul terreno per quanto desse l'impressione di essere leggera, il tenue Kaika d'oro addensato attorno alla sua esile sagoma. "Possiamo anche fermarci, Pete." lo prese in giro.

"Non scherzare, specie di elfa lucente. Questo era solo il primo round." controbatté con un sorriso di sfida Peter.

Alex era sbalordito. "Sembra che con quella tecnica i suoi processi cognitivi siano incredibilmente accelerati. Il suo corpo si muove in anticipo rispetto al cervello, o forse sarebbe meglio dire che gli impulsi arrivano molto più veloci alle terminazioni nervose?" mormorò con rapidità quasi nervosa, creando un fastidioso rumore di sottofondo.

Dorothy si voltò verso di lui, un sorriso ironico sul viso illuminato dal Kaika di luce. "Ehi, Al. Non mi trovi ancora più bella quando uso questa tecnica?" chiese, allegra.

Alex cadde all'indietro dalla staccionata per la sorpresa.

"Non divertirti troppo!" Peter era arrivato come un razzo verso di lei, tramite un attacco frontale.

La giovane schivò un altro diretto elettrico cosparso d'aura ventosa con estrema facilità, ma nel momento esatto in cui si ristabilì, notò qualcosa di strano alla sua destra. Una sorta di distorsione spaziale. Era una sensazione stranissima, surreale, che le invadeva i nervi e opprimeva le tempie.

"Ti ho fregata..." mormorò Peter.

"Eh?"

A un tratto, un portale dimensionale si aprì in quel punto, e da esso fuoriuscì un'enorme scarica di vento e fulmine combinati.

"Electro-Tornado!"

L'onda d'energia investì Dorothy in pieno, che nonostante avesse reagito anche in quel caso in una frazione di secondo, tutto ciò che riuscì a fare fu attutire il colpo con le braccia, e attivare l'Armor Kaika al massimo livello.

Fu scaraventata contro la staccionata alle sue spalle, sulla sinistra rispetto al dojo, e ne fece crollare una buona parte.

"Credo che possa bastare." disse Peter con un sorrisetto vincente, mentre Alex lo osservava, stupito e ammirato.

"Non era affatto facile contrastare una tecnica come quella di Dorothy, nemmeno usando l'Energia Oscura, ancor di più se a un livello basilare come quella di Peter. È un vero e proprio genio nelle situazioni più complicate." pensò quest'ultimo.

Peter si avvicinò all'amica, distesa tra le macerie della staccionata, e le tese la mano.

"Quella era una tecnica incredibile, Dorothy, che figata! Sei diventata fortissima!" si congratulò il ragazzo, con un'espressione euforica a brillargli sul volto.

La ragazza ricambiò, sorridendo amichevole. "Anche tu sei molto migliorato. Quel portale era pazzesco! Sebbene se non mi sembrasse Kaika..." rispose, rialzandosi in piedi, aiutata dal compagno.

"Infatti, non lo è. Quel potere è chiamato Energia Oscura, Mary-Beth l'ha insegnato a me e Alex quando eravamo a Northfield." spiegò Peter.

"Energia Oscura? Strano, non ne ho mai sentito parlare..." sussurrò lei.

La scena della barriera che veniva alzata per circondare l'isola dei nativi le balzò alla memoria, prepotente. "Ora che ci penso, prima ho avuto la stessa sensazione che provai quando il presidente Faraday ricorse a quello strano potere nel Continente orientale." rimuginò.

"Comunque, è stato molto utile allenarci, volevo capire a che livello fossi prima del mio prossimo incarico." Peter la strappò dai suoi pensieri con quella notizia repentina.

"Incarico?" domandò la compagna.

"Sì, io e Alex abbiamo ricevuto un messaggio quando eravamo all'ospedale. Ho pensato di aspettare che Somber guarisse per dare la notizia."

"Ma è fantastico, Pete! Sono fiera di voi! E dove dovreste andare di preciso?" Dorothy era curiosa.

Alex li raggiunse, intervenendo nella discussione. "Pare che dobbiamo presiedere all'apertura di un circo a River Town come servizio di protezione. Una sorta di vigilanza." la Informò.

A quell'affermazione, Dorothy non poté fare a meno di trattenere a stento una risatina soffocata, scrutando Peter con uno sguardo malizioso.

"Cosa c'è di divertente?" fece lui, accigliato.

"Ti hanno chiamato veramente per invitarti al circo alla fine. Se lo venisse a sapere Somber..." Dorothy non ce la fece più e scoppiò in una risata fragorosa.

"Ma che dici?! È un incarico serio!" urlò Peter, mettendo il broncio. "Accidenti a voi!"

Anche Alex appariva divertito dalla cosa, e iniziò ridacchiare in silenzio.

"Che hai da ridere? Anche tu devi partecipare!" sbraitò l'altro.

"Hai ragione, hai ragione! Scusa, Peter. Mi raccomando, indossalo bene il costume da clown." Dorothy gli posò una mano sulla spalla con fare complice e continuò a prenderlo in giro, causando un collasso ad Alex per le troppe risate.

"Maledetta, smettila!" si lamentò Peter. "Cavolo, siete proprio dei bastardi nati, voialtri, eh?" sospirò con un mezzo sorriso.

In quel momento, fece capolino dal dojo il maestro Fujiwara, diretto verso i tre ragazzi con fare sbrigativo. "Ma cos'è questo baccano? Eh?! Cos'avete fatto alla staccionata?!" L'uomo affondò le mani nei capelli color miele, incredulo. "Insomma, vi avevo detto che potevate allenarvi, non scatenare la seconda Guerra Rossa." li rimproverò.

Dorothy tirò fuori l'espressione più dispiaciuta che riuscisse ad assumere. "C-ci dispiace, maestro. Può perdonarci? Peter e Alex rimetteranno a posto la staccionata."

"Ehi, che vuoi dire con Peter e Alex?" si lamentò il biondo.

"D'accordo, dovreste farcela entro sera. Ma state più attenti, la prossima volta. Dannazione, proprio oggi che devo partire..." borbottò Taiyo.

"Partire? Dove va, maestro?" chiese in tono educato Alex.

"Non posso rivelartelo con esattezza, ed è probabile che non ci crederesti nemmeno. Sappiate solo che ho bisogno di assentarmi per un lungo periodo a causa di una certa... faccenda." replicò Taiyo, mantenendo il suo sorriso rassicurante e la sua aura paterna.

"Ok... allora buon viaggio." gli sorrise Peter.

"Penseremo io e Somber al dojo, nel frattempo, maestro. Al momento non abbiamo lavori, dato che la spedizione si è conclusa da pochi mesi." gli assicurò Dorothy.

"Vi ringrazio, ragazzi! Siete degli allievi provetti." rise Taiyo.

"L'abbiamo fatto calmare..." pensò Dorothy con un ghigno furbo sul volto.

"A ogni modo, Dorothy, prima Amber mi ha chiamato: voleva parlare con te."

"Amber?"

"Esatto. Stamattina presto è dovuta andar via con Antonio per il lavoro alla loro agenzia, dunque vorrebbe dirti qualcosa, poiché non ne ha avuto modo alla festa. Richiamala al più presto." le raccomandò il maestro.

"Andrò subito!" Dorothy corse verso l'interno del dojo.

"Ah, cara. Quando hai finito, aiuta Peter e Alex con la staccionata..." affermò in tono paziente Taiyo, con aria maliziosa.

Soddisfatto, Peter rivolse alla ragazza una linguaccia, che lei non gradì affatto. "È il karma, mia cara. Il karma..." pensò lui, mentre Dorothy entrava tutta imbronciata e infastidita nell'abitazione.

"Comunque, dov'è Somber?" si chiese Alex, guardandosi intorno.

"Mah, si starà allenando da solo sul retro. Quel maledetto lupo solitario da un soldo bucato." concluse, acido, Peter.

I fendenti vibravano nell'aria, tagliandola in maniera secca e precisa come i movimenti eseguiti da colui che brandiva la spada nera. Osservando attentamente la propria lama, mentre si riposava da una serie di ripetizioni, Somber focalizzava l'attenzione sulle strane sfumature verdi che la coloravano a tratti.

"Anche la Mugenyoru è diventata nera con macchie verdi. Proprio come i miei capelli..." Il ragazzo si specchiò nel metallo della sua spada. "Persino i miei occhi..."

Il verde era entrato a far parte della sua essenza, così come aveva fatto quella ragazza a cui ormai si sentiva legato nel profondo: Mingtian.

Da quando si era risvegliato, ricordi riguardanti la vita della sventurata marinaia non facevano altro che affiorargli alla mente, trasmettendogli un senso di incompletezza e solitudine. Il modo in cui era stata fatta prigioniera dall'equipaggio di cui era parte, dai suoi compagni, in seguito alla manifestazione d'energia che le era misteriosamente capitata sul ponte della nave, non riusciva a dimenticarlo.

"Quelle persone erano del tutto all'oscuro dell'esistenza di una forma d'energia chiamata Kaika. Chiamandoti portatrice di sventure, strega, ti hanno condannata unanimemente. È stata la paura e l'ignoranza a ucciderti, Mingtian." mormorò Somber, una vena tragica ad appesantirgli nella voce.

L'immagine sfocata della ragazzina sospesa e legata sull'albero maestro della nave, lasciata a morire di fame, lo tormentava di continuo. Ancor di più l'urlo agghiacciante prodotto da lei, poco prima che un fulmine caduto dal cielo riducesse in cenere l'imbarcazione, ponendo fine alla vita di tutti e lasciando la giovane Mingtian sola e prossima alla sua tragica morte.

Somber guardò il cielo sereno e punteggiato da poche, piccole nubi bianche. "Che mi piaccia o no, sei diventata una parte di me. Il cambiamento dei miei capelli, delle mie iridi, della mia aura persino, ne sono la testimonianza. Da quando sei apparsa davanti ai miei occhi sulla rotta per il Continente orientale, per qualche motivo ti sei insinuata nella mia mente. I tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, adesso sono anche i miei. Forse volevi solo qualcuno che comprendesse la tua disperazione?"

C'era solo una cosa su cui non riusciva a fare luce riguardo quella faccenda.

"Mi chiedo come possa Mingtian aver appreso il Kaika in maniera così improvvisa, senza allenamenti né esposizioni a quel potere. Ha a che fare con i capelli e gli occhi diventati gradualmente verdi senza una ragione?" Somber si accarezzò le ciocche colorate con leggerezza.

Mingtian aveva maledetto l'umanità intera poco prima di esalare l'ultimo respiro, ma per qualche motivo Somber non condivideva con lei quel sentimento. Ricordò come ne fosse quasi stato impossessato durante il suo sonno, ma una luce calda e lontana aveva mantenuto vivo il suo legame con la realtà, nonché la sua integrità.

"Goover..." La presenza della sua migliore amica lo aveva salvato dall'oblio e dall'oscurità totale.

Mingtian poteva anche aver odiato l'umanità a causa di qualche maledizione di cui Somber non conosceva le caratteristiche, ma lui non covava quella sensazione dentro di lui.

Il motivo per cui aveva deciso di abbandonare una volta per tutte Dorothy e il calore dei suoi amici era un altro. Ed era legato alla sua infanzia a Dismal.

Il corpo senza vita di quel vecchio spadaccino che lo aveva allevato, il sangue che sporcava le mani da bambino di Somber in quella notte buia, lo tormentavano ancor più dei ricordi condivisi con Mingtian.

"Maestro Ryukengi, alla fine sto trovando anch'io la mia strada. Un passo alla volta."

"E questa era l'ultima. Fiuuu! Finalmente abbiamo finito!" Peter interrò l'ultimo paletto al suolo.

Lui, Alex e Dorothy erano esausti. Avevano finito di riparare la staccionata da loro distrutta e si era fatto tardo pomeriggio, il tramonto era ormai alle porte con le sue tonalità tenui e soffuse all'orizzonte, verso ovest, al di là della verdeggiante vegetazione che circondava la casa di Taiyo.

"Il maestro è partito poco fa, chissà per quale meta... Speriamo non sia nulla di grave." si augurò, preoccupato, Alex.

"Non ci pensare, il maestro Fujiwara è uno che sa cavarsela di certo da solo. È un eroe leggendario, seppur appaia solo come un comune lazzarone, dal suo aspetto." rispose Peter in tono fiducioso.

"Già, anche se non l'abbiamo mai visto seriamente all'opera. Chissà di cosa è capace..." borbottò Dorothy, asciugandosi il sudore dalla fronte.

"Comunque sia, hai richiamato Amber, Dorothy?" domandò Alex.

"Oh, sì! Ha detto che vorrebbe parlare con me perché col trambusto che c'era non ci è riuscita in questi giorni. Domattina la incontrerò per un caffè!" spiegò la ragazza con spensieratezza.

"Di cosa farfugliate qui, ragazzi?" Saito li raggiunse alle loro spalle.

"Ehi, Saito, aspetta un attimo. Com'è che vieni a parlarci solo dopo che abbiamo finito il lavoro, eh?" accusò Peter.

"Ma smettila. Non sono mica stato io a rompere la staccionata per fare lo spaccone." replicò Saito, con un sorriso paterno. Ogni volta trasmetteva ai ragazzi quell'aria da fratello maggiore maturo, che li faceva sentire in qualche modo protetti.

"Non l'ho mica fatto apposta, è Dorothy che non sa controllarsi..."

"Quindi ora sarebbe colpa mia?!" sbraitò la ragazza.

Saito rise di gusto. "Voi ragazzi mi ricordate proprio me e i miei compagni anni fa, sapete? Eravamo delle pesti scansafatiche, proprio come voi."

"Il vostro livello di pigrizia e nullafacenza è inarrivabile, mi spiace." ribatté Peter.

"Dovevano essere bei tempi, Saito." aggiunse Alex con un viso sognante.

"Lo erano. Conservo bei ricordi di quel periodo... Mi spiace solo per come sia andata a finire. È un vero peccato." Lo spadaccino mostrava un'espressione dura, ma rassegnata allo stesso tempo.

"Sembra che lui prenda la cosa con maggiore maturità e filosofia rispetto a Takeshi... È sempre così posato e distaccato." pensò Dorothy.

"Comunque, sono qui per salutarvi: io e Takeshi dobbiamo accogliere i vincitori del nuovo concorso per Guardians, quest'anno pare si sia tenuto un mese prima. Stiamo per avviarci." Saito informò i ragazzi.

"È già passato un anno da quando l'abbiamo affrontato?" squittì Dorothy.

"Già, sembra ieri. Il tempo passa proprio in fretta." disse Alex. "Questo mi dà una certa nostalgia..."

"Ne abbiamo affrontate di avventure in un anno, vero? Ci siamo evoluti tantissimo." fece notare Peter.

"Già..." concordò Alex, un sorriso agrodolce sul viso.

Saito si congedò con un cenno, preparandosi per lasciare il dojo insieme a Takeshi. "Continuate ad allenarvi con costanza, mi raccomando. E soprattutto, proteggetevi sempre a vicenda."

I ragazzi annuirono con vigore e lo salutarono affettuosamente.

"Voglio salutare anche Takeshi, sai dov'è?" chiese Peter.

"Oh, lui sta aspettando sul vialetto fuori dal cancello. Lo troverai lì." disse Saito.

"Quel tipo... si comporta sempre così! Vuole fare il misterioso. " Dorothy mise il broncio. "Vabè, io andrò a chiamare Somber. Tra poco bisognerà preparare la cena, dato che stasera ci saremo solo noi quattro qui."

Alex decise di accompagnarla, così Peter si avviò da solo verso Takeshi, per parlarci.

Takeshi si grattava in continuazione i capelli mossi e disordinati con atteggiamento indolente, attendendo con impazienza l'arrivo di Saito. Quando vide Peter oltrepassare il cancelletto al posto del collega, divenne torvo per la delusione.

"Quel caso umano non è ancora pronto? È peggio di una scolaretta, a prepararsi." sbottò con sguardo pigro.

"In realtà, la ragione per cui sta tardando è che volevo prima salutarti." lo avvisò Peter.

"Bene, ciao. Ora me ne vado, se non ti dispiace."

"Aspetta, dannato! Non fare sempre il fenomeno."

"Che c'è, vuoi un abbraccio?" scherzò Takeshi.

"E non sfottere, insomma. Volevo parlare riguardo l'incontro di stamattina..." disse Peter, sul suo volto si poteva leggere la preoccupazione e la confusione che provava allo stesso tempo, riguardo quell'avvenimento.

Gli occhi azzurri di Takeshi mutarono espressione, diventando improvvisamente angosciati e sconfortati, le palpebre socchiuse e sferzate dal vento che soffiava tra gli alberi. "Non c'è molto da dire. Non serve proprio a nulla parlarne."

"Eppure, me ne sono accorto, ho letto la disperazione sul tuo volto quando hai visto Karasu. Cos'è successo tra voi? Perché siete arrivati a odiarvi?" Peter pretendeva risposte, non riusciva a reggere la visione di Takeshi in preda all'afflizione e al rimpianto, senza poterlo aiutare.

"Ciò che è passato non può più tornare, discuterne provocherebbe solo altro dolore e rabbia inutili. Preferisco concentrarmi sulla vita che ho davanti e creare ricordi felici nel presente, piuttosto che rimpiangere quelli perduti. L'unica cosa che in realtà non riesce a smettere di tormentarmi è la minaccia di una nuova guerra." Takeshi guardò il terreno sotto i suoi piedi con frustrazione, il labbro inferiore per un istante gli tremò per l'agitazione

"Takeshi..." mormorò Peter.

"Un altro conflitto dispenserebbe solo morte e spazzerebbe di nuovo via tutto ciò a cui tengo. Io non voglio... non posso affrontarlo ancora, non ce la faccio. Non riuscirei a reggerlo. Perdere tutto quello che hai... è una cosa che ti priva di ogni volontà di vivere." Lo sconforto nella sua voce era tale da far sentire Peter a pezzi. "La guerra è l'incarnazione del male negli uomini, e io ne ho visto fin troppo."

Peter strinse i pugni più forte che poté, tanto da portarli quasi a sanguinare. Digrignò i denti, i suoi occhi si accesero d'impeto. "Allora ci penserò io a evitarne lo scoppio."

"Come scusa?" Si stupì l'altro.

"Erediterò la tua volontà, Takeshi. A tutti i costi, giuro sulla mia vita che non dovrai vivere altre guerre, che fermerò una volta per tutte l'odio che si propaga tra Guardians e Shihaiken, così potrai continuare a vivere in pace, proprio come desideri!" esclamò Peter a gran voce, con occhi talmente determinati e sicuri da sorprendere Takeshi, il quale difatti spalancò le palpebre, guardando intensamente il giovane di fronte a lui.

Nel suo sguardo rivide la stessa essenza, la stessa forza d'animo di quella ragazza gentile che conosceva. La persona a cui aveva tenuto di più in tutta la sua vita. E della quale lui stesso aveva stroncato l'esistenza.

"È proprio come allora..." pensò, scrutando quegli occhi blu intenso, simili a saette in un cielo limpido.

"Takeshi, ci penserò io a porre fine a tutto quest'odio. Così potremo vivere felici tutti insieme, proprio come desideri!" L'uomo udì risuonare nella sua testa quella parole, appartenenti a un tempo ormai perduto.

Allungò un braccio verso Peter e gli adagiò una mano sui capelli castani. "Allora conto su di te..." mormorò, appoggiando il volto stupito di Peter sul suo petto.

Sul viso dello spadaccino era disegnato un sorriso pieno di calore.

Davanti a lui, rivedeva i colori dell'immagine dello stesso dojo in cui passava le sue giornate, dieci anni prima.

"Grazie."

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