Capitolo 62
Somber si sentiva confuso.
Nella sua testa continuava a rimbombare un forte ronzio che gli offuscava la mente, provocandogli anche un leggero mal di testa. Non sapeva quanto tempo fosse passato dal suo ultimo ricordo: il presidente Faraday che innalzava quella gigantesca barriera arancione lungo il perimetro dell'intero Continente orientale. In quel modo, erano sfuggiti a quel re dei nativi dalla potenza travolgente, ma lui aveva smesso di essere cosciente.
Dove si trovava adesso? Cos'era successo?
L'unica certezza che aveva era la presenza di Dorothy al suo fianco, il viso grato e gioioso.
"Ti sei svegliato! Finalmente ti sei svegliato!" Lo abbracciò strettissimo, quasi facendogli male, dato che non si muoveva da molto e il suo fisico era spossato.
Somber parve titubante. Dirigeva gli occhi verso le pareti intorno a lui, con le braccia dell'amica attorno al suo collo. "G-già... Ero incosciente da tanto?" domandò, incerto.
"Ormai sono passati sei mesi da... quel giorno. Ho provato a risvegliarti donandoti il mio Kaika, e ce l'ho fatta. Ti ho riportato da me..." La guancia e i capelli di Dorothy che sfioravano il suo viso riscaldarono l'animo e il corpo di Somber, trasmettendogli un avvolgente tepore.
"È la stessa sensazione distante che avvertivo mentre ero privo di sensi, eppure non mi sembrano passati così tanti mesi." pensò. "E poi, c'era anche quell'altra cosa..." Il pensiero di quel sogno, la morte, i resti umani in mare, quella ragazza sola e spaventata, occupò la sua mente, turbandolo.
La cosa peggiore era che lui si poteva dire certo di conoscere quella ragazza, seppure, per qualche ragione, sapesse con sicurezza che il ricordo legato a lei che aveva vissuto era di almeno cinquant'anni prima.
Somber aveva avvertito chiaramente ogni sua sensazione e tutto il dolore che lei aveva provato, adesso condivideva il passato della povera marinaia sventurata. Midoru Mingtian.
D'un tratto, provò un istintivo senso d'angoscia e si allontanò da Dorothy, strisciando sul letto all'indietro.
"Che hai?" Il viso interrogativo della sua compagna era illuminato dai raggi solari mattutini che subentravano dalla finestra, alla sinistra di Somber, mettendo in mostra la sua rara bellezza, nonostante l'aria esausta che le si leggeva negli occhi.
"N-nulla, mi hai stretto un po' troppo forte, tutti qui."
"Oh, scusami. È l'entusiasmo, mi sei mancato tantissimo in questi mesi." sorrise Dorothy, piena di benevolenza.
"Capisco, non ti preoccupare." rispose Somber, accennando un sorriso. "Cos'è questo strano impulso che provo..?" rifletté, mentre Dorothy si stiracchiava, scacciando definitivamente il sonno.
Il ragazzo non aveva il coraggio di definire quel sentimento, sebbene avesse compreso più o meno di cosa si trattasse. Erano le medesime sensazioni che aveva avvertito alla fine di quel sogno terrificante, attraverso i pensieri di Mingtian.
Odio e paura.
Ma verso chi fossero rivolte, non era capace di capirlo. Di sicuro non verso Dorothy. Durante il periodo di buio totale che aveva passato, l'unica cosa che l'aveva collegato al mondo esterno era stata la sua presenza, nonostante a lui apparisse sempre molto lontana. Era come se un'alba perpetua lo stesse riscaldando nel gelo delle ultime ore di una notte morente, che però non finiva mai davvero.
Somber si sporse in avanti, esponendo i suoi capelli al sole per percepirne il calore.
Dorothy alzò un sopracciglio, dubbiosa. Solo adesso che aveva accantonato la sorpresa per il risveglio di Somber aveva notato una cosa che trovò molto strana.
"Somber, i tuoi capelli..." mormorò.
"Che intendi?" chiese lui.
"Hanno... delle sfumature verdi."
Peter e Alex erano all'ingresso dell'ospedale, pronti a visitare Somber per valutare se fossero stati raggiunti dei progressi.
Notando l'espressione serena e appagata dell'amico accanto a lui, Peter aveva capito che il suo appuntamento con Dorothy doveva essere andato a buon fine.
"Allora, tu e Dorothy l'avete fatto?" sì informò di punto in bianco, mentre si accaparrava una bibita fredda da un distributore vicino alla porta d'ingresso.
"C-che intendi? Cos'è che avremmo dovuto fare?" Alex fece l'evasivo.
"Andiamo, si capisce guardandoti in faccia che è successo qualcosa. Non tenermi sulle spine! Dai, dai, dimmi di più!" insistette Peter, rifilandogli dei colpetti lascivi con il gomito.
"E-ecco... n-non sono affari tuoi." replicò Alex, imbarazzatissimo.
"Che noia sei, non è mica un delitto interessarsi a una ragazza. Se si tratta di Dorothy, poi, posso solo essere felice per voi." Il tono del giovane si addolcì rispetto al solito.
"A ogni modo, lei è tornata qui subito dopo l'appuntamento senza nemmeno cambiarsi, per vegliare su Somber. A volte è così gentile e disponibile da farmi quasi preoccupare, e la cosa buffa è che sembra essere l'unica a non accorgersene. Quella scema..." Alex sorrise tra sé e sé, con un'espressione sognante, probabilmente legata alla sera precedente.
Guardandolo, a Peter venne in mente Karen e il loro saluto a Cobalt.
Spesso gli capitava di pensare a lei e desiderare che fosse lì, in modo da poter passare di nuovo del tempo insieme. Gli mancavano i suoi atteggiamenti impacciati, la sua tenera timidezza e il modo in cui sapeva sciogliersi quando entrava in confidenza con lui, rivelando un suo lato più espansivo.
Più di tutto, voleva ascoltare di nuovo la sua voce celestiale, quel canto che sembrava immobilizzare tutto ciò che la circondava. Quei capelli rossi, accesi come il fuoco, che rispecchiavano la sua forza interiore, così intensa da aver conquistato del tutto Peter.
"Chissà dove ti trovi adesso..."
"Come?" Alex lo guardò, perplesso. Aveva parlato ad alta voce.
"Oh, niente, non farci caso. Pensavo a una cosa." lo tranquillizzò Peter.
"D-d'accordo, allora..."
"Su, raggiungiamo Dorothy e Somber." Peter fece strada all'interno dell'edificio, ma appena dentro, fu richiamato da una voce alle sue spalle.
"Perché tutta questa fretta, giovani pesti?"
Peter e Alex si voltarono, riconoscendo due volti a loro noti nel corridoio asettico.
"Antonio!" esclamò Peter. "E tu sei..." aggiunse, focalizzando l'immagine della ragazza giovane e dai tratti del viso molto gentili, al fianco dell'uomo.
"Ehi, ragazzi. Sono Amber Lullaby, vi ricordate di me?" sogghignò la ragazza bionda dai capelli ordinati, legati in un codino.
"Certo, è un piacere rivederti! Ho saputo che eri stata ferita durante la spedizione, come stai?" la salutò Alex.
"Conservo ancora i segni dei tagli che ho subito, e a volte le cicatrici bruciano parecchio, ma si può dire che adesso io stia benone." rispose Amber. "Antonio si è preso cura di me nei momenti peggiori."
"Naturalmente. Io sono un gentiluomo." si vantò lui, beccandosi un'occhiata sarcastica da parte di Peter e Alex.
"Solo con le donne, però." ribatté Amber in tono irrisorio.
"In fondo ti piacevano le mie cure, no?"
"Sta' zitto..."
"Ammettilo, dai."
"No! Muori!" Amber lo scrutò in cagnesco.
I due ragazzi erano allibiti dal litigio che era nato da una semplice conversazione innocente. Mentre Amber tirava le narici di Antonio con violenza, udirono dei passi lenti e incostanti alle loro spalle.
"Oi, allegra compagnia, datevi una mossa. Sembra che Somber si sia svegliato." Takeshi era venuto ad avvisarli più in fretta che poteva, sebbene già solo dal suo volto si poteva intuire che si fosse appena svegliato.
"Dici davvero?!" urlarono in coro Peter e Alex.
"Dorothy me l'ha appena detto, sembra stare bene, capelli a parte." controbatté Takeshi.
"Capelli a parte? In che senso?" chiese Antonio, aggrottando le sopracciglia.
"Sembra che abbiano cambiato colore, almeno in parte. Non ne so molto, comunque ho telefonato il vecchio Fujiwara per avvertirlo, e ha detto che preparerà un party al dojo stasera per festeggiare. Ho avvertito pure Saito, anche se tramite la segreteria telefonica. Il bastardo starà dormendo dopo aver lavorato stanotte. Comunque sia, ci vediamo lì." affermò Takeshi, mentre cercava di sistemarsi i capelli e la divisa da guardia che indossava in maniera sciatta.
Sentendo nominare il maestro Fujiwara, Peter non poté fare a meno di riflettere su quanto era accaduto la sera precedente, poco prima che si assopisse. Aveva intravisto proprio il suo maestro uscire dalla camera di Somber, pervaso da una strana aura verdognola.
E ora Somber si era svegliato.
"Cosa vorrà dire? Avrà fatto qualcosa?" si domandò il ragazzo.
"Dove stai andando?" domandò Amber, rivolta a Takeshi.
"Ho un turno di lavoro stamattina, che seccatura. Quasi quasi lo salto..." la informò lui.
"Va' a lavoro, nullafacente." Antonio lo spronò con una pacca sulla schiena.
"Va bene, va bene. Allora, voi due..." Takeshi si rivolse a Peter e Alex. "Fareste meglio a raggiungere i vostri amici. Non fateli aspettare." L'uomo accennò un mezzo sorriso.
"Sì!" risposero loro, presi dall'entusiasmo.
"Può anche fare il tipo pigro e distaccato, ma si vede che è contento per la notizia." pensò Alex, un'espressione serena disegnata sul volto.
Takeshi si congedò con un cenno, e i due ragazzi, accompagnati da Antonio e Amber, corsero di gran carriera verso la camera di Somber nell'ala est dell'ospedale, dove si trovava anche Dorothy. Peter e Alex si sentivano fremere dalla gioia: finalmente si sarebbero di nuovo trovati tutti e quattro insieme.
Arrivati nel corridoio dove si trovava la stanza in cui erano diretti, i quattro trovarono Dorothy, euforica, sull'uscio della porta spalancata. La finestra scorrevole era aperta, così il venticello proveniente dall'esterno arruffava i capelli candidi che la ragazza alla fine aveva sciolto. Non appena vide i suoi amici, gli occhi le si illuminarono.
"Peter, Alex, ce l'ho fatta! Somber si è svegliato, sono così felice!" esultò, buttandosi di peso tra le loro braccia.
"È fantastico, Dorothy. Tutto merito tuo." Alex le lisciò la chioma con delicatezza.
"Sei stata grande." gli fece eco Peter, rifilandole delle pacche sulla spalla.
"Non riesco ancora a crederci." sussurrò lei. Poi, sembrò notare la presenza di Antonio, e soprattutto della sua collega. "Amber! Stai bene?" la salutò.
Lei sfoggiò un sorrisetto benevolo, sinceramente contenta di rivedere Dorothy. "Ciao, piccola. Mi sono ripresa dalle ferite, ormai, a parte qualche piccolo acciacco sporadico. Ma direi che è tutto a posto adesso, ti ringrazio."
"Mi fa piacere! Grazie per essersi preso cura di lei, signor Santos." disse Dorothy.
"Non c'è bisogno di ringraziarmi, dolce Dorothy. Lei è una mia preziosa compagna, dopotutto." Appoggiò una mano sulla testa di Amber, che stavolta non sembrò ribellarsi alla sua premura. "Piuttosto, vediamo l'ospite d'onore, a questo punto." propose l'uomo.
"Chi vorreste andare a vedere? Non sono mica un malato, accidenti a voi." La voce proveniva dall'interno della camera in cui fino a poco prima era disteso Somber.
Vedendolo vestito con i suoi soliti abiti, che Dorothy aveva tenuto da parte nel caso si fosse svegliato, Peter e Alex provarono una grande sensazione di sollievo.
Era come se fosse stato aggiunto un ultimo pezzo a un mosaico a lungo lasciato incompleto.
Una parte fondamentale del loro gruppo era stata restituita, e solo in quel momento si accorgevano della sensazione di mancanza che avevano provato fino a quel momento. Insieme a Dorothy, si avvicinarono a Somber e lo strinsero a loro.
"Adesso siamo di nuovo tutti insieme." mormorò Peter, cingendo forte le spalle dei suoi amici. "Tutti e quattro."
Sebbene avessero affrontato mille pericoli e fossero stati a lungo lontani tra loro, la promessa di ritrovarsi ancora e riunirsi non era stata infranta: il loro legame non si era mai spezzato, nonostante tutto. E adesso era più forte e inestricabile che mai.
Antonio e Amber furono attraversati da una scarica colma di nostalgica allegria a quella visione.
"Questo mi riporta a quei tempi..." sussurrò Antonio, la mente rivolta a dieci anni prima. L'immagine di sé stesso, Takeshi, Saito e Karasu, stretti l'uno nell'altro proprio come i quattro ragazzi davanti a lui in quel momento, gli tornò alla memoria. Assieme al senso di fratellanza e amicizia che conosceva fin troppo bene, anche se gli appariva ormai perduto e irraggiungibile. "Che nostalgia..."
Amber lo fissò con occhi malinconici, comprendendo ciò che stava provando in quel momento. Lei cercava sempre di stargli il più possibile accanto in modo da farlo sfuggire a quei pensieri oscuri, tentava più che poteva. Ma talvolta era inevitabile. Avrebbe solo dovuto accettarlo, e sostenerlo in momenti come quello. Non avrebbe mai permesso che Antonio si sentisse solo nel suo dolore.
"Comunque, vorrei sapere una cosa." fece Peter, rivolgendosi a Somber. "Che è successo ai tuoi capelli? Ti sei fatto i colpi di sole? Non sapevo ti piacessero..." lo prese in giro con un sorriso maligno sul volto.
"Sta' zitto, zappatore mancato. Piuttosto, mi aspettavo di sentire della tua morte in qualche fossa comune di Northfield, com'è che non è successo?" rispose per le rime Somber.
"E tu non sei annegato solo come il cane che sei nell'oceano? Che strano!"
"Ti ucciderò nel sonno."
"Provaci, mezzo spadaccino!"
"D-dai, ragazzi, non ricominciamo subito..." intervenne Alex, non calcolato affatto dai due, che iniziarono a ringhiarsi contro.
Dorothy ridacchiò, costringendo Peter e Somber a voltarsi con aria interrogativa. "Sapete, anche questo mi è mancato tanto." affermò la ragazza, con un'espressione radiosa.
I quattro risero insieme per la prima volta dopo tanto tempo, con la consapevolezza che qualunque cosa fosse successa, alla fine si sarebbero sempre ritrovati.
La sera arrivò e i quattro amici, insieme ad Antonio e Amber, si recarono al dojo del maestro Fujiwara Taiyo, dove li aspettavano anche Takeshi e Saito. Erano tutti lì, a festeggiare il risveglio di Somber, riuniti nel luogo che più potevano chiamare casa tra tutti.
L'atmosfera era distesa, in una serata di tranquillità e allegria di cui ognuno aveva bisogno. Taiyo aveva allestito una grande tavola imbandita all'esterno, nel giardino del dojo, poiché ovviamente l'interno era troppo polveroso. Non lo aveva pulito neanche per quell'occasione, e dunque la festa si teneva perlopiù fuori dall'abitazione, in cui, ciononostante, si potevano trovare diverse riserve di birre e sakè, principalmente consumate da Takeshi.
Sulla tavola erano presenti tantissime pietanze tradizionali cucinate dal maestro, che si confermò ancora una volta un gran cuoco. C'era ramen, riso al pesce, takoyaki, e tanti altri piatti deliziosi.
Antonio si avvicinò ad Amber, che era seduta a tavola e di tanto in tanto tremava per delle fitte che il venticello serale le provocava, entrando in contatto con le cicatrici lungo le sue braccia. Le avvolse una coperta di raso intorno alle spalle in modo da ripararla.
"Grazie." mormorò Amber con dolcezza.
"Non è nulla." rispose Antonio, sedendosi accanto a lei.
"Mi unisco agli innamorati?" Taiyo era piombato alle loro spalle con un sorriso demenziale stampato sul volto.
"Maestro... la prego di essere più discreto." affermò Antonio con un finto sorriso, quasi minaccioso.
"Suvvia, la condivisione è importante, Antonio caro!"
"Sparisci!" grido l'altro.
Amber sospirò. "Con un tutore come questo, per forza è venuto un idiota." sbottò.
"Certo che sai essere perfida, eh?" disse Taiyo con sarcasmo, prendendosi del ramen.
"Se non altro è sempre stato bravo a cucinare..." concesse Antonio.
"Quindi apprezzi la mia cucina? Sei il mio allievo preferito!"
"Basta!"
Nel frattempo, Peter, Alex, Dorothy e Somber si erano rimpinzati alla grande, e adesso riposavano accanto alla staccionata che delimitava il dojo, guardando il cielo stellato, privo di nuvole.
"State vivendo il vostro momento toccante?" Takeshi arrivò alle loro spalle, mentre si scaccolava e beveva da un bicchierino del sakè, a tratti anche in contemporanea. Era accompagnato da Saito, il quale pareva solo di poco più sobrio, ma si notava che anche lui aveva alzato il gomito con l'alcool.
"Ehi, ragazzi." li salutò Alex.
"Dammi quell'alcool, maledettooo! Stascera rompo tutto!" gridò Dorothy, che iniziava a risentire della birra in più che si era scolata.
"Fermati, dannata pazza!" Si difese Takeshi, che fu comunque atterrato dalla furia della ragazza assetata.
"Roba da non credere, quando beve, Dorothy fa paura..." constatò Peter, anche lui un po' arrossato sulle guance, ma visibilmente messo meglio dell'amica.
"Saito, ho saputo che in questi mesi ti sei assentato per molto tempo, dove sei stato?" chiese Somber, che sembrava il più lucido insieme ad Alex.
"È andato a fare il Don Giovanni a sud mentre lavoravo al posto suo." rispose per lui Takeshi, liberandosi per un attimo di Dorothy.
Saito gli sferrò un calcio sulla fronte, senza pietà. "Non parlare mai più, testa di melma. Sono stato a Lyam, la capitale del Continente meridionale, per ragioni politiche. Alcuni movimenti dell'Esercito Guerrigliero dopo la sconfitta di Hanz Becker hanno preoccupato alquanto il governo, dunque sono stato mandato lì per ottenere supporto militare dalla regina Miranda, in caso di una nuova guerra. Purtroppo, l'incontro si è concluso con un nulla di fatto e mi sa che dovrò tornarci nei mesi o anche anni a venire." spiegò la guardia in tono duro.
"Capisco... Dunque, le cose stanno così." Somber appariva molto pensieroso riguardo l'argomento.
"Coraggio, non sciate coscì pescimisti stascera! Dobbiamo fescteggiare e vivere la vitaaa!" Dorothy si era alzata, iniziando a sbraitare qua e là. Prese Alex per il braccio e iniziò a trascinarlo con sé. "Avanti, Al, balliamo un po'!"
"Ma non c'è neanche la musica, cosa fai?!"
"Sce la immaginiamo noi! Ho la muscica nel sciangueee" rispose lei.
"Come faccio a sapere quale musica stai immaginando tu..?" Ma ormai Alex era stato trasportato in una danza assurda dalla ragazza, mentre Taiyo, Antonio e Amber battevano le mani a tempo e li incitavano.
Peter rise di cuore, passando in rassegna l'ambiente caloroso in cui si trovava insieme ai suoi più cari amici. "Vorrei tanto che momenti come questo durassero per sempre. Essere trasportato in eterno da questa calda e gentile sensazione..." pensò.
"Che ne dite di scattare una bella foto?" propose Taiyo, dopo il ballo di Alex e Dorothy, alzandosi da tavola e correndo nel dojo per poi uscire con una antiquatissima macchina fotografica vecchio modello. "Coraggio, mettetevi tutti in posa, che aspettate?" spronò tutti i presenti a fare come diceva.
"Che succede? Sono vivo?" bofonchiò Takeshi, ancora disteso sull'erbetta di fianco alla staccionata dopo l'assalto di Dorothy.
"Bell'idea, vieni anche tu, Somber." lo esortò Alex.
"Bah, non che la cosa mi entusiasmi." precisò l'altro.
"Sei proprio un caso umano." lo insultò Peter.
"E tu hai due neuroni che neanche funzionano a dovere. Scimmia da circo. Perché non chiedi di lavorare lì? Secondo me ti accettano." rimbeccò Somber.
"Che hai detto?!"
Alex li prese entrambi per le maniche. "Su, ora basta litigare. Venite a farvi la foto senza storie." Li trascinò con aria esasperata.
"D'accordo, ma di certo non lo faccio per Stupider." Somber mise il broncio.
"E chi te l'ha chiesto, Somberidiota?" Peter lo guardò male a sua volta.
Taiyo lasciò partire l'autoscatto e si piazzò al centro del gruppo per la foto, con Takeshi, Saito e Antonio accanto a lui. Amber era appena davanti ad Antonio, con una mano del compagno poggiata sulla sua spalla. In prima fila c'erano i quattro ragazzi, con Peter e Somber che si guardavano storto con la coda dell'occhio. Un secondo prima che la fotografia venisse scattata, Dorothy, ancora brilla, diede un bacio improvviso sulla guancia ad Alex, facendolo diventare rosso come un'anguria.
La serata di festeggiamenti volse al termine e tutti restarono a dormire al dojo, dopo essersi divertiti e aver bevuto insieme, ben sapendo che momenti come quelli difficilmente li avrebbero potuti vivere ancora, in quel periodo.
Peter si svegliò, disteso sull'erba, con la schiena appoggiata alla staccionata nel giardino. Accanto a lui, si trovavano i suoi tre amici e Takeshi, mentre gli altri erano con ogni probabilità all'interno.
"Ci siamo addormentati qui fuori... Eravamo proprio stanchi, eh?" Il ragazzo batté più volte le palpebre con forza, per svegliarsi. "Però, ce la siamo proprio spassata, è stato bello." Osservando il cancello, pochi metri sulla destra davanti a lui, notò una strana sagoma nera che stava osservando il dojo. "E quello chi è?" Peter si alzò con rapidità per controllare.
Il suo movimento fece destare anche i suoi compagni, a parte Takeshi, che continuava a dormire come un sasso.
"P-Pete, che succede?" chiese Dorothy, insonnolita.
"È già mattina?" Si stiracchiò Alex.
Somber intanto si era alzato e aveva avvistato, come il compagno castano, l'uomo sul sentiero ghiaioso oltre il cancello d'ingresso. "C'è qualcuno che ci osserva." spiegò.
"Già." Peter assunse un'aria dura. "Ha un qualcosa di familiare, avviciniamoci."
La figura nera pareva essersi accorta di loro mentre veniva raggiunta, ma non mosse un passo e restò immobile, attendendoli. Takeshi, ancora steso sul prato, aprì un occhio, accortosi della scena.
"Ehi, tu, si può sapere cosa vuoi?" esordì Peter.
"Perché ci stai spiando?" aggiunse Dorothy.
L'uomo rivolse i suoi occhi nerissimi verso i quattro ragazzi. Solo allora, parvero riconoscerlo.
Quei capelli ondulati, scuri come il carbone, il lungo impermeabile corvino, il suo sguardo stanco e glaciale, eppure acceso di determinazione. L'avevano visto per poco al molo di Gloomport Town, ma non fecero fatica a riconoscerlo.
"I nuovi allievi del maestro... Finalmente ci incontriamo in circostanze pacifiche." iniziò l'uomo.
"T-tu sei..." mormorò, incredulo, Peter.
Dorothy sgranò gli occhi, stupefatta come Somber e Alex.
"Karasu!"
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