Capitolo 61
Appoggiata al parapetto all'esterno della nave, la ragazza in divisa nera se ne stava tranquilla in un momento di pausa dal lavoro. Ammirava la superficie ondeggiante del mare illuminata dai raggi solari, il viso ovale posato sul palmo della mano.
Specchiandosi nell'acqua limpida, riconosceva le diverse ciocche dei suoi capelli divenute verdi poco dopo l'inizio della spedizione. Proprio non riusciva a figurarsi quale potesse essere il motivo di quel cambiamento improvviso. Non che il verde non le piacesse, ma era comunque un avvenimento piuttosto strano.
"Cosa stai facendo, Midoru Mingtian? Non sei mica pagata per oziare e goderti la brezza marina?"
Mingtian si voltò, alzando gli occhi al cielo per la noia.
A richiamarla era stato Goto Sakaguchi, il responsabile del personale: un uomo corpulento dall'aria torva e antipatica, calvo e con degli occhialini tondi. Il suo viso era squadrato e i piccoli e scavati occhi celeste chiaro parevano costantemente analizzare tutto ciò che lo circondava.
"Ero in pausa, nel caso non se ne fosse accorto, grande capo Sakaguchi. Sa una cosa, direi che il nominativo grande capo sia particolarmente azzeccato con lei, date le dimensioni della sua testa." Farfugliò Mingtian con un ghignetto ironico.
Le vene sulla fronte dell'uomo divennero più spesse, e la fronte gli si arrossò per il furore. "Credi di essere spiritosa, vero? Sappi che se fosse dipeso da me non avresti mai partecipato a questa spedizione, piccola impertinente." disse.
"Però non spetta a lei decidere, per fortuna dell'agenzia Nagaki, aggiungerei." Mingtian si divertiva parecchio a far innervosire quell'uomo, sempre angusto e serio.
Tra tutti i membri dell'equipaggio, inoltre, lui era stato quello che aveva preso peggio il cambiamento riguardante il colore dei capelli di Mingtian, e la teneva sempre d'occhio senza concederle tregua.
"Casomai per tua fortuna, streghetta. Vedi di tingerti quei capelli, sei ridicola."
"Non le piaccio?" Mingtian si sfiorò le ciocche morbide con le dita, comportandosi come se avesse cambiato di proposito il loro colore per apparire affascinante.
L'altro assunse un'espressione esasperata e infastidita, voltandosi di scatto per tornare all'interno dell'imbarcazione. Un istante prima che Goto rientrasse, Mingtian avvertì una strana sensazione lungo tutto il suo corpo, come se un'energia dormiente in lei si stesse liberando, senza che potesse controllarla.
L'uomo si voltò con uno sguardo pieno di stupore, scrutando incredulo il corpo della ragazza ricoperto di energia elettrica, la quale emetteva un ronzio sommesso che si riverberava nell'aria intorno a lei.
Mingtian appariva sorpresa quanto lui, ignara di cosa le stesse accadendo.
"M-ma tu... sei davvero una strega?" mormorò, impaurito, Goto.
"I-io non lo so... non so cosa mi stia accadendo!" ribatté Mingtian, sollevando lo sguardo.
Fissandola negli occhi, Goto notò che anch'essi presentavano strane sfumature verdi, mischiate al castano dell'iride.
"Mostro." riuscì solamente a pronunciare con tono di rifiuto, distogliendo d'istinto gli occhi dalla ragazza.
"Cosa vuole fare?" Ora Mingtian iniziava a essere davvero spaventata, e ciò si notava dal tono grave della sua voce. "Vuole avvertire l'equipaggio? Non sono un pericolo, la prego, non denunci la cosa!" Provò ad avvicinarsi.
"Sta' lontana da me, abominio. Le streghe portano solo sfortuna in mare, ci porterai alla disgrazia e alla rovina!" Detto questo, Goto tornò a grandi passi all'interno della nave, lasciando lì Mingtian, in preda al terrore.
La ragazza fissò il cielo, con la disperazione dipinta sul volto.
Come avrebbe reagito l'equipaggio a quella notizia? Venendo a conoscenza delle strane manifestazioni legate a lei, l'avrebbero considerata un pericolo, di quei tempi gli incidenti in mare sulla rotta per il Continente orientale accadevano sempre più spesso e la superstizione nei marinai avrebbe potuto prevalere. Inoltre, in mare aperto non sarebbe potuta scappare da nessuna parte. Nemmeno lei era in grado di trovare una spiegazione razionale per quegli strani eventi.
"Perché mi sta succedendo questo?!"
I due ragazzi camminavano uno di fianco all'altra tra le luci serali del centro della città, diretti verso un luogo in cui accomodarsi e mangiare qualcosa insieme.
Alex fissava dritto davanti a sé, voltandosi di tanto in tanto verso Dorothy, che come lui appariva piuttosto nervosa.
Tra di loro si avvertiva una tesa e dolce atmosfera di imbarazzo, non sentivano nemmeno il trambusto della folla che li circondava, per via del nervosismo. Si trovavano nell'area centrale di Gloomport Town, piena di bar, ristoranti, cinema e negozi di ogni genere.
Dorothy e Alex avanzavano a passo lento su una larga zona pedonale, delimitata sia a destra che a sinistra da una fila ordinata di delicati e magnifici ciliegi, e da alcune alte abitazioni alle spalle di questi ultimi. Sulle panchine sporadiche che si trovavano sotto gli alberi, si potevano scorgere diverse coppie innamorate o famiglie intente a riposare nel mezzo di una passeggiata. Era una serata piuttosto piacevole, che tutti si stavano godendo al massimo delle loro possibilità, e così provavano a fare anche i due compagni al loro primo appuntamento.
"Si è fatto più alto in questi mesi. Prima lo superavo leggermente in altezza, ma adesso è il contrario." Notò Dorothy, fissando sott'occhio il compagno.
Alex ruotò appena gli occhi verso di lei, che distolse subito lo sguardo, arrossendo.
La ragazza indossava un vestitino leggero con gonna giallo ocra, che si intonava piuttosto bene con i suoi occhi dorati. Era la prima volta che Alex la vedeva vestita con abiti che non fossero sportivi, ma la cosa che più lo aveva catturato era la sua pettinatura: un codino alto a fontanella, con i lisci capelli che ricadevano davanti alla fronte in una frangetta.
Di solito Dorothy li portava sempre sciolti.
"S-sei molto carina stasera." Provò a rompere il ghiaccio Alex, che invece aveva optato per una semplice camicia bianca con i risvolti alle maniche e dei jeans.
"Ma come, solo stasera?" Ridacchiò ironica Dorothy, che piano piano iniziava a sentirsi più a suo agio.
"No, no! Ovviamente lo sei sempre..."
"Ti ringrazio... allora mangiamo qualcosa, che ne dici?" propose la ragazza, rivolgendogli un sorriso.
"Buona idea, sono piuttosto affamato. Che ne dici di una pizza?" chiese Alex, ancora un po' intimidito.
"Per me va benissimo!"
La spontaneità di Dorothy alla fine riuscì a prevalere sulla sua timidezza iniziale, contagiando man mano anche Alex, che si sciolse sempre di più, soprattutto durante la cena. I due iniziarono a comportarsi come avevano sempre fatto quando erano insieme, mentre erano seduti al tavolo di una graziosa pizzeria accanto ad alcuni alberi di ciliegio che si potevano intravedere dalla vetrata accanto a loro. Scherzarono e risero, ritrovando la loro intesa naturale e complicità.
"Ma dai! Così sei caduto dal tetto?" rise con fragore Dorothy, mentre addentava una fetta di pizza con salame.
"Già, da bambino all'orfanotrofio spesso imitavo Peter. Così, quando lui saltò dal soffitto della casa a un albero vicino, ci provai anch'io e finii dritto addosso a un compagno! Ci facemmo entrambi malissimo..." Alex raccontava la disavventura con un sorrisetto nostalgico e ancora un po' dolorante al ricordo di quella botta subita.
"Che tenero!" esclamò Dorothy, continuando a ridacchiare mentre si immaginava la buffa scena. "Dovevi essere proprio un bambino dolce e ingenuo. Pensandoci, non è che tu sia cambiato, crescendo!" affermò, sorridendo al ragazzo, divertita.
"Cosa vorresti insinuare con questo, eh? Che sono ancora ingenuo?" chiese in tono sarcastico Alex, con aria da finto offeso.
"Precisamente!" Sghignazzò lei.
"Sei troppo diretta!"
Dorothy poggiò la guancia sul palmo della mano, fissando gli occhi azzurri di Alex con intensità e un'espressione addolcita. "Sta' tranquillo, è proprio questo uno dei lati di te che mi piace di più."
"E-eh?" Le guance di Alex diventarono rosee. Perso nei grandi e dorati occhi di Dorothy, si sentì confuso, quasi come se avesse difficoltà a riflettere con chiarezza, e i suoi pensieri fossero offuscati. "L'effetto che mi fa questa ragazza è una cosa così nuova per me... Eppure, è diventata una sensazione inconfondibile, che riesco a riconoscere nitidamente solo quando sono con lei. È talmente strano..." rifletté.
"Ehi, Al. Vuoi andare al cinema, dopo?" La voce di Dorothy scacciò via i pensieri del giovane, trasportandolo in una realtà che gli sembrava ancora meglio di qualsiasi mondo immaginario. E tutto perché lei era lì.
"Certo, se hai voglia ti ci porterò." sorrise il ragazzo.
Dorothy ricambiò, continuando poi a mangiare.
"Ti porterei ovunque." pensò Alex, tra sé e sé.
Guardarono un film noir scelto da Dorothy, incentrato su una caccia a un misterioso serial killer. Aveva gusti singolari per una ragazza. Rovistando ogni tanto in un grande secchio di pop corn con burro e bevendo delle cola ghiacciate, si gustarono la proiezione.
Alex pareva abbastanza preso dalla pellicola, mentre Dorothy ne era del tutto catturata e non si perdeva una scena.
"Le piacciono proprio tanto i gialli..." constatò Alex, scrutandola di sottecchi.
Dopo qualche secondo sentì la sua manica venir tirata: Dorothy stava armeggiando tutta concentrata con la camicia che lui indossava.
"Cosa fai?" chiese Alex.
"Hai il risvolto sciolto, te lo sto aggiustando." replicò lei, sistemandogli la manica con premura.
"Oh, g-grazie mille."
"Nulla!"
Durante il resto della serata, Alex cercò il coraggio di spiegarle quella sensazione che provava solo insieme a lei, la confusione mista a gioia impressa nella sua mente, ma non trovò il momento adatto per molto tempo. Dopo il cinema, giocarono a bowling in una sala adiacente a esso: Dorothy mostrò tutte le sue abilità di mira, facendo strike ogni volta e stracciando Alex. Solo a un tiro la palla le sfuggì di mano, terminando dritta nello stomaco del ragazzo e provocando dunque le risate di un gruppetto di amici lì vicino.
Alex riuscì, ancora acciaccato, a fermare Dorothy prima che scatenasse il suo Kaika su di loro, anche se fu un'impresa piuttosto dura. Alla fine, il gruppo di ragazzi se la cavò solo con minacce di morte e insulti vari.
La serata volgeva ormai al termine, Alex e Dorothy erano sotto un grande ciliegio isolato in prossimità di una piccola terrazza con ringhiera vicina al cinema, da cui si poteva vedere in lontananza il mare sconfinato oltre il porto della città.
La ragazza pareva immersa in qualche riflessione interiore, dunque Alex pensò che quello fosse un momento adeguato per provare a rivelarle i suoi sentimenti, a dirle come si sentiva in sua presenza.
"È questo il momento giusto, devo approfittarne." rifletté. Mosse un passo verso Dorothy, raccogliendo il coraggio a due mani. "Ehm, ecco, Dor-" Non riuscì ad aggiungere altro.
Alex si ritrovò la ragazza a meno di un centimetro da lui, con le labbra fortemente premute contro le sue, quasi con violenza. Dorothy era scattata in avanti all'improvviso, come se qualcosa l'avesse spinta.
Alex fu colpito da quel contatto repentino, non era così che si aspettava che sarebbe andata. Non era quello che aveva sognato.
"Che succede? Così non va bene, è troppo irruente. Non doveva finire in questo modo." pensò, mentre Dorothy spingeva con forza le labbra contro di lui. Quel bacio era privo di delicatezza, sembrava quasi che Dorothy avvertisse un grande peso interiore, e che lo stesse trasmettendo di prepotenza ad Alex.
Il ragazzo le poggiò una mano sul fianco, cercando di contenerla, e tanto bastò per far allontanare di scatto Dorothy, con un sussulto. Si voltò, dando le spalle ad Alex, presa da un asfissiante senso di vergogna.
"S-scusa..." Dorothy guardò il terreno sotto i suoi piedi con tristezza. "Ho rovinato tutto!"
Alex si stava ristabilendo dalla sorpresa, il profumo della compagna ancora aleggiava sotto il suo naso. "Mi spieghi cosa c'è che non va? Parlami, Dorothy." Il giovane si sforzò di mantenere un tono calmo.
Lei tirò un lungo sospiro, continuando a evitare il contatto visivo con l'amico.
"Come sai, alcuni anni fa un uomo disgustoso approfittò del mio corpo più volte, sfruttando il fatto che fossi una sua schiava." iniziò.
"Ricordo. Ma questo ha qualcosa a che fare con me? Ti ho spaventata in qualche modo?" domandò Alex, affranto.
"No, no, assolutamente! Alex, tu sei perfetto. Sono io. Sono soltanto io il problema, sono una complessata, ecco la verità! Da quell'esperienza a Dismal ho sempre avuto paura del contatto fisico con altri ragazzi, e oggi ho provato a combatterlo per tutto il tempo in cui siamo stati insieme. Come risultato, ho finito per spaventarti e allontanarti da me."
"Dorothy..." mormorò Alex.
"Io... ho sempre vissuto con la consapevolezza che mi fosse negato amare. Quando ho incontrato voi, miei compagni, ho creduto che magari potesse non essere così, ma mi sbagliavo. Somber è in quello stato pietoso, Summer è morta davanti ai miei occhi. Capisci, ora?" La ragazza si morse il labbro inferiore, tremolante. "Ogni persona a cui mi affeziono finisce male! È destino, io non posso amare, non so farlo! Alex, io vorrei così tanto starti accanto e donarti il mio cuore... ma sono terrorizzata. E se anche tu soffrissi per colpa mia? Se morissi? Non potrei mai perdonarmelo. Voglio proteggerti, ma forse il modo migliore per farlo è che tu stia il più lontano possibile da una sventurata come me! A volte... a volte sento come se il mio corpo fosse un involucro che racchiude un abisso capace di diffondere solo dolore e oscurità!" sì sfogò, disperata, Dorothy.
Aveva cacciato tutto in una volta: le ansie, i timori e i giudizi negativi, nonché autocritici, nei confronti di sé stessa.
Nonostante le parole confortanti di Peter, quella mattina, ciò che aveva fatto pochi istanti prima, il modo in cui aveva quasi aggredito Alex, ai suoi occhi era un'ennesima prova della sua problematicità.
"Sono un mostro..."
Subito dopo aver pronunciato queste ultime parole, sentì le braccia di Alex cingerla fortissimo alle sue spalle. Dorothy emise un verso di sorpresa.
"Basta così, Dorothy. Non continuare, permetti a me di parlare, adesso." Le mormorò all'orecchio Alex. Lei ascoltò le sue parole, quasi trattenendo il respiro. "Non te l'avevo forse detto alla South Arena? Non ti avevo già fatto capire quanto tu fossi una fonte di luce e calore per me? Io, personalmente, credo che per ognuno di noi ci siano persone che solo al loro pensiero ci rendono felici, ci trasmettono quel sentimento di gioia e sicurezza, e ci fanno sorridere di cuore. Sono persone, queste, che nella vita non bisogna mai abbandonare, per nessuna ragione al mondo. Sai, quando ero a Northfield nei momenti più difficili e incerti o quando mi sentivo giù, pensavo a te e lo facevo sempre in questi termini. Fantasticare su un futuro con te, una vita trascorsa insieme, mi rendeva così pieno di contentezza da far tremare tutto il mio corpo." Mentre le spiegava ciò che provava, sul viso di Alex era disegnato un sorriso amorevole e benevolo, misto a un'espressione sofferente che pervadeva i suoi occhi azzurri.
"A-Alex..." bisbigliò Dorothy, incredula.
"L'involucro di un abisso oscuro? Come potrebbe mai una cosa del genere essere legata a una ragazza come te? Ogni volta che ti ho guardata ho percepito solo gentilezza, un'anima con più amore da donare di chiunque altro. Anch'io voglio proteggerti, Dorothy, e voglio farlo standoti vicino per sempre. Quindi, per favore..." Alex la strinse più forte a sé, delle lacrime scesero lente lungo le sue guance. "Non dire più cose di quel genere, o mi farai soffrire davvero..."
Dorothy tremava, abbracciata a lui, impressionata da quelle parole d'amore rivolte verso di lei. Nessuno le aveva mai parlato in quel modo, le sembrava quasi impossibile che fosse vero. Si voltò, guardando Alex dritto negli occhi, stavolta senza timore o imbarazzo, ma specchiandosi in essi e mostrando la vera sé stessa al ragazzo di fronte a lei.
"Che ne dici, riproviamo?" mormorò in tono dolce Alex.
"Sì..." rispose Dorothy, avvicinandosi piano a lui.
Questa volta, il loro bacio fu tenero e delicato. Attraverso il contatto delle loro labbra, Alex le trasmise tutti i suoi sentimenti e le sue intenzioni, la volontà di difenderla e di rimanerle sempre accanto. E così Dorothy condivise con lui le sue insicurezze, le sue speranze e l'amore che voleva donargli.
Entrambi furono attraversati da un forte brivido lungo tutto il corpo, e da una vampata ardente che si propagò dentro di loro. Quando si divisero, continuarono a fissare l'uno gli occhi dell'altra, permeati da un potente senso di fiducia reciproca.
"Oh, Alex." Dorothy affondò il viso nel suo petto.
Lui le accarezzò la nuca con le dita. "Non ti lascerò più sola."
Nella brezza salmastra oceanica si avvertiva solo il tanfo nauseabondo della morte.
Detriti di una nave erano sparsi sul mare, corpi bruciati e senza vita galleggiavano nell'acqua con i loro occhi privi di luce rivolti verso il cielo, azzurro e immobile. L'odore delle fiamme che bruciavano il legno si espandeva per diversi metri, rendendo l'aria rarefatta e irrespirabile. Non che ci fosse qualcuno in vita per respirarla.
Alcuni gabbiani volavano in tondo sopra i resti dell'imbarcazione, preparandosi a banchettare con i cadaveri. L'unica figura che pareva ancora in vita, seppur a stento, si trovava in cima all'albero maestro, in pendenza, sopra lo scafo immerso a metà nell'oceano.
Era legata sul punto piu alto, con le labbra secche per la disidratazione e gli occhi ormai quasi spenti, opachi.
I capelli, completamente verdi, ondeggiavano in quel vento di morte, cascando davanti alle sue palpebre semichiuse.
La ragazza boccheggiava, ormai prossima a spirare, sola e impaurita, senza avvertire nemmeno più la fame, fino a qualche giorno prima insopportabile. La sua vita stava per volgere al termine, ma prima che ciò accadesse, la vittima maledì quelle acque su cui erano state compiute malefatte disumane, maledì il giorno in cui aveva preso il mare e maledì l'umanità stessa per il modo in cui l'aveva trattata.
L'orripilante visione sbiadì nel momento stesso in cui il capo della ragazza si piegò di lato con un ultimo movimento, prima di smettere di muoversi per sempre.
Un urlo agghiacciante seguito da una saetta.
Somber si svegliò di soprassalto.
Respirava con pesantezza, aveva il fiatone e il cuore gli batteva all'impazzata nel petto. Si guardò intorno, non riconoscendo la bianca stanza d'ospedale illuminata dai raggi solari mattutini in cui si trovava.
"D-dove sono..?" pensò mentre ancora respirava a fatica. Si voltò e si accorse che, con la testa appoggiata al materasso di fianco a lui, c'era Dorothy, la mano prossima a dov'era quella del ragazzo fino a poco prima. "Dorothy?"
Il rumore che Somber aveva provocato svegliò la ragazza, ancora vestita con l'abito giallo ocra e pettinata con il codino a fontanella. Dorothy si strofinò le palpebre, assonnata, mettendo per gradi a fuoco l'immagine del ragazzo seduto e sveglio vicino a lei. Sgranò gli occhi a quella visione, le pupille le si dilatarono. Sul suo viso si formò tutto a un tratto un'espressione stupita e colma di gioia pura.
"Somber!"
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