Capitolo 44
Gli occhi di Karen si abbassarono, posandosi sui due ragazzi che la stavano osservando con sorpresa e ammirazione allo stesso tempo. "Ma voi siete..." accennò. Riconobbe i profondi occhi blu di Peter e i capelli lisci e biondi di Alex.
"Allora sei davvero tu, Karen? È passato molto tempo, eh?" esordì il primo.
"Ci eravamo salutati alla South Arena." gli fece eco il compagno.
"Ah, sì! Ricordo..." mormorò lei. "Mi avranno sentita cantare?" rifletté, imbarazzata al pensiero.
La ragazza balzò giù dal tetto del piccolo camper bianco tenendo la chitarra in una mano, e atterrando davanti ai compagni. Indossava una canottiera nera piuttosto leggera, nonostante il rigido clima serale e il venticello freddo che soffiava costantemente.
"Non mi aspettavo sapessi cantare." affermò Peter, sorridendole.
"Allora mi hanno sentito! Che vergogna..." pensò la ragazza.
"Ma non hai freddo conciata in quel modo?" chiese Alex, subito dopo.
"Ecco, io non sento quasi mai freddo. Sono fatta così."
"Davvero?" Lo sguardo di Peter si spostò verso il bracciale di un grigio scuro che la ragazza indossava intorno al piccolo polso. Era molto sottile e aveva la forma di un drago affusolato dalle fauci spalancate, sembrava un lavoro ben curato. "Ehi, figo quel bracciale! Dove l'hai preso?"
"Oh, beh... me l'ha fatto mio padre anni fa." rispose lei, nascondendolo in fretta e furia con l'altra mano. Peter assunse un'aria interrogativa, ma lasciò correre.
"Allora, cosa ci fate voi qui a Northfield?" Karen si affrettò a cambiare argomento.
"Dobbiamo svolgere un incarico importante, roba da Guardians professionisti." disse Alex.
"Sai, ce l'ha affidato direttamente il presidente Faraday." aggiunse Peter con fierezza.
"È così, allora? Fantastico, mi fa piacere che ve la passate bene." rispose lei, sorridendo.
"Tu invece che fai da queste parti? E soprattutto, cos'è successo qui intorno? È tutto pieno di fiamme e bruciature." domandò Alex, allargando le braccia in modo plateale.
Infatti, i campi di grano, già più radi di loro in quel punto delle sconfinate distese dell'entroterra di Northfield, erano bruciacchiati e anneriti, specialmente attorno alla zona vicina al camper dove la giovane sostava. Doveva essere accaduto qualcosa, e a giudicare dall'assenza di fumo e dall'odore troppo rado di bruciato, era successo almeno da un giorno. I due ragazzi si chiesero cosa c'entrasse, la ragazza dalle ciocche fiammanti, con quello scenario suggestivo.
"È una storia lunga e noiosa da raccontare. Vi basti sapere che stavo cercando una persona, in realtà la starei ancora cercando." Karen sembrava molto più sicura del solito mentre diceva quelle parole, facendo contrasto con il suo tipico atteggiamento timido che spesso dimostrava scarsa autostima.
Peter e Alex si chiesero cosa mai avesse passato prima di incontrarli di nuovo. Sembrava avesse acquisito maggiore consapevolezza e fiducia in sé stessa rispetto all'ultima volta che l'avevano vista, anche se a sprazzi si comportava ancora alla sua vecchia, timida maniera.
"E questa persona si trova qui a Northfield, immagino." constatò Peter.
"Non saprei, potrebbe essere. So che di recente probabilmente è stata qui, quindi lo spero, più che altro." ribatté Karen.
"Ehi, perché non ti unisci a noi, nel frattempo? Magari così riuscirai anche a trovare chi stai cercando."
"Ecco..."
"Non essere invadente, Peter!" lo rimproverò Alex, infliggendogli una lieve botta dietro la nuca.
"Ahia! Mi fai male, dannato." si lamentò l'altro.
"No, no! Mi farebbe piacere, molto. In realtà, sono stufa di viaggiare da sola in questa terra sconosciuta." Karen sfoggiò un sorriso sincero misto a una punta di ironia per il comportamento vitale dei due.
Peter ricambiò con uno a trentadue denti. "Perfetto, allora!"
"Ma la cosa andrà bene a Mary-Beth?" chiese Alex, dubbioso.
"Ma sì, lei è un tipo molto aperto in fondo."
"Ma le sai valutare le persone?"
"Eh?"
"Giudichi con troppa leggerezza."
"Ma che vuoi?!" Peter e Alex continuarono a discutere in modo acceso, mentre Karen ridacchiava alla scena. Poi, la ragazza ripose la chitarra che teneva nella mano destra all'interno della custodia, portandola a tracolla dietro la schiena, e i tre amici si misero in cammino, facendosi largo attraverso il grano bruciato intorno a loro.
"Per me non c'è nessun problema, più siamo e meglio è." Mary-Beth aveva acconsentito con estrema facilità alla partecipazione di Karen riguardo l'incarico, di cui Peter e Alex avevano parlato a quest'ultima durante il tragitto.
"Che ti avevo detto, razza di musone?" Peter rinfacciò la cosa all'amico.
"Musone a chi? Come ti permetti?"
Karen intanto si guardava intorno con aria affascinata, studiando la confortevole casa di legno di Mary-Beth. Al centro del grande salone che costituiva quasi tutta l'abitazione, vi era un tavolo rettangolare molto rustico e con alcuni segni di usura sulla superficie legnosa, solitamente coperta da una tovaglia. Sulla sinistra, sospesa sulla parete accanto alle scale per il piano superiore, una testa d'orso finta decorava l'ambiente rendendolo ancora più suggestivo, e poco più in là, verso destra, c'era la porticina bianca che conduceva alla camera della proprietaria. Oltre a questo, il mobilio e le piantine sparse sui davanzali delle finestrelle erano piuttosto puliti e ordinati nella loro semplicità. Tutto era immerso in una soffusa luce gialla che conferiva al rifugio calore e luminosità.
"Sa molto di familiare qui." commentò la ragazza, con un'espressione serena sul viso.
"Sono contenta che ti piaccia. Io mi chiamo Mary-Beth Bloomfield, piacere."
"Io sono Karen Gazinsky. Piacere mio!" Le due si strinsero affettuosamente la mano.
"Rimane il problema di dove farti dormire. Eviterei di lasciarti con quei due pazzoidi..."
"Eh?" Peter e Alex si voltarono distrattamente verso di lei, interrompendo per un istante il loro battibecco di sottofondo.
"Direi che non c'è altra scelta, dormirai insieme a me." affermò Mary-Beth con un ghignetto compiaciuto.
"O-ok! Per me non c'è problema!" esclamò Karen.
"Ehi, non farti mettere i piedi in testa da questa contadina, mi raccomand-aaah!" Peter fu colpito alla testa da un mestolo di legno lanciato con grande forza.
"Contadina a chi? Chi ti ha dato questa confidenza?!" urlò Mary-Beth, inferocita.
"Sei peggio di uno scimpanzé!"
"Che hai detto?"
Karen osservò stranita la scena, ma poi rise di gusto. "C'è proprio un'atmosfera allegra." commentò, gioiosa.
Mangiarono insieme un'abbondante cena a base di stufato di carne e deliziose verdure grigliate, tutto cucinato da Mary-Beth. "È tutta roba che coltivo nel mio orto sul retro della casa." aveva affermato con orgoglio, riferita alle verdure.
Si divertirono molto durante la serata, scherzando e conversando allegramente, e quando furono tutti sazi e stanchi, decisero di andarsene a dormire. Karen aveva dimenticato i vestiti nel camper, così Mary-Beth le aveva prestato uno dei suoi pigiami pesanti, che lei indossò nonostante avesse le guance arrossate per il calore eccessivo che le trasmetteva, misto all'imbarazzo nel farsi vedere in pigiama da Peter e Alex.
"Che hai da guardare?" chiese infatti al castano, mettendo il broncio, sormontata dalla lana bianca che la rivestiva.
"N-niente. Non ti sto mica guardando..." ribatté Peter, che in realtà aveva pensato che fosse estremamente carina conciata in quel modo.
Lei si voltò, dirigendosi verso la camera di Mary-Beth che già stava sonnecchiando.
"Allora, buonanotte..." la salutò Peter.
Karen lo fissò qualche secondo. "Notte." replicò alla fine, esibendo un sorriso dolce che fece arrossire il ragazzo.
Peter si diresse al piano di sopra, dov'era anche Alex, per dormire dopo quella giornata piena di sorprese. L'Energia Oscura, l'immagine di Dorothy e Somber oltre il varco aperto da Mary-Beth, lo strano comportamento evasivo di quest'ultima dopo l'allenamento e l'incontro con Karen. Con questi pensieri a occupargli la mente, il giovane entrò nel mondo dei sogni.
Era in quella casa angusta. Le pareti di legno apparivano così curve e irregolari che sembrava si stessero restringendo intorno a lui. Non sapeva perché si trovasse lì, era tormentato da una sensazione d'ansia e disagio costanti, aveva un brutto presentimento. Decise di avanzare in quell'ambiente così incerto, così tetro. Arrivò a una scalinata sulla sinistra che portava verso il basso, per poi risalire con un'altra piccola serie di scale che conducevano a un'isolata porta blu.
La aprì. C'era solo neve, tutto era di un bianco candido. Apparve una ragazza dai capelli indaco, girata di spalle. Si voltò verso di lui, ma la sua immagine era sempre così sfocata, non riusciva a distinguerla... avvertiva solo quel forte senso di nostalgia e familiarità.
La ragazza si dissolse lentamente e lui iniziò a provare un forte sentimento di rancore, di rimpianto. Di odio e tristezza.
Di rabbia.
La neve scomparve e d'un tratto, tutto lo spazio intorno a lui diventò blu. Tra le sue mani comparve un diario sgualcito. Lui lo aprì.
Per un istante, sulle pagine bianche si formò l'immagine fugace di un demone terrificante, con corna curve e occhi di sangue, che lo terrorizzò.
Rancore, rimpianto, odio, tristezza, rabbia.
Si svegliò di scatto.
Era mattina.
"Che razza di sogno..." Peter si asciugò il sudore dalla fronte. Alex non era in camera, probabilmente stava facendo colazione al piano di sotto. Mentre si alzava e rifaceva il letto, il ragazzo non riusciva a smettere di pensare a quell'incubo. Ne aveva già avuto uno simile ai tempi del torneo della South Arena. Cosa voleva dire?
Decise di non pensarci e uscì dalla camera per fare anche lui colazione.
In fondo era solo un sogno.
Arrivato al piano di sotto, Peter si imbatté come si aspettava in Alex intento a mangiare, e in una Karen ancora insonnolita con i capelli arruffati.
"Buongiorno!" lo salutò la ragazza.
"Ehi, Pete. Hai un aspetto terribile." lo accolse Alex.
"Mi sono appena svegliato, mi sembra ovvio." replicò lui, prendendo posto e iniziando ad addentare del pane con marmellata fatta in casa.
Mary-Beth doveva proprio avere molto tempo libero per produrre tutto quel cibo da sola nel corso dei mesi.
Una volta terminata la colazione, i tre amici si diressero nel cortile, dove li aspettava la loro maestra per l'allenamento giornaliero. "Eccovi. Quindi hai deciso di partecipare anche tu all'addestramento, Karen?" esordì.
"Io... sì, mi farà bene imparare qualcosa." confermò Karen, incerta.
"Tranquilla, la maestra sembra autoritaria, ma in realtà è un pezzo di pane." la tranquillizzò Peter.
"Tu sta' zitto." gracchiò Mary-Beth. "Bene, sai già utilizzare il Kaika, sembra. Perché non inizi facendoci vedere come lo controlli? Prova a farlo fluire attraverso il tuo corpo." si rivolse a Karen.
"Va bene..." La ragazza dai capelli d'un chiaro vermiglio cercò di concentrarsi più che poteva. Sembrava molto tesa.
"È troppo agitata." pensò Alex.
Karen fece fluire il Kaika come le aveva chiesto Mary-Beth. Una piccola massa amorfa di energia dal colore rossiccio si propagò attorno al suo corpo, spargendosi in ogni direzione senza alcuna simmetria.
"Non ha il minimo controllo del suo Kaika? Forse è nervosa." La studiò Peter.
"Non così. Avanti, prova a rilassarti e a controllare meglio la tua aura, cerca di limitarla il più possibile ai confini del tuo corpo."
Karen annuì al consiglio di Mary-Beth, ma per quanto si sforzasse, non era capace di indirizzare in nessun modo il suo Kaika, che continuava a sgorgare in modo asimmetrico da lei.
Il labbro inferiore iniziò a tremarle ed ebbe qualche sussulto dovuto all'imbarazzo che provava nel farsi vedere in quello stato pietoso.
"Non ci riesci?" chiese Mary-Beth con dolcezza.
Karen scosse la testa in tutta risposta, sembrava sul punto di piangere. "Che vergogna. Sono un disastro!" pensò, afflitta. Incrociò lo sguardo con Peter, che la stava osservando con aria stupita e interrogativa. "Non guardarmi! Smettila di guardarmi in quel modo!" Continuava a ripetere dentro di sé la ragazzina.
Mary-Beth avanzò verso di lei. "Va bene così, puoi fermarti."
Karen smise di emettere il proprio Kaika e abbassò lo sguardo, piena di vergogna.
"È chiaro che così non va. Sembra che tu non abbia il minimo controllo sul tuo Kaika. Mh, vediamo..." Mary-Beth appariva pensierosa. "Peter, vieni qui."
"Io? D'accordo." Lui si avvicinò alla maestra e Karen, mentre Alex osservava la scena in silenzio.
"Posiziona le tue mani sui fianchi di Karen." Affermò Mary-Beth.
"Che?!" esclamarono i due interessati all'unisono.
"Fa' come ti dico, fidati." La donna rivolse un sorriso rassicurante a Karen, che annuì.
Peter piegò dunque le gambe e appoggiò delicatamente le mani sui suoi fianchi, quasi come se fosse un vaso di ceramica che non voleva rompere.
"C-così?"
"Sì, bravo. Ora immettete entrambi il vostro Kaika. Peter, quando avverti l'energia di Karen, cerca di influenzarla con la tua in modo da controllarne il flusso. Credi di poterci riuscire?"
"Posso provare..."
"Ottimo, allora iniziamo."
Peter e Karen liberarono il loro Kaika. Il flusso privo di controllo proveniente da Karen si unì a quello del compagno, diminuendo in modo graduale il suo volume fino ad aderire man mano al corpo della ragazza.
"Sta funzionando!" esclamò Alex.
Durante il processo, Peter alzò per un attimo lo sguardo verso Karen, notando che era incredibilmente rossa in volto per l'imbarazzo. I suoi occhi si incontrarono per un attimo con quelli di lei, che distolse immediatamente lo sguardo, rivolgendolo verso il terreno. Anche Peter diresse il suo altrove, arrossendo.
Scorse ancora di sfuggita quel bracciale a forma di drago sul polso della ragazza: aveva qualcosa di familiare, ma non capiva cosa di preciso.
"Bene, può bastare." li avvertì Mary-Beth.
Peter si staccò da Karen, che trasse un lungo respiro, quasi come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
"Ha funzionato alla grande, direi. Continueremo man mano in questo modo fino a quando il Kaika di Karen non si abituerà a essere manipolato e lei riuscirà a controllarlo liberamente." concluse la maestra.
"Io... grazie mille. Le sono molto grata, maestra." sussurrò l'allieva.
"Di niente, avevi solo bisogno di una spinta, dopotutto. Non conosco il motivo di questa mancanza di controllo del Kaika, ma la supereremo insieme, quindi sta' tranquilla. E dammi pure del tu!" Mary-Beth le rivolse un sorriso allegro.
Il viso di Karen sembrò illuminarsi dalla gioia. "Sì!"
Mary-Beth si voltò poi verso Peter, scrutandolo per qualche secondo. "Allora, ti sei ripreso, piccioncino? Come arrossivi mentre le tenevi i fianchi!" lo incalzò con un'espressione maligna e sarcastica.
"M-ma che dici?! Sei terribile!" urlò lui, mentre Alex rideva.
"Ben ti sta per come mi hai preso in giro ieri!" rimbeccò il biondino, dando il cinque a Mary-Beth.
"Vi detesto, siete degli infami!" Peter diede loro le spalle, imbarazzato.
Incrociò lo sguardo con Karen, che stavolta gli rivolse un sorriso grato e al contempo innocente. "Grazie anche a te."
"D-di niente."
"Avete finito, piccioncini?" Provocarono gli altri, chiamandoli ancora in quel modo.
"Basta, voi due!"
Trascorsero il pomeriggio continuando l'allenamento: Karen migliorava lentamente, e nel frattempo Peter e Alex iniziavano a padroneggiare il controllo dell'aura anche sotto gli attacchi improvvisi di Mary-Beth.
Arrivò in questo modo la sera e tutti si prepararono per dormire.
Mentre Peter era sull'uscio di casa a prendere dell'aria fresca prima di andare a letto, avvertì una melodia in lontananza. Stavolta sapeva da chi provenisse. Infatti, aguzzando la vista, notò la figura di Karen seduta vicino alla staccionata, alcuni metri più avanti, al limitare tra il verde del giardino e l'oro del grano, opacizzati dal buio.
Peter decise di raggiungerla: voleva accertarsi che stesse bene dopo gli avvenimenti di quel pomeriggio.
"Ehilà." Quando arrivò alle sue spalle, Karen ebbe un sussulto e smise immediatamente di suonare.
"Ciao..." ricambiò il saluto.
"Era una bella canzone, non dovevi fermarti perché ci sono io."
"Beh, è che... Insomma, mi vergogno un po' a cantare davanti a te." Karen evitava il contatto diretto con gli occhi del compagno.
"Ma a che serve una bella canzone se nessuno può ascoltarla? Avanti, non fare la timida e fammi sentire, giuro che non ti prenderò in giro." Peter esibì un mezzo sorriso, guardandola dritto negli occhi.
Quelle intense e gentili iridi blu che la fissavano trasmettevano a Karen sicurezza e smorzavano in parte la sua timidezza. Sentiva di potersi aprire un po' con lui, di potersi fidare.
"Va bene, però ricordati che l'hai promesso. Niente prese in giro." Lei sogghignò con ironia.
"Assolutamente." Peter alzò la mano come se stesse pronunciando un solenne giuramento.
La ragazza sospirò e imbracciò la chitarra, iniziando a produrre delle lievi note mentre osservava lo scuro cielo notturno all'orizzonte. Poi, iniziò a cantare, con la sua chioma di capelli rossi che ondeggiava al vento:
"Ricordi sbocciavano le viole
Con le nostre parole
Non ci lasceremo mai
Mai e poi mai
Vorrei dirti, ora, le stesse cose
Ma come fan presto, amore
Ad appassire le rose
Così per noi..."
Peter ascoltava rapito la bellissima, delicata voce di Karen cantare quelle parole malinconiche. Il cuore gli si strinse, non riusciva a fare a meno di continuare ad ammirarla.
"... l'amore che strappa i capelli
È perduto ormai
Non resta che qualche svogliata carezza
E un po' di tenerezza
E quando ti troverai in mano
Quei fiori appassiti
Al sole d'un aprile
Ormai lontano, li rimpiangerai
Ma sarà la prima
Che incontri per strada
Che tu coprirai d'oro
Per un bacio mai dato
Per un amore nuovo
E sarà la prima che incontri per strada
Che tu coprirai d'oro
Per un bacio mai dato
Per un amore nuovo."
Karen terminò la canzone, appoggiando la vecchia chitarra al terreno, di fianco a lei.
"Allora, come ti è sembrata?" domandò, guardando l'altro.
Il ragazzo rimase senza parole per qualche secondo.
"Non ti è piaciuta? Troppo triste?"
"No, no, macché! Hai una voce stupenda, è un vero dono." Peter si riprese, riuscendo a rispondere in tono urgente.
Karen ridacchiò. "Scemo, non esagerare!" Non sembrava imbarazzata come prima: era come se, stringendo il legame con lui, si fosse aperta di più, rivelando un lato di lei molto più scherzoso e confidenziale. Che fosse quella, la sua vera natura?
"Dico sul serio." Peter assunse un'aria convinta.
"Allora ti ringrazio." Karen gli regalò un sorriso dolce che lo fece avvampare all'istante.
"A ogni modo, la canzone era piuttosto triste, ora che ci penso..." cambiò in fretta argomento lui.
La ragazza si incupì per un momento. "La cantava spesso mia madre, quando ero nata da poco. Purtroppo lei morì quando ero ancora in fasce, e così mio padre iniziò a cantarla al posto suo mentre crescevo. Solo che era incredibilmente stonato in confronto a mia madre! Alla fine, però, l'ha intonata tante di quelle volte che l'ho imparata anch'io a memoria."
"Dove si trova ora tuo padre?" chiese Peter.
"Anche lui non c'è più. Viaggiavamo spesso insieme con il suo camper, per questo ho voluto rimetterlo a nuovo e continuare a visitare vari posti." spiegò Karen, fissando malinconica i campi di grano immersi nell'infinita oscurità che si estendevano davanti a lei, oltre la staccionata.
"Mi dispiace. Pensavo fosse lui la persona che stavi cercando, a dire il vero."
"Oh, no, chi sto cercando io è una persona con cui sono cresciuta e che frequentava me e mio padre anni fa." disse lei con fare evasivo, senza aggiungere dettagli.
"È così, dunque..." sussurrò Peter, gettando lo sguardo sul bracciale al polso della ragazza. Decise di non indagare oltre per rispetto della sua privacy, sebbene fosse curioso sul suo passato e volesse saperne di più. Per il momento sarebbe stato meglio non affrettare le cose, era comunque contento che Karen si fosse aperta un po' con lui.
Rimasero seduti uno vicino all'altra per qualche altro minuto, mentre il vento notturno soffiava, accarezzando loro la pelle e facendo oscillare i loro capelli.
"Penso che tornerò dentro, inizio a percepire la stanchezza dell'allenamento." avvisò Karen a un certo punto. "Ti ringrazio per avermi ascoltata." aggiunse poi, fissando Peter con tenerezza.
"F-figurati, è stato un piacere. Tra poco rientro anch'io." rispose lui, distogliendo lo sguardo.
Karen gli rivolse un ultimo sorriso, prima di dargli le spalle, facendo volteggiare i capelli davanti al suo viso.
"Buonanotte."
Peter la osservò tornare all'interno della casa di Mary-Beth, l'animo ancora scaldato dal tempo passato con lei.
"Notte a te..." mormorò, con un'espressione stranita.
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