Capitolo 41
Il sole del tardo pomeriggio iniziava ad annegare tra le tinte rosee e arancioni del tramonto, mentre un leggero venticello soffiava tra i vasti campi di grano, producendo un lieve fruscio.
Immersa in quella tranquillità e in quel silenzio, una figura quasi impercettibile se ne stava appoggiata alla staccionata, sul limitare dell'ampio stradone che fungeva da confine tra i campi. A un primo sguardo quella sagoma femminile, con parte del viso nascosta sotto un largo cappello di paglia, sarebbe passata inosservata, quasi come se fosse stata parte del paesaggio.
A interrompere quella quiete fu un gracchiare proveniente da un corvo in lontananza. La donna sollevò leggermente il capo, notando il volatile che si arrestava sopra di lei e si appoggiava sul suo braccio: intorno a una zampa era legata una lettera.
Lei sciolse il nodo che teneva il foglio di carta legato al corvo, dopodiché lo accarezzò delicatamente, facendogli spiccare di nuovo il volo, e srotolò la lettera.
Lesse rapidamente il suo contenuto, seguendo le parole con un lieve movimento del capo e piegando poi nuovamente il foglietto con eleganza.
"Gli allievi di Fujiwara, eh?" accennò un piccolo sorriso da sotto il largo cappello. "Chissà..."
Peter e Alex erano all'esterno dell'imbarcazione, osservando il mare appoggiati al parapetto in ferro. Sopra le loro teste, dei gabbiani svolazzavano con costanza intorno al traghetto, talvolta tentando di acchiappare al volo qualche pesce, gettandosi in picchiata sull'acqua.
"Gabbiani. Questo vuol dire che ormai siamo vicini alla terra e prossimi a sbarcare." commentò Alex.
"Durante questi tre giorni c'è stata più pace di quanto mi aspettassi." rispose Peter, mentre dava le spalle al mare e poggiava le scapole sull'inferriata. "Quel tipo strano al porto non si è fatto vedere."
Alex sorrise con ironia. "Meno male, direi. Non avevo proprio intenzione di fare un casino su un traghetto in mezzo al mare."
"E ti credo." sghignazzò Peter. "Dopo quello che è successo a Gloomport Town..."
Ricordando quella notte, entrambi si rabbuiarono, la frustrazione dipinta sui loro volti. Erano morte tre persone davanti ai loro occhi senza che potessero fare niente per impedirlo, per non parlare di quello che Jansen aveva fatto a Dorothy. Loro stessi, insieme a Somber, sarebbero morti se proprio Dorothy, già in pessime condizioni, non si fosse quasi sacrificata. Al pensiero, Alex strinse i pugni fortissimo.
"Alex, noi dobbiamo assolutamente diventare più forti." Peter assunse un'aria più decisa. L'altro si voltò verso di lui, come attratto dalla sua tenacia. "Ho detto di essermi creato una nuova famiglia durante questi mesi. E se voglio godermi i bei momenti tranquilli insieme a loro, allora devo avere la forza per guidarli e proteggerli in quelli duri. È questo ciò in cui credo adesso." Il giovane concluse il concetto, scrutando l'orizzonte con occhi luminosi.
"È proprio diverso da quando diceva di voler solo vivere una vita semplice dopo aver scoperto qualcosa sui suoi genitori." rifletté Alex. "Adesso dà la priorità a ciò che si trova concretamente intorno a lui e che lo fa sentire bene, con la volontà di proteggerlo. Se prima mi trasmetteva sicurezza, adesso mi infonde anche la sua forza d'animo." Il ragazzo rise caldamente.
"Cosa c'è?" chiese Peter, indispettito.
"Niente, niente. È che sei incredibile."
"Così, di punto in bianco? Bah, non prendermi in giro."
Alex appoggiò il mento sul palmo della mano, con aria sognante. "Chissà cosa stanno facendo adesso. Se stanno guardando anche loro il mare come noi." bisbigliò, sorridendo.
"Dorothy e Somber? È probabile che quei due si stiano allenando. Ma noi di certo non resteremo indietro, giusto?" fece Peter.
"Ovvio. Darei di tutto pur di vedere Somber che nasconde la sorpresa per i nostri miglioramenti." scherzò Alex.
I due risero a quell'immagine formatasi nella loro testa.
Dopo qualche secondo in cui si avvertiva solo il verso stridulo dei gabbiani lacerare la quiete che aleggiava sull'immensa distesa d'acqua salata, Alex si staccò di colpo dal parapetto. "Ormai manca poco alla destinazione, vado a preparare le valigie. Vieni anche tu?"
"Io resto qui altri cinque minuti, poi ti raggiungo." affermò Peter.
"D'accordo, ma non trattenerti troppo, che non ti aspetto." lo avvertì Alex, sarcastico.
"Tranquillo."
Peter rimase solo a fissare le calme onde del mare infrangersi sulla superficie biancastra della nave. La serenità dilagava. Le incognite per il viaggio verso Northfield era seppellite in profondità dentro di lui, mitigate da quel momento di pausa che, pensandoci a mente lucida, gli ci voleva proprio per ricaricarsi.
A un certo punto, tuttavia, avvertì una presenza opprimente alle sue spalle.
"Mi scusi, sa dirmi dov'è il reparto ristorante?" domandò una voce che suonava sprezzante.
Peter si voltò di scatto.
Era lui.
L'uomo dalla cresta bionda.
I suoi occhi rosso acceso, osservò Peter, avevano un'aria infida. Quell'uomo trasmetteva una forte sensazione di pericolo solo attraverso la sua presenza.
"Cosa vuoi da noi? Non prendermi per uno stupido, ti ho visto al porto. Hai provato a intimorirci col tuo Kaika." lo affrontò Peter in tono minaccioso, fissandolo con i suoi intensi occhi blu, contrastanti con quelli sanguinari dell'intruso.
"Dritto al punto, eh? Allora chiariamo subito una cosa." Le sue mani scattarono fulminee, avvolgendo qualcosa intorno al polso di Peter. Il ragazzo avvertì una sensazione fredda sulla pelle.
Guardando in basso, si accorse che il suo polso era stato legato al parapetto con delle strane manette color grigio scuro.
"Ma quando?" pensò, allarmato. Era stato fin troppo rapido nel movimento. Provò a concentrare il Kaika per spezzarle, ma qualcosa non andava. "Non riesco a usare il Kaika!" constatò con orrore. "Ma che succede?"
"Cosa c'è? Senti che ti manca qualcosa?" lo sbeffeggiò l'uomo che si ergeva davanti a lui. "Lascia che chiarisca: quelle manette sono fatte di Galena. È un materiale che inibisce e ostruisce il flusso del Kaika all'interno del corpo. Se lo volessi, adesso potrei ucciderti facilmente."
Peter strinse i denti per la rabbia. "Galena? Ma che roba è?!" rifletté.
L'uomo gli stritolò violentemente le guance con le dita callose. "Stammi a sentire, la farò semplice." mormorò. "So che siete due dei nuovi allievi di Fujiwara Taiyo. Per stavolta voglio essere clemente perché siete dei ragazzini ingenui, ma ti avverto: non causate guai e non infastiditeci a Northfield, è chiaro?" Si allontanò da lui mollandogli il volto con uno strattone.
"Infastiditeci? Di chi parla?" si chiese Peter, mentre avvertiva le forze mancargli gradualmente, sempre di più.
"Ah, dimenticavo di dirti che la Galena prosciuga lentamente energia, rendendo esausti. Che sbadato... beh, a ogni modo ti saluto, bello." Il nemico si voltò, dando le spalle a un Peter privo di forze, ma con un'espressione ancora furiosa negli occhi. "Fossi in voi me ne tornerei indietro appena sbarcato a Northfield. Quel posto non è per voi. A proposito, io sono Russell se ti interessa. Russell West. Questo è il nome di chi ti farà a pezzi se deciderai di continuare a fare l'eroe spavaldo." Con quelle ultime parole di scherno, l'uomo si dileguò.
Peter rimase inginocchiato e legato al parapetto dell'imbarcazione, spossato ma inferocito. Il viso contorto in una smorfia di frustrazione. Quell'uomo l'avrebbe pagata per averlo umiliato così, promise a sé stesso.
Non avrebbe dimenticato il suo nome per niente al mondo.
Alex trovò il compagno alcuni minuti dopo. Era andato a cercarlo piuttosto contrariato, dato che non lo raggiungeva in cabina per aiutarlo con le valigie. Quando lo scorse, l'amico era quasi incapace di muoversi, seppur mantenesse ancora i denti appena un po' serrati per la rabbia.
"Peter!"
Con un'espressione grave, Alex lo scosse fortemente. Poi, notando le manette, provò a distruggerle con un'ascia di ghiaccio a cui diede forma al momento, ma non sortì alcun effetto.
"Cosa? Ma di che sono fatte?" Il ragazzo diede subito forma a una chiave ghiacciata, basandosi sulla forma della serratura, e in un istante aprì le manette liberando l'amico, il quale crollò a terra.
La chiave scomparve subito dopo il contatto con le manette, avvenuto per meno di un secondo.
"È possibile che si tratti di un materiale che annulla il Kaika?" pensò Alex, dubbioso.
Peter, nel frattempo, si riprese con calma. Una volta recuperato abbastanza fiato, spiegò cos'era accaduto poco prima ad Alex, che ascoltò con preoccupazione.
"Cosa facciamo, quindi?" chiese alla fine.
Peter si rimise in piedi. "Ovviamente andiamo avanti per la nostra strada. Non basta un fanatico arrogante per fermarci, questo è certo. Quel bastardo di Russell West si pentirà di avermi infastidito, te lo assicuro." Lo sguardo del Guardian era feroce, ancora irritato per come quel tipo lo aveva ingannato.
Alex lo aiutò a sostenersi, mentre l'amico riacquistava le ultime forze. "D'accordo. Ma per adesso manteniamo un profilo basso, ok?" propose.
I due compagni andarono a ultimare i preparativi per lo sbarco, di lì a pochi minuti sarebbero approdati sulle sponde di Northfield.
Una volta arrivati a destinazione e scesi sulla terraferma, Peter e Alex si stiracchiarono per bene, scrollandosi di dosso la spossatezza del viaggio in mare.
"Questa deve essere la città di Cobalt, il primo punto di sbarco della tratta che va da Southfield a Northfield." constatò Alex, guardandosi attorno.
"Sembra più silenziosa di quanto mi aspettassi." fece notare Peter.
Oltre il molo, di fronte a loro c'erano numerose abitazioni affiancate le une alle altre, dalle strutture simili, ma dai colori molto vari che sfociavano dall'arancione al viola, dal blu marino al granata, producendo un effetto ottico molto gradevole.
"Siamo nella zona portuale, quindi sarà un quartiere residenziale." dedusse Alex.
"Cominciamo la ricerca, allora. Cerchiamo un ristorante." proclamò Peter.
Ad Alex caddero le braccia.
"Che vuoi, ho fame! Non si può cercare un lavoro serio a stomaco vuoto." Si lamentò l'altro.
"E va bene, cerchiamo un luogo in cui mangiare. È ora di pranzo, in fondo." concesse Alex, sospirando.
I due trovarono poco più avanti una tavola calda vicino a una piazzetta stranamente desolata. Anche il locale era quasi vuoto, ma Peter e Alex non ci fecero molto caso e si ingozzarono mangiando metà del menù, con i soldi di Takeshi.
"Quel samurai pelandrone è stato gentile a prestarci del denaro." farfugliò Peter con la bocca piena di ramen, mentre lo mandava giù con un gran sorso di cola.
Alex dal canto suo si stava rimpinzando di polpettine al sugo da almeno cinque minuti. "Ma sarà il modo giusto di spenderli?" chiese con poca convinzione.
Peter terminò la terza porzione di ramen, poggiando bruscamente la ciotola sul tavolo e chiudendo in bellezza con un sonoro rutto che riecheggiò in tutta la sala. "Ma sì, per cos'altro ce l'avrebbe prestato altrimenti? Non c'è niente di più gratificante e utile di una mangiata." affermò, tutto soddisfatto.
"In fondo hai ragione..."
Mentre ridacchiava insieme al suo amico, Alex notò una ragazza mingherlina che gettava ogni tanto occhiate furtive verso di loro, in fondo alla sala. Accorgendosi di essere stata notata, la ragazza si alzò, e si diresse verso i due.
"Ehm, scusate..." esordì la giovane, quando raggiunse il loro tavolo.
Peter e Alex volsero la loro attenzione verso di lei. A prima vista sembrava un po' più bassa di loro. Portava lunghi capelli di un grigio scuro che si avvicinava al blu, con due piccole treccine laterali che andavano a legarsi dietro la sua nuca. Gli occhi di un blu marino erano molto intensi e mostravano un'espressione serena ma allo stesso tempo un po' spaesata, come se cercasse costantemente di mantenere la calma in una situazione incerta.
"Che è?" fece Peter in modo sguaiato.
Alex gli assestò un colpo sordo alla testa per zittirlo, con grande sgomento della ragazza.
"Accidenti a te, perché l'hai fatto?!" si lamentò lui.
"Devi scusarlo, è un idiota. Allora, cosa possiamo fare per te?" esordì con gentilezza Alex.
"Ah, ecco... io mi chiamo Sybil. Non ho potuto fare a meno di notare che siete nuovi della zona, è così?" domandò lei con voce sommessa.
"Si vede così tanto? Accidenti..." mormorò Alex, scoraggiato.
"Potrei indicarvi il centro della città, se volete." propose Sybil.
"Ci sarebbe di grande aiuto, grazie mille."
"Sei molto gentile." aggiunse Peter, massaggiandosi la testa ancora dolorante mentre lanciava qualche occhiata bieca al compagno di avventure.
"Oh, non è nulla. Prego, seguitemi." sorrise lei con dolcezza.
I tre uscirono dalla tavola calda e si diressero verso nord, con Sybil che faceva da guida attraverso il quartiere residenziale adiacente al molo. La strada che stavano percorrendo era larga e costeggiata da case di piccole dimensioni con balconcini spesso decorati da varie pianticelle. Alcuni cartelli nei dintorni segnalavano che la zona fosse pedonale, con divieto di transito per i veicoli.
"Sei la nostra salvezza, Sybil. Ti siamo debitori." Peter la ringraziò ancora, mentre camminavano. "Comunque, io sono Peter, mentre il mio amico violento qui vicino è Alex."
"Figuratevi. Per una volta almeno sono io a mostrare a qualcuno una cosa che ricordo." rispose la ragazza.
"Che intendi?" Alex aggrottò le sopracciglia.
"Ecco, mi vergogno un po' a dirlo, però..." Sybil abbassò gli occhi. "Un po' di tempo fa ho battuto la testa e ho subito un forte trauma, credo. Da allora non ricordo niente del mio passato, né delle mie origini."
Peter sussultò. "È come noi." pensò. "Non ha ricordi delle sue origini, anche se per motivi differenti dai nostri." Assunse un'aria compassionevole, iniziando a provare affetto per quella ragazza dall'aria tanto confusa. "Deve essere dura. Anche noi non conosciamo nulla sul nostro passato, quindi possiamo capirti."
"Avete battuto anche voi la testa?"
"Ehm... no, non direi."
"Noi siamo orfani." intervenne Alex. "Veniamo dall'orfanotrofio di Jolly Hall, a Southfield."
"Oh, allora siete lontani da casa." Sybil si voltò verso di loro, sorridendo in modo ironico e al contempo molto gentile.
Ammirandola, sia Peter che Alex arrossirono. "È adorabile!" pensarono all'unisono.
Passò qualche altro minuto tra stradine circondate parallelamente da basse catapecchie in cemento dipinte di roseo, bianco o beige, nonché larghe piazzole completamente spopolate. Continuarono a conversare amabilmente, come se una campana di vetro li estromettesse dal mondo circostante. I due amici raccontarono aneddoti sulla loro vita all'orfanotrofio e Sybil rise spesso, ponendo diverse domande con sincera curiosità e affermando, mesta, di invidiare un po' le loro memorie così nostalgiche.
Dopodiché, i tre giunsero su un lungo stradone puntellato da sporadiche casette di legno per diversi metri.
"Proseguendo dritto su questo stradone arriverete al centro della città. Lì troverete meno desolazione e più gente di sicuro." Li informò Sybil, indicando la via con il dito. "Ora devo andare, scusate se vi lascio qui. È stato bello parlare con voi." si congedò.
"Macché, sei stata anche troppo disponibile." la tranquillizzò Alex.
"Grazie mille!" gli fece eco Peter.
Sybil sorrise caldamente, poi si incamminò lenta nella direzione da cui erano venuti.
I due amici continuarono ad avanzare sullo stradone con entusiasmo, galvanizzati dal fatto di aver trovato una possibile nuova amicizia in quel posto sconosciuto. Sarebbe piaciuto a entrambi rivedere quella giovane dall'aspetto mite e angelico. Il loro entusiasmo continuò a guidarli a lungo, forse anche troppo.
Finché non si accorsero di essere finiti fuori città.
Avevano già nutrito dei dubbi quando le abitazioni erano diventate più rade, ma adesso che si trovavano in mezzo a sconfinati campi di grano che circondavano una larga e rovente via asfaltata ne avevano la certezza: quella ragazza li aveva condotti fuori strada.
"Mi sa che quella ci ha portati da tutt'altra parte rispetto al centro." gracchiò Peter.
"Anch'io inizio a pensarlo..." Alex prese a ridacchiare istericamente.
"Anche noi seguiamo una ragazza che ha perso la memoria però, eh?"
"E se l'avesse fatto di proposito?" Il biondino la buttò lì.
"Che vuoi dire?" domandò Peter.
"Non so, mi è sembrata fin troppo precisa nel seguire questo itinerario per condurci dove siamo adesso. Forse era la sua intenzione fin dall'inizio." ipotizzò l'altro.
"Potresti avere ragione... accidenti, siamo in mezzo al nulla! Ci tocca tornare indietro e..."
"Ehi, voi due."
Peter fu interrotto da una voce femminile piuttosto decisa. I due amici rivolsero la propria attenzione verso la zona da cui proveniva il suono. Pochi metri alle loro spalle, senza che l'avessero nemmeno notata, una donna minuta era appoggiata alla staccionata al limitare dello stradone.
Portava un largo cappello di paglia che le copriva gran parte del viso. Con una mano sollevò il copricapo, mostrando due penetranti occhi rosa.
"Per caso vi serve aiuto?"
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