Capitolo 4
Peter e Alex camminavano faticosamente sostenendosi l'un l'altro, ormai vicini alla fine del boschetto. Avevano conquistato le loro chiavi, la numero quattro per Peter e la sedici per Alex, ma il morale non era alto.
"Mi spiace di averti lasciato solo a combattere quel mostro. Saresti potuto essere morto adesso, tutto per colpa della mia mancanza di attenzione. Avrei dovuto proteggerti." Peter si sentiva in colpa per essersi fatto cogliere di sorpresa in quel modo da Connor, costringendo il sensibile compagno a difendersi in una situazione disperata.
"Anche insieme non avremmo avuto possibilità contro di lui. Il risultato sarebbe stato lo stesso. Speriamo di non incontrarlo ancora più avanti." gli rispose Alex, che era tutto indolenzito e aveva ancora la guancia gonfia per il pugno poderoso che aveva ricevuto. Per fortuna almeno il polso non sembrava essere rotto.
"Non credo ci sia qualcuno in grado di batterlo in questo concorso." ribatté Peter. "Però meglio stare comunque attenti."
Proseguirono nel loro andazzo flemmatico nel fitto del bosco finché videro che in lontananza, a più o meno trenta metri, gli alberi terminavano e c'era un largo spiazzo con delle porte nere adiacenti tra loro, incastonate sulla superficie rocciosa di una grande e brulla collina che si estendeva in orizzontale per diversi metri.
"Deve essere il punto d'accesso alla terza prova!" esultò Alex.
I due avanzarono il passo, arrivando alla piazzola. Non c'era nessun altro. Erano tra i primi o tra gli ultimi? Avevano perso molto tempo per riprendersi dalle ferite, almeno un'ora o poco più.
"Immagino non ci resti altro da fare che aprire le porte." asserì Alex.
Si posizionarono davanti alle porte corrispondenti alle loro chiavi. Entrambi erano frementi e un po' intimoriti dall'ignoto che si parava loro davanti.
"Non so cosa ci aspetti, ma se non dovessimo sbucare nello stesso luogo, mi raccomando: non rimetterci la pelle e non fare stupidaggini." Peter ammonì Alex.
"Scemo, questo dovrei dirlo io a te..."
I due si scambiarono un rapido cenno, poi spalancarono le loro porte e scomparvero all'interno dello spazio nero dinanzi a loro.
"Eh??!"
Peter e Alex stentavano a crederci.
Erano passati cinque minuti, in cui entrambi avevano seguito gattonando due cunicoli composti di pietra piuttosto lunghi e bassi, e alla fine si erano visti sbucare dalla parte opposta della stessa stanza.
E non solo: in mezzo alla sala, delimitata da pareti di roccia piene di rilievi, con la loro aria truce troneggiavano anche Somber e Dorothy.
I cunicoli terminavano su piattaforme della forma quadrata, distanziate dal pavimento della stanza solo da pochi metri d'altezza.
"Ma quanta sfortuna ci vuole per capitare proprio con voi due?" sbottò Somber.
"Ehi, la cosa è reciproca, maledetto." gli rispose per le rime Peter, una volta raggiunti i due con un saltello.
Dorothy notò subito la ferita alla guancia di Alex non appena posò lo sguardo sulla sua sagoma barcollante.
"Fa' vedere, Alex. Cos'è successo?" si avvicinò, preoccupata.
"Oh? Ma no! Non è niente, Dorothy, davvero. Credimi, io..."
"Mi ha difeso, ha combattuto da solo contro un tipo fuori dalla nostra portata. Io mi sono lasciato sorprendere come uno stupido." spiegò con amarezza il suo amico d'infanzia.
"Peter..." Dorothy gli poggiò una mano sulla spalla. "Non è colpa tua." lo tranquillizzò con aria rassicurante. Poi, si rivolse ancora ad Alex, gentile. "Vieni, ti medico le ferite."
"Sul serio, non ce n'è bisogno."
"Che c'è, hai paura di me?" gli sorrise lei.
"M-ma che dici, come ti salta in mente?!" arrossì lui.
Dorothy rise di gusto. Dopodiché, cominciò a medicarlo lentamente, tamponandogli la guancia con il viso a poca distanza dal suo, mentre saggiava le condizioni del suo polso tastandolo, delicata, con i polpastrelli. Alex faceva del suo meglio per non guardarla negli occhi ed evitare di diventare completamente rosso.
Peter, nel frattempo, si approcciò a Somber, che si stava guardando attorno da un po'.
"Allora, in cosa consiste la prova?"
"Non so, ma osservando le vostre chiavi ho notato una cosa: voi due avete la numero quattro e la numero sedici, mentre io e Dorothy le numero otto e dodici. Non credo sia una coincidenza: probabilmente, si riuniscono in stanze diverse gruppi che possiedono chiavi con quattro numeri di differenza tra loro. È possibile che dovremo cooperare."
Peter studiò il luogo in cui si trovavano. C'erano in tutto otto corridoi che spuntavano su altrettanto piattaforme tutte attorno alla sala, e al centro uno ampio spazio vuoto, dov'erano loro. Nell'unica zona senza cunicoli, sulla destra, si stagliava un portone con otto serrature chiuse, quattro a destra e quattro a sinistra.
"Ci sei arrivato anche tu, finalmente?" incalzò Somber.
"Sì... dovremo affrontare altri quattro concorrenti per aprire quelle serrature."
Proprio in quel momento, avvertirono delle voci in avvicinamento, provenienti dai cunicoli circostanti.
"Ma quanto è lungo questo corridoio, si può sapere?" La prima voce proveniva da uno di quelli sulla sinistra.
"Finalmente la fine!" Un'altra risuonava poco distante dalla precedente.
"Evviva!" Una voce femminile invece proveniva dal corridoio davanti a Peter.
"Era ora." concluse l'ultimo partecipante in arrivo.
Spuntarono poco a poco tutti e quattro i concorrenti, ritrovandosi di fronte al gruppo di giovani aspiranti Guardians.
"Ehi, altri quattro." disse, sorpreso, l'uomo che era uscito per primo.
"Che?! Ce ne sono altri, che bello!" la ragazza che era appena sgattaiolata al'esterno era a dir poco raggiante.
Peter la riconobbe come quella allegra che parlava con un ragazzo molto austero, nelle prove precedenti. E infatti quest'ultimo era proprio colui che era apparso prima di lei dal corridoio pietroso.
Gli altri due rimasero sorpresi quanto loro, ma mantennero il silenzio.
"Fossi in voi non sarei così allegro. Vedete quel portone? Solo quattro persone possono varcarlo, e a quanto pare voialtri siete i nostri sfidanti." spiegò Peter.
I quattro avversari cominciarono a scrutarli.
"Allora ci sarà da divertirsi!" urlò la ragazza. Aveva lunghi capelli blu acceso e occhi bianchi, e sembrava la più giovane del gruppo avversario.
"Deve avere più o meno la nostra età." pensò Peter.
"Sicuri che non si possa evitare? Non c'è un modo per venirci incontro?" chiese il ragazzo con capelli rosso scuro dall'aria apatica accanto a lei.
"Non fare il guastafeste! Piuttosto presentiamoci, dato che siamo nella stessa squadra. Il mio nome è Lily, Lily Sea!" quasi cantò la ragazza.
Il giovane sbuffò. "Me l'hai detto quattro volte dall'inizio del concorso, non fare la teatrale perché sei davanti a degli sconosciuti... E va bene, comunque io sono Marcus Flinn."
"E voi chi siete?" Lily si rivolse agli altri due.
"Io sono Jean." si presentò un ragazzo dallo sguardo sicuro con capelli e occhi neri.
"Albert." si limitò a dire quello che sembrava il più anziano del gruppo. Era rasato e molto muscoloso.
"Purtroppo non possiamo evitare lo scontro se vogliamo andare avanti, proporrei degli uno contro uno, se per voi va bene." disse Peter.
"Uffa, direi che non ci sono problemi a questo punto." borbottò Marcus.
"Aspetta, Peter. Alex non è ancora in condizioni di combattere, quindi se per te non è un problema mi occuperò io di due avversari." Somber appariva sicuro di sé mentre avanzava quella proposta, non era un atteggiamento arrogante il suo. Credeva davvero di farcela.
"Che dici? Ce la faccio eccome!" Alex protestò.
"Non dire sciocchezze, se hai affrontato chi credo farai meglio a riposarti e lasciare questa rogna a noi. E poi per me non è un problema affrontarne più di uno da solo." Somber esibì un ghigno per innervosire gli avversari.
"Oh oh! Abbiamo un arrogantello. Marcus, facciamolo secco questo nanetto!"
"Ehi, ragazzina, non trattarmi come se ci conoscessimo da anni. Comunque sia, anch'io ho voglia di far abbassare la cresta a questo tappo."
Somber si mise in posizione di fronte a Lily e Marcus, senza rispondere.
"Chi riuscirà a impossessarsi delle chiavi dell'avversario avrà vinto. Se mi battete, potete avere quella di Peter."
"Ehi! Chi ti ha dato il permesso?!" protestò quest'ultimo, ignorato però da tutti.
"A noi sta bene." rispose Marcus con aria stanca. Poi, si tolse la maglietta, mostrando un fisico scolpito in contrasto con la sua indole pacata, tanto che sorprese quasi tutti i presenti. "Hai fatto male a sottovalutarci, mi dispiace ma ora mi prenderò la tua chiave."
Lo scontro iniziò, Marcus e Lily fecero per andare incontro a Somber, ma lui sfrecciò rapidissimo in un istante nello spazio al centro tra loro, come aveva già fatto nella seconda prova contro quei due avversari nel bosco.
"Ehi, quanto corre questo?!" gridò Lily.
"Ma dove..?" Marcus era disorientato da una tale velocità e prontezza nei movimenti.
Somber coprì la distanza in un lampo e, come un borseggiatore provetto, estrasse con due movimenti secchi delle dita le chiavi dalle cinture dei due, ritrovandosi alle loro spalle col bottino tra le mani.
"Dicevate? Non dovevate rubarmi la chiave?" I due si voltarono di scatto. Somber era dietro di loro, con in mano le loro chiavi. Erano la numero tre e la numero undici.
"Ma come hai fatto?!" Lily stentava a crederci.
"Assurdo, è stato un lampo." sussurrò Marcus.
Anche Peter e Alex erano sorpresi. Dorothy invece sogghignava. Da orfana a Dismal anche lei ricordava di dover essere veloce a correre e rubare ciò di cui aveva necessità per sopravvivere. Anche se doveva ammettere che non possedeva la stessa furtività di Somber nel farlo.
"Siete troppo distratti e pieni di aperture, io ne ho semplicemente approfittato. Ringraziate che non fosse uno scontro all'ultimo sangue, altrimenti ora non staremmo qui a parlare del perché avete perso." Somber si avviò verso Peter e gli altri, giocherellando indifferente con le chiavi.
"Cavolo, a quanto pare sono capitato con degli sprovveduti." Albert si stava avvicinando al centro della stanza. "E va bene, dovrò occuparmene io allora." si approcciò a Peter, che gli rivolse un'occhiata minacciosa a sua volta.
"Che ne dici se invece ci affrontassimo in un due contro due?" intervenne Dorothy. "Sai, sto cominciando ad annoiarmi e vorrei farla finita."
"Oh, che spirito! Sei proprio il mio tipo, sai, ragazzina? Ehi, bestione, facciamo come dice. Magari dopo che avremo vinto ci potremo fare una chiacchierata in privato, che ne dici, dolcezza?" Jean rivolse un cenno di intesa a Dorothy, piazzandosi di fronte a lei.
"Non ti conviene avere a che fare con me. Avanti, Peter, facciamola finita."
"Ok, ci sto." rispose lui.
Alex però aveva un'espressione afflitta sul viso. Iniziava a sentirsi a disagio per non poter far nulla mentre i suoi compagni si battevano. Si sentiva inutile.
"Non sentirti in colpa." gli disse Dorothy con un tono dolce, notando di sottecchi il suo cambio d'espressione. "Tu hai già fatto abbastanza combattendo con quel mostro nel boschetto. Lascia il resto a noi, ok?"
"Dorothy... e va bene, stai attenta, mi raccomando." si sincerò il ragazzo.
Lei gli sorrise, poi si affiancò a Peter. I due gruppi si confrontarono per elaborare una strategia, dopodiché si posizionarono uno di fronte all'altro ed entro pochi secondi la battaglia iniziò.
Albert si gettò immediatamente su Peter, il quale riuscì a bloccare il suo diretto, incrociando le braccia. Emise un gemito di dolore: lui era molto forte per la sua età ma quel pugno era stato piuttosto potente.
"Ti distruggo, moscerino!" esclamò Albert.
Jean intanto stava incalzando Dorothy con un pugnale. La ragazza però danzava leggiadra intorno a lui ed evitava ogni fendente e affondo.
"Però! Sei brava a schivare, ragazzina. Non temere, non rovinerò quel tuo bel visino."
"Vogliono dividerci fin da subito." rifletté Peter, osservando la compagna di squadra pochi metri alla sua destra.
Un proiettile sfiorò repentinamente la guancia di Jean: Dorothy aveva estratto la pistola.
"Se vuoi combattere usando delle armi allora ti accontento." disse.
"Brutta..." bisbigliò l'avversario.
Peter approfittò del momento di distrazione causato dallo sparo per spingere temporaneamente via Albert, quindi scivolò sotto le sue gambe e corse verso Dorothy, tendendo le braccia e incrociandole come per compiere un bagher da pallavolista.
"Ora, Dorothy! Salta qui!"
Lei intuì le sue intenzioni e corse verso di lui, balzando sulle sue braccia.
"Ma che?" fece Jean, dopo che lei l'ebbe superato in corsa.
Dorothy venne lanciata in aria e si diede la spinta sul muro con le ginocchia, scagliandosi quindi su Jean, che non se l'aspettava affatto e venne travolto dal suo corpo in picchiata.
Fu stato scaraventato a terra. Dorothy lo teneva fermo con la pistola puntata direttamente nella sua bocca.
"Tranquillo, non rovinerò il tuo bel faccino. Se non farai stupidaggini..." gli sfilò la chiave col numero quindici inciso sopra con un sorriso bieco.
Peter si rivolse ad Albert. "Se fai qualcosa, il tuo amico si farà male. Dacci la chiave."
"Come se mi importasse!" Albert lo caricò a testa bassa. Si udì un rumore metallico prima che lo raggiungesse e la chiave numero sette volò via dalla cintura dell'omone, afferrata al volo da Peter.
Dorothy aveva sparato direttamente all'oggetto con incredibile mira.
"Dannati mocciosi... mi sa che avete vinto." ammise Albert.
"Beh, è stata colpa della vostra mancanza di gioco di squadra." spiegò Dorothy, disinvolta.
"Noi andiamo, allora. Non siete niente male, comunque, quel pugno di prima era pazzesco!" esclamò Peter, nei confronti di Albert.
Poi, insieme a Dorothy, raggiunse Alex e Somber, che si erano avvicinati al portone e si stavano scambiando dei cenni vincenti e delle pacche sulle spalle.
I quattro sconfitti li guardarono aprire le serrature.
"Pare che dovremo migliorare per entrare a far parte dei Guardians." disse Jean.
"La prossima volta ce la faremo!" squittì Lily, afferrando pimpante il braccio di Marcus.
"E lasciami. Te l'ho detto, noi non siamo conoscenti, non trattarmi come un vecchio amico..."
"E pensare che sono ragazzini." Albert intanto sorrideva, amaro. "Sono proprio prodigi del genere a diventare i più grandi Guardians."
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