Capitolo 36

La ragazza avanzava tra le pareti dorate interamente in pietra, con il cuore in gola e un'aria afflitta sul volto. La luce lunare soffusa che sgusciava dalle piccole finestre triangolari in alto illuminava la sua pelle blu scura, conferendole una tonalità vicina al grigio, mentre i suoi capelli viola chiaro sfociavano nel rosa.

Le spesse pietre gialline delle mura cosparse di fiaccole accese che la circondavano rendevano il luogo molto asciutto, anche se era notte. Arrivò davanti al portone, oltre il largo corridoio che dava sulla sala dove era destinata, sorvegliata da due guardie coperte da lunghi mantelli con cappuccio color avorio.

"Fatemi passare." ordinò la donna.

"Nobile Huô, il re ha chiesto espressamente di non essere disturbato." ribatté timidamente una delle due guardie.

Huô lo fulminò con lo sguardo.

Quei feroci occhi verde chiaro bastarono a convincere l'uomo di fronte a lei che se non l'avesse lasciata passare probabilmente non avrebbe visto l'alba. L'ingresso venne spalancato.

"Prego, nobile Huô."

Lei entrò senza degnare di uno sguardo le guardie, che richiusero il portone alle sue spalle.

"Mio re, giungo con notizie terribili." iniziò Huô, in tono addolorato.

"Lo so, l'ho avvertito. Hanno ucciso Feng." rispose l'uomo nell'ombra di fronte a lei. Solo dalla sua sagoma si riusciva a intuire che fosse di statura poderosa.

"Naturalmente. Non avrei dovuto dubitare del vostro eccezionale Vision Kaika."

"Risparmiami le adulazioni, Huô."

"Scusatemi, mio Signore, ammiro la vostra umiltà. Qual è dunque la prossima mossa?"

"Lo conoscevo da più di duecento anni... povero Feng. La sua morte deve essere vendicata." Un bicchiere fu frantumato in decine di pezzi nel punto in cui si trovava il sovrano. "Così come quella dei poveri innocenti trovati fuori dalle mura."

"Aspettavo solo di udire queste parole. Se permettete, vorrei occuparmi io di tutti loro." affermò Huô, pimpante.

"Non essere sciocca, hai visto cos'hanno fatto a Feng. Sì, è riuscito a uccidere uno di loro, ma il nemico si muove in gruppo e non va sottovalutato. Dobbiamo farli a pezzi separatamente e con strategia."

"Cosa proponete di preciso?" chiese lei.

"Lasciami controllare..." Le mani del sovrano si unirono nell'oscurità.

Alcune immagini gli apparvero chiare nella mente: "Tre uomini ai confini della foresta che porta al palazzo, un grande gruppo di persone in un accampamento nei pressi della spiaggia. Piangono il loro caduto, come noi piangiamo il nostro." L'uomo uscì dall'ombra che pervadeva la sala, avvicinandosi a Huô.

Anch'egli dalla pelle blu scura, aveva lunghi e crespi capelli rosso vermiglio che gli ricadevano dietro la schiena, con degli occhi di sangue, accesi quanto intimidatori.

"Huô, domani penserai a quei tre ai confini della città, dovresti essere perfettamente in grado di gestirli. Quanto al resto, voglio interfacciarmi un po' con loro personalmente... di' alle guardie di evacuare il palazzo, aspetterò che arrivino qui e, se necessario, li schiaccerò sotto ai miei piedi per quello che hanno fatto." tuonò, imperioso.

Huô sorrise, soddisfatta dalla sua decisione.

"La vostra tendenza al divertimento è ciò che amo più di voi, se mi concedete l'ardire, mio re."

L'altro si rabbuiò, gli occhi calati verso le lastre di pietra sul pavimento scurite dal buio.

"Cosa c'è, mio signore?"

"So di averti trascurata ultimamente, Huô." Avvicinò il suo viso a quello della ragazza, sfiorandole una ciocca con le dita. "Mi dispiace."

Lei distolse lo sguardo, arrossendo. "Per me è un onore anche solo poter rivolgervi la parola..."

Lui le accarezzò ancora i capelli, poi si voltò, allontanandosi da lei, pensieroso con lo sguardo rivolto verso la libreria ricolma di pergamene e tomi in fondo alla sala.

"Mio re?" azzardò Huô.

"Cosa?"

"Secondo voi perché i discendenti degli Araumi ci sono diventati ostili?" C'era tristezza ma anche risentimento nei suoi occhi.

L'uomo sospirò. "Dubito che abbiano qualcosa a che fare con il clan Araumi. Sono passati duecento anni da quando ricevemmo la loro visita: è probabile che durante questo periodo ci abbiano dimenticati e che le loro generazioni future abbiano perduto la conoscenza di questo luogo. Non dimenticare che la loro razza vive in media molto meno della nostra."

Il viso di Huô si intristì ulteriormente a quelle parole. Ricordava con affetto il periodo in cui aveva conosciuto i visitatori d'oltremare, agli scambi culturali, le amicizie nate tra di loro. L'eccitazione fremente per un nuovo mondo con il quale interfacciarsi. A un certo punto, però, gli Araumi non erano più ritornati, svaniti nel nulla. Il tempo aveva reso fumoso il loro ricordo, ma non l'armonia nata dal rapporto con un popolo differente, eppure pacifico e amichevole. Cos'era successo loro in quegli anni? Perché si erano macchiati di omicidi tanto cruenti quanto insensati? Addirittura, avevano ucciso una guardia reale, Feng, dopo quei civili. Il loro ritorno non se lo sarebbe mai aspettato così triste e violento.

Ma se era questo ciò che erano diventati adesso, li avrebbero ripagati con la stessa moneta.

"Non pensarci troppo, Huô. Non sono più gli amici che conoscevi: ora loro sono il nemico. Una volta che i trasgressori avranno pagato, proverò a parlare col loro leader in nome dei tempi andati. Per ora devi essere forte, per Feng."

Huô alzò lo sguardo fieramente, rassicurata dagli occhi nobili e determinati e del suo re.

"Sì, Nobile Yùn."

L'alba.

I fiochi raggi solari illuminavano i capelli corvini di Somber e gli finivano nelle iridi, causandogli un leggero fastidio. Il giovane non aveva comunque chiuso occhio per tutta la notte, non dopo tutto ciò che era accaduto il giorno prima. Le numerose battaglie seguite da lacrime e tristezza, da dolore e pensieri sconfortanti.

Dorothy, al contrario, non si era più risvegliata dopo aver perso i sensi in seguito alla morte di quello strano uomo, simile a un mostro per la sua forza, e un po' Somber la invidiava per questo.

La invidiava molto meno, invece, per la perdita che avrebbe dovuto affrontare e i ricordi che sarebbero riaffiorati al suo risveglio: vedere reciso l'unico legame con la sua famiglia, l'ultimo ponte rimasto a collegarla con uno scenario felice che le era stato strappato via troppo prematuramente.

Ora che ci pensava, somigliava alla faccenda del dojo dove aveva vissuto e alla perdita del suo maestro: l'unica figura paterna che riuscisse a ricordare, lacerata da dei volgari soldati che si credevano onnipotenti.

Il sole si innalzò ancora un po', e Somber pensò di esser grato che almeno quella certezza, un nuovo giorno sempre pronto a sostituire il precedente, per quanto drammatico fosse stato, non potesse cambiare in alcun modo.

"Sarà meglio che vada a vedere come sta Goover." disse tra sé e sé, avviandosi verso la tenda della compagna dove pochi giorni prima lei aveva dormito con Summer.

Mentre lentamente si avvicinava, ripensò a cos'era successo la sera prima, subito dopo il putiferio e gli scontri.

Aveva personalmente sistemato con cura Dorothy nel sacco a pelo, accertandosi che non riportasse ferite gravi. In seguito, si era tenuta una breve riunione per decidere il da farsi, capitanata da Antonio Santos e dal presidente Faraday. Si erano disposti tutti in cerchio, Somber era accanto a Mingtian e vedendola si era sentito sollevato, soprattutto perché in quel momento non aveva nessuno al suo fianco ed era piuttosto nervoso per gli avvenimenti della giornata.

Era stata presa la decisione di continuare la spedizione nonostante il lutto subito.

Il corpo di Summer sarebbe stato conservato in buone condizioni sulla nave fino a quando non avrebbero fatto ritorno.

Somber ricordò di essersi innervosito ancora di più in seguito a quella decisione.

"È proprio da Guardians, eh?" gli aveva sussurrato Mingtian all'orecchio.

Intanto, mentre rimembrava il traumatico giorno precedente, giunse infine davanti alla tenda di Dorothy.

"Somber?" Il ragazzo si sentì chiamare dall'interno. Si intravedeva l'ombra della sua compagna seduta sul sacco a pelo.

Aprì la tenda.

Di fronte a lui c'era una Dorothy visibilmente esausta, ma meno disperata di quanto si aspettasse. Che avesse metabolizzato tutto?

O forse aveva seppellito il dolore dentro di lei?

"Come stai, Goover?" le chiese.

"Sto recuperando le forze, penso che potrò riprendere la spedizione. Non ho ferite gravi." rispose lei, accennando un sorriso.

Somber si sarebbe aspettato di trovarla in lacrime o completamente abbattuta, e invece già era pronta a riprendere il lavoro.

"È proprio da Guardians, eh?" Gli tornarono in mente le parole di Mingtian, come un fulmine a ciel sereno.

Pensandoci, l'atteggiamento di Dorothy in generale era sempre stato in linea con quello dei Guardians, e così anche le sue convinzioni. Come ad esempio l'idea che la ribellione dello Shihaiken fosse il nemico indiscusso da combattere e annientare. In fondo, a lei i Guardians non avevano mai fatto nulla di male, a differenza di Somber.

"Mi fa piacere che tu stia bene. La spedizione infatti ricomincerà a breve, e per quanto riguarda Summer... il suo corpo verrà conservato... per ora." Provò a riferirle i fatti con il maggior tatto possibile.

Dorothy si rabbuiò un attimo sentendo pronunciare quel nome, mostrando per un secondo tutta la disperazione che si sforzava di nascondere. Solo adesso Somber rusciva a notare le profonde borse sotto agli occhi dell'amica. Molto probabilmente aveva pianto prima che tutti si svegliassero.

"Capisco, è la cosa giusta da fare, in fondo..."

"Se vuoi riposare, posso affrontare la spedizione da solo."

"Non dire stupidaggini. Non ti lascerò mai solo, Somber." Dorothy lo guardò intensamente, facendogli capire che le rimaneva soltanto lui, e che non l'avrebbe abbandonato nemmeno per un attimo. "Tu sei la mia famiglia."

Ascoltando quelle parole, Somber fu attraversato da un malinconico brivido. Le rivolse un mezzo sorriso per sdrammatizzare. "Quando torneremo a casa potrai dirlo anche a quei due idioti di Peter e Alex."

Dorothy sorrise al pensiero dei due amici. Un sorriso caldo e sincero. "Già, chissà cosa staranno combinando in questo momento..."

"Probabilmente, rischiano la vita in modo stupido in qualche battaglia che non appartiene loro, come al solito."

Dorothy rise. "Hai ragione! Però, quei due se la cavano sempre in qualche modo. Sono felice di averli potuti salutare al molo..."

"E li saluterai ancora." Affermò, deciso, Somber. "Torneremo da loro e passeremo altro tempo insieme. Come una famiglia."

Era la prima volta che esprimeva esplicitamente concetti del genere, ma sembrò avere un buon effetto sull'amica.

Difatti, lei lo abbracciò stretto.

"È una promessa?" gli chiese all'orecchio.

"Sì, è una promessa." Rispose con sicurezza lui.

Somber lasciò Dorothy a ristabilirsi un altro po'. Si diresse verso il punto in cui era ormeggiata la nave, a contemplare il mare per qualche minuto, col cuore pesante.

L'orizzonte passava dal roseo dell'alba al giallino, mentre il sole continuava a levarsi sempre più in alto col suo ritmo lento ma costante.

"Manca poco ormai, Somber Blacklight."

"Mingtian. Appari sempre quando meno me l'aspetto." Accanto a lui era arrivata la ragazza dai capelli verdi a frangetta, col suo classico sorrisetto complice.

"Perché tu hai bisogno di me in momenti come questi, semplice." mormorò lei.

"Ma smettila. Piuttosto, per cosa mancherebbe poco?"

"Per la fine."

"Della spedizione? Beh, sì, dobbiamo solo sopravvivere a quei demoni che abitano l'isola. A quanto pare, ci siamo messi in testa di usare la vendetta come pretesto per colonizzare la zona ugualmente." Somber espresse tranquillamente il suo pensiero critico. Per questa ragione, si sentì stupito da sé stesso. "Non riesco mai a trattenermi quando c'è Mingtian con me, non so per quale motivo." rifletté.

"È il modo di pensare dei Guardians, come ti ho detto ieri. Disgustoso, vero? Anche Dorothy sembra pensarla allo stesso modo, senza preoccupazioni, nonostante il recente lutto. Ti infastidisce che lei accetti queso modo di agire senza problemi?"

A Somber la cosa in effetti non era del tutto indifferente. "Che c'entra lei adesso?" chiese però, un po' nervoso.

"Oh, niente, tranquillo. Io adoro Dorothy, lo sai."

Somber la guardò, sospetto. "Allora perché l'hai tirata in ballo?"

"Non lo so, tu che mi dici?"

Il ragazzo parve riflettere qualche secondo. Poi, diede le spalle a Mingtian e si diresse verso il centro dell'accampamento.

"Farò meglio a prepararmi. Si avvicina la fine, proprio come hai detto tu." la liquidò frettolosamente.

"Oh, sì, ormai siamo agli sgoccioli..." sussurrò Mingtian alle sue spalle.

I tre uomini continuavano ad avanzare nella foresta, calpestando ramoscelli e arbusti vari, circondati dagli insetti e dai cespugli ricolmi di strani frutti tropicali dai colori sgargianti.

Peste Nera guidava il piccolo gruppo, seguito da un sudato Bartolomeu e da Masamune, calmo come di consueto.

"Com'è possibile che Jansen sia morto? Per mano di quella ragazzina piagnucolosa, poi..." si lamentò Peste Nera, tenendosi la maschera con la mano in modo che i rami che li circondavano non la graffiassero.

"Lei non era la stessa della notte al molo di Gloomport Town, non so cosa abbia fatto in questi mesi ma il cambiamento era impressionante." rispose con tono sommesso Masamune.

"Jansen è stato uno stupido a sottovalutare il nemico. Quando una preda viene umiliata e stuzzicata troppo finirà per ribellarsi, l'avevamo anche avvertito. A ogni modo, Dorothy Goover non resterà impunita per quello che ha fatto." intervenne Bartolomeu.

Peste Nera sottoscrisse quelle parole con un gesto di stizza. "Poco ma sicuro. Quella pistolera bastarda ha tirato troppo la corda, e morirà per mano nostra. Anzi, so che ha degli amici nel Continente centrale: visto come sta andando la situazione qui, non sarebbe una cattiva idea usare loro per arrivare a lei..."

"Intendi quei due ragazzini con cui abbiamo combattuto al molo?" chiese Masamune.

"Precisamente. Dopo che avremo trovato quei due idioti di Danny e Masami, ce ne torneremo a casa e faremo loro una bella visitina." Peste Nera rise di gusto con la sua voce roca.

Bartolomeu corrugò la fronte. "Ma sei sicuro che l'isola sia abitata da guerrieri tanto spaventosi, Sendai?"

"Il Kaika che ho avvertito mi era sconosciuto. Nessuno a parte Faraday possiede un'aura così potente tra i Guardians sull'isola, e quello non apparteneva al vecchio." ribatté Masamune.

"Lasciamo che i Guardians muoiano su quest'isola insieme a quei nativi, magari ci faranno un favore e toglieranno di mezzo Faraday una volta per tutte." sbottò Peste Nera. "D'altronde, il nostro piccolo omicidio ha scatenato un nell'incidente diplomatico, come avevamo previsto."

Nella mente dei killer riemerse l'immagine dei due nativi dalla pelle scura che aveva incrociato nei boschi, due giorni prima. Erano intenti a cacciare, e aveva captato un Kaika fuori dalla norma da loro, pur sembrando civili comuni. Subito Peste Nera aveva intuito che da qualche parte sull'isola si celasse un popolo dalle abilità spropositate, e un piano subdolo aveva occupato la sua mente contorta.

Dopo aver assassinato di sorpresa i due, aveva chiesto a Masamune di creare dei cocci di vetro e un po' di paglia grezzi tramite il Creation Kaika, senza usare il suo attributo del vento, spargendoli sulle vittime. In quel modo, una volta trovati da loro simili, era probabile che i nativi avessero dato la caccia ai trasgressori. Così, aveva inviato Danny e Masami dalle due Guardians che usavano quegli elementi, col preciso scopo di emanare quanta più aura possibile per attirare l'attenzione.

Il resto sarebbe venuto da sé. E pareva aver funzionato meglio del previsto. Ora doveva solo auspicare che Guardians e nativi si uccidessero a vicenda.

"Se solo trovassimo quei due..." borbottò l'uomo perfido dalla maschera a becco, pensando a Danny e Mandami.

I tre giunsero finalmente in un punto dove la vegetazione si interrompeva per fare largo a uno spiazzo enorme, dove l'erba cedeva gradualmente il posto al terreno battuto.

"Wow..." commentò Masamune.

"Sono... mura?" gli fece eco Bartolomeu.

Peste Nera si limitò a osservare lo spettacolo in silenzio, celato dal sinistro copricapo.

Davanti a loro si ergevano delle mura di pietra alte almeno cinquanta metri, al di là delle quali probabilmente si estendeva una grande città. Le immense pareti erano composte di pietra dal colore giallo chiaro, si dipanavano orizzontalmente per diversi chilometri e a un certo punto si interrompevano per fare spazio a un'enorme struttura piramidale, ma dalla cima piatta, per poi continuare oltre essa finché l'occhio nudo riusciva ad arrivare. Probabilmente, la cima della struttura era utilizzata come osservatorio.

"Non era proprio ciò che mi aspettavo di trovare." ammise Masamune.

Bartolomeu osservava la gigantesca struttura davanti a lui, affascinato. "Quello laggiù deve essere una sorta di palazzo reale, e oltre queste mura con ogni probabilità ci sarà un'immensa città. Si direbbe che questi nativi vivano in una società basata sulla monarchia o un sistema del genere..."

"In sostanza non è molto diversa dal modo in cui funziona la nostra, se ci pensi." criticò Peste Nera con tono colmo di disgusto. "Forza, torniamo indietro, non è chiaramente qui che troveremo Danny e Masami." aggiunse.

Masamune provò ad attivare il Vision Kaika per percepire la presenza dei suoi due amici nei paraggi, ma non avvertì nulla. O erano troppo lontani o nascondevano apposta la loro aura per recuperare le energie senza disturbi.

In fondo, avevano affrontato due Guardians professioniste e in parte anche quel nativo dal Kaika mostruoso senza morire, ed erano ancora molto giovani. Dovevano aver dato fondo alle loro energie. Masamune era contento che non fossero morti, non voleva perdere altri compagni in quell'inferno di isola. Per lui i Vulture, dal primo all'ultimo, erano le uniche persone che importavano sul pianeta e Jansen era colui con cui aveva legato di più nel tempo.

D'altronde, avevano per lungo tempo fatto parte della stessa squadra all'interno dell'organizzazione criminale. Adesso l'aveva perso per mano di una Guardian, così come era successo con il precedente membro della sua squadra, ucciso da Isao Takeshi. Era rimasto solo.

Mentre si stava voltando per seguire i due compagni, avvertì un'energia che gli fece tremare le gambe per un attimo.

Anche Peste Nera e Bartolomeu l'avevano sentita, perché si erano girati nello stesso momento in cui l'aveva fatto lui.

"Posso chiedervi cosa ci fate qui, signori?"

Di fronte a loro, con aria minacciosa, li stava squadrando una ragazza abbastanza alta, con luminosi capelli viola chiaro e altrettanto splendenti occhi di smeraldo, carichi di intento omicida.

Non era assolutamente sua intenzione parlare con loro, si intuiva con facilità dalla sola aura violenta che emetteva.

Era lì per ucciderli.

"Che ne direste di giocare un po' insieme?" La ragazza mostrò un sorrisetto maligno dai denti forti e bianchissimi. "Ho sempre avuto il vizio di rompere i miei giocattoli..." 

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