Capitolo 3

"Sarete sicuramente curiosi di sapere come continuerà la prova, ho ragione?" Capelli Acqua Marina prese la parola, col suo tono musicale. "Avanti, spiega le regole, caro Ken!"

"Vuoi fare la seria per una volta, Serena?" rispose, infastidito, l'omone col vestito grigio.

"Che cattivo!" frinì lei.

Ken sospirò. "Ora vi spiegherò a cosa andrete incontro durante questa fase della seconda prova. Dovrete attraversare il boschetto, alla fine del quale vi aspetteranno le porte di ingresso per la terza."

"Le porte?" pensò Peter.

"La cosa non mi piace." affermò Alex.

Ken, nel frattempo, continuò a illustrare le regole. "Le porte sono in tutto sedici, quindi ovviamente ci sarà posto solo per sedici concorrenti. Nel bosco troverete delle chiavi con un numero inciso sopra, dovrete entrare nella porta raffigurante lo stesso numero per poter proseguire. Nessuno vi vieta di appropriarvi della chiave altrui se non ne trovate una, con qualsiasi mezzo... Beh, se è tutto chiaro, buona fortuna a tutti!"

"Mi raccomando, fatevi furbi, eh!" raccomandò Serena, al suo fianco.

"Con qualsiasi mezzo... dovremo stare molto attenti." disse Dorothy.

D'altronde, c'era un concorrente che si divertiva a sabotare gli altri. Di sicuro ci avrebbe riprovato alla prima occasione, e il bersaglio sarebbero potuti essere ancora loro.

"Lo stesso vale per gli altri." ribatté Somber, calmo. "Non sarebbe la prima volta che uccidiamo qualcuno."

Il volto di Dorothy si incupì. "Sì, hai ragione."

"Che la prova abbia inizio!" annunciò Serena.

Tutti i partecipanti corsero immediatamente nel boschetto, disperdendosi in pochissimi minuti tra i fitti alberi dalle sagome contorte.

Alex e Peter salutarono con un cenno Dorothy e Somber, prima di addentrarsi nella vegetazione.

I due amici presero a camminare sull'erba folta che sottostava loro, ma dopo nemmeno cinque minuti che erano entrati, la fame li colse a bruciapelo. Decisero di mangiare qualche provvista lasciata loro da Miss Gilda.

"Il fatto che ci abbia lasciato due coltelli anziché uno è molto eloquente..." disse Alex, passando un cosciotto di pollo e un utensile a Peter. "Meglio che li teniamo addosso."

"Mi trovo meglio a mani nude." rispose Peter, battendosi un bicipite con il palmo della mano. "Preferisco conservarne uno per dividere il cibo."

"Fa' come vuoi, io me lo tengo." Alex si sistemò il coltello nella tasca. Fu allora che, alzando lo sguardo, notò qualcosa luccicare a pochi metri di distanza da lì.

"Ehi guarda là!" esclamò. C'era un piccolo bauletto di legno appoggiato a un albero. Il luccichio proveniva dai contorni bronzei che ne decoravano il legno molto lucido.

"Scommetto che dentro c'è una chiave." intuì Peter, raggiante.

"Mmh, troppo facile, sta' in guardia... ehi, aspetta!"

Ma Peter già l'aveva aperto, mostrando trionfante proprio una chiave, col numero quattro inciso sopra.

"Ora dobbiamo solo trovare la tua!" urlò.

"Che sconsiderato." borbottò Alex. "Poteva essere bello che morto."

"Se è per questo lo sarà presto. Anzi lo sarete entrambi."

Alex si voltò di scatto, giusto in tempo per schivare un colpo di mazza diretto sul suo cranio. Scattò all'indietro, estraendo il coltello, e cercando al contempo di capire come avvicinarsi all'uomo con l'arma di ferro in mano senza essere colpito. Era alto più o meno un metro e ottanta e aveva i capelli neri e gelatinati, con una faccia appuntita quanto minacciosa.

"Alex, fermo. Ci penso io a questo qui." soggiunse improvvisamente Peter, piazzandosi subito davanti a lui.

"Rieccolo." pensò Alex, mentre ne osservava l'ampia schiena. Quel suo atteggiamento protettivo verso chiunque venisse minacciato sotto ai suoi occhi, noncurante di qualsiasi difficoltà potessero presentare le situazioni in cui si gettava a capofitto, istintivamente, quasi come un animale feroce.

Proteggeva proprio tutti, quell'idiota. Anche in momenti complicati come quello, era sempre pronto a caricarsi i problemi sulle sue spalle.

"Stupido, cosa vorresti fare a mani nude? Dobbiamo cooperare per uscirne indenni!" lo rimproverò il ragazzo.

"Ho detto che ci penso io." chiuse il discorso Peter, con aria sicura, senza ammettere rettifiche.

"Però! Sei coraggioso per essere un moccioso disarmato. E va bene, ti spaccherò la testa in fretta in modo che tu non senta dolore, poi mi prenderò quella chiave!" rise, minaccioso, l'uomo.

"Come ti chiami?" chiese Peter, secco.

"Eh? E a te cosa importa?"

"Sto per metterti al tappeto, vorrei almeno conoscere il nome del bastardo che ha minacciato il mio migliore amico." Peter era furioso ma deciso.

"E va bene, ragazzino arrogante, ora mi hai fatto arrabbiare per davvero. Sono Rasmus, Rasmus Button. Volevo finirti in fretta, ma adesso ti farò soffrire per questo atteggiamento da spaccone!" ruggì il nemico, infuriato.

Provò a spezzargli la mazza in testa.

"Peter!" gridò Alex, inorridito.

Il ragazzo rimase immobile fino all'ultimo. Poi, un attimo prima che potesse essere centrato, scattò di lato con un gran balzo, evitando la mazza che schiacciò solo dei ciuffi d'erba. Peter alzò lo sguardo verso Rasmus con un ghigno che aveva del folle.

"Ma cosa... sei veloc-" Rasmus non finì di parlare. L'avversario gli conficcò la chiave nel ginocchio, costringendolo a urlare per il dolore.

"Eccoti la chiave che volevi, feccia."

Un diretto in pieno naso fece balzare all'indietro l'uomo, che sanguinò copiosamente. Cadde di schiena a terra, e in pochi secondi era già in fuga.

Peter si riprese la chiave, voltandosi verso Alex come se niente fosse successo.

"Andiamo?" si rivolse a lui, allegro. "Dobbiamo trovare ancora un'altra chiave."

L'altro sorrise, amaro. "Razza di matto..."

I due si incamminarono fianco a fianco, restando all'erta per eventuali nuove imboscate dagli altri concorrenti. Ma almeno quel Rasmus erano sicuri di averlo messo fuori gioco.

"E dai, Somber, sii più felice per una volta, siamo messi bene in fondo!"

Dorothy era al settimo cielo: avevano già trovato due chiavi. Una delle quali l'aveva rubata Somber dalla tasca di un tipo enorme mentre non guardava, nascosto tra le fronde di un largo cespuglio che dava sullo spiazzo in cui il malcapitato sostava. Quel ragazzo era veramente furtivo, la sua maestria nel mimetizzarsi con l'ambiente l'aveva a dir poco stupita.

L'altra chiave, invece, l'aveva trovata proprio Dorothy, celata in un piccolo scrigno sotto degli aghi di pino, lungo il sentiero terroso che ora stavano percorrendo a passo felpato.

Stava andando tutto liscio.

"Mah... dobbiamo stare attenti a non farcele rubare, ci sono ancora molti pericoli. Occhi aperti, Goover." replicò il ragazzo dal crine di pece.

"A volte sei veramente una noia mortale..." si lamentò lei. Un fruscio proveniente dalla sua sinistra la fece trasalire d'un tratto. "Ehi, hai sentito?"

"Sì, qualcuno ci segue... fa' finta di niente." rispose Somber con la sua solita aria fredda e distaccata.

Camminarono per un po', fino ad arrivare in una zona più aperta dal prato umido e attorniata da bassi alberelli di pino, che inebriavano le loro narici con l'odore fresco che il venticello lieve trasportava con sé.

Ora che si trovavano in un luogo con più ampio campo visivo, potevano giocarsi le loro carte.

"Venite fuori, se non volete che vi uccida ora." incalzò Somber, scrutando appena dietro di sé con la coda dell'occhio.

Due uomini, tra cui il tipo nerboruto a cui aveva rubato la chiave di poco prima, accompagnato da un altro magro con un sorriso sprezzante sul volto, uscirono allo scoperto.

"Che bravo, sei un tipetto accorto per essere un ragazzino. Anche quando ho tagliato la corda della ragazza sei stato attento, speravo tanto che moriste tutti..." disse, sogghignando, l'individuo meno robusto.

"Vedo che hai la chiave che mi appartiene, ridammela e non ti ucciderò come un cane insieme alla tua amica." aggiunse l'uomo muscoloso, che vantava capelli biondi e lunghi, oltre allo sguardo truce di qualcuno che aveva già ucciso molte persone nella vita.

"Non ti conviene sottovalutarci." intervenne con voce calma Dorothy. "Vi avverto, è meglio per voi se ve ne andate".

"Perfetto, allora avete scelto la morte. Sapete, io chiamo Jackson Rope, sono un killer professionista piuttosto conosciuto nella malavita di Dismal. Magari avete sentito parlare di me." mormorò l'uomo dalla stazza poderosa. "Credo sia giusto che conosciate contro chi vi state mettendo, così magari deciderete di ragionare e fare i bravi bambini, che ne dite? Non c'è bisogno che moriate qui. Dateci le chiavi."

Avanzò dunque verso Somber, pronto a stringergli la trachea per poi spezzargliela con la sua enorme forza, qualora avesse opposto resistenza. Ma il ragazzo gli sfrecciò veloce e silente come un'ombra davanti agli occhi, arrivando in un lampo dirimpetto a lui, senza timore.

"Ehi, ti muovi ben-ah!"

Somber gli assestò un colpo secco al pomo d'adamo con il palmo, saettante e rapido come un serpente. Jackson si accasciò a terra, sputando sangue a fiotti, incapace di respirare, gli occhi sgranati e arrossati.

"Maledetto, muori!" Il nemico fino a poco prima sogghignante si stava scagliando verso di lui con un coltello lungo e ricurvo. Somber si voltò per affrontarlo, quando udì uno sparo.

Accadde in un attimo. L'uomo precipitò al suolo con la testa ricoperta da una pozza di sangue e un foro in fronte. Era morto.

Dorothy teneva ancora la pistola salda in mano, il suo sguardo era impassibile. Gli occhi di pietra. Ripose con calma l'arma nella fondina, celata sotto il suo lungo giacchetto rosso.

"L'avevo visto." protestò Somber.

"A me sembravi un po' in ritardo." controbatté Dorothy. "Andiamo, usciamo da questo posto." concluse poi, gelida.

I loro avversari erano stati uccisi con totale mancanza di empatia. I due si incamminarono lenti e costanti verso la fine del boschetto, preparandosi già per la prova successiva.

Alex aveva fasciato la testa di Peter alla bell'e meglio. Il ragazzo alla fine era stato colpito di striscio e sanguinava dal sopracciglio sinistro. Per fortuna, Miss Gilda aveva inserito anche fasciature e cerotti nella cesta. Era una donna previdente come poche.

"Stupido, non incassare i colpi così alla leggera la prossima volta, potresti farti seriamente male." accusò Alex.

"Ma io volevo schivarlo, eh eh... dai, l'importante è che stiamo tutti bene." minimizzò la questione Peter, con un sorrisetto frivolo.

"Tu non stai bene! Pensa a te stesso per una volta, invece di difendere sempre gli altri!"

"Su, su, calmati, amico... piuttosto, camminiano da ore, possibile che non si trovino altre chiavi?"

Ma, come se fosse stato un indovino, proprio in quel momento ne scrutò una brillare appesa a un albero. La numero sedici, notò aguzzando la vista.

"Hai visto, Alex?" esultò, avvicinandosi incauto all'albero. "Oggi siamo fortunati, sembr-"

Non terminò la frase.

Era sbucato dal nulla. Anzi, era fuoriuscito a una velocità inaudita dal cespuglio pochi passi alla loro sinistra, colpendo con una manata Peter in pieno collo e scagliandolo contro il tronco dell'albero con la chiave appesa al ramo.

"Sembra che la mia piccola trappola abbia funzionato..."

Era lui. L'uomo dai capelli color muschio e lo sguardo omicida che Alex aveva visto durante la prima prova lo stava scrutando con quel suo sguardo terrificante. La sua voce era quasi vellutata, il suo tono basso sembrava una cantilena.

Era abbigliato con una lunga tunica verde chiaro a giromaniche, allacciata in vita da un piccolo nastro nero, come i suoi stivali leggeri.

Alex era terrorizzato. "Questo qui è su un altro livello rispetto agli altri, non ho possibilità." capì in un attimo.

"Ho visto il trattamento che il tuo amico ha riservato a quello stupido, prima, chissà se anche tu sei a quel livello... a proposito, io sono Connor. Tu invece ti chiami Alex, giusto?"

Il giovane tremava vistosamente, il sangue iniziò a ribollirgli nelle vene per l'adrenalina mista al terrore. I sensi cominciavano ad offuscarglisi. Sentiva una strana euforia, per essere in pericolo. Come se la sua ragione stesse venendo meno. Per fare posto a qualcos'altro...

"Oh? Stai tremando? Hai paura, eh? Vedo che è l'altro quello forte del duo... forse dovrei ucciderlo e vedere cosa ti succed-"

Riuscì a piazzare la mano davanti alla gola all'ultimo istante, parando l'affondo improvviso del coltello di Alex, che gli trapassò di netto il palmo.

Il ragazzo dalla chioma bionda aveva gli occhi completamente spalancati e iniettati di sangue, rossi per l'ira traboccante. Sembrava un'altra persona rispetto a pochi secondi prima.

"Ecco perché dico sempre che non bisogna mai sottovalutare nessuno." affermò con voce roca Connor. "Salta fuori che tu sei quello con l'istinto omicida più puro tra i due..."

Alex non ascoltava nemmeno più, vedeva sfocato davanti a sé, voleva solo uccidere.

"Lo ucciderò... lo ucciderò... lo ucciderò!" riusciva a pensare solo a questo mentre provava ad affondare il coltello fino alla gola di Connor con spinte violente.

L'uomo afferrò la punta dell'arma con l'altra mano e la spezzò, poi prese il polso di Alex e lo contrasse con un gesto secco.

Lui urlò.

Subito però estrasse dalla tasca l'altro coltello, che aveva tenuto con sé, e si scagliò sull'avversario con furia cieca, restando in silenzio. Concentrato nella sua follia.

Ma Connor era troppo abile: lo disarmò facilmente afferrandogli l'avambraccio e assestandogli una manata dall'alto. Gli sferrò dunque un gancio tremendo in pieno volto, facendogli tremare la mascella e scagliandolo a qualche metro di distanza alla sua sinistra, contro un tronco di abete.

Alex era stanco e sconfitto. Connor si avvicinò, lentamente.

"Non sapevo che ci fossero dei mostri così in questo concorso. Sei interessante, ragazzo... come il tuo amico laggiù." indicò Peter, ancora svenuto.

Alex iniziava a sentire la lucidità mentale di nuovo, e con essa la sua percezione del dolore per le menomazioni subite triplicò. L'orgoglio in lui però ancora persisteva.

"Tocca i miei amici con un solo dito e ti uccider-"

"Se vuoi uccidermi, allora vieni a farlo e basta!" lo sovrastò Connor. "Migliora, allenati. Sei un ottimo prospetto, quindi aspetterò che sarai pronto per una sfida equa contro di me, Alex. Fino ad allora, non ucciderò né te né i tuoi amici. Ma se proverai a fare qualche sciocchezza prima del tempo... allora vi ammazzerò tutti come foste mie prede." Infine, afferrò la chiave dall'albero e gliela lanciò.

"Consideralo un regalo per spronarti a migliorare in vista del nostro prossimo incontro."

Così dicendo se ne andò, lasciando Alex lì da solo, dolorante e ferito nell'animo.

"Un giorno..." azzardò il giovane. "Un giorno io ti ucciderò!" gli urlò, la voce spezzata e le lacrime che gli rigavano il viso sconvolto da quelle emozioni così forti a cui non era affatto abituato.

Connor gli rivolse un semplice cenno con la mano, di spalle. Sparì camminando oltre gli alberi in ombra, la sua figura che si sfocava sempre di più all'orizzonte.

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