Capitolo 29

Saga del Continente orientale

"Perché si prova odio?

Se il mio animo potesse essere paragonato a qualcosa, verrebbe probabilmente accostato a queste calme e tenui onde che nascono e muoiono di fronte a me, di continuo. Queste onde indifferenti e prive di impeto.

Né amore né odio, solo calma e indifferenza: la via di mezzo. Ma è davvero così, per me?

Cos'è l'odio, innanzitutto?

Un sentimento di rifiuto, di forte avversione.

Ne consegue la volontà costante di distruggere l'oggetto odiato e la percezione di giustizia nel farlo, al di là di ideali e leggi morali.

Già, 'oggetto': perché, anche se ciò che si odia è una persona, non la si considera come proprio simile, un essere umano come colui che odia, ma appunto come entità inanimata.

L'odio fortifica.

Innumerevoli società e popolazioni si sono formate e unite a causa dell'odio per un nemico comune, dell'ostilità condivisa da tutti verso qualcosa.

L'odio indebolisce.

L'assenza di un nemico comune porta i popoli a odiarsi tra loro, a indebolire un'intera specie.

Io, che adesso mi specchio e mi rispecchio in queste onde così tranquille, rifletto su quali siano le fondamenta della società umana.

La natura stessa dell'uomo è intrisa d'odio. Una cosa del genere è veramente accettabile?"

Somber osservava il mare calmo ondeggiare di fronte a lui, appoggiato al parapetto sul ponte esterno della nave. Il sole gli schiariva le ciocche ondulate e corvine, avvicinandole a un grigio scuro e opaco. I suoi occhi erano socchiusi per la luce dei raggi, il che rendeva la sua espressione ancora più distaccata del solito. Erano passate tre settimane dalla partenza dal molo di Gloomport Town alla scoperta del Continente orientale, e si stava godendo la relativa calma a bordo dell'imbarcazione, insieme a Dorothy.

Quella tranquillità era positiva, dopo tutto quello che avevano passato prima dello sbarco. Lui e la compagna d'infanzia si erano completamente ristabiliti dalle ferite che avevano subito; negli ultimi giorni non erano mai stati in condizioni di allenarsi, eppure era ormai chiaro che dovevano migliorare. La differenza con i Vulture era stata troppo ampia durante la battaglia al porto, e se non fosse stato per Joshua Faraday, Dorothy si sarebbe sacrificata per salvare tutti loro.

Spesso a Somber capitava di pensare a lei come a una pazza, per quanto sapeva essere impulsiva. Anche se il modo in cui sapeva lasciarsi andare alle emozioni era qualcosa che, in profondità, un po' le invidiava.

I suoi sentimenti erano sempre stati incredibilmente forti e puri. Era diventata in grado di manifestarli senza alcuna restrizione o esitazione, come un tornado. Soprattutto dopo aver conosciuto Peter e Alex.

Ricordava ancora quando invece reprimeva ogni accenno di emotività, col solo scopo di sopravvivere, a Dismal. Era la cosa più logica, non si trattava nemmeno di una scelta. Ma lo spadaccino non avrebbe mai pensato che, dentro l'amica, risiedesse una tale forza d'animo. Così tanti sentimenti intensi, al punto da ferirlo quando la guardava e pensava a come aveva sempre dovuto sopprimerli.

"Devo dire che da questo punto di vista ti invidio, Goover." pensò Somber, sorridendo amaro. "Per quanto mi riguarda, non credo di essere mai stato sincero con me stesso riguardo i miei sentimenti. O di averli quantomeno capiti." Al ragazzo balenarono in mente ricordi che aveva sempre tenuto chiusi nei meandri più profondi della sua memoria. Ricordi che minavano la sua integrità, pericolosi da riportare a galla.

Immagini intrise di sangue e disperazione.

"Finalmente sei uscito, Somber Blacklight."

Il Guardian si voltò. Di fianco a dove si trovava, vide una ragazza un po' più bassa di lui che lo fissava con degli intensi occhi blu scuro. I lisci capelli verdi le ricadevano sulla fronte in una frangetta ordinata. Le braccia magre erano poggiate sul parapetto, e lo contemplava con intensità, il mento poggiato su di esse.

"E tu chi sei?" chiese Somber, calmo.

La ragazza aveva costantemente un'espressione ironica e un sorriso furbo stampato sul volto. Gli tese la mano.

"Io mi chiamo Mingtian. Finalmente ci conosciamo."

Somber squadrò la ragazza dalla testa ai piedi.

Indossava un'uniforme da marinaia nera, dunque doveva essere parte dell'equipaggio della nave. Era molto magra e il suo viso, per quanto delicato, possedeva un'affilatura che trasmetteva una strana sensazione, quasi di inquietudine.

"Volevi conoscermi?" domandò Somber in tono disinteressato.

"Non lo so. Tu che mi dici?" rispose Mingtian con un sorrisetto astuto.

"E che c'entro io?"

"Direi molto."

"Cosa vuoi esattamente da me?" sospirò il ragazzo, già stanco del botta e risposta con la strana corsara.

"Eri così immerso nei tuoi pensieri più oscuri che riuscivo a sentirli, così sono uscita allo scoperto per aiutarti." affermò, ghignando, Mingtian.

"Di certo non puoi aiutarmi tu." la liquidò freddamente Somber. "Va' a fare la fan maniaca da un'altra parte." Alzò gli occhi al cielo.

"Sei proprio cattivo, Somber Blacklight. Anzi, peggio, direi indifferente, il che fa ancora più male."

"Ma te ne vai?"

"Devi costringermi. Sembra che tu non voglia davvero che me ne vada, però. Perché non mi parli di quei tuoi ricordi?" suggerì lei.

Somber esitò. Per qualche motivo, sentiva di volerlo. Che esternarli almeno in parte fosse, in un certo senso, giusto. "Ma sì, in fondo è più semplice parlare con uno sconosciuto di certe cose." pensò. Si rivolse dunque alla ragazza di fianco a lui, titubante. "Se davvero vuoi saperlo, pensavo al vecchio dojo a Dismal in cui sono cresciuto col mio maestro di spada."

"Era bello?" Il volto di Mingtian era vicinissimo a quello di Somber. Poteva sentire il respiro leggero della ragazza sulla sua pelle.

"Era rustico. Ma trasmetteva un'impressione positiva: tutto lì sapeva di casa, di quotidianità."

"Cos'è successo?" incalzò l'interlocutrice.

"Fu distrutto." replicò subito l'altro, con una prontezza che disarmò anche lui stesso.

"E il tuo maestro?"

"Fu ucciso."

Mingtian lo scrutò con incredibile intensità. Le iridi erano profonde come gorghi marini durante un uragano. "Chi è stato?" domandò, con un tono estremamente sommesso, di chi si sta confidando un segreto con qualcuno.

Somber osservò l'orizzonte per qualche secondo. Una nota di indecisione aleggiò nella sua espressione stoica.

"I Guardians."

Rimase ancora sorpreso da sé stesso. Perché aveva rivelato così facilmente tutte quelle informazioni a quella ragazza? Sembrava quasi ipnotizzarlo con quei grandi occhi blu. Tirargli fuori tutto senza sforzo. E l'aveva appena incontrata.

"Quindi, provi odio per i Guardians."

Somber non rispose.

"Eppure, Somber, tu dovevi pur avere dei genitori prima di finire in quel dojo."

"Furono assassinati anche loro quando ero piccolo. E allora?" sbottò Somber, che cominciava a innervosirsi per tutta quella curiosità.

"Conoscendo il tuo cognome, devi essere di etnia Guardian, e dunque lo erano anche i tuoi genitori. Chi li ha uccisi, quindi, lasciandoti solo al tuo destino?"

Il ragazzo parve confuso, come se avesse appena realizzato una verità che aveva sempre ignorato. O a cui non aveva mai pensato. "Quelli del governo Shihaiken. O almeno la resistenza legata a quel governo, suppongo." ribatté poi, logicamente.

"Allora è probabile che tu possa odiare anche loro." evinse Mingtian. "Odi i Guardians, odi lo Shihaiken. Quanto odio rechi dentro di te, eh, Somber? Eppure, sembri così indifferente... dopotutto, forse non lo sei per nulla."

"Non hai altro da fare?" Somber provò a liberarsi di lei usando apposta toni maleducati e freddi.

"A dire il vero, adesso no. Però me ne vado se è questo che vuoi, lasciami solo porre un'ultima domanda."

Somber le rivolse un cenno di assenso con il capo, mentre si concedeva un sospiro stanco.

"Non è che in realtà tu odi te stesso?" Mingtian era ormai a pochi millimetri dal viso di Somber. Le sue morbide labbra erano quasi a contatto col suo orecchio.

Il giovane non sapeva cosa rispondere, ma aveva capito dove lei volesse arrivare. Ed era sorpreso che l'avesse intuito, conoscendolo da così poco tempo. Cos'aveva quella ragazza di speciale?

"Non sei riuscito a fare niente per il tuo maestro mentre veniva ucciso. Non sei riuscito a difenderlo. In più, sei diventato un Guardian, per riscattarti dalla tua tragica e squallida vita, probabilmente. Proprio uno di quelli che hanno ucciso il tuo maestro. Sarà per questo che ti odi? Cosa odi di più, Somber? I Guardians, lo Shihaiken... o te stesso?"

"Non lo so!" urlò lui, disperato.

"S-Somber?"

Il ragazzo si voltò, allarmato. Alle sue spalle c'era Dorothy, un'espressione preoccupata sul viso. Un volto che amava, finalmente. Confortante e caloroso.

"Che ti prende, Somber?" farfugliò la ragazza.

Lui si girò di nuovo verso Mingtian, che però non c'era più. Era stata rapidissima a sparire via. Intuì che avesse voluto evitare discussioni spiacevoli con Dorothy, dopo che questa l'aveva sentito urlare di frustrazione. Certo che era stata davvero un fulmine a ciel sereno. Sapeva che non sarebbe riuscito a levarsela dalla testa fino al loro prossimo incontro.

"Niente, stavo solo riflettendo." decise di tenersi per sé quella strana conversazione.

"Stai bene?"

"Sto bene, Goover, tranquilla. Cosa volevi?"

Dorothy non sembrava per niente convinta, ma lasciò correre. "Antonio Santos vuole vederci, pare che inizieremo il nostro nuovo addestramento da oggi." lo informò, sempre dubbiosa. Avrebbe voluto essere più entusiasta nel riferirgli la notizia, ma Somber le sembrava parecchio scosso al momento. E un brutto presentimento non voleva saperne di abbandonare il suo ventre, torcendolo dall'interno.

"Fantastico." reagì con poca convinzione il compagno.

Dorothy annuì. "Allora, io... ti aspetto di sotto, davanti alla sala di addestramento. A dopo." affermò, facendo per andarsene. Poi, come colta da un'indecisione, si fermò. "Lo sai che con me puoi parlare, vero?" chiese.

Somber la guardò nei suoi grandi occhi dorati per un momento. Fu quasi tentato di raccontarle ogni cosa. "Certo. Non preoccuparti, sto bene, Dorothy." la chiamò per nome forse per la prima volta.

Lei gli mostrò un sorriso incerto. "Ok." rispose, scendendo infine per gli scalini cigolanti in legno all'interno della nave.

Si era accorta subito che qualcosa non andava. Lo conosceva proprio bene, d'altronde erano praticamente cresciuti insieme. Non era un'amicizia come le altre, la loro, condividevano molto più di quanto due persone normali, anche molto legate, potessero fare.

Somber ripensò a Mingtian. Da dov'era sbucata? E perché sembrava capirlo così bene? Dov'era andata così velocemente all'arrivo di Dorothy?

Lei non l'aveva neanche notata, talmente che era stata rapida. Alla fine, scosse la testa con veemenza. Decise di non pensarci più e si avviò anch'egli verso l'interno dell'imbarcazione, diretto alla sala di addestramento.

Dorothy era già entrata, quando raggiunse il portone alto e massiccio di legno, oltre il corridoio nei piani inferiori. Probabilmente, stavano aspettando solo lui, quindi Somber spalancò la porta e si preparò mentalmente per l'allenamento.

"Non sapevo neanche che questa nave avesse una sala per allenarsi." pensò.

La nave della Compagnia Santos&Co. era veramente enorme. C'era di tutto, perfino una sala giochi. La compagnia di Antonio Santos si occupava inizialmente di trasporto merci, ma col tempo si era espansa così tanto da riuscire a organizzare spedizioni, fino a essere scelta dal governo Guardians per quella più importante del secolo.

Merito della mente astuta e geniale di Antonio, che dopo la guerra era riuscito a creare dal nulla la sua piccola attività e a crescere sempre di più, grazie anche alla capacità di organizzazione e alla testa fredda e calcolatrice di Amber Lullaby, la sua co-proprietaria.

"È permesso?" Somber annunciò il suo ingresso.

"Ah, eccoti qui, Somber! Siamo pronti, allora?" lo salutò Antonio col suo sorriso caldo.

L'interno era tutto vuoto, le pareti e il pavimento del tutto in legno rinforzato, che lasciavano il posto al cemento nel momento in cui ci si avvicinava al soffitto. Era un'area perfetta per dare sfogo all'adrenalina, di sicuro.

Il giovane si accorse che Dorothy lo guardava fisso, in cerca di segnali positivi da parte sua dopo l'episodio di pochi minuti prima.

"Sì, sono pronto." rispose Somber, mostrandosi sicuro a entrambi.

Dorothy gli sorrise, e lui ricambiò. Ora la sua mente era dedita solo a migliorare la sua tecnica. Somber era bravo a concentrarsi su un'unica cosa senza badare al resto: è così che era riuscito a sopravvivere e a non crollare mentalmente durante i momenti più difficili della sua vita. Perfezionando il suo talento e concentrandosi su un solo pensiero per volta, era sempre stato in grado di svuotare la testa e affrontare qualunque ostacolo nel modo più logico.

Eppure, stavolta gli risultava più difficile. Quella ragazza, Mingtian, l'aveva scosso nel profondo e questo non gli capitava praticamente mai. Era un pericolo. Tentò di ignorare la cosa e si sedette sul pavimento duro vicino a Dorothy. Di fronte a loro, Antonio li osservava con sguardo rassicurante sotto le folte sopracciglia e la chioma crespa.

"Bene, ora che ci siamo tutti, è arrivato il momento di sbloccare il vostro vero potenziale, o almeno di provarci poco alla volta." annunciò.

Dorothy parve scettica. "C'è altro che possiamo imparare, dunque?"

Antonio rise. "Dolce Dorothy, voi siete ancora novellini. Avete capacità veramente incredibili per la vostra età, certo, siete riusciti a fronteggiare i Vulture, che sono combattenti esperti, senza perdere la vita. Vi si può considerare degni di essere allievi del maestro Fujiwara."

Dorothy arrossì, trattenendo un sorrisetto compiaciuto. Somber, invece, non batté ciglio.

"Ma avete ancora tantissimo da imparare. Se vi impegnerete, col vostro potenziale potrete arrivare a livelli inimmaginabili. Anche in tempi brevi." concluse il capitano.

"Ma cosa faremo, esattamente?" argomentò Somber.

"È semplice, caro mio." Antonio fissò lui e Dorothy con aria determinata e sfrontata al contempo. Il suo sguardo esaltava e insieme causava apprensione nei due giovani e promettenti allievi. "Porterete il vostro Kaika a un livello superiore." 

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