Capitolo 27
Mentre la battaglia infuriava nella parte principale del molo, la zona est sembrava silenziosa e tranquilla, immersa nell'atmosfera fredda e cupa della notte. Una figura incappucciata si aggirava non vista con fare circospetto in quella silente desolazione.
Quella parte in genere poco trafficata anche di giorno distava più o meno duecento metri da quella principale ed era nascosta alla vista da un'altura rocciosa, che divideva le due parti del molo, funzionando come confine naturale. Inoltre, dava direttamente sul retro dell'enorme nave, quindi era un buon punto per provare a infiltrarsi di nascosto all'interno di essa.
"La zona opposta a quella dei Vulture, eh? Questo sembra il posto giusto..." sussurrò la figura con cappuccio scuro, osservando l'imbarcazione.
"Ti sei perso, per caso?"
L'uomo rimase immobile, vagliando possibili vie di fuga al sentire di quella voce che l'aveva colto alle spalle. Poi, non trovandone, si voltò, abbassando il cappuccio con fare rassegnato. Di fronte a lui vedeva due uomini che avrebbe preferito evitare di incontrare.
Avevano soppresso il loro Kaika con tale maestria che non lo aveva affatto percepito sul posto, al limitare dello spiazzo pietroso.
"O vuoi semplicemente intrufolarti come un lurido topo, Connor Gray?" concluse Takeshi, guardandolo in tralice.
Okajima Saito e Isao Takeshi. Connor li osservò, cercando alternative alla battaglia: già uno solo tra loro era un avversario temibile, figurarsi entrambi.
Tra l'altro, doveva ancora abituarsi alle tre dita della mano destra fatte d'erba e rinforzate col Kaika che aveva creato per sostituire quelle perse nello scontro con Lux.
"Beccato!" canticchiò Connor. "Eh già, stavo proprio per intrufolarmi. Ma in fondo, non è forse un bene, questo?"
"E in che modo dovrebbe esserlo?" chiese Saito, inflessibile.
"Chissà quali eccitanti pericoli si nascondono nel Continente dell'est. Uno come me dopotutto potrebbe fare comodo laggiù, soprattutto se penso che ci andranno anche giovani inesperti come Dorothy Goover e Somber Blacklight..." il tono di Connor si fece più serio e persuasivo. Ma era chiaro che si stesse arrampicando sugli specchi per guadagnare tempo, ed elaborare una strategia per sfuggire a quella situazione scomoda.
"Ti avevamo avvertito che la prossima volta che avessi interferito con qualsiasi cosa riguardante quei quattro, ti avremmo ammazzato come il cane che sei." tuonò Takeshi.
Connor si accigliò e assunse un'espressione dura. "Così sarei io il cane?" digrignò per un attimo i denti con aria rabbiosa. La diplomazia aveva ceduto in fretta il posto alla ferocia di un assassino. "Ma vi siete guardati allo specchio? Siete l'ombra degli uomini che eravate un tempo. Io non ho rinunciato alla mia libertà, tantomeno ho gettato i miei princìpi per adeguarmi a questo mondo malato e corrotto. Io sono libero, Guardians, al contrario di voi." affermò con voce roca.
"Libertà non significa scorrazzare in giro per soddisfare solo sé stessi e il proprio ego. La vera libertà si trova già dentro di me, nel luogo che posso ancora chiamare casa mia, nel sorriso di chi ho scelto di amare e proteggere, e che mi libera di un po' del peso che grava su di me giorno dopo giorno. Cose che a te mancano, Gray." Ribatté Takeshi.
"Tu non lo sai..." obiettò sottovoce Connor, chinando il capo.
Se Satyria fosse stata lì, in quel momento, cosa gli avrebbe detto? Probabilmente, che era il solito pazzo maniaco suicida, e che avrebbe fatto meglio a scappare con lei.
Già, fuggire insieme a Satyria.
A Connor l'idea allettava ogni giorno di più, ma sapeva come sarebbe andata a finire.
Finiva sempre tutto in quel modo, quando ci si abbandonava alla felicità. Sempre con la morte e la disperazione. E non poteva permetterlo, non con lei.
"Ti offriamo la possibilità di andare via. Se non lo farai, riceverai qui un'esecuzione sommaria." sentenziò Saito.
"Pro-va-te-ci!" esclamò Connor, tornando improvvisamente ironico.
L'idea di misurarsi con guerrieri del loro calibro aveva avuto la meglio sul suo spirito di autoconservazione, e ora era in preda a una nuova, scintillante euforia. La motivazione di un guerriero nato.
Nei suoi occhi, infatti, Saito aveva notato per un attimo una ferocia, una rabbia impressionante. Era infuriato ed esaltato al contempo, ma lo nascondeva perfettamente.
"È il tuo funerale." concluse Takeshi, posando la mano sull'elsa azzurra della spada.
I tre si misero in posizione, studiandosi per qualche secondo con passi accorti in tondo. Poi, la battaglia tra le guardie e il mercenario ebbe inizio.
Connor vide Takeshi alzare la spada con entrambe le mani. La sua lama si illuminò di un azzurro intenso e da essa fu sprigionata una potente aura, che assunse la forma di un enorme squarcio infuocato azzurro.
L'attacco fiammante si diresse a velocità elevatissima verso Connor, che aveva previsto il pericolo e si era mosso in anticipo, lanciandosi lontano dal raggio d'azione dell'attacco di Takeshi appena in tempo.
"Se non mi fossi mosso prima, sarei stato polverizzato." mormorò il mercenario con un'espressione grave, mentre osservava gli effetti devastanti che lo squarcio aveva avuto sull'ambiente.
Tutto il terreno era bruciato, nerissimo, e il muro dell'altura alle sue spalle era fuso e fumante.
Connor non ebbe il tempo di ristabilirsi, che Saito già gli si era lanciato contro con la spada in pugno. Riuscì a schivare un ampio fendente della sua lama con una capriola all'indietro, ma lì era già arrivato Takeshi che provò a decapitarlo tramite un montante istantaneo.
Connor si abbassò all'ultimo secondo, perdendo solo qualche ciocca dei suoi capelli verde scuro, ma venne comunque colpito dal successivo gancio di Saito, attutito a stento dalle sue braccia incrociate.
Mentre indietreggiava per il colpo subito, fece partire un fascio d'erba coperto di spine, con cui ferì Saito di striscio sul viso. Il sangue dello spadaccino dai capelli rosso scuro gocciolò sul terreno.
Ma quel sangue aveva qualcosa di strano: sembrava quasi si stesse solidificando.
Connor ne ebbe la certezza quando vide effettivamente il liquido vermiglio che era sparso sul pavimento indurirsi e diventare una grande lama rossa diretta verso di lui, indirizzata dai movimenti della mano di Saito.
La lama insanguinata lo colse di sorpresa e gli trafisse la spalla dal basso, facendolo barcollare un attimo. Dopodiché, prima che Takeshi potesse finirlo con un affondo alla schiena, si aggrappò ai resti del muro dell'altura allungando un fascio d'erba fin laggiù, e riuscì ad allontanarsi dai due spadaccini con uno slancio disperato.
"Uno rilascia una fiamma azzurra, cioè la più potente esistente insieme a quella viola, e l'altro controlla e manipola il sangue... potrebbe davvero essere la mia ultima notte." rifletté Connor, in equilibrio sulla parete rocciosa con un ginocchio a terra.
Ma non voleva arrendersi facilmente.
Unì le mani, come in preghiera, e delle enormi e spesse radici si formarono dinanzi a lui, dirigendosi a grande velocità verso i due nemici.
"Andiamo, Takeshi!" urlò Saito, creando una spada corta col sangue della sua ferita e impugnandola con la mano libera. Ora ne possedeva due con cui farsi strada negli attacchi nemici.
"Sì!" rispose Takeshi.
I due corsero incontro alle radici che avanzavano verso di loro, tagliandole, bruciandole, schivandole e abbassandosi per evitarle. Arrivarono di fronte a Connor da lato opposti e gli provocarono profondi tagli su entrambi i fianchi con tondi decisi delle loro spade.
L'ex killer si inginocchiò, emettendo un grugnito di dolore.
"Finiamolo!" esclamò Takeshi, alla sinistra di Connor.
Lanciò un fendente infuocato verso il mercenario, che ristabilendosi creò quanti più tronchi e cipressi possibili per attutire in qualche modo le fiamme.
Saito provò a trafiggerlo con le due spade dall'altro lato, ma fu rallentato da un groviglio di fasci d'erba che Connor produsse dalle sue dita. Riusciva a difendersi su ogni fronte persino in quelle condizioni.
Un fascio riuscì ad afferrare Saito per il piede e a lanciarlo addosso a Takeshi, seguendo una traiettoria a mezzaluna. Ciò contribuì a sbilanciare i due. In seguito, Connor ne utilizzò un altro per allontanarsi dalla zona, aggrappandosi a un paletto nei pressi del molo, esausto.
Takeshi e Saito si fissarono a vicenda, decisi a chiudere la questione. Ormai l'avversario non ne avrebbe avuto ancora per molto.
"Concludiamo con la nostra tattica?" propose il rosso.
"Sì, finiamola qui." concordò l'altro. Partirono all'attacco.
Connor era in una situazione disperata, ma per qualche motivo sul suo viso era disegnato un sorriso raccapricciante, e i suoi occhi erano più vivi che mai. "Dai, venite pure, Guardians!" gridò a gran voce. "Fatemi divertire!"
Saito lo attaccò con un fendente, ma Connor riuscì a eluderlo, abbassandosi e perdendo qualche altro capello. Mentre l'avversario era giù, la guardia conficcò la spada insanguinata che teneva nell'altra mano in profondità nel terreno e manipolò il sangue che colava da uno dei fianchi del rivale per legarlo a essa.
Il mercenario era intrappolato. Mentre Saito si allontanava, Connor vide con orrore Takeshi a mezz'aria, alcuni metri sopra di lui, la spada sollevata con entrambe le mani sopra la testa: stava per disintegrarlo con uno dei suoi squarci azzurri.
Takeshi urlò, lanciando l'emissione d'aura infuocata verso il bersaglio. Il suolo venne bruciato, colorandosi di nero pece e alzando una quantità enorme di fumo. Per alcuni minuti la zona non fu chiaramente visibile.
I due Guardians osservarono la scena e strozzarono gli occhi, per tentare di distinguere la figura familiare del corpo del nemico, o quantomeno di vederlo mentre provava a scappare. Ma non appariva nulla ai loro sguardi, se non la devastazione e il gas costante e claustrofobico attorniante.
"Sarà morto?" domandò Saito.
"Mah, non saprei. Quello ha sette vite. Comunque, per stanotte è fuori gioco, questo è certo." rispose pigramente Takeshi.
"Non c'è tempo da perdere, andiamo a vedere come stanno gli altri, ho percepito diversi Kaika scontrarsi nella zona centrale del molo." disse Saito, preoccupato. "E alcuni sono anche scomparsi..."
"Tu va' pure, io voglio cercare Antonio. Se come credo si è scontrato con quel mostro, ho paura per le sue condizioni. Ti raggiungo più avanti."
I due compagni si divisero, lasciando il paesaggio bruciato e desolato alle loro spalle.
Oltre il molo, in acqua, Connor aspettava silenzioso che i due andassero via. Era riuscito a sfuggire alle fiamme di Takeshi all'ultimo momento, aggrappandosi a una piccola boa nell'acqua con un fascio d'erba, dopo aver tagliato la corda di sangue che lo imprigionava in un millisecondo tramite una manata colma d'Hardening Kaika.
Ora galleggiava in mare, legato a quella boa bianca, completamente privo di forze, il furbo viso oblungo ricoperto di bruciature e cicatrici.
"Mi sa che la spedizione salta..." sussurrò, ridacchiando.
Masami si avvicinò alla parete legnosa all'estremità della nave, cauto.
"Fa' attenzione, amico." lo ammonì Danny.
"Ehi, io ho una vena artistica, non sono un casinista squallido come te." ribatté lui.
"Baciami il culo."
"Ma sta' zitto."
Masami si concentrò per ottenere la massima precisione. Aveva udito bussare dall'esterno della parete della nave tre volte: era quello il segnale, non c'era dubbio. Dal suo dito indice fu emesso un minuscolo raggio verde fluorescente che piano piano aprì uno spiraglio nella parete, a stento adatto a far passare un uomo.
In mare, nell'acqua gelida ad attendere c'erano Peste Nera, Bartolomeu Silva, Jansen Dolberg e Sendai Masamune.
"Era ora!" esclamò Jansen.
"Non urlare, bestione, ci scopriranno..." bisbigliò Danny.
"Tanto sono tutti svenuti, lassù. Dai, facci entrare che sto gelando."
Danny e Masami aiutarono i loro compagni a salire a bordo. Quando anche Jansen, a fatica, riuscì a entrare nella fessura creata da Masami e a richiuderla, i sei membri dei Vulture scelti per la spedizione si sedettero nella stiva, rilassando i muscoli.
"Le copie-ombra di Ater hanno confuso i vostri inseguitori, alla fine." constatò, compiaciuto, Masami. "Quel bastardo è un artista."
"Avete fatto bene a infiltrarvi dalla zona ovest, piena solo di vegetazione. A est pare ci fossero quei bastardi di Saito e Takeshi." aggiunse Danny. "Ho avvertito i loro Kaika di merda."
Durante l'arrivo dei rinforzi a sorpresa, gli invasori del molo di Gloomport Town si erano dileguati in tutta fretta, e allora Ater, come da programma, aveva creato delle loro copie abbozzate e mimetizzate nella sera, che avevano sviato i loro inseguitori. I presenti si erano infiltrati dalla vegetazione che occupava la parte occidentale della zona portuale, da cui era facile passare in sordina. I restanti membri dell'organizzazione erano fuggiti via tra i palazzi e i vicoli della città, silenti come ragni nella notte.
"Maledizione, avrei voluto affrontarlo, quel dannato d'un Takeshi." si lamentò Jansen. "E poi, chi poteva aspettarsi che sarebbe arrivato anche Faraday tra i rinforzi? Ce la siamo squagliata in fretta e furia. Proprio mentre stavo per fare un bel lavoretto completo a quella ragazzina." concluse, sghignazzando.
"La incontrerai comunque di nuovo sul continente dell'est." disse Bartolomeu con tono pacato come di consueto.
"Fa' attenzione quando accadrà, le prede ferite cacciano gli artigli." lo avvertì Masamune, freddo.
"Macché, la farò fuori per davvero. Anzi sarà lei a chiedermelo, per disperazione!" quasi urlò Jansen, ridendo.
"Ora basta, fate silenzio. Le copie dell'equipaggio di Ater faranno sì che rimaniamo nascosti e sicuri durante il viaggio, ma se vi fate notare non servirà a niente." gracchiò Peste Nera. Poi, si alzò e si allontanò da loro, dirigendosi in uno sgabuzzino lì vicino.
"Dovrà andare in bagno..." commentò Danny.
Peste Nera si sedette su una stretta panca e si sfilò la maschera a becco, rivelando degli arruffati capelli neri. Dal suo viso pareva quasi venir rilasciato continuamente del gas velenoso.
Mentre nella stiva si sentiva festeggiare, soprattutto Danny e Masami, i suoi occhi rossi sembravano illuminarsi come due candele nel buio della piccola stanza.
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