Capitolo 22

Ater e Candidus si trovavano su un'altura tra le colline che sormontavano la zona appena fuori da Gloomport Town, in attesa di entrare in azione. Le alture erano un vero confine naturale che delimitava la città portuale, incastrandola tra esse e il mare in uno scenario tanto impervio quanto gradevole alla vista, soprattutto da un punto elevato come quello in cui si trovavano i due.

Candidus era seduta sui talloni vicino al precipizio al limitare di uno dei colli, a osservare la città sotto di lei, i lunghi capelli bianchi scompigliati da una lieve brezza fresca.

Il suo leggero mantello con maniche grigio chiaro faceva quasi sembrare che stesse per spiccare il volo, mentre ondeggiava nell'aria.

A causa della sua ubicazione peculiare, Gloomport Town era una città piuttosto ventilata, e nelle stagioni più rigide si verificavano spesso precipitazioni. Su tutta la città aleggiava un'atmosfera un po' cupa, accentuata dalla differenza tra i grandi grattacieli presenti nel centro e i vecchi dojo fatiscenti ancora in piedi dopo la Guerra Rossa, che caratterizzavano le zone periferiche più in disparte, come quella dove si trovava il molo.

Ater, anche lui con i capelli lisci di un nero opaco mossi dal vento, a coprirne in parte un occhio, era in piedi alle spalle di Candidus. Al contrario della ragazza, lui era abbigliato con una felpa completamente nera, così come i suoi jeans stretti.

"Allora, io raggiungo Danny e Masami per occuparmi di quella faccenda, ok?" disse.

Candidus non rispose, continuando a dargli le spalle.

Ater la fissò in silenzio per qualche istante, dubbioso sul da farsi. "Candidus, mi hai sentito? Io vado." tentò, poi.

Nessuna risposta.

"Ci risiamo." pensò il ragazzo. "Assume sempre questo atteggiamento con me, non ne conosco il motivo." Lui e Candidus si conoscevano da tempo immemore, e da piccoli ricordava che avevano vissuto delle giornate spensierate e felici insieme, si poteva dire che fossero stati migliori amici. Ma, dopo che lui ebbe visto la sua vita e la sua famiglia venire distrutta di punto in bianco, si persero di vista in maniera netta e brutale. Ater fu trovato e reclutato da Satyria nei Vulture, che lo salvò da una vita di stenti, e lì con sua immensa sorpresa trovò anche Candidus. Ma qualcosa era cambiato. Lei aveva cominciato a essere fredda, e non l'aveva affatto accolto come avrebbe creduto. Non gli rivolgeva più la parola e spesso l'aveva sorpresa a guardarlo con disprezzo. Il che era pesante, essendo in squadra insieme. Candidus non sembrava mostrargli aperture, si era completamente chiusa a lui.

E il peggio era che non aveva la minima idea di quale fosse la motivazione. Sapeva solo che anche la vita della sua compagna doveva essere stata devastata come la sua, durante la Guerra Rossa tra Guardians e Shihaiken. Tuttavia, non riusciva a immaginare come ciò c'entrasse con lui.

Ater decise che sarebbe stato inutile provare a parlarle in quel momento: avrebbe affrontato la cosa con calma a missione terminata. "Va bene, allora, ci vediamo dopo." concluse, lasciandola lì.

Candidus rimase sola, con lo sguardo perso nel vuoto. "Sai solo scappare." sussurrò.

"Insomma, Takeshi, quanto dista questo molo? Non ti sarai perso?" Peter cominciava a essere impaziente.

A un certo punto Takeshi e Saito avevano bruscamente cambiato strada, prendendone una secondaria e stretta, con un terreno molto umido e pieno di foglie secche tra vari dojo rovinosi in legno e cartapesta. Forse si sbagliava, ma gli era sembrato che i due spadaccini si fossero allarmati per qualche motivo.

Takeshi assunse un'espressione accigliata alle parole del ragazzo. "Ehi, Pete, non fare la signorinella."

"Che hai detto, pesce lesso? Pettinati i capelli!" sbottò il giovane, di rimando.

"Prova a ripeterlo, nanetto."

"Che vuoi, eh?!"

"Che vuoi tu?"

Saito scrutò Takeshi in tralice con profondo disprezzo. "Guardatelo mentre discute in modo acceso con un quattordicenne..." borbottò, mentre Alex e Dorothy li osservavano con un sorriso sarcastico.

Dopo qualche minuto di camminata immersi nella penombra che le abitazioni abbandonate proiettavano su di loro, il vicolo in cui stavano procedendo si aprì, mostrando finalmente il molo di Gloomport Town.

Era una vecchia zona portuale dall'aria tetra e fatiscente, con una banchina e un ponticello composti da travi legnose che conducevano a un'enorme nave, in netto contrasto col paesaggio lugubre attorno a essa. A destra si ergeva un'altura rocciosa e scoscesa che nascondeva la zona est del molo, mentre a sinistra si dipanava una fitta rete di piante e cespugli selvatici aggrovigliati tra loro. Sulla nave vi era incisa una grande scritta: "Compagnia commerciale Santos&Co."

Peter e i suoi compagni la contemplarono, ammirati.

"È immensa!" esclamò Alex.

"Già." convenne Takeshi. "Quel bastardo di Santos non se la passa male."

"Geloso?" lo punzecchiò Saito.

"Macché."

"Isao Takeshi geloso di qualcuno. Esiste un paradosso più grande?" Una voce vagamente squillante irruppe dal ponte della nave che dava sulla banchina. A parlare era stato un uomo alto dalla pelle ambrata, capelli ricci e castani come i suoi occhi tondeggianti, una barbetta rada sul viso squadrato e un'espressione costantemente divertita. Accanto a lui c'era una ragazza mingherlina, bionda e bassina, con dei luminosi occhi verdi.

Entrambi indossavano austere divise da marinai nere, quella dell'uomo in particolare era impreziosita da una lunga cappa scarlatta che discendeva fin quasi alle sue caviglie coperte da alti stivali beige.

"Antonio Santos che fa un'entrata in scena figa è un paradosso ancora più grande." ribatté Takeshi.

"Come se la cavano i miei vecchi compagni d'armi, eh?" chiese Antonio, con un gran sorriso.

"Scortiamo dei mocciosi, a te come sembra?" si lamentò il cespuglio azzurro.

Saito gli sferrò uno schiaffo sulla nuca per metterlo a tacere. "E sta' zitto, pagliaccio, ti lamenti sempre."

La ragazza bionda sbuffò, muovendo qualche deciso passo in avanti. "Un buffone non poteva che avere altri buffoni come amici..."

"Ehi, Amber sei davvero cattiva..." protestò Antonio.

"Sei tu a essere uno stupido." rispose lei, alzando gli occhi al cielo.

Peter e gli altri li guardarono, stupefatti dalla pioggia di provocazioni nata in nemmeno un minuto dalla rimpatriata dei tre vecchi amici.

"E questi sarebbero degli adulti?" bofonchiò Somber.

Antonio si rivolse infine a loro, gioviale e inclusivo. "Eccovi qui, dunque. Allora, chi di voi dovrà venire nel Continente orientale?"

Dorothy e Somber mossero un passo avanti. "Siamo noi, signore." affermò la ragazza, con un'espressione orgogliosa sul volto. "Io sono Dorothy Goover e questo qui è Somber Blacklight, siamo due Guardians."

"E loro sono Peter e Alex, giusto? Ho sentito parlare di voi quattro pesti. I nuovi allievi del maestro Fujiwara Taiyo. Avete partecipato al torneo della South Arena. Non siete affatto male, sapete?" si congratulò Antonio, coi suoi modi calorosi.

Peter e Alex arrossirono. Essere conosciuti da qualcuno li rendeva felici. "La ringrazio, signor Santos!" esclamò il secondo.

"Che cordialità. Mi piacete! Non siete come quei due zotici laggiù o quell'orco di Amber..."

"Chi sarebbe l'orco, spregevole microbo?" sibilò la donna menzionata, sferrandogli un calcio nella schiena e strappandogli un urletto di dolore.

"Te lo sei meritato." commentò Takeshi, intento a scaccolarsi.

"Già, stavolta sono d'accordo..." aggiunse Saito.

Amber intanto prese a fissare con una certa severità Dorothy e Somber. "Avete davvero il fegato necessario per affrontare una missione del genere, voi due? Non sappiamo che tipo di natura o di fauna troveremo sul Continente orientale. Potrebbero esserci più pericoli di quanto crediamo. Se avete ripensamenti, è questo il momento giusto."

"Se avessimo avuto ripensamenti, non saremmo mai venuti fin quaggiù. E riguardo alle nostre capacità, non dovete preoccuparvi." replicò Somber.

"Voi due, piuttosto, siete sicuri di voi stessi?" gli fece eco Dorothy, beffarda.

Amber le mostrò un mezzo sorriso, interessata all'apparenza da quel duo affiatato. "Sprezzanti e sicuri, forse vi ho giudicati male. Volete fare un giro a bordo, allora?" propose con un'aria complice sul viso tondo.

Lo sguardo di Dorothy si illuminò di colpo. "Certo! Non sono mai stata su una nave..."

Somber dal canto suo chiuse gli occhi e fece un cenno con la testa in segno di assenso, senza scomporsi più di tanto esteriormente.

Amber rise a quelle reazioni così diverse. "Allora seguitemi, sono sicura che vi piacerà."

Antonio li guardò salire sulla nave, sorridendo. "Sono pur sempre ragazzi. E Amber sembra saperci fare con loro."

"Quindi ci sarà un attacco dei Vulture?" domandò, preoccupato, il capitano.

"Probabilmente sì, stasera. Non so cosa vogliano fare con precisione, ma consiglio di stare attenti a ogni evenienza." rispose Saito in tono grave.

"Meglio che arrivino presto gli altri Guardians che partecipano alla spedizione." disse Takeshi.

"Questa storia non mi piace..." mormorò Antonio. "Direi che sarà meglio chiedere degli uomini in più al molo per stasera alla guardia cittadina, sperando che ce li inviino in tempo in caso di attacco."

Peter e Alex si avvicinarono, allarmati e incuriositi da quelle parole.

"Scusate, chi sono questi Vulture?" chiese il castano. "Dorothy e Somber staranno bene?" I due amici avevano entrambi un'espressione piuttosto preoccupata sui loro volti.

"Non voglio mentirvi, ragazzi." affermò Antonio. "I Vulture sono un'organizzazione criminale, un ramo dell'Esercito Guerrigliero che agisce contro il governo Guardians. Una squadra d'Èlite, si può dire. Vogliono rovesciare l'ordine attuale in nome del vecchio governo, lo Shihaiken, che regnava sul Continente centrale prima dell'invasione dei Guardians, che portò alla Guerra Rossa. Si dice che si stiano preparando per un'altra guerra, ma non so se abbiano i mezzi necessari al momento."

"E un intero continente a est come base a disposizione garantirebbe loro il potere e i mezzi che gli servono, giusto?" dedusse Alex. "I Vulture potrebbero fungere da avanscoperta per i ribelli dell'Esercito Guerrigliero."

"Proprio così, Alex." concluse Antonio.

"Un'altra guerra non gioverebbe a nessuno. Porterebbe solo altro odio e dolore." sentenziò Takesh, scuro in voltoi. "Ucciderò tutti da solo, combatterò contro chiunque, se sarà necessario a proteggere ciò che mi è rimasto nella vita."

"Takeshi..." sussurrò Peter, stupefatto da quelle parole inaspettate, soprattutto da lui.

Saito poggiò una mano sulla spalla del collega per rasserenarlo. "Non sei solo, testone. Non devi affrontare proprio nessuno senza aiuto. Quando lo imparerai?" disse con severità.

"Già, già, lo so... A ogni modo, noi siamo stati assegnati alla zona est del molo, quindi ci avviamo. Pensaci tu ai ragazzi, Santos."

Takeshi e Saito si avviarono verso la zona del molo a oriente, dove sarebbe stato facile mettere in atto un'incursione e agire non visti, essendo un punto con poca visibilità a causa dell'altura rocciosa naturale che ostruiva la visuale.

Peter li guardò andare via, poi, rivolse lo sguardo verso Antonio. "Signor Santos?" azzardò.

"Dimmi, Peter." rispose lui col suo sorriso caldo.

"Come mai Takeshi è diventato così cupo quando abbiamo parlato dei Vulture? Ha qualcosa a che fare col suo passato?"

L'altro sospirò. "Beh, ragazzi, come saprete, prima di voi eravamo io, Takeshi e Saito gli allievi di Fujiwara Taiyo. Ma oltre a noi ce n'era un altro, un guerriero formidabile ed estremamente dotato."

"E chi era?" chiese Alex.

"Il quarto allievo e nostro compagno era Asmodeus Karasu, il leader dei Vulture."

I due ragazzi rimasero spiazzati dalla notizia. Mai avrebbero immaginato che uno dei terroristi che minava la pace nelle loro vite fosse stato un allievo del maestro che aveva addestrato anche loro. La cosa lì destabilizzò più di quanto avessero creduto. Cos'era successo per condurlo su quella via tetra, nonostante gli insegnamenti del luminoso Fujiwara?

"Ma come si è arrivati a questa situazione? Se era vostro amico, perché adesso combatte contro di voi?" domandò infatti Peter.

Antonio sospirò ancora, mentre gli tornavano alla mente brutti ricordi che rendevano il suo sorriso più amaro. "Si potrebbe dire che ha preso peggio di tutti noi la conquista da parte del governo Guardians del Continente centrale, ma il vero motivo è un altro. Vedete, lui e Takeshi si odiano, perché Takeshi ha fatto qualcosa che Karasu non credo potrà mai perdonargli."

"E cosa sarebbe?" Alex aveva un'espressione triste e curiosa allo stesso tempo, e in un certo senso pensava di aver intuito di cosa si potesse trattare, più o meno.

Il viso di Antonio si fece duro, l'ombra che aleggiava su di lui rendeva i suoi tratti ancora più maturi, marcati da una dolorosa e oscura consapevolezza. La sera incombente avvolgeva la sua figura come se la stesse avviluppando in una prigione eterna e cupa, composta di memorie inaccessibili.

"Takeshi uccise la persona che Karasu più amava."

Ater era arrivato nel punto in cui Danny Wolf e Ishii Masami, i due membri più giovani dei Vulture, lo stavano aspettando: il tetto di un basso e rovinoso edificio abbandonato nella periferia a sud-ovest della città. La zona era silente e poco abitata, uno stradone grigio e solitario punteggiato da varie crepe di tanto in tanto era circondato alla lontana da altri edifici dall'aria vissuta. Alti coni stradali ne delineavano il perimetro, dividendolo da quelle aree residenziali

"Ehi, Ater, finalmente sei arrivato!" lo chiamò Danny, quando questo atterrò accanto ai due compagni.

"Possiamo iniziare, era ora. Ho propria voglia di uccidere qualcuno!" esclamò Masami con il suo sguardo un po' tendente al sociopatico.

"Salve, ragazzi. Scusate il ritardo." Ater si introdusse col solito tono pacato, passandosi una mano indolente tra i ciuffi corvini.

"Ci stavi di nuovo provando con Candidus e hai fatto tardi?" incalzò Danny, sfoggiando un sorriso ironico.

"Macché. Anzi, sembra ce l'abbia con me per qualche motivo." rispose lui, torvo.

"Però, Ater, mi pare che voi foste amici di infanzia, no?" constatò Masami. "Non dovreste essere più uniti?"

"Lo penso anch'io, ma pare che la situazione sia cambiata. A ogni modo, pensiamo al lavoro e basta."

"Finalmente qualcosa di sensato." sogghignò Danny, abbandonando in un lampo quella conversazione per lui noiosa e passando di buon grado alla parte adrenalinica. "Una parte del personale della compagnia Santos&Co. passerà di qui a momenti per arrivare al molo con una navetta: li faremo fuori. Poi, Ater userà il suo potere Kaika per creare dei fantocci dai loro cadaveri."

"Puoi davvero creare delle copie esatte?" chiese Masami.

"Se la persona di cui la creo è morta, sì. Se è ancora viva, la copia sarà molto poco dettagliata, e soprattutto completamente nera." spiegò Ater.

"Bene, non capisco appieno il perché, ma questo ci rende più semplice il lavoro!" concluse Danny.

I tre si misero ad attendere per qualche minuto, ingannando la noia con qualche chiacchiera di circostanza, o nel caso di Danny eseguendo delle trazioni sul cornicione del palazzo, sospeso nel vuoto. Ater invece rimaneva immobile ad aspettare il momento di agire, senza battere ciglio.

"Eccoli!" li informò Masami, quando udì il rombo lontano di un motore. Sotto l'edificio su cui si trovavano, stava passando il mezzo con all'interno sei membri del personale della compagnia, o almeno così gli sembrò.

"Si entra in azione." affermò Danny, gettandosi nel vuoto, cosparso di Armor Kaika, e atterrando dritto sul tetto della navetta con un gran frastuono.

Anche Masami si lanciò verso il basso, arrestandosi invece sulla strada terrosa davanti al veicolo.

Ater rimase sull'edificio, in attesa del suo momento.

"Ehilà, come va?" scherzò Masami, la mano agitata di continuo dinanzi al parabrezza della navetta.

Tre dei loro avversari parvero riconoscere il pericolo, forse avvertiti di potenziali assalti durante il viaggio, e scesero per aggredirlo, emettendo al contempo dell'aura violenta. Erano utilizzatori di Kaika. Ma non appena furono all'esterno vennero colpiti da una manciata biglie ricoperte da un rilucente fuoco viola chiaro alla nuca, e caddero al suolo senza vita come birilli.

Danny, ancora sul tetto, ridacchiò di gusto, reduce dal lancio. "Con il Kaika tutto può diventare un'arma." Aveva azzerato il Kaika per non far percepire il suo attacco.

Masami intanto salì sul camion. "Mi dispiace, ma dovete morire." sbottò, rivolto ai tre rimasti, che non sembravano possedere poteri, a differenza dei loro compagni caduti. "Dai, farò in fretta." Puntò le prime tre dita della sua mano destra su di loro, formando il numero tre. Da esse, in seguiti, partirono dei raggi verdi, sottili velocissimi che trapassarono la testa delle vittime a estrema velocità da parte a parte, uccidendole all'istante.

Masami e Danny si rincontrarono davanti al camion.

"Il mio fuoco non fallisce mai, ammettilo." si vantò il secondo, orgoglioso.

"Mah, è poco elegante rispetto al mio uranio. Quello sì che è un potere particolare..." controbatté Masami.

"Ma sentitelo... Ehi, Ater! dai, vieni qui!" lo chiamò Danny. "Ma insomma, sporcati le mani anche tu, dannato!"

"Il mio lavoro è il peggiore di tutti." replicò il ragazzo, una volta raggiunti i due. Si avvicinò quindi ai corpi senza vita delle vittime e si concentrò a fondo.

"Dark Copy: Rewind." sussurrò.

I cadaveri persero d'un tratto la loro ombra, che si contorse verso l'alto senza produrre un solo suono, e si trasformò lentamente in loro copie vive, immobili e mute. Erano identiche ai loro vecchi possessori ormai defunti.

"Spaventoso, amico. Il tuo Kaika d'ombra è dannatamente tetro." commentò Masami.

"Non l'ho scelto io." rispose Ater.

"Dai, non prendertela! Torna da Karasu, servirai anche sul campo per la prossima parte. Noi ci cammufferemo con i loro vestiti, e spero che le tue copie ci coprano bene." spiegò Danny.

"Lo faranno, le ho impostate in modo che durino almeno sei mesi, così nessuno vi darà fastidio durante il viaggio sulla nave. Infatti, durante questo periodo di tempo potrò solo creare copie momentanee e abbozzate, e il mio Kaika sarà sempre più che dimezzato. Mi aspetta un periodaccio, mi sa. Spero ne valga la pena..."

"Sei grande, compare."

Ater li salutò con un cenno, poi se ne andò, sparendo oltre lo stradone, nella zona residenziale che si dipanav a est, diretto verso il resto dei suoi compagni vicino al molo. Laddove il massacro stava oramai per avvenire.

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