Capitolo 21
L'aria notturna era fredda, e i capelli ramati di Satyria venivano mossi dal vento, mentre si avviava con Karasu al luogo d'incontro con gli altri membri dell'organizzazione Vulture.
"Che sappia che ho parlato con Connor? Impossibile, sono stata attenta a non farmi seguire da nessuno." pensava, nel frattempo, a ogni passo felpato alle spalle dell'imponente schiena del suo leader.
Forse non valeva la pena darsi così da fare per qualcuno che rifiutava sempre di venire con lei, e che si ostinava a rimanere un lupo solitario. Ma che altro poteva fare? Abbandonarlo? Le bastava pensarci per capire che non ci sarebbe riuscita: lei e Connor si conoscevano da troppo, e avevano condiviso troppo. Anche se avevano compiuto scelte opposte e intrapreso strade diverse, lei non voleva tagliare quel legame.
E in fondo Satyria sapeva, o almeno sperava, che fosse così anche per lui.
Mentre questi pensieri le ottenebravano la mente, Karasu si fermò: erano arrivati a destinazione. Si trovavano in uno spiazzo che un tempo era stato un largo magazzino industriale per le merci, ora attorniato solo da una fatiscente recinzione di ferro arrugginito. Il terreno era friabile e umidiccio, oltre che freddo come l'aria che spirava da nord.
Satyria vide i suoi compagni, persone di cui si fidava, soprattutto i due che le rivolgevano cenni da lontano, salutandola: Ater Shade, Il ragazzo con capelli e occhi entrambi di un nero opaco, e quel suo fare pigro e distaccato. Candidus Radius, la giovane dalla lunga chioma fluente di fili bianchi e spendenti iridi dello stesso colore, sempre arzilla e attiva, con un nome così strano per una ragazza.
La sua squadra.
All'interno dei Vulture c'erano infatti quattro capitani, ognuno dei quali comandava un piccolo gruppo di due persone. Satyria era appunto uno dei capitani e Ater e Candidus formavano il suo team. Per lei, loro due valevano più dell'intero Continente centrale. Anche se non tutti potevano vantare un legame così stretto, nell'organizzazione.
"Ehi, capo." la accolse con la solita calma Ater.
"Capo! Ce l'hai fatta, finalmente!" Candidus le urlò letteralmente in faccia, balzando qua e là davanti a lei, e coprendo la figura del compagno
"Scusate, ragazzi. Ho avuto un piccolo impegno, siete qui da molto?" argomentò Satyria.
"Più o meno un'ora, Karasu iniziava a spazientirsi." rispose Ater.
"Con questo qui non ce la facevo più." disse Candidus. "È proprio un mortorio." aggiunse, guardando con disprezzo Ater.
L'altro si limitò a fissarla un po' stranito, senza ribattere.
Candidus sembrò ancora più irritata da quella reazione passiva. Stava giusto per insultarlo ancora, quando Karasu iniziò a parlare e attirò la loro attenzione.
"Ora che ci siamo tutti, possiamo parlare di affari." cominciò. "Come sapete, grazie alle operazioni di infiltrazione di Satyria, siamo venuti a conoscenza di una spedizione organizzata dal governo per esplorare il Continente orientale. La nave che verrà utilizzata per il viaggio salperà domani sera al molo di Gloomport Town, noi li intercetteremo e un piccolo gruppo scelto si infiltrerà a bordo, occultando la sua presenza."
"E brava Satyria! Così potrò ammazzare anche quel bastardo che ha fatto fuori uno dei miei uomini e uno di quelli di Peste Nera." commentò un energumeno di oltre due metri, con lunghi e ondulati capelli castani e occhi scuri.
"Ti ringrazio, Jansen. Ma la vendetta non è la nostra priorità, non sappiamo neanche se lui sarà lì." ribatté Satyria.
Jansen ghignò. "Oh, ci sarà, il governo Guardians non rinuncerà al suo uomo migliore per assicurarsi che tutto vada bene. E io lo troverò e gli spezzerò tutte le ossa, prima di finirlo."
"Fa' silenzio, Jansen. Con le tue stupidaggini stai inquinando l'aria." A intervenire era stato Kirai, uno dei quattro capitani insieme a Satyria, Jansen e Peste Nera. Portava capelli grigi a spazzola. L'occhio da cui vedeva, anch'esso grigio, mostrava spesso un'espressione fredda come il ghiaccio, mentre l'altro era perennemente chiuso per una vecchia ferita, di cui rimaneva la cicatrice.
"Kirai. Non è un tuo uomo a essere stato ucciso, non puoi capire. Devo togliere di mezzo quel bastardo." affermò Jansen, paziente nei modi, ma visibilmente pregno di rabbia malcelata.
"Certo, hai ragione, non posso capire. Questo perché io non sono uno sconsiderato che lascia morire i suoi uomini come te." provocò Kirai, col suo tono di voce sempre sommesso.
"Prova a ripeterlo." Jansen tese i muscoli.
"Ora basta." intervenne Karasu, sedando quella disputa sul nascere. "Se Isao Takeshi si farà vivo al molo, lo ucciderò io stesso. Solo io posso farlo, non ve ne dimenticate."
Kirai e Jansen tacquero malvolentieri. Non era semplice gestire un gruppo di assassini pericolosi, ma quell'uomo era in grado di farsi rispettare, ascoltare e seguire come se invece lo fosse. Come se il comando fosse il suo stato naturale.
Satyria si chiese cosa mai ci fosse stato tra Karasu e Takeshi. Il fatto che avesse ucciso due persone tra le loro fila era grave, sì, ma il modo in cui Karasu si incupiva quando veniva menzionato faceva pensare che c'era dell'altro nel loro passato.
"Cosa c'è, capo? Sei cosi tesa..." si rivolse a lei Candidus, empatica.
"Niente, Candidus, tranquilla. Sono solo stanca, ho bisogno di riposare."
L'altra la fissò poco convinta, ma poi, come spesso le accadeva, rivolse in fretta la sua attenzione altrove, attratta da un altro stimolo.
Karasu, infatti, stava continuando il discorso. "Ora vi comunicherò i gruppi che si infiltreranno sulla nave, con lo scopo di raggiungere il Continente orientale: Jansen, tu andrai con Masamune, l'uomo che rimane nella tua squadra."
"Lascia fare a noi, capo." ghignò Jansen, con la sua solita aria confidente.
Masamune, un uomo dall'aria seria con capelli biondo scuro e occhi giallo paglia, si limitò a esibire un cenno d'assenso. La sua armatura leggera da spadaccino gli conferiva un'aria mesta e imponente, avvalorata dallo sguardo inflessibile disegnato sul suo viso tagliente.
"Come seconda squadra, andrà quella di Peste Nera e Silva, e a loro si aggiungeranno in via eccezionale Masami e Danny della squadra di Kirai, che al momento sono a Gloomport Town per studiare la situazione nei pressi del molo e aprirci la pista per l'infiltrazione." concluse Karasu.
Peste Nera indossava una maschera a forma di becco, da monatto, da cui trasparivano solo un paio d'occhi rossi, accompagnata da un lungo impermeabile nero e un paio di guanti bianchi, che puntualmente si coloravano del sangue dei suoi nemici. Bartolomeu Silva era, invece, un uomo alto e strutturato dalla pelle ambrata e i capelli crespi d'un castano chiaro.
"Tutto chiaro, boss." affermò il primo, la voce compressa dalla maschera e il tono beffardo e canzonatorio che lo contraddistingueva.
"Chiaro." fece eco Silva, con voce dura.
"Bene. Kirai, raggiungi la tua squadra sul molo a Gloomport Town per monitorare la situazione. Domani sera prima dell'attacco conoscerete tutti il piano completo, vi voglio precisi e veloci." raccomandò Karasu. "E soprattutto... divertitevi." aggiunse, un ghigno sadico a gettargli un'ombra spettrale sul volto.
Peter e Alex aspettavano davanti all'ingresso di una rustica tavola calda, sotto il sole del primo pomeriggio e una leggiadra brezza invernale. Ormai erano da quasi un'ora in attesa dell'arrivo dei loro amici, per la loro prima riunione al completo dopo gli eventi del torneo.
"Ehi, Alex, quando arrivano Dorothy e Somber?" chiese Peter, impaziente e a braccia conserte.
"Dovrebbero essere qui a momenti, impara ad aspettare." gli rispose Alex, un po' inacidito.
Peter sbuffò. "Dunque, sei sicuro che sia stasera la spedizione? E soprattutto, che c'entriamo noi? Non parteciperemo, in fondo."
"Dorothy è stata chiara, ieri sera." spiegò Alex. "Poco prima che me ne andassi da casa sua mi ha informato di questa spedizione e di come lei e Somber fossero stati scelti per prenderne parte. Accompagnarli fino al molo di Gloomport Town è una buona occasione per riunirci tutti e quattro, non credi?"
"Mai una volta che capiti a noi, un incarico del genere. Vabbè, ma in fondo sarebbe una rottura un impegno così a lungo termine." affermò Peter, con aria distaccata.
"Solo tu puoi pensarlo!" borbottò Alex.
"E non rompere, lo sai che a me piace variare, impegnarmi su una cosa sola sarebbe limitante. In fondo, il mio scopo principale resta solo ottenere informazioni sul mio passato, e vivere una vita tranquilla. Tutto questo casino non fa per me. E poi..." Peter si fermò. Stava per raccontargli del sogno che aveva avuto durante il torneo, e che lo tormentava di continuo. Quella ragazza, quel mostro pieno di rancore. Ma per qualche ragione sentì che era meglio tenerlo per sé, al momento.
"E poi?" incalzò Alex.
"E-ehm... e poi... sì, sai... voglio una bella birra, sì, ora che entriamo nella tavola calda mi prendo una bella birra!" gridò.
Alex lo guardò, attonito. "V-va bene... prenditi una birra, allora..."
Peter in tutta risposta emise uno strano verso di assenso a metà tra il convinto e il nervoso.
"Non sei troppo giovane per la birra, ragazzo?"
Peter e Alex si girarono. Dietro di loro c'erano Dorothy e Somber, ma a parlare era stato un altro uomo alle loro spalle. Il cespuglio azzurro che aveva al posto dei capelli era inconfondibile.
"Takeshi!" esclamò Peter.
"Yo!" salutò lui, con i suoi occhi da pesce lesso. Con la guardia c'era anche il suo collega, Saito, posato e distaccato come al solito, a differenza sua.
"Non potevamo mancare, sapendo che vi avremmo incontrati di nuovo tutti e quattro." affermò quest'ultimo, sorridendo con cordialità.
Dorothy abbracciò con affetto Peter e Alex, mentre Somber strinse loro la mano con aria neutra.
"Vedo che non ti hanno ancora ammazzato come un cane in un vicolo, Peter." esordì lo spadaccino.
"E tu ancora non sei finito in miseria dentro un buco? Mi chiedo perché." rispose Peter. Somber gli rivolse un sorriso complice come risposta.
"Sono sempre gli stessi..." mormorò Alex, costernato.
"Già, non cambieranno mai..." concordò Dorothy.
I quattro amici entrarono con Takeshi e Saito nella tavola calda. Mangiarono degli hamburger con patatine e una cola ghiacciata, mentre le due guardie si presero del sakè con degli stuzzichini serviti in omaggio.
"E così, siete stati assegnati come guardie al molo di Gloomport Town, stasera?" chiese Peter, rivolto ai due spadaccini.
"Bah, sì, che rottura!" si lamentò Takeshi. "Cameriera un altro po' di sakè!" esclamò poi, sguaiato.
"Non pensi di stare esagerando?" fece notare Saito in tono infastidito.
"La vita è fatta per osare ed esagerare, io sono il tipo d'uomo che non si lascia scappare niente dalle mani." proclamò Takeshi, un attimo prima che il bicchiere gli scivolasse e si frantumasse a terra. "Ops..."
"Tu sei solo un buffone." concluse Saito. Dorothy rise alla scena, divertita come sempre da quel duo così eterogeneo.
"Ehi, cos'hai da ridere, ragazzina?" chiese Takeshi. "Non c'è più rispetto per gli adulti."
"Se tu sei un adulto, allora il mondo è in rovina." mugugnò Somber.
"A ogni modo, siete sicuri che ci facciano passare senza problemi al molo, per salutare Dorothy e Somber? Non facciamo parte della spedizione." domandò Alex, mentre Takeshi provava ad afferrare le guance di Somber per tirarle.
"Tranquillo, garantiremo noi, non ci saranno problemi. In più, il proprietario della nave con cui si salperà è un nostro vecchio amico." lo rassicurò Saito.
"Conoscete Antonio Santos, il capo della Compagnia commerciale Santos& Co., quindi?" domandò Dorothy, mentre addentava con foga il suo hamburger.
"È un amico di infanzia. Quel bastardo non si fa sentire mai, pensavo fosse morto." sbraitò, polemico, Takeshi.
I sei continuarono a conversare e festeggiare allegramente per circa un paio d'ore, poi si avviarono verso il molo, uscendo di nuovo all'aperto, irrigiditi dall'aria fredda.
Mentre camminavano, Peter, Alex, Dorothy e Somber continuarono a parlare e scherzare tra loro senza sosta. Erano passate settimane da quando si erano divisi alla South Arena e avevano molta voglia di stare insieme, di recuperare il tempo perduto.
Erano stati mesi di adattamento, e ora che si ritrovavano di nuovo uniti, era come rifugiarsi in un luogo caldo e confortevole in cui ci si sente sempre a proprio agio, sicuri.
Takeshi e Saito sorrisero, osservandoli da dietro.
"Che tipi, eh? Mi ricordano noi quattro molti anni fa." disse Saito, nostalgico.
"Già." concordò Takeshi, sorridendo amaro. "Io, tu, Santos e Karasu."
"Come siamo finiti dove siamo adesso?" si domandò Saito, il suo volto scurito dalla sera incombente.
"Mi piacerebbe non saperti rispondere, ma il motivo lo conosciamo entrambi." mormorò Takeshi con durezza.
Saito non rispose. "Hai notato?" chiese, poi, dopo qualche secondo di silenzio.
"Sì, ci stanno seguendo." Takeshi girò lo sguardo con la coda dell'occhio, in alto, proprio nella direzione in cui da qualche minuto degli occhi furtivi continuavano a spiare il loro gruppi.
La figura che li osservava dal tetto di un palazzo basso nell'isolato lì vicino si nascose di scatto dietro delle casse, vicino al limitare del cornicione.
"Che succede, Danny?" chiese un ragazzo poco più che adolescente, bassino, con capelli neri a caschetto e grandi occhi arancioni molto accesi.
"Mi hanno scoperto, Masami." rispose col suo tono vivace Danny, all'apparenza un po' più grande, dai capelli di un viola intenso, rialzati sulla fronte al punto da sembrare elettrizzati, e occhi blu scuro. "Ho avvertito un chiaro intento omicida dal bastardo col cespuglio azzurro in testa, credo sia quel Takeshi. È spaventoso."
"Che facciamo, capo? Ci hanno visti." domandò Masami.
Kirai, accovacciato poco più in là, sembrò pensarci un attimo con sguardo serio. "Ritiriamoci, per ora, i preparativi li abbiamo conclusi." decise, poi. "Torniamo da Karasu e facciamo rapporto."
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