Capitolo 143

Karen avanzava tra le fitte fronde e i cespugli che costeggiavano la zona est dell'isola del Continente occidentale, quella a cui lei e Saito erano stati assegnati all'inizio della spedizione. In quel luogo umido e rurale, nel quale stretti passaggi ricoperti d'alberi da cui penzolavano liane e rami sporgenti si alternavano a spiazzi molto più larghi e assolati, dominava una quiete insistente, interrotta solo dai versi dei vari volatili e insetti che popolavano la foresta.

Oltre a questo, la rossa avvertiva una forte pressione che pulsava nelle sue tempie come un martellio lontano quanto continuo, dovuta alla quantità esorbitante di Kaika che il paesaggio stesso sprigionava. Persino Saito, composto e pacato di consueto, appariva turbato da quell'energia costante che percepiva. Come se quel posto fosse un agglomerato di Kaika.

Le chiome stesse degli alberi talvolta erano attraversate da sfumature azzurrine e sovente gli esemplari di uccelli o piccoli mammiferi in cui si erano imbattuti erano sembrati loro più grandi del normale, dai colori intensi e striature che andavano dal celeste all'indaco. Inoltre, tutti emanavano una cospicua quantità di aura, nonostante di norma gli animali non ne dovessero possedere. Che fossero esemplari sconosciuti, contaminati dall'aura fuori dal comune che risiedeva in quel posto? Delle vere e proprie Bestie di Kaika?

Come se non fosse bastato, la testa della giovane ragazza del fuoco era occupata da un un tarlo fisso e insistente: le parole che si era scambiata con Peter, prima di dirigersi a est con Saito.

Al momento della separazione per iniziare l'esplorazione, la ragazza si era avvicinata al giovane e l'aveva preso in disparte, così da esprimere ciò che sentiva dentro di sé da ormai gran parte del viaggio e di cui si voleva liberare. Intendeva fargli quella proposta.

Così, aveva raccolto tutto il suo coraggio, ingoiando un gran boccone d'ossigeno, e gliel'aveva chiesto.

"Ormai è da molto che ci frequentiamo, Pete." aveva iniziato, riuscendo a guardarlo in quei grandi occhi blu incuriositi. "E, proprio per il rischio che tutti noi corriamo, per la paura di perderti, o che tu possa perdere me, avevo intenzione di chiederti una cosa molto importante, su cui ho riflettuto a lungo." Il suo sguardo era così intenso e determinato, che Peter quasi non aveva riconosciuto la timida e gentile ragazza che aveva incontrato, anni addietro.

Gli era sembrato di avere davanti una combattente nata. Una ragazza forte come poche al mondo, che emanava positività ed era d'ispirazione agli altri. Per questo aveva pensato che fosse fortunato a conoscerla, poiché le persone tenaci come lei non si trovavano spesso.

"Di cosa si tratta, Karen? Parla pure apertamente, sai che non mi faccio mai problemi." Era riuscito a rivolgerle uno dei suoi gran sorrisi spensierati a trentadue denti.

Karen aveva atteso qualche secondo, prendendosi il tempo di cui necessitava. Poi, gli aveva a sua volta sorriso, ricolma di dolcezza e amore che aveva illuminato i suoi occhi tondi e gialli come le fiamme del sole stesso. "L'abbiamo già fatto in passato, è vero, ma perlopiù si trattava di un allenamento per cui dovevamo stare sempre insieme. Ora, però, vorrei proportelo in modo definitivo. Io mi sento pronta. Quindi, Peter, ti andrebbe di vivere insieme, dopo questa spedizione?"

Karen ricordava quel momento, tra i più belli che ricordasse nella sua vita. Quello in cui il ragazzo che amava aveva sorriso e l'aveva abbracciata stretta, mormorando che non l'avrebbe mai abbandonata. Le era persino parso commosso, lui che non cedeva mai a sentimentalismi, ma era sempre scherzoso e positivo. Aveva accettato, e lei si era sentita al settimo cielo. Si sentiva ancora così. Il solo pensiero della vita che l'attendeva con lui bastava a riempirle il petto e lo stomaco di una marea calda composta da gioia e un minimo d'ansia.

Saito, accanto a lei, scrutò la sua espressione e intuì come si dovesse sentire, a cosa più o meno stesse pensando. Gli trasmetteva una tremenda nostalgia vedere in lei ciò che aveva già visto negli occhi di Takeshi e Karasu quando pensavano a Shinzo. E, al contempo, rivedeva quel sentimento in ciò che provava nei confronti di Estrella. Nonostante tutte le ombre che offuscavano il suo passato, riusciva a intravedere una speranza, in fondo. La vedeva negli occhi di Karen, in quelle emozioni che gli stava trasmettendo. Doveva solo essere forte ancora un po'. Soltanto un altro po'. Prima di potersi lasciar andare.

"Karen, resta concentrata, ok? La fauna qua attorno potrebbe essere pericolosa. È talmente densa di Kaika da poter rivaleggiare con noi, se finissimo in qualche tana..." la avvertì.

Lei ridacchiò, zelante. "Però è proprio affascinante, eh? Scommetto che una volta conclusa questa faccenda ci saranno tante altre ricerche e spedizioni per studiare questo posto così pieno di novità, in cui il Kaika è così tanto presente da dare forma all'intero ecosistema. Vorrei farne parte, così da scoprire cose nuove. Questo continente è proprio bello." La ragazza appariva sognante a quelle prospettive. "Ma per adesso, facciamo del nostro meglio, d'accordo?" Si tastò un tonico bicipite con il palmo della mano, come a esprimere forza, e Saito abbozzò una risata divertita.

"Quando si parla di cose che ti interessano tutt'a un tratto svanisce quell'aria da timidona svampita, eh?" la stuzzicò.

"Che?! Chi sarebbe la svampita, scusa? N-non appaio mica cosi!" protestò lei, mettendo un broncio che fece risaltare le guance piene. "Invece tu pensa a fare meno il figo tormentato, una buona volta."

"Tormentato si può fare. Sul primo attributo, è difficile snaturarsi." ammiccò con disinvoltura Saito.

Karen alzò gli occhi al cielo, seccata e divertita allo stesso tempo. "Ma guarda un po' tu che tipo convinto..." borbottò.

Fu allora che qualcosa interruppe quel clima disteso. Un'energia improvvisa, tanto ampia da far rizzare ogni pelo del loro corpo. Tanto opprimente da trasmettere a entrambi una sensazione di soffocamento, come se l'ossigeno intorno a loro stesse bruciando e dovessero boccheggiare per inalare aria. Con orrore, si accorsero da dove provenisse, e la preoccupazione si impossessò dei loro cuori.

"H-hai sentito?" espirò con enorme fatica Karen,

"Sì..." Saito mise subito mano alla spada nel fodero, dall'elsa rosso sangue, le palpebre sgranate dal terrore. "Ha un Kaika spaventoso. Dobbiamo fare presto, dirigiamoci subito all'accampamento sulla spiaggia. Potrebbe già essere troppo tardi per tutti!"

Karen sentì un tuffo al cuore al pensiero di Amber, Ater, Emily, tutti in pericolo di vita. Non voleva accettare lo scenario orribile che si stava prefigurando nella sua testa.

Sprigionò le sue fiamme rosse, dando uno sguardo al bracciale a forma di drago affusolato sul suo polso. Dopodiché, partì in volo di gran carriera, seguita dal compagno in corsa.

I quattro guerrieri avanzavano a passo svelto in direzione della zona prossima al grande monte che sovrastava le chiome di tutti gli alberi della foresta da nord. Dorothy era l'unica in grado di volare, sospingendosi con le lucenti propulsioni scaturite dalle sue pistole, ed era anche la più veloce. Dunque, la Guardian guidava il gruppo formato da Alex, Connor e Satyria, che la seguivano scattando più veloci che potevano.

Nel momento esatto in cui avevano percepito l'infinita riserva di Kaika provenire da est, quell'atroce pressione che schiacciava il loro petto impedendo loro quasi di respirare, Alex e Connor avevano arrestato il loro incontro, gravi in viso, e si erano diretti insieme alle altre due verso di essa.

Nel punto in cui, con terrore, avevano avvertito anche i Kaika di Peter e Somber scemare sempre più. Ora sembrava quasi stessero scomparendo.

"Presto! Dovremmo essere vicini, ormai! Facciamo più in fretta possibile!" Dorothy, avvolta dall'aurea luce che emanava mentre sfrecciava nel vento, era pervasa da un'ansia oppressiva, come testimoniava la sua espressione impaurita. Negava con tutta sé stessa l'idea di poter perdere altri suoi compagni. Quelli che più amava, assieme ad Alex.

Quest'ultimo si sentiva allo stesso modo, ma appariva più concentrato, tentando di mantenere a tutti i costi la lucidità e ragionare sulla situazione. "Questa presenza non può essere altri che Vāllkai, il maestro Fujiwara dev'essersi imbattuto in Peter e Somber, ma non li ha ancora uccisi. Questo vuol dire che possiamo ancora coglierlo di sorpresa, se siamo cauti."

Connor, di fianco a lui, sogghignò. "Pare sia giunto il momento per la resa dei conti. Sei pronta, Satyria? Toglieremo di mezzo una volta per tutte quel fastidioso fantasmino verde..."

"Potresti non usare epiteti come questo in situazioni del genere? Resta sul pezzo." biascicò lei di rimando.

"Che intendete?" Alex aggrottò la fronte. "In cosa consiste questo vostro piano per fermare Vāllkai?"

"Già, è ora che parliate una buona volta." gli fece eco Dorothy, voltando il capo di novanta gradi verso i due killer.

Connor e Satyria dal canto loro si scambiarono una fugace occhiata complice, impassibili alle richieste della coppia. Il guerriero dalla chioma cadente come muschio strinse un pugno, esaltato, le labbra distese in un sorrisetto sinistro.

"Voi due pensate solo a distrarre il nemico una volta lì, al momento giusto ci penseremo io e Satyria a concludere i giochi." affermò, criptico.

Alex, però, notò la sua mano stringersi attorno a qualcosa racchiuso all'interno della sua tunica. Sebbene non si fidasse di lui, decise di farlo nei confronti della sua abilità, e di quella dell'abile assassina al suo fianco.

Se, come Ater aveva spiegato a Peter, Karen ed Emily sulla nave, l'unico modo di sconfiggere Vāllkai era sigillarlo, poteva solo intuire che Connor e Satyria avessero quest'intenzione. E sperare che potessero riuscirci.

"D'accordo. Faremo del nostro meglio, ma state attenti." concesse alla fine.

"Ti preoccupi per noi? Che carino il piccolo Alex!" lo scimmiottò Connor, sagace, facendo ruotare gli occhi di Satyria al cielo.

"Sta' zitto." tuonò l'altro.

"Che deviato mentale..." pensò Dorothy, truce.

Dopo pochi minuti di frenetico avanzamento, d'un tratto sbucarono tutti in un'ampia radura isolata dalla singolare erba azzurrina e corta che frusciava al ritmo ondeggiante del vento. A fare da perimetro c'erano vari cipressi ricoperti di chiome del medesimo colorito. La quiete rurale di quel luogo pareva quasi voler preannunciare l'arrivo di un devastante temporale.

Dorothy si arrestò e studiò l'ambiente, voltando il capo da destra a sinistra in continuazione, alla ricerca di Peter, Somber, o del loro nemico. Stranamente, però, la percezione che aveva prima di ognuno dei tre era d'un baleno svanita, come volatilizzata nel nulla. E così era anche per gli altri tre.

Una profonda inquietudine si impossessò dei presenti. I loro sguardi vispi continuavano a cercare informazioni nei paraggi, per trovare ciò che fino a quel momento erano certi si trovasse lì, in quel luogo. Ma era tutto troppo strano.

Era troppo calma, quella zona. Surreale. Quasi come in un sogno.

E, come negli incubi, si sentivano lenti, instabili e confusi. I movimenti fiacchi, la mente leggera al punto da sembrare svuotata di tutto tranne che di una nitida, intensa emozione.

La paura.

Riempiva i loro corpi, producendo brividi gelidi lungo le spine dorsali, tastandone le ossa e arrampicandosi su di esse per poi scivolare, lenti. Fino a raggiungere le interiora.

"Siete venuti ad affrontare il terrore, che coraggiosi."

Quella voce giunse alle loro orecchie come qualcosa di esterno. Una melodia al confine tra un mondo e un altro.

Fu in quel momento che ognuno dei presenti avvertì il ritorno alla realtà. La fine dell'illusione in cui erano stati intrappolati. Il vero scenario che dominava la zona si dipanò davanti ai loro occhi in tutta la sua crudeltà.

Alex sgranò gli occhi quando lo vide. Il maestro Fujiwara, avvolto nel suo verde kimono polveroso, che reggeva per il polso un esanime Peter, penzolante nel vuoto. Sotto i suoi piedi, invece, Somber giaceva a faccia in giù, immobile.

"Ma, sapete, non esiste speranza che regga, di fronte alla paura." Il volto che tanto conoscevano e amavano dell'uomo era distorto in un ghigno malefico, una smorfia tenebrosa e al contempo illuminata dal verde bagliore fluorescente emanato dai suoi lunghi, lisci capelli, che gli sfioravano le caviglie come una cascata impetuosa. I suoi occhi erano braci ardenti che recavano solo morte, infliggendo disperazione con lo sguardo.

Lungo il suo fianco, una katana ricurva ardeva d'un fuoco denso, anch'esso verde, che la rivestiva, emanando un calore che distorceva l'aria, promettendo distruzione totale al suo rilascio.

Quell'essere non era Fujiwara Taiyo, non più. Alex e Dorothy lo compresero all'istante.

Nella paura che emanava, però, entrambi videro qualcosa di magnifico, quasi divino nella sua antichità. Catturava lo sguardo, rendendo impossibile distoglierlo.

Ciononostante, entrambi trovarono la forza di agire, a causa della vista dei loro compagni in fin di vita.

"Vāllkai!" Dorothy scattò in un lampo verso di lui, scatenando la sua furia scaturita dall'orrore.

"Ferma, non fare follie!" Connor tentò di avvisarla, ma la paladina della luce era implacabile.

"Web of Light: Godsense!" A mezz'aria, sfoderando la sua tecnica che ne amplificava i processi cognitivi, caricò il nemico, rabbiosa. "Libera il mio maestro, lascia stare i miei amici!"

"Dunque, è questa la tua reazione di fronte al vero terrore? Patetica." Il ghigno sul volto di Vāllkai si allargò e, come se quel movimento sfuggisse alla concezione stessa di velocità umana, ruotò la punta della lama davanti ai suoi occhi di fiamme, formando una circonferenza perfetta.

Dalla katana, partì un flusso sferico di fuoco che collise con l'aura lucente di Dorothy, creando un contrasto tra color oro e smeraldo.

La ragazza strinse i denti, cercando di resistere. Quel movimento era stato così rapido che non era nemmeno riuscito a vederlo. Era semplicemente assurdo. Ben presto, si accorse di non poter resistere a quella sfera fiammeggiante. La stava inghiottendo, stava bruciando la sua aura stessa. Ustioni dolorose e orride bolle si andavano a creare lungo braccia e gambe, mentre i vestiti si squarciavano e laceravano sempre più.

Il suo urlo di strazio precedette la volata all'indietro, che la portò a scontrarsi in una scia luminosa simile a una cometa su un albero ad alcuni metri di distanza. Sputò sangue all'impatto con il tronco, avvertì il suo palato riempirsi di quel sapore ferroso nauseabondo. Il dolore lungo tutto il corpo era così insopportabile che gli occhi le si appesantirono e, intontita com'era, senza che capisse costa stesse accadendo, d'un tratto tutto divenne nero.

Vāllkai, imperioso e terrificante nella sua postura al centro del campo di battaglia, allargò il sorriso. "Va sempre così. Commettete sempre gli stessi errori, prima di cedere alla disperazione."

Un secondo dopo che ebbe concluso la frase, un agglomerato di ghiaccio gli bloccò gambe e braccia, sigillando anche la sua spada, e con la coda dell'occhio notò dei ciuffi biondi avvicinarsi a lui da destra. Due asce celesti stavano per essere calate sul suo petto.

Gli occhi di Alex erano colmi d'ira e dolore. Stava per perdere tutti i suoi amici in una volta. Doveva fare qualcosa.

"Illusi, dal primo all'ultimo." Vāllkai sciolse tutto il ghiaccio come se niente fosse, in una semplice vampata di calore scaturita da tutto il suo corpo. Anticipò ampiamente il movimento di Alex pur essendo in svantaggio, ruotando il busto verso destra.

Il suo braccio fu rivestito di uno strato spessissimo di fiamme verdi che ne aumentarono alquanto la massa.

Alex non provò nemmeno dolore, quando le nocche ardenti calarono su di lui, centrandolo in pieno volto e facendolo stramazzare al suolo di schiena con un tonfo sordo.

Anche lui era stato sconfitto. Anche lui con un colpo solo.

"Non c'è niente che possiate fare per arrestare la mia avanzata. Né voi, né il possessore di questo corpo. I vostri sforzi sono vani e sarà sempre così, insulsi esseri. Sparirete tutti, è il fato che ho designato io stesso per voi eterni insoddisfatti della vostra stessa brama infinita. Voi mostri colmi d'odio e paura. Voi che usurpate la vita." Le parole di Vāllkai parevano quasi avere un loro peso tangibile, come se contribuissero a rendere l'atmosfera attorno a lui ancora più pregna di disperazione.

Appariva come una vera e propria divinità, ancestrale e potente, giudice di chi osava tentare di opporsi.

Li conosceva bene, gli esseri umani. Dopo millenni e millenni passati a testimoniare lo scorrere perenne della vita, di specie in specie, la sua influenza aveva portato le specie più complesse a sviluppare qualcosa di nuovo, che nemmeno lui fino a quel momento conosceva. La ragione.

Era sempre stato solo pura energia, essenza ancestrale che si legava agli esseri viventi, amplificando la forza vitale stessa. E proprio per questo era nato, via via, quella forma di vita mentalmente più dotata, più perspicace. Più propensa alla corruzione.

Unendosi agli umani, uno dopo l'altro, a sua volta si era evoluto, sviluppando una propria personalità contaminata da quella dei suoi innumerevoli ospitanti, dai ricordi che possedevano.

Lui era nato da loro.

Aveva iniziato a pensare grazie a loro, e loro avevano iniziato a farlo grazie all'influenza della sua energia vitale immensa, il Kaika infinito che albergava in lui.

Ma i benefici della ragione avevano condotto inesorabilmente a qualcosa che non era mai appartenuta alle altre specie. Odio, paura, gelosia, orgoglio, cupidigia. Tutto questo aveva condotto a spirali di morte continue, guerre tutte uguali tra loro, a cui l'umanità non aveva mai trovato alternative. Non c'era mai fine al dolore.

E nei periodi brevi di pace, altri problemi attanagliavano i suoi ospitanti. Discriminazione, paura della diversità, ansia, povertà, fame.

Era una razza spietata in maniera più sinistra delle altre. Più crudele. A nulla servivano i fugaci attimi di gioia a cui aveva assistito. Tornava sempre il dolore a contaminarli.

Ma lui avrebbe posto fine a tutto quello, ora che poteva. Con quel corpo invincibile che possedeva, e il suo Kaika immenso.

Avrebbe posto fine all'antropocene. Per condurre, forse, a qualcosa di nuovo.

Magari migliore, perfezionato, o che avrebbe necessitato di ulteriori cambiamenti nei millenni. Quello non poteva saperlo.

Ed erano i sentimenti stessi umani ad averlo condotto al suo scopo.

Vāllkai fece ondeggiare la lama intrisa di braci verdi, scostando una gran quantità d'aria attorno a lui e bruciandola.

Ma, d'improvviso, avvertì una strana sensazione al fianco destro. Le attribuì il nome di dolore, riconoscendola vagamente.

"Quante chiacchiere per un accumulo di energia vivente..." La voce roca di Connor soggiunse dal basso, accovacciato al suolo. Un pugnale spezzato conficcato era nella carne del nemico.

Vāllkai alzò un sopracciglio. Aveva azzerato il suo Kaika così da coglierlo di sorpresa? E cosa intendeva fare con quel misero pugnale rotto? Per qualche motivo gli era familiare...

Non fece in tempo a trovare risposta a questi interrogativi, che un groviglio di fili ramati sottili, eppure resistenti, avvolsero il suo corpo. Erano circondati da un materiale nero, gli mancavano le energie. Galena. Ma non era solo quello. Il pugnale, per qualche assurdo motivo lo stava indebolendo ogni minuto di più.

Lo stava risucchiando.

"Che mi succede?" Si chiese infine ad alta voce.

"Ora sei tu ad avere paura?" Satyria, piombata rapidissima di fianco a Connor dopo averlo immobilizzato coi suoi fili di rame, lo squadrò con aria di superiorità e scherno. "Il nome Padre Isaac non ti dice nulla?"

Un vago ricordo riaffiorò nella memoria dell'essere, tra le miriadi che la occupavano, recenti e perduti. Questo, però, risaliva a pochissimi anni prima. Quel pugnale... Un uomo in un'abbazia con due ragazzini. Uno dei pochi che aveva tentato di opporsi a lui. Di sigillarlo, proprio dentro quell'arma.

"Ricordi, eh?" Sorrise, vincente, Connor. "Padre Isaac aveva immesso il suo Kaika in questo pugnale con la condizione di sigillare te al suo interno, ma non funzionò. Non usò abbastanza energia. Ora, però, col Kaika che io e la dolce Satyria abbiamo trasferito lì dentro per mesi attendendo questo momento, non hai scampo."

"Ora di dormire, specie di mostro." mormorò Satyria.

Sempre più Kaika verde fluorescente fluiva dal corpo di Taiyo al pugnale, simile a una diga crollata da cui sgorga un fiume in piena. Gli occhi del nemico si sgranarono.

Ma non era finita, non avrebbe ceduto così.

Satyria, di colpo, avvertì una strana distorsione nell'aria vicino al cranio, dietro la nuca. Vide l'essere afferrare rapidissimo il collo di Connor, e torcerlo fino a spezzarlo, come se fosse all'interno di un incubo in cui tutto accade in fretta.

"Cosa..." Stentò a crederci, si irrigidì a quella visione, senza capacitarsi di come avesse fatto, se si stava indebolendo a dismisura. Di come Connor non avesse nemmeno reagito. Era troppo strano. Quasi onirico.

Vāllkai ora si stava avvicinando a lei, senza proferir parola.

"Sta' lontano..." Tentò di arretrare, ma non ne era in grado. Era ghiacciata, immobile, per qualche ragione.

Lui continuava a muovere pesanti passi verso di lei. Prima non le sembrava così lontano... Provava terrore puro.

"Sta' lontano!" ripeté, urlando, mentre formava una sfera di rame condensato sull'indice e gliela sparava contro. Vide il suo stomaco perforarsi, e il sangue scorrere a rivoli verso l'erba.

Fu allora che il ronzio nella sua testa terminò. Il volto di Vāllkai si tramutò in quello del vero bersaglio che aveva colpito, dolorante e incredulo.

"Satyria... cos-" Connor sputò sangue. Si accasciò.

"Fin troppo facile ingannare le vostre fragili menti. Fortuna che Fujiwara Taiyo conosceva questo utile potere..." Il pugnale fu estratto con una torsione secca da Vāllkai, che lo lanciò in un baleno verso il petto dell'attonita Satyria. La fitta al contatto con la carne la fece sussultare, riportandola alla realtà.

Energia Oscura. Quel nome rimbalzò in ogni angolo della sua mente. L'aveva ingannata, era stata una visione. Lei aveva trafitto Connor. Lo aveva ucciso.

Entrambi si inginocchiarono al suolo, gli occhi strabuzzati, indeboliti e poco lucidi per il sangue che continuava a scorrere copioso dagli squarci aperti nelle loro carni lacerate.

Vallkai troneggiava su di loro, gli occhi due verdi spirali infernali brillanti nella penombra gettata dal sole sulla sua sagoma.

"Connor..." Satyria cercò le sue dita, intrecciando a esse le sue, trovandole rassicuranti, affusolate, ruvide come sempre.

Solo quel contatto le fece capire che non la incolpava. Che l'avrebbe sempre accettata, qualunque cosa fosse accaduta. Eppure, la disperazione non voleva sapere di abbandonarla. Li aveva condannati, si era lasciata ingannare, nonostante le lunghe preparazioni. Alla fine, i suoi legami, la sua debolezza, l'avevano uccisa. E avevano portato con lei anche l'unica persona di cui si fosse mai fidata davvero.

Era colpa sua.

Questa consapevolezza la soffocava come il sapore acre che le inondava il palato e le labbra.

"Ti amo..." Udì queste parole, o forse le sembrò di farlo, dalla sua sinistra.

Strinse più forte quelle dita che conosceva alla perfezione, cullandosi nelle parole che per tanto aveva desiderato udire. Incontrò gli occhi dell'uomo di fianco a lei, come sempre. Sorrideva.

"Ti amo." disse a sua volta lei. E fece per avvicinare il volto al suo, le labbra schiuse. Le lacrime agli occhi.

Fu allora che la katana giunse alle loro gole, con un tondo ampio e secco.

Tutto divenne rosso per qualche attimo. Entrambi avvertirono per un ultima volta il contatto delle loro pelli calde.

Poi, ogni cosa svanì, avvolta nel vuoto.

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