Capitolo 137

Il giovane Fujiwara camminava sulla stradina sterrata in discesa a valle del colle su cui viveva, il capo basso e le palpebre pesanti, rigonfie di dolore. Intorno a lui, le foglie ricoprivano i margini del sentiero e la vegetazione incolta accoglieva le brevi folate di vento in una danza mite che non rispecchiava per nulla il suo stato d'animo.

Una leggera pioggerella cominciava a cadere, chiazzando di scuro parte dei suoi capelli e pizzicandogli di tanto in tanto le guance. Lui, noncurante, avanzava. Pensando a ciò che gli era stato rivelato dalla ragazza con cui aveva vissuto per tutta la vita.

A come l'avesse sempre ingannato.

Ancora gli faceva male il petto al riecheggiare di quelle parole nella sua testa, così come al ricordo degli occhi pentiti della maestra Tsuki.

"Ti ho cresciuto in modo che ciò che alberga dentro di me finisse in te, al momento della mia fine. Quando avrò ceduto. L'ho fatto perché credevo in te, nella tua forza. O così volevo pensare." gli aveva detto, circa tre ore prima, all'interno della capanna.

La loro casa.

"Ma la verità è che quando decisi di accoglierti con me, mi sarebbe bastato chiunque... Ho agito da egoista, non sono stata in grado di sopportare le mie angosce da sola, e con lo stupido pensiero di cedere le mie pene a qualcuno e addestrarlo perché potesse sopportarle come me, senza perdere il controllo, stavo per rovinarti la vita come è successo con la mia." Le lacrime avevano iniziato a scorrere violente sul viso delicato e profondamente addolorato di Tsuki Araumi. "Scusa... scusa, Taiyo... Sono una persona meschina. Ma sei riuscito a migliorare la mia esistenza banale e voglio che tu sia felice. Perciò, ho voluto svelarti la verità. Va' via, per favore, finché sei in tempo. Scappa da questo destino infausto. E, se ci riesci, perdonami. Io ti amerò per sempre."

Mentre la scena prendeva vita sempre più nella testa appesantita di Taiyo, il groppo nella sua gola diveniva più gravoso e il petto si apprestava a fargli male. Mai avrebbe immaginato che la sua amata maestra fosse vittima di una maledizione, e che questa avesse avuto origine proprio dal Kaika che lui tanto ammirava.

Sapere di essere stato ingannato dall'unica persona che avesse mai considerato una famiglia lo faceva sentire vuoto. Avvertiva una sensazione amara in bocca, uno squallore che gli ottenebrava i pensieri.

Si sentiva tradito, era come se tutto ciò in cui avesse mai creduto, quei sentimenti puri e luminosi, fosse falso e senza significato. La sua stessa esistenza gli parve inutile.

Ciononostante, rifletté, lei gli aveva rivelato tutto. Era stata sincera, alla fine, e non doveva essere stato semplice vivere in quello stato, trattenendosi di continuo senza dire mai niente a nessuno. Taiyo si chiese come avesse fatto a mostrarsi sempre tanto calma e paziente. Così gentile. Era una donna davvero forte, come già immaginava.

E i sorrisi che gli aveva regalato, le serate passate insieme davanti a un piatto caldo a ripararsi dall'inverno, le pacche sulla testa ricevute dopo i miglioramenti in allenamento, dovevano essere veri. Sentiva che non fossero solo una bugia.

Tsuki aveva pianto per lui. Gli aveva chiesto perdono.

"Io non posso abbandonarla." pensò, con gli occhi d'oro lucidi. "Nonostante tutto, lei mi ha dato tanto. Non voglio lasciarla sola così... Io desidero aiutarla, che sorrida spensierata con me. Voglio che la maestra Tsuki sia felice. Perché io la amo con tutto me stesso!"

Immaginando il suo volto, le risate soavi, quella voce melodiosa, le lacrime ruppero gli argini nei suoi occhi senza che Taiyo potesse far nulla per arrestarle.

"Devo tornare indietro e dirle che ne usciremo insieme!" esclamò.

Così, Taiyo corse, corse e corse ancora a perdifiato. Risalì tutto il sentiero di gran carriera, ignorò il dolore alle gambe per lo sforzo prolungato, la mente rivolta solo al suo obiettivo, a colei che voleva vedere più di ogni altra cosa, e abbracciare per rassicurarla come lei aveva fatto con lui per tutti quegli anni magnifici.

Ma, quando giunse a destinazione, coi muscoli a pezzi per la fatica, anche il suo cuore finì in frantumi.

Lo spettacolo che gli si parò dinanzi nel giardino di casa fu a dir poco traumatico.

Distesi sull'erba, in una pozza nauseabonda di sangue, giacevano i corpi dei suoi due amici d'infanzia.

Juntaro e Honda.

Il viso di Taiyo diventò una maschera di dolore, il suo sguardo un nero abisso senza fondo di disperazione e oscurità. Sentì i muscoli fremere, i denti battere a intermittenza per la frenesia, il cuore esplodergli come un vulcano nel petto. Tutto il suo mondo cadde in pezzi, come se una fragile sfera di cristallo fosse appena stata distrutta.

Erano lì per allenarsi come sempre, probabilmente. Non avrebbero potuto più farlo, non avrebbe più potuto sentirli ridere. L'ironia contagiosa di Honda, la calda sicurezza di Juntaro. Morti insieme a loro.

E alla sua umanità.

Il Kaika, rosso sangue e intriso di morte, prese a fuoriuscire come un fiume in piena dal corpo del ragazzo, in piedi e a capo chino, mentre i suoi occhi viravano verso la porta di casa, feroci per l'orrore sigillato in essi.

"T-Taiyo..." Il suo nome, seguito da flebili colpi di tosse, lo ristabilirono in parte dalla sua simbiosi con l'ira.

Honda lo aveva chiamato, era ancora viva. Ma dallo squarcio profondo nel suo stomaco il ragazzo capì che non lo sarebbe stata ancora per molto. Nonostante questo, si fiondò all'istante su di lei.

"Honda!" Le prese il capo tra le mani e la sorresse, guardando in quegli occhi chiari intrisi di ingenuità. "R-resisti, posso portarti..." Tentò inutilmente di trovare una soluzione. Ma era tardi, oramai. Il villaggio distava troppo, e sarebbe stato impossibile aiutarla. Forse nemmeno avrebbero accettato di darle una mano, quei maledetti. Provavano davvero gusto a isolare la gente perché diversa da loro? Erano esseri immondi. Li avrebbe uccisi tutti.

Non poteva essere l'unico a perdere ogni cosa.

"Taiyo, non odiare!" La voce della ragazzina suonò per un momento più intensa, quasi autoritaria, scacciando subito quegli orrendi pensieri dalla sua mente. Per poi tornare debole e spenta. "Per favore, non vivere nel rancore. L-la maestra... non era lei. Era qualcos'altro, fuori controllo. Non detestarla, tu devi amare, Taiyo, perché in te ho percepito solo del bene fin da sempre!" Un orripilante conato seguito da vari colpi di tosse violenti interruppe la piccola Honda, che spalancò gli occhi, terrorizzata.

"Honda, no..." Le lacrime salate corrodevano la pelle del giovane. Arrossavano le sue iridi, arrecandogli pura angoscia.

"Non voglio morire, Taiyo... Non voglio morire...! Ti prego..." Le ultime parole di Honda furono un lamento smorzato appena impercettibile. Dopodiché, il suo capo si piegò con un rantolo e non si mosse più, né esalò altri respiri.

Il ragazzo, senza smettere di piangere dentro di sé, si asciugò le guance e si alzò, dopo essersi concesso un ultimo sguardo al viso senza vita di Honda.

"Non odiare."

Era stato quello, il suo ultimo desiderio. E lui l'avrebbe rispettato. Avrebbe liberato la sua maestra da ciò che la ammorbava, senza odio. Sarebbe stato un atto d'amore.

La pioggia scrosciante ora aveva cominciato a precipitare con impeto e fragore. Ma non bastava a ripulire nulla di quell'orrore.

Fujiwara Taiyo fissò anche Juntaro, a pancia in giù, già spirato da diversi minuti, poi ancora la sua amica. E infine diede loro spalle, mormorando il suo addio.

Il portone semichiuso della sua baracca, quella in cui risiedeva tutta la sua vita, lo invitava quasi a fuggire, con l'oscurità che incombeva già sull'uscio dall'interno. Taiyo però era pronto ad affrontare la realtà. A vivere, dopo essere già morto dentro, pochi secondi prima.

"Questo è l'inferno..." sussurrò, prima di spalancare la porta, con un acuto cigolio.

Una figura in fondo al salone seguente all'ingresso, rannicchiata di spalle e avvolta nel buio più totale, emanava una fioca e al contempo vivida luce verde.

Era piegata su sé stessa. Sembrava abbracciata dalla sofferenza.

"E ora gli porrò fine." L'allievo raccolse la sua katana, poggiata sulla parete alla sinistra dell'ingresso.

Il viso nell'ombra al di là del tavolino centrale nella sala si voltò di novanta gradi, mostrando un paio d'occhi enormi al buio, al punto da essere surreali. Erano tutti verdi, così come i capelli fluorescenti nell'oscurità.

"Taiyo... ti prego. Ti prego, uccidimi." pronunciò la sinistra voce combattuta. Quasi non gli sembrò quella della sua maestra, roca com'era.

Ma i rivoli salati che percorrevano il lato sinistro del suo volto, quelli erano di certo appartenenti a Tsuki. Aveva ritrovato a stento un po' di autocontrollo. Tuttavia, la speranza nei suoi occhi era ormai assente.

"Ci penso io... maestra." Taiyo sventolò la lama e si avvicinò a passi lenti.

Pronto a fare ciò che doveva, per la persona che amava.

Un solo pensiero, prima di compiere l'atto si ripeteva più e più volte, all'infinito, nella sua mente intrisa d'oscurità.

"Questo è l'inferno."

Il tricipite tonico si fletteva per poi distendersi al ritmico sollevarsi e abbassarsi del manubrio, tenuto saldo nel palmo della mano. Il movimento si susseguiva, una ripetizione dopo l'altra, accompagnato dai sommessi respiri del giovane a torso nudo da cui era compiuto.

La vera e propria palestra situata al secondo piano della nave capitanata da Amber era il luogo in cui Alex soleva recarsi con maggiore frequenza da quando era iniziata la spedizione per il Continente occidentale, poiché allenarsi lo aiutava a scaricare i nervi e soprattutto a distrarsi dal flusso di ansie e pensieri che troppo spesso attanagliava la sua psiche.

Pensare al destino che incombeva sul suo maestro, Fujiwara Taiyo, e alla responsabilità che lui e gli altri membri della squadra speciale selezionata da Larina avevano nei suoi confronti, minava alla calma interiore che considerava da sempre la sua più valida qualità.

Inoltre, sapere che soprattutto loro quattro, i suoi allievi, avrebbero potuto causarne la morte se non fossero riusciti a trovare un modo di salvarlo da quella maledizione ancestrale, Vallkai, lo approcciava pericolosamente alla disperazione.

Tutta quella pressione e paura erano per lui, già di suo riflessivo, impossibili da sopportare alla lunga e per questo si rifugiava negli allenamenti fisici alternati a quelli spirituali per il Kaika. In questo modo riusciva a dimenticare i suoi guai, almeno per poco. A ritrovare la lucidità di cui aveva bisogno nel quotidiano.

La sua attenzione fu catturata dallo scatto secco del portone lontano, alla sua sinistra, che veniva aperto. Da essa fece capolino, con stupore di Alex, una figura snella e molto familiare che prese a camminare piano nella sua direzione. L'andatura con cui avanzava tra le panche e gli attrezzi per la palestra era piuttosto incerta, titubante, notò. Il capo innevato della ragazza era basso, come a voler celare senza successo un conflitto interiore.

"Dorothy? Che ci fai qui?" domandò Alex, aggrottando la fronte.

Lei si arrestò vicino al giovane mezzo nudo dal fisico definito, e si appoggiò su una panca dietro di lui senza dir nulla. La testa ancora china.

"Ti stai allenando?" chiese poi, senza trasporto.

"Sì, a quanto pare questa nave ha ben due palestre e sale d'allenamento. Peter e Karen dovrebbero essere in quella al primo piano ad addestrarsi insieme."

"Ah, bene..." Quella risposta così demotivata da parte della compagna fece inarcare ad Alex le sopracciglia.

"È successo qualcosa?" insistette il biondo, interrogativo. Ora iniziava a essere un po' preoccupato.

Finalmente, la compagna alzò con riluttanza lo sguardo e incontrò i suoi occhi simili al cielo d'estate, che riuscivano sempre ad acquietarle l'animo, in qualsiasi situazione. Anche quella volta il viso della Guardian parve addolcirsi appena al contatto visivo con Alex, ma in lei risiedeva una specie di limite che le impediva di esprimersi al massimo, di sostenere il volto dell'altro e godere delle sensazioni che le trasmetteva. Un'oscurità viscerale che l'opprimeva da dentro. Una malattia che spazzava via tutta la positività.

"Alex, tu per caso... " Dorothy girò il collo di lato, non riusciva a guardarlo in faccia. "Tu credi che io non sappia proteggere ciò a cui tengo?" chiese, arida nel tono. "Sii onesto." aggiunse, poi. Non voleva fosse di parte solo perché si trattava di lei.

Aveva bisogno di sentire un'opinione sincera e Alex sapeva analizzare bene le persone che lo circondavano in maniera oggettiva.

Dal canto suo, l'altro la fissò con quelle iridi penetranti per alcuni momenti che a lei sembrarono più lunghi di quanto fossero in realtà.

"Ha a che fare con Amber, per caso? Ti senti in colpa per ciò che è successo ad Antonio?" intuì, infine.

Di rado aveva visto Dorothy così abbattuta emotivamente: doveva essere davvero al limite dal punto di vista mentale. Faceva effetto quel cambiamento proprio in lei, il simbolo stesso della vitalità. Gli causava sofferenza.

La pistolera si limitò ad annuire, ancora con la testa rivolta al terreno, quindi ci pensò Alex a sollevargliela con due dita delicate sotto il piccolo mento.

"Parlami." le chiese.

Lei si perse ancora nel suo sguardo gentile, poi sospirò piano.

"Non riesco mai a salvare nessuno. Per quanto ci provi, le persone che amo muoiono davanti ai miei occhi. Per non parlare delle centinaia di innocenti morti in guerra, che nonostante tutto il potere di cui dispongo non sono riuscita ad aiutare, o che io stessa ho ucciso. Non sono mai abbastanza. Io sono inutile. Non riuscirò nemmeno ad aiutare il maestro perché sono debole."

La voce della Guardian fu attraversata da un tremolio che lasciava intendere la sua lotta per trattenere le lacrime, per cercare di rimanere integra anche mentre il suo animo, la sua mente, le sue certezze, tutto, rischiava di andare in pezzi.

"Amber piangeva prima, lo sai? Ed è solo colpa mia..."

"Dorothy, io non ero lì e non so com'è andata, è vero. Ma stando a ciò che ha raccontato Somber, nel momento stesso in cui Antonio è caduto al suolo, tu hai tentato di guarirlo con il tuo Kaika di luce. Purtroppo, Kojiro ti ha anticipata, ma lui era spaventoso per chiunque. Ciò che conta è che il tuo pensiero, e di questa cosa sono certo, sia sempre rivolto ad aiutare gli altri." affermò Alex, mostrandole uno di quei sorrisi rassicuranti che le scioglievano il cuore. "Tutti facciamo del nostro meglio, impegnandoci al massimo, ma nessuno di noi è perfetto, ed è da pazzi pensare di poter aiutare chiunque. La sola intenzione ti rende speciale per la bontà che è in te, e credo sia il tuo lato che più adoro. Da quando sei con me, quella controparte oscura che mi faceva perdere il controllo delle mie azioni ha smesso di fuoriuscire. Persino nei momenti più difficili, quando Somber e Peter erano via, non è più successo, e credo sia anche merito della tua presenza al mio fianco, Dorothy. Dopotutto, anche senza poteri, ci sono tanti modi di aiutare gli altri, non credi?"

Dorothy rimase in silenzio, senza sapere cosa ribattere. Era così bello potersi crogiolare nelle parole empatiche di cui sempre Alex sapeva fare utilizzo. Per lei rappresentavano una melodia in grado di scaldarle il petto e immergerla in un confortevole manto soffice che la cullava, scacciando le ansie.

Allo stesso modo, però, temeva di abusarne, e che potessero renderla solo troppo indulgente con sé stessa. Erano un rifugio comodo quanto pericoloso.

"Oh, scusami! Forse sono stato troppo ridondante? A volte esagero!" Alex prese ad agitare le mani con frenesia, arrossendo d'un tratto.

Dorothy non poté fare a meno di sorridere a quella scena buffa, nonostante il suo stato d'animo.

"No, mi stai aiutando, Al. Anzi, scusa se vengo ad assillarti con queste mie stupide manie. Sei fin troppo dolce con me." Lo fissò con un misto tra sarcasmo e alacrità che fecero subito divampare un incendio nel petto del compagno, il quale pensò quasi d'istinto di essere grato che una persona come lei fosse così intima con uno dal carattere chiuso come invece era lui.

Dorothy cavalcò l'onda di quell'ardore nell'aria e si alzò, stringendo con forza Alex in un intenso abbraccio.

Sentiva la pelle morbida in contrasto coi muscoli duri del suo addome, i capelli lisci e biondì sfiorarle la guancia. Non poté fare a meno di rabbrividire per qualche istante per l'effetto che le faceva, per il calore che le emanava lungo tutto corpo.

La timidezza ormai mitigata, ma sempre presente in minima parte nel ragazzo stretto a lei mentre le stringeva i fianchi aumentava solo ancor di più il trasporto emotivo che in lei era incrementato a ogni secondo.

"Grazie." gli sussurrò all'orecchio.

Forse, almeno per quella volta, non c'era nulla di male a lasciarsi andare a lui.

In quel momento, Dorothy capì che per quanto non si potesse essere abbastanza nella vita, almeno per qualcuno lo sarebbe sempre stata.

Per Alex, per i suoi amici.

E forse questo bastava a renderla più in pace con sé stessa, almeno un po'.

"Coraggio, Karen, mostrami tutti i tuoi miglioramenti senza trattenerti!"

"Ok! Poi non lamentarti se ci rimani bruciacchiato, Peter!"

I due compagni si schermavano ai margini opposti dell'immensa sala d'addestramento al primo piano, vuota per garantire la massima libertà di movimento dei presenti al suo interno.

Osservati da un'eccitata Emily, che aveva deciso di assistere al loro allenamento per imparare e migliorare, Peter e Karen erano pronti a una sfida amichevole per testare le loro attuali capacità combattive.

La ragazza dalla chioma infuocata era circondata da un fiammante Kaika rosso e arancio, simile ai colori di un cielo alla tramontana, e fissava il suo partner con occhi ancor più ardenti per la sfida. Col tempo Karen era diventata sempre più sicura dei suoi mezzi, e per questo si esaltava quando si sentiva in grado di metterli in mostra e stupire i suoi avversari.

Soprattutto se si trattava di Peter, per cui aveva sempre conservato una radicata ammirazione, e per l'opinione del quale nutriva profondo rispetto.

Il ragazzo avvolto nel fulmineo Kaika riverberante dal canto suo sogghignava con la solita sfrontatezza, i pugni chiusi a dettare l'entusiasmo che gli elettrizzava le ossa e i muscoli, rendendolo un concentrato di pura energia pronta a esplodere.

"Che fighi! Quella ragazza rossa è una degli amici di Somber? Non vedo l'ora di vederla in azione!" pensava nel frattempo Emily, piazzatasi sulla parete in fondo alla sala, gli occhi enormi scolpiti nella cromatica scena che tingeva l'ambiente di intense quanto opposte tonalità.

"Pronto o no, arrivo!" esclamò infine Karen, dando il via alla scoppiettante esibizione.

I palmi delle sue mani si colorarono di rosso per le propulsioni fiammeggianti che sprigionarono in uno scoppio assordante, attraverso la quale la giovane si lanciò in avanti a gran velocità, diretta verso il suo bersaglio.

Ma si trattava di un bersaglio difficile da colpire.

Il calcio volante laterale ricoperto da fiamme di Karen fu evitato con destrezza da Peter, che si era lanciato in anticipo verso l'alto grazie a una scarica ventosa immessa dai suoi arti destri.

In un lampo, poi, si diede la spinta piegando le ginocchia al volo sul soffitto, accumulando una gran quantità di Kaika elettrico e d'aria nelle gambe. A causa della rincorsa poderosa fu subito a pochi centimetri dall'avversaria, pronto a centrarla con un diretto aereo intriso d'elettricità.

La rossa sgranò le palpebre, ma ritrovò all'istante la lucidità.

"Non sarà così facile!" urlò, prima di puntare entrambe le mani verso l'alto, mantenendosi nel frattempo stabile a mezz'aria grazie al fuoco di minor portata emesso dai piedi, controllato.

Con un grugnito di battaglia, scaricò le fiamme roventi sul rivale. Non si preoccupò di ferirlo, poiché sapeva che lui era sempre in grado di cavarsela. E, inoltre, non aveva dato fondo a ogni sua distruttiva energia, così come il compagno.

Il calore sprigionato sopra di lei però bruciò solo l'aria: con stupore, Karen notò che l'immagine di Peter era sparita un attimo prima di essere investito dal flusso di fuoco.

"Energia Oscura..." constatò, attivando all'istante il Vision Kaika e avvertendo così all'ultimo secondo un accumulo d'energia dirompente proprio nel suo punto cieco, dietro la schiena.

Con riflessi prontissimi, roteò le braccia, tracciando una semicirconferenza infuocata intorno a lei, e in questo modo si ritrovò subito di nuovo faccia a faccia con Peter, il quale teneva il palmo destro rivolto verso il bersaglio, con quello sinistro posato sul polso.

Il flusso di vento che attorniava il suo braccio era contaminato dall'energia elettrica proveniente dal lato sinistro del corpo, in una fusione che poteva essere definita una vera e propria tempesta roboante emanata dal guerriero.

Karen fu sul punto di cedere e arrendersi a quella visione. Le sue fiamme non sarebbero bastate a fermare quell'attacco, e comunque Peter si sarebbe fermato per non ferirla. Non intendeva giungere a una così magra figura, ma non sapeva in che modo difendersi.

Non era al suo livello come intelligenza combattiva.

"Karen, reagisci! Usa la tua vera potenza!" Furono proprio le parole di Peter, gridate tra quei ronzii e tuoni rimbombanti misti al fulgido divampare della sua aura, a ridonarle lo spirito ardente che la caratterizzava.

Si stava trattenendo fin dall'inizio, ma le parole del ragazzo avevano sbloccato il meccanismo con cui si ostentava a racchiudere la sua potenza tra le mura della sua bontà interiore.

Ora poteva dare fondo alle sue forze per resistere a quell'attacco. Avrebbe stupito il suo compagno. Peter sarebbe stato fiero di lei.

Le fiamme da rosso chiaro divennero rosate, poi sempre più chiare, fino a raggiungere l'azzurro più intenso e baluginante, il colore che un tempo associava alla maledizione. Alla disperazione. Ma che grazie ai suoi legami ora rappresentava la sua determinazione. La nuova sé stessa.

La fiammata azzurra collise con il flusso di vento e fulmini, formando nello spazio tra i due uno spettacolo mastodontico che lasciò Emily pietrificata e a bocca aperta, a osservarli dal basso.

L'atmosfera era distorta dal calore esorbitante dell'attacco di Karen, l'aria stessa pareva dislocarsi a causa di quella propagazione immensa d'aura, attorno alla quale si udivano il ronzio assordante dei fulmini e il boato prolungato del vento.

Alla fine, le due scariche d'energia arrivarono al culmine, e un'esplosione spedì entrambi i combattenti ai lati opposti della sala, contro le rispettive pareti.

Alla visione di quel susseguirsi di sequenze d'azione pirotecniche semplicemente assurde, Emily era rimasta paralizzata. Non era riuscita a staccare per un attimo gli occhi dai due combattenti al centro dalla grande sala, un crescente sentimento di ammirazione si era impadronito di lei, esaltandone l'animo già di suo piuttosto frenetico.

"Fantastico... fantastico! Peter è diventato fico almeno quanto Alex, sono così fiera dei miei amici d'infanzia! E quella ragazza, Karen, è stupenda!" La sua mente era un susseguirsi di pensieri del genere, talvolta anche sconnessi. La sua testa quasi iniziò a fumare per l'eccessivo entusiasmo.

E intanto, le immagini sbiadite proprio dei suoi due amici d'infanzia, le loro schiene ammirate dal basso ai tempi dell'orfanotrofio, prendevano sempre più forma in lei, sfocate ma più vivide che mai nel suo cuore. Fu colta da un'epifania di gioia, e si sentì grata di poter ricominciare con loro e aiutarli, nonostante i suoi trascorsi.

Nonostante avesse perso Takao, Soyo, Yuki. Parte del legame con Somber. Quasi tutto.

Corse verso Peter, che si era avvicinato a Karen e la stava aiutando a rialzarsi. Era tutto abbrustolito e acciaccato. Ma il sorriso inclusivo che risiedeva sul suo volto non era mai cambiato, nemmeno col passare degli anni.

"Siete stati grand-" ma l'acuto elogio di Emily fu fermato dallo spalancarsi improvviso della porta dal lato opposto della sala, da cui fece il suo ingresso una figura del tutto inaspettata.

Peter aggrottò la fronte alla vista del ragazzo in giacca lunga e jeans neri, con un ciuffo corvino a ricoprirgli in parte un occhio e l'espressione vacua.

"Tu sei..." biascicò, stranito.

Il volto di Karen, invece, si illuminò in un lampo di gioia istintiva nel momento stesso in cui lo riconobbe.

"Ater!" lo chiamò a gran voce, guizzando in piedi.

"Ehilà, Karen. È bello rivederti." sorrise, stanco come al solito, l'ex Vulture.

"Cosa ci fai qui e come diamine hai fatto a essere a bordo?" chiese Peter di getto, avvertendo un presentimento sinistro. Non era difficile correlare la sua presenza ad altri due individui piuttosto imprevedibili e pericolosi.

"G-giusto!" Karen contenne l'euforia per l'incontro improvviso con il suo amico, mentre Emily osservava la scena con aria dubbiosa. "Ti sei infiltrato di nascosto...? E perché, poi?"

Ater si grattò il capo con indolenza.

"Non sono di certo l'unico, d'altronde avevate concordato la loro presenza sulla nave, no?" farfugliò. "Infatti, vengo per conto di Connor e Satyria. Anche loro si trovano a bordo."

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