Capitolo 136

Il Kaika fluiva ininterrotto tra le membra dei tre ragazzi, uno al fianco dell'altro, colorando i margini dei loro corpi di un puro candore. Tra le leggere smorfie affaticate di ognuno, l'energia neutra che scorreva dal loro interno fino a fuoriuscire era costretta a rimanere relegata ai confini delle sagome sotto sforzo, che schermavano quella della maestra, immobile a osservare l'andazzo del processo.

Tsuki era impassibile mentre i volti del suo ormai trio di allievi cominciavano a contorcersi per la fatica dovuta al dirottamento prolungato della loro aura. Il suo obiettivo era migliorare la loro resistenza, ora che avevano appreso le basi del Kaika.

Erano passati quattro anni da quando Taiyo aveva portato per la prima volta i suoi amici, Juntaro e Honda, a casa sua e da allora diverse giornate allegre e serene si erano susseguite una dopo l'altra. L'inflessibile maestra aveva giovato più di quanto avesse osato ammettere di quelle presenze che rendevano le sue giornate più miti e il peso dentro di lei più leggero.

Man mano, nell'arco di innumerevoli mesi, quella patina di apatia che avvolgeva il suo cuore aveva preso a sbiadire fin quasi a dissolversi, facendo sì che lei provasse un tepore del tutto ignoto.

E tutto ciò era stato possibile grazie a una cosa: i sorrisi spensierati del giovane Taiyo. Le risate che si scambiava insieme ai due compagni, l'influenza positiva che aveva su di lei e la forza che acquisiva sempre più mentre cresceva l'avevano resa fiera e allo stesso tempo le avevano infuso una strana e intrinseca gioia. Era giunta alla conclusione che voleva proteggere quei momenti, e così qualcosa di nuovo era nato dentro di lei.

Tsuki aveva imparato cosa significasse avere il desiderio di vivere per chi amava.

Eppure, nonostante questo, lei si sentiva in colpa. Perché quel viso così pulito e vitale che ora stava ammirando mentre brillava del Kaika che lo attorniava era lo stesso che un giorno sarebbe appassito, e avrebbe patito innumerevoli sofferenze senza fine, a causa sua. L'aveva condannato ed era quasi troppo tardi per rimediare.

Già, quasi.

"Bel lavoro, ragazzi. Per oggi va bene col controllo del Kaika, domani aumenteremo un altro po' la durata." annunciò infine Tsuki, senza distogliere lo sguardo crepato e cupo dal suo luminoso primo allievo.

"Ah! Che fatica, ragazzi! Ma è proprio bello sentire i propri miglioramenti ogni giorno, non c'è niente di meglio!" cinguettò Honda, cascando al suolo a gambe incrociate tutta allegra e pimpante, le ciocche indaco raccolte all'indietro e increspate dal sudore, un sorriso affaticato che era lo specchio della soddisfazione a decorarle il volto paffutello.

"Di questo passo potremo tenere presto la Cerimonia della Fioritura! Chissà quale sarà il mio elemento..." Taiyo prese a sognare a occhi aperti il momento in cui l'avrebbe scoperto, galvanizzato per i risultati raggiunti in fretta.

Era più avanti rispetto ai due compagni perché aveva iniziato molto prima l'allenamento, ma non si trattava solo di questo. La sua velocità di apprendimento era semplicemente più elevata, un talento innato, tanto che aveva acconsentito a rallentare per avanzare alla stessa andatura degli altri due ragazzi. Seppure anche loro fossero tutt'altro che di basso livello.

"Ehi, vedete di non cantare vittoria troppo presto, razza di esaltati. La strada è ancora lunga e faremmo meglio a restare coi piedi per terra." li ammonì col suo cinismo Juntaro, anche se persino la sua espressione lasciava trapelare un certo entusiasmo.

"Vorrei tanto che il mio elemento fosse l'acqua, mi rinfrescherei sempre nelle giornate torride d'estate!" Honda ignorò del tutto la morale del compagno e continuò a fantasticare di buon grado.

Juntaro a quel punto si unì alla conversazione, storcendo anche il naso all'affermazione dell'amica. "Personalmente, preferirei i fulmini, sarebbero fighissimi. Altro che acqua!"

"Sì, così magari ti dai la scossa da solo quando ti addormenti a mezzanotte puntata come un vecchietto." lo canzonò lei.

"Ma piantala, ho già detto mille volte che vivo le giornate con più foga, per questo capita..."

"Tutte scuse." ammiccò, sarcastica, Honda. Poi, si voltò rapida verso l'altro compagno, che stava ascoltando la conversazione con un sorrisetto intontito. "E tu, Taiyo? Che elemento vorresti?" Gli sorrise di cuore a occhi chiusi.

Il giovane studente aggrottò la fronte, una smorfia riflessiva aleggiò su di lui, facendolo sembrare quasi più anziano di quanto fosse.

"Beh, è difficile. Ogni elemento ha la sua utilità, soprattutto considerando a quale specialità può essere più affine... Il fuoco si sposa bene con tutto, soprattutto con il Release Kaika, mentre la terra andrebbe molto bene con l'Alteration o il Reinforcement. Ci sono diverse combinazioni vincenti che-"

"Frena, frena! Non ti avevo mica chiesto un'analisi accurata!" ridacchiò Honda, una mano posata davanti alle labbra del tredicenne, le cui gote si colorarono di un rosa un po' più intenso a quel contatto.

La compagna parve accorgersene, e ritrasse piano la mano, dedicandogli un accennato sorrisetto carico di un misto tra timidezza a affetto.

"E l'elemento della maestra Tsuki? Qual è?" chiese d'un tratto, incuriosito, Juntaro.

La giovane donna, che si era accomodata sul prato fresco ad accarezzare gli steli e accogliere una coccinella sul suo dito in un tentativo di rilassarsi, sembrò spiazzata dall'interessamento.

"Io?" Si alzò con un movimento secco, facendo volar via il colorato insetto, e si avvicinò agli allievi.

"In effetti non l'ho mai saputo, sarebbe bello conoscerlo! Mi piacerebbe se condividessimo lo stesso elemento." disse Taiyo.

"Se siete curiosi, ve lo mostrerò un attimo..." concesse la maestra, lusingata all'interno da quell'ammirazione che sentiva di non meritare.

Si concentrò a fondo, traendo un profondo respiro, e flesse il braccio in modo da indurirlo.

Sotto gli occhi trepidanti e rapiti dei tre allievi, venne a formarsi un denso ammasso di fiamme bianche e purissime che circondò e aumentò la massa del suo arto teso.

Mescolate a quell'aura candida ma ostica anche solo a guardarla per il forte luccichio, Taiyo notò che c'erano delle particolari sfumature d'un verde fluorescente, come per i capelli e gli occhi della maestra.

"Wow..." riuscì solo a bisbigliare Honda, catturata dallo spettacolo cromatico.

Gli altri rimasero in silente contemplazione.

"Il mio è Reinforcement Kaika, di tipo fuoco dalle fiamme bianche. Sono rarissime e seconde solo a quelle violacee e azzurre. Se mi impegno a dovere, comunque, dovrei riuscire anche a utilizzare il Release Kaika in modo più basilare. Quello non ve lo mostro, però, perché è più pericoloso. Se un raggio d'aura dovesse sfuggire dal mio controllo vi fareste male." spiegò Tsuki, in tono ironico.

"Le voglio anch'io! Sono bellissime!" esclamò Honda, al settimo cielo per le meraviglie che il Kaika le stava offrendo, così da alimentare gli scenari più fantasiosi nella sua mente acerba.

"Ma non dicevi che volevi l'acqua fino a trenta secondi fa?" sbraitò Juntaro, sospirante.

"Voglio anche il fuoco, voglio tutto!" controbatté Honda.

"Cielo, qui qualcuno non sa controllare il proprio entusiasmo."

"Sei tu a essere noioso..."

Tsuki e Taiyo nel frattempo osservavano quell'accesissima disputa, voltando le pupille da destra a sinistra a ogni botta e risposta.

Se non altro, quando erano tutti insieme non mancava mai il divertimento, pensò il ragazzo dal crine di miele.

"Su, su, qualunque sarà il tuo elemento e la tua specialità, si rivelerà conforme al tuo carattere, Honda, ne sono certa. Il Kaika è un'energia molto personale e sembra rispecchiare i valori e l'essenza del proprio utilizzatore. Dà quasi l'idea di possedere vita propria a volte." disse Tsuki, posando il ruvido palmo della mano sulla testa di entrambi i ragazzi, ad arruffarne le chiome indaco come un cielo nell'ora che precede il tramonto.

Honda e Juntaro arrossirono. Il suo tocco delicato trasmetteva loro sempre un senso di pace, di serenità che allietava i loro animi.

La giornata di sforzi giunse al termine in quel modo e i ragazzi fecero per scendere dal colle per rilassarsi un po' nei prati più a valle, nei pressi del villaggio sottostante in quel momento rischiarato dagli splendenti raggi solari.

"Taiyo..." Le palpebre dell'insegnante si schiusero, quando le sue iridi azzurre e verdi schermarono d'improvviso quelle giallo paglia del ragazzo, che si fermò e ricambiò l'occhiata con un po' d'apprensione.

"Sì?" chiese. Avvertiva qualcosa di insolito nell'altra.

Una sorta di indecisione, di lotta interiore da cui traspariva una profonda ansia nei modi. Taiyo la notava nel suo battere a ripetizione e con leggerezza la punta del piede sul terreno, o nell'arricciarsi di continuo una ciocca di capelli crespi con le dita.

"Io..." Tsuki esitò ma alla fine, con un profondo sospiro, si decise, mostrando un viso determinato. Pronto. "Vorrei parlarti di una cosa, Taiyo. È molto importante. Potresti seguirmi un attimo in casa?"

Le onde dell'oceano danzavano leggiadre a intervalli regolari, come se stessero scandendo il tempo all'interno di uno sconfinato orologio. L'acqua schiarita dal sole si infrangeva sulla superficie solida delle pareti appartenenti alla nave che solcava quel mare calmo, eppure sempre ricco di insidie celate per chi abbassasse troppo la guardia.

A osservare quello spettacolo maestoso, scrutando il lontanissimo orizzonte blu, c'era una figura vestita di nero, appollaiata su una ciminiera sul punto più alto dell'imbarcazione.

Somber continuava a trovarsi bene nei luoghi isolati, soprattutto se sovrapposti rispetto al resto, così da avere la situazione sotto costante controllo e poter riordinare i suoi pensieri in tutta tranquillità, da solo.

Lui e gli altri partecipanti alla spedizione erano già in viaggio da una settimana, e spesso si era appartato in quel punto con l'intenzione di starsene un po' in pace a riflettere su varie questioni. Il primo tra tutti i pensieri era proprio dedicato a una dei suoi compagni presenti a bordo, e che lo aveva affiancato a lungo durante il conflitto bellico da poco concluso: Emily Park.

Dopo la fine della guerra non era ancora riuscito a parlarle. Né di Takao, né di Soyo, i loro amici che avevano perduto la vita. I legami che erano stati tranciati di netto dalle lame della violenza e dell'odio.

Somber non si sorprendeva della sua incapacità di comunicare con Emily: fino a quel momento non era nemmeno riuscito a trovare il coraggio di pensare a lei. La ragazza con le volpi nebulose al seguito che era stata sua partner così a lungo. Quella per la quale aveva provato dei sentimenti nuovi, sconosciuti.

Quando aveva saputo della morte di Soyo, non era stato nemmeno in grado di piangere.

Come avrebbe potuto empatizzare con Emily, se non riusciva neanche a liberare le sue, di emozioni?

Sentiva che qualcosa di doloroso, di feroce dentro di lui scalpitava per fuoriuscire, ma sebbene Somber sapesse che con ogni probabilità l'avrebbe fatto sentire meglio, non era in grado di dare a quei sentimenti libero sfogo.

Ancora una volta si paragonò a Dorothy, invidiando la sua capacità di esternare sempre tutto con chiarezza e sicurezza acquisita grazie ai legami che aveva costruito nel tempo. Ma non voleva chiedere aiuto a lei, non di nuovo.

Diventare dipendente da Dorothy e dalla comprensione che sempre riusciva a donargli era qualcosa che preferiva evitare il più possibile.

Per questo adesso era lì sopra, a tormentarsi l'animo dalla superficie desolata e indifferente che si ritrovava.

Solo.

Forse se avesse chiuso gli occhi, c'era la possibilità che quella ragazza dai capelli verdi sarebbe apparsa ad aiutarlo? Come sulla tratta per il Continente orientale...

"Somber? Che ci fai ancora lassù?"

Una voce familiare stimolò il suo udito. Ma non era quella di Mingtian, come aveva appena immaginato.

Somber guardò in basso e riconobbe con facilità, appoggiata al parapetto, la ragazza baciata dal sole che lo fissava coi suoi occhi del colore dell'acqua marina e i capelli opachi come nebbia.

"Sybil." la chiamò, alzando un sopracciglio in segno di insperata sorpresa. "È bello rivederti."

Dopodiché, balzò giù dalla ciminiera e atterrò agile accanto alla ragazza, scuotendone la chioma con lo spostamento dell'aria dall'alto verso il basso.

La ragazza lo squadrò da capo a fondo, forse indugiando per un attimo di troppo sui suoi occhi, quando si raddrizzò in piedi.

Difatti, Somber le rivolse un'occhiata interrogativa. "Ti serviva qualcosa?" chiese.

Sybil scosse la testa e si lisciò una ciocca di capelli, passandola accanto a una delle treccine che si univano dietro la sua nuca.

"È che di recente ti ho visto spesso isolarti come adesso. So che è la tua indole, però... mi chiedevo se magari volessi parlare con qualcuno." ipotizzò in tono strozzato, le palpebre dischiuse e volte verso il pavimento. "In passato anche a me è capitato di sentirmi persa o in colpa, e non riuscivo ad aprirmi con nessuno. So quanto possa essere brutto, perciò se vuoi sfogarti..." La ragazza si accorse che Somber la stava osservando con curiosità, e si sentì in imbarazzo per le parole audaci che stava pronunciando. "L-lascia stare, sto divagando! Forse volevi davvero solo rilassarti e ti sto annoiando!" Agitò la mani, facendo per voltarsi.

Pensava fosse più facile, far aprire qualcuno, schiudere il guscio in cui racchiudeva i suoi sentimenti e condurlo a condividere. Invece era più arduo e imbarazzante di quanto avesse creduto. Ma allora, perché ad Alex veniva così naturale? Cos'avevano di così diverso, loro due?

La mano di Somber le trattenne il braccio e lei sussultò, voltandosi ancora nella sua direzione.

"Tranquilla, la tua presenza non mi disturba affatto. Se ti va, resta pure." la tranquillizzò. E le sue non erano parole di circostanza.

Quella ragazza e i suoi modi pacati ed eleganti erano in grado di calmare il suo animo tempestoso in un modo diverso da come ci riusciva Soyo, o Dorothy. Era come se cullasse le sue ansie fino ad assopirle, grazie alla calma autentica che era parte del suo carattere. Ne aveva avuto prova già al dojo del maestro Fujiwara, quando avevano cercato insieme informazioni su di lui.

Entrambi appoggiarono gli avambracci al parapetto e fissarono il mare, godendo della brezza salmastra e rilassante che spirava verso ovest.

Venne a instaurarsi un comodo silenzio, dove nessuno dei due si sentiva forzato a parlare.

Alla fine, fu Somber a sospirare.

"Stavo pensando che dovrei parlare con una persona per me importante, ma non so cosa dirle. Ho paura che mi condanni o mi disprezzi perché l'ho abbandonata. Oppure, ho paura di non riuscire a dire proprio nulla, e sprecare la mia occasione. Quindi mi chiudo a pensare, e tutto ciò che ottengo è scervellarmi inutilmente, innervosendomi." Decise di aprirsi con Sybil, che ascoltava con attenzione ogni parola, stupefatta da come quel ragazzo riuscisse a tenersi così tanto dentro. Da come le somigliasse in quello, da quanto lo capisse.

"Beh, allora perché non fai pratica con me?" Sybil gli sorrise, e avvicinò furtiva le dita a quelle dell'altro, strette attorno alla barra di ferro della ringhiera. "Magari così facendo riuscirai a sbloccarti, fa' finta che io sia quella persona."

Somber esitò, titubante nella sua ostinata chiusura. Una parte di lui avrebbe voluto fuggire e rinchiudersi di nuovo in sé stesso, dove si trovava meglio. Ma non lo fece, né ritrasse la mano da quella di Sybil.

Chiuse gli occhi e vide l'immagine di Soyo tormentarlo ancora una volta. Il suo sorriso, così bello la notte in cui si erano avvicinati su quella barca in mezzo al lago, tra decine e decine di lucciole.

Non poteva negarlo. Non era in diritto di rinnegare ciò che aveva provato per lei. E questo aumentava solo il suo senso di colpa interiore.

Se non riusciva a perdonarsi per la sua morte, o per quella di Takao, come avrebbe potuto perdonarlo Emily?

Ma forse, il primo passo in avanti da fare era essere sincero almeno con sé stesso e i suoi sentimenti. Esternarli senza le barriere che era solito ereggere dentro e attorno a lui. Poteva riuscirci adesso, con Sybil ad ascoltarlo. Non l'avrebbe giudicato.

"Io..." Per qualche motivo, sentì qualcosa di caldo minacciare di scorrere lungo le sue guance, mentre il viso allegro di Soyo diventava più nitido e luminoso nella sua mente.

Faceva male.

"Io l'amavo." sussurrò appena, a denti stretti. Sforzandosi di non lasciare uscire quelle lacrime. "Non volevo che finisse così..."

D'istinto, Sybil gli avvolse un braccio attorno alle spalle, un'espressione grave sul viso delicato. "Va bene. Va bene così, di' questo, quando vedrai la tua amica. Sii sincero." Prese ad accarezzare le sue dita con i polpastrelli, Somber sentiva il suo fiato leggere e caldo sulla guancia. "Come lo sei stato con me."

Il ragazzo si lasciò finalmente andare al contatto con Sybil, alla morbidezza della sua pelle, e riuscì in questo modo a rasserenarsi poco a poco. Non avrebbe mai creduto che fosse ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

"Grazie, Sybil." mormorò, abbozzando un sorriso, che lei ricambiò con uno radioso come un campo di gerani in piena fioritura.

"Non c'è di che, Somber."

La scrivania dietro la quale era seduta Amber, i gomiti posti sulla superficie legnosa, era illuminata dalla luce della lampada su di essa appoggiata, che gettava il viso della donna in penombra. I suoi occhi di giada non scintillavano nel buio come sempre, dischiusi e opachi come apparivano in quel momento.

Sola nella sua cabina, giù al piano inferiore, era assorta nei pensieri con la mente ottenebrata da un intenso, doloroso ricordo. Uno che riguardava il suo vecchio socio, che l'aveva accompagnata per anni con la sua spalla forte, rappresentando per lei l'unica vera certezza in un mondo caratterizzato dal continuo progressivo cambiamento. La persona che ora non c'era più, accanto a lei.

"Antonio..." Il collo di Amber si abbassò, rimembrando quell'episodio che le sembrava così lontano.

Quella volta, sulla banchina di Gloomport Town, mentre scaricavano merci belliche in seguito a una traversata da Lyam al Continente centrale, d'un tratto Antonio si era sporto verso di lei.

L'abbraccio in cui aveva stretto il suo corpo era stato improvviso quanto duraturo, e l'aveva fatta sussultare di primo acchito per lo stupore. Le sue palpebre si erano spalancate e aveva avvertito dei violenti brividi per alcuni secondi.

Antonio le aveva bisbigliato solo una parola all'orecchio, prima di staccarsi da lei e lasciarla lì, sola e confusa.

"Grazie."

Per qualche ragione, Amber era stata assalita da un presentimento minaccioso e mentre osservava la schiena del compagno allontanarsi sempre più, aveva provato con chiarezza un oppressivo timore. Aveva sentito dentro di sé che non l'avrebbe più rivisto.

Era come se le stesse dicendo addio.

Adesso, riavvolgendo quelle nitide memorie, la navigatrice non poteva fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se avesse provato a fermarlo. Se si fosse immolata per tenerlo vicino a sé, e magari gli avesse svelato ciò che provava. Antonio sarebbe ancora lì con lei, se avesse deciso di farlo?

Forse no, pensò. Quando voleva fare qualcosa, niente riusciva a impedirglielo. E il suo passato era qualcosa in cui Amber non avrebbe avuto il coraggio di intromettersi.

Alla fine, era stato proprio quello a condurlo alla morte. Ciò su cui Amber non aveva mai avuto potere, e per cui dentro di sé era sempre stata frustrata.

"Mi manchi, non sai quanto... Come posso farcela senza di te?" mormorò, senza riuscire a trattenere delle fugaci lacrime. Due stretti ruscelli sulle soffici guance rosee.

Proprio in quel momento, al di fuori della cabina semichiusa, Dorothy alzò il capo, picchiettando la nuca sulla parete da cui aveva origliato.

Il suo sguardo si spense, preda della colpa che le avvolse cuore.

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