Capitolo 135

Taiyo, Juntaro e Honda erano tutti seduti attorno allo stretto tavolo, inebriati dagli odori invitanti del banchetto preparato per loro. Udon, zuppa di miso e ramen ornavano la tovaglia e allietavano la vista dei presenti, pronti a gustarsi quelle rarità cucinate dalla padrona di casa con l'ausilio del suo allievo.

Era da un po' di settimane ormai che i due compagni di Taiyo visitavano la capanna dove il giovane viveva insieme a Tsuki, e nonostante lo spazio fosse davvero limitato, nella cucina che fungeva anche da sala da pranzo si respirava sempre un calore familiare, un affetto che a lungo Taiyo aveva interiormente ricercato, pur non sapendolo.

Con la sua maestra era sempre stato bene ma avere più persone, sue coetanee per giunta, che si godevano con lui l'atmosfera intima di quella casa lo colmava di genuina felicità.

Tsuki coi suoi modi pacati e la sua buona predisposizione aveva conquistato in fretta i due compagni del suo allievo, al punto da concedere loro degli allenamenti insieme a Taiyo.

Honda in particolare era parsa entusiasta a livelli estremi di potersi addestrare nella stessa maniera del suo amico e, soprattutto, insieme a lui. Più di tutti, lei era rimasta affascinata dall'eleganza e la serenità che trasparivano da Tsuki, fino ad ammirarla e volerla imitare.

Juntaro, invece, pareva curioso di vedere quali capacità lei nascondesse dietro il suo aspetto delicato, la sua sensibilità quasi menzognera rispetto alla forza interna che si leggeva nel suo sguardo ferreo, seppur sempre stanco. Come se ormai fosse abituata a convivere con un peso dentro di sé, e ciò l'avesse resa inflessibile.

E così, prima che se ne potessero accorgere, quei quattro erano diventati come una grande famiglia allargata.

Il piccolo Taiyo ancora stentava a crederci, abituato com'era alla solitudine, o meglio, a quel rapporto di dipendenza vera e propria con la sua maestra, non avendo mai posseduto altri legami in vita sua. Non si era mai posto la domanda di come potesse essere far parte di un gruppo di persone che si sostenevano l'un l'altra in maniera incondizionata. E aveva scoperto che gli piaceva tanto, così tanto da non volervi rinunciare a ogni costo, ora che lo aveva ottenuto.

Si era ritrovato anche a pensare che, se mai avesse assurdamente avuto allievi suoi come la maestra Tsuki, avrebbe voluto ricreare un ambiente del genere. Caldo e sicuro.

"Ragazzi, ecco il sakè, non può certo mancare in una serata passata insieme come questa." Tsuki, col suo consueto sorriso pacato, soggiunse dalla stanza sulla sinistra reggendo la lunga e trasparente bottiglia tra le mani. "Ma bevetene giusto un sorsetto, che siete piccoli, mi raccomando."

"Posso reggerlo senza problemi, io." sbuffò Juntaro a braccia conserte, convinto.

Honda dal canto suo lo guardò con aria sbeffeggiante di sottecchi. "Sì, certo. Dici così e poi sei il primo a crollare anche quando facciamo a gara a chi resta più sveglio di notte!" accusò.

"E-e questo che c'entra? È perché di giorno vivo con più energie, magari l'allenamento lo affronto con più serietà di te!" Si difese strenuamente il ragazzo, scatenando le risate di Taiyo a quel buffo litigio.

In effetti, pensò il ragazzo dagli occhi del colore del sole, Juntaro si impegnava sempre al massimo in ogni cosa che faceva, e in particolare negli allenamenti era quello più entusiasta di tutti, anche di lui che li affrontava da più tempo ed era quindi più avanti.

Honda, invece, all'apparenza poteva sembrare un po' spocchiosa e superba, ma il suo era un cuore immenso, e Taiyo se ne accorgeva ogni volta che a fine addestramento si sincerava delle condizioni di ognuno, oltre che riempirli di complimenti per il duro lavoro svolto.

Con le sue chiacchiere coinvolgenti, miste all'esuberanza di Juntaro, il giovane Fujiwara viveva ogni suo giorno nell'allegria, sovrastato da un senso di spensieratezza che controbilanciava alla perfezione la disciplina imposta da Tsuki negli allenamenti.

La sua vita gli piaceva, a discapito della solitudine che era sempre sembrata destinata a stargli appiccicata addosso, fin da quando ricordasse. Amava i rapporti che aveva costruito e che la mitigavano, con tutto sé stesso.

"Non va bene, dovreste dormire la notte, altrimenti il vostro corpo non assorbirà al meglio i frutti degli sforzi che sostenete ogni giorno." li ammonì tra calde risate la maestra Tsuki. "Beh, suppongo che ogni tanto si possa anche abbassare la guardia, ve lo concedo." ironizzò.

Nel suo sguardo crepato come al solito, Taiyo riuscì a intravedere quella leggerezza che solo di tanto in tanto aveva risieduto sul suo viso. L'aveva vista durante quell'evento per lo Spirito del Raccolto, prima che conoscesse Juntaro e Honda, e poche altre volte, in momenti rari vissuti insieme.

L'apprendista pensò che quella fosse l'espressione che la sua maestra meritasse di mostrare sempre al mondo. Meritava di essere felice, e che il suo volto, così bello e delicato, fosse illuminato come in quel momento, adornato da un sorriso caldo come il focolare che bruciava alle loro spalle.

"Bene, allora mangiamo pure senza fare complimenti!" esclamò infine, fissando la sua tutrice, che gli donò uno sguardo pieno d'affetto.

"Sì." concordò lei. "Buon appetito!"

Mangiarono di gusto e scherzarono cullati da una tiepida armonia per tutta la serata, fino a quando la stanchezza non sopraggiunse a pesare con dolcezza sui loro corpi, e decisero di andare a dormire. Juntaro e Honda avevano già avvertito i genitori che avrebbero dormito a casa di un loro amico, così si gettarono sui tatami che per fortuna avanzavano dal vecchio sgabuzzino sul retro della casa di Tsuki.

Naturalmente, anche stavolta Juntaro fu il primo ad addormentarsi, con grande soddisfazione di Honda, che però crollò un minuto dopo, brilla e frivola com'era per i ben due bicchierini di sakè che si era concessa.

Taiyo invece a notte fonda era ancora sveglio. Non riusciva a prendere sonno, quindi aveva deciso di lavare i piatti avanzati nella cucina, che Tsuki si era tenuta per la mattina dopo concedendosi un po' di riposo.

Adesso, a lavoro finito, il giovane spadaccino osservava il cielo notturno al di fuori del portone di ingresso alla graziosa capanna dove viveva.

Dal colle erboso sul quale questa sorgeva, riusciva a scorgere l'ammasso di recinti, ampi orti e piccole casette che si susseguivano lungo tutto il villaggio di Araumi, ai piedi di un crinale affiancato da un'imponente catena montuosa. Il mare distante, al quale un sentiero ricoperto di vegetazione al di là degli insediamenti maggiori conduceva, appariva come un'infinita tela d'oscurità sulla quale era impossibile dipingere alcunché, pura nella sua selvaggia naturalezza.

Quel villaggio era vicino, non distava più di trecento metri, eppure a Taiyo era sempre sembrato così distante...

I suoi abitanti, le festività, il ritmo quotidiano dettato dal lavoro di ognuno, tutte queste cose erano per lui una lontana e irraggiungibile chimera. Qualcosa che poteva solo immaginare, nella sua vita attuale su quel colle, che pure amava nonostante la sua desolazione.

"Non riesci ad addormentarti, eh?"

La voce melodica di Tsuki lo sorprese alle spalle. Taiyo si voltò piano e le sorrise.

"Nemmeno tu, sembra." ammiccò il ragazzino.

"Non sono ancora abituata al trambusto che fanno quei due." sghignazzò lei. "Però, mi piace. In qualche modo mi rilassa più del silenzio."

Quello a volte è insostenibile, avrebbe voluto aggiungere.

E forse Taiyo lo percepì, perché la fissò con più intensità e un pizzico di innocente curiosità che riuscì a mettere a disagio Tsuki.

Una prolungata quiete prese a cospargere i due, come spesso era capitato negli attimi di contemplazione del paesaggio dopo gli allenamenti, o in semplici momenti oziosi intrisi di quotidianità. Tra di loro molte volte non c'era neanche bisogno di parlarsi.

Tsuki cinse le spalle dell'allievo con un braccio, e osservò il villaggio con lui, malinconica.

"Tu non sei come me, Taiyo. Hai degli amici che ti amano. Non devi stare per forza quassù, evitato da tutti a causa mia. Sono sicura che hai tanto da dare al mondo, al contrario di me." D'un tratto, gli sussurrò queste parole all'orecchio.

Taiyo si girò di scatto, grave in viso. Non riusciva a capacitarsene. Lei, che gli aveva dato così tanto, che era la persona migliore che conoscesse, parlava in quel modo. Quel dolore, quel peso celato fin troppo bene dentro di lei, era qualcosa che a tratti non sosteneva.

Soffriva ogni volta che vedeva con chiarezza la rassegnazione forgiata negli occhi di Tsuki Araumi.

"No." disse, deciso, sorprendendo la ragazza che alzò le sopracciglia macchiate di quel misterioso verde opaco. "Non so per quale motivo tu possa pensare una tale assurdità, ma devi sapere una cosa importante, maestra Tsuki: nessuno potrà mai darmi quello che mi hai dato tu. Perché ciò che mi hai donato è la vita stessa, e l'amore."

La determinazione negli occhi di Fujiwara Taiyo bruciava come una stella nel suo periodo di vita più brillante.

"E io, per questo, non ti lascerò mai sola."

Tsuki, proprio in quel momento, avvertì uno sfarfallio nel petto e nello stomaco, un'emozione che pensava non avrebbe mai provato con tale violenza. Che la scosse nel profondo, strappandole un sorriso incontrollato. Provò felicità, gioia incontenibile per quella parole d'amore della persona che per lei più contava sul pianeta.

"Oh, Taiyo!" Lo abbracciò di puro istinto, stringendo la sua testa contro il petto e lasciandosi andare forse per la prima volta in vita sua, come testimoniò un sinistro tremolio che Taiyo avvertì intorno a lei. La liberazione parziale di un'aura immensa.

Il ragazzo notò che i bordi dei capelli e il colorito degli occhi di Tsuki erano diventati di un verde ancora più intenso del solito. Quasi sinistro.

"Le persone come te sono così rare. Ti prego... non cambiare mai." sussurrò lei.

Purtroppo, però, quella persona per Tsuki così importante era anche quella che aveva condannato senza possibilità di scelta quando era solo un orfano, lo sapeva fin troppo bene. E si odiava per questo.

"E se mai ci riuscirai... ti prego, Taiyo, perdonami." pensò la ragazza, afflitta dalla colpa.

Il molo di Gloomport Town al mattino era molto meno lugubre di quanto la sua nomea e la suggestiva aura notturna non lo rendessero.

La piattaforma rocciosa della sezione centrale, dove la maggior parte delle imbarcazioni ormeggiavano, si espandeva per almeno cinquecento metri, illuminata dal baluginio del sole che ne amplificava il grigiore. Poco più avanti, la banchina lignea e cigolante precedeva le acque del mare, che si estendeva nella sua infinita immensità al di là della nave con iscritto sulla sua superficie: Compagnia commerciale Santos&Co.

Più Peter la osservava, più non riusciva a fare a meno di pensare che fosse gigantesca. In passato era già stato testimone delle dimensioni che i mezzi di quella azienda vantavano, ma quella che gli si parava dinanzi in tutto il suo splendore, rilucente sotto il bagliore dei raggi solari, era almeno due volte più grande della nave utilizzata per la spedizione al Continente orientale, ormai quasi cinque anni prima.

Il ragazzo ancora ricordava quei tempi perduti, i ricordi sfocati nella sua testa riguardo quel periodo in cui lui e i suoi compagni erano solo dei Guardians novizi pieni di entusiasmo e ingenuità. E, soprattutto, in cui assieme a loro camminavano con il loro passo sicuro Takeshi, Saito e Antonio.

Ora di quei tre ne rimaneva soltanto uno, ed era spesso impegnato con la sua nuova importante carica governativa.

Era tutto così distante che a Peter sembrava quasi un'altra vita.

"Ehi, Pete, che fai tutto immobile a fissare il vuoto? Non mi dirai che anche tu ti fai prendere dalla nostalgia ogni tanto!" Il braccio inclusivo di Dorothy attorno al suo collo lo ridestò dalle sue tetre riflessioni. Quella ragazza sapeva sempre come migliorargli l'umore coi suoi modi estroversi e amichevoli, doveva dargliene atto.

Peter sogghignò, ammiccandole di rimando, e le rifilò delle pacche sulla schiena. "Ma ti pare? Stavo solo pensando all'ultima volta che siamo stati tutti qui. È passato un sacco di tempo!"

"Già." Annuì Dorothy. "Quella volta però fummo costretti ad affrontare i Vulture e per poco non ci lasciavamo tutti le penne! Molta gente perse davvero la vita. E altri lo fecero durante la spedizione che seguì."

Il viso della paladina della luce si ombrò un po' a quelle memorie infauste che si mescolavano ai momenti di gioia con i suoi amici. Il passato era sempre carico di immagini forti, forse più di quanto non lo fossero nel momento in cui veniva vissuto, rifletté. Le parti luminose della vita brillavano più di ogni altra cosa nel presente con i loro tenui colori confortevoli, mentre quelle cupe erano più nere e oscure di qualsiasi notte.

I ricordi erano qualcosa di così potente da distorcere la percezione della realtà di ognuno. Senza un adeguato controllo, o quantomeno una censura su di essi, rischiavano di diventare pericolosi, lei lo sapeva più di chiunque altro.

Come lo sapeva Somber, che per delle memorie perdute era quasi impazzito, preda della maledizione che ora stavano andando ad affrontare.

E forse lo sapeva anche il maestro Fujiwara.

"Purtroppo nelle nostre attività succede spesso di perdere qualcuno. Per questo ho pensato che dopo quest'ultima missione, dopo aver salvato il maestro Fujiwara, vorrei chiudere una volta per tutte con l'azione e godermi la mia vita. Assieme a Karen, magari, e a tutti voi." Peter sorrise a mezza bocca, tenendo il capo alto e fissando le gemme dorate di Dorothy con intensità.

Lei capì che doveva averci pensato davvero a lungo. Che dopo tutta la violenza e gli orrori a cui aveva assistito, ciò che aveva perso, la sua scelta fosse più che comprensibile.

"Sono convinta che troverai la tua felicità, Pete. Te lo auguro, lo meritate sia tu che Karen, e io vi sarò vicina al meglio delle mie possibilità. E se vorrete fare dei marmocchi, zia Dorothy sarà pronta a tirar loro le guanciotte!" ridacchiò, sarcastica.

"Stai correndo troppo!" rise a sua volta Peter. "E poi potrei dire lo stesso di te e Alex. A proposito, dove sono lui e quel bellimbusto di Somber? E tutti gli altri?" chiese, aggrottando le folte sopracciglia castane come tronchi di quercia.

"Oh, Alex e Karen stanno arrivando, mentre Somber dovrebbe essere con Sybil. Per qualche motivo quei due hanno deciso di venire da soli. Gli altri credo giungeranno a momenti. Siamo in anticipo persino rispetto ad Amber!" esclamò Dorothy. "Chi più mi preoccupa sono Connor, Satyria e anche Ater... Quei tre tipi sono imprevedibili, chissà in che modo si paleseranno."

"Non mi sorprenderei se fossero già a bordo di nascosto, ad aspettare il momento giusto per tenderci un'imboscata solo per divertirsi." sbottò Peter.

"Vero! Sarebbe da loro!" sghignazzò la compagna, divertita.

Peter scrutò l'orizzonte oltre la nave, schermando il mare lontano d'un blu profondo con le sue altrettanto intense iridi. "Beh, anche se fosse, noi saremo pronti come sempre. Nulla dovrà impedirci di completare la nostra missione." sentenziò, determinato come solo lui sapeva essere.

Nonostante un'impresa a dir poco ardua attendesse lui e tutti gli altri coinvolti alla spedizione, nonostante sapesse che il loro nemico possedeva il corpo del guerriero forse più forte al mondo, nonché loro maestro, e che ne amplificasse ulteriormente i mastodontici poteri col suo Kaika ancestrale, arrendersi non rientrava nella sua natura, a mai l'avrebbe fatto finché non avrebbe ottenuto ciò che voleva.

Finché non avrebbe potuto dire di aver vinto. Solo allora si sarebbe concesso di fermarsi davvero. Fino a quel momento avrebbe dato tutto quello che aveva, e anche di più.

"Peter..." mormorò Dorothy, affascinata dalla sua forza d'animo, che spesso a lei mancava nonostante le sue irriducibili energie. "Ce la faremo sicuramente." lo rasserenò, tendendo il bicipite con fare vincente e sorridendo con calore.

L'altro ricambiò, grato di avere degli amici come lei su cui contare.

"Ehi, ragazzi! Eccoci!" La voce di Alex, accompagnato da una pimpante Karen, più Somber accanto a Sybil fece voltare i due, ai quali si illuminarono gli occhi.

Alle loro spalle, c'erano anche Amber ed Emily.

"Ehilà! Vi siete ritrovati tutti, sembra! Che coincidenza!" Dorothy agitò la mano con entusiasmo, saltellando gioiosa sul posto.

"Ci siamo." proclamò infine Peter, vedendoli avvicinarsi. "Siamo tutti qui, ora possiamo cominciare."

La spedizione per il Continente occidentale stava per avere inizio.

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