Capitolo 133
Le stringeva la mano saldamente, come se fosse dominato dalla paura che se l'avesse lasciata non l'avrebbe più trovata. Come se avesse avuto timore di non farle arrivare il suo amore, la sua dedizione.
Tutt'attorno al ragazzino e alla sua tutrice c'era un gran fracasso. Le urla assordanti dei bambini e il concitato chiacchiericcio di sottofondo riempivano i timpani di Taiyo. Si sentiva a disagio in quel trambusto, abituato com'era alla serenità dell'ambiente isolato e rurale in cui viveva da un po' con la maestra Tsuki.
Il villaggio di Araumi quella sera era in festa: bancarelle e tendoni pieni di dolci e oggetti di ogni tipo, gli abitanti vestiti con lunghi kimono da cerimonia delle tonalità più disparate, gli alti bracieri che illuminavano la lunga strada principale a valle che tutti stavano percorrendo, rendevano Taiyo estasiato nonostante l'irrequietezza iniziale. Gli facevano venir voglia di correre, urlare, cantare insieme agli altri ragazzini che vedeva con le loro famiglie.
Eppure, per qualche motivo, la paura di lasciare la mano di Tsuki per poi non trovarla più in mezzo a quella massa confusa era maggiore del desiderio di esternare la propria euforia.
Si sentiva così legato a lei da dipenderne, come fosse la luna nel cielo sopra un mare notturno in burrasca.
Mentre le punte dei suoi piedi nei sandali malandati si sporcavano appena di polvere, il ragazzino di nove anni in kimono verde, sommerso dalla miriade di persone circostanti, si sentì fuori posto. Anche perché sia lui che la sua maestra erano gli unici a non avere i capelli di quel tenue indaco tipico degli Araumi.
Lui, un trovatello nato altrove, li aveva di un biondo caldo. Ma quella davvero particolare era la tonalità verdognola che si mescolava all'indaco di Tsuki.
Soprattutto a causa di questo ragionamento, nel piccolo sorse spontanea una domanda che già aveva sfiorato la sua mente in passato, durante quegli anni, accentuata ora dal chiasso che lo assordava.
"Maestra Tsuki... perché la nostra casa è così lontana dal resto del villaggio?" domandò.
La loro piccola abitazione si trovava infatti su un'altura, senza nessuno nelle vicinanze. Quasi come se isolarli fosse stato volontario. Isolare lei, poiché Taiyo era arrivato dopo.
Tsuki lo fissò con la coda dell'occhio, indecisa. Parve riflettere un attimo prima di rispondergli, come a valutare il da farsi.
"Taiyo, ti ho portato qui per la cerimonia dello Spirito del Raccolto in modo che tu potessi svagarti, giocare un po' spensierato. E invece te ne esci con queste domande tetre? Non cambierai proprio mai!" ridacchiò, gioviale. "Cerchiamo di divertirci un po' oggi, senza pensare agli allenamenti o quant'altro, intesi?"
"Mh, sei strana... Per caso è una trappola e mi costringerai a menare cento fendenti con qualche bastone di zucchero filato?" sbottò Taiyo, arricciando le labbra.
Tsuki rise di gusto, allegra. L'allievo non l'aveva mai vista così emotiva. Di solito era sempre pervasa dalla stessa espressione mesta che per lui poteva significare tanto un complimento quanto botte in arrivo, a seconda del contesto. Ma quella volta era tutto diverso, pensò, mentre la melodia armoniosa e dolce che la risata dell'insegnante stava emanando lo inebriava. Era bello ascoltarla. Gli piaceva moltissimo. Voleva che lo facesse più spesso.
La ragazza si abbassò sulle ginocchia e guardò Taiyo dritto negli occhi. "Non dire assurdità, sciocchino. Voglio solo fare qualcosa di divertente con te, per una volta." Gli punzecchiò il naso con l'indice e un sorrisetto ammiccante sul viso.
Taiyo arrossì, incapace di staccare gli occhi spalancati dal suo naso tondeggiante e all'insù, le guance un po' scavate che conferivano una forma ovale ed elegante al suo volto, gli zigomi appena pronunciati...
"Maestra, sei bella." Non riuscì a trattenere quelle parole, come fosse in trance, complice il clima avvolgente e caotico della festività che mitigava la sua lucidità. Era la prima volta che la considerava come una ragazza di appena quindici anni, anziché solamente la sua maestra di spada.
"Ma che dici, scemo?" sghignazzò ancora Tsuki, intenerita e appena un po' rossa sulle guance. "Basta poco per mandarti su di giri, eh? Me ne ricorderò!" Gli scompigliò i lisci capelli, quella sera acconciati in un codino alto che lo rendeva simile a una femmina per i tratti dolci del suo viso.
Tra i frettolosi passanti, quella ragazza inginocchiata e quel ragazzino un po' intontito parevano brillare più delle fiamme all'interno delle braci ai margini della via.
Come se fossero loro stessi a illuminare la notte.
Il matrimonio di Saito ed Estrella si era tenuto all'aperto, come entrambi avevano fortemente desiderato.
I tavolini tondi, disseminati lungo il prato, erano occupati dai vari ospiti provenienti da diverse fazioni e località. Sia Unai che la regina Miranda erano giunti sin lì per quell'evento importantissimo riguardo la guardia reale appartenente alla nobile famiglia Rojas, originaria di Eldia, nonché loro amica d'infanzia.
Peter, in smoking, era giunto a sua volta sul suggestivo e verdeggiante luogo, situato nel cuore di Southfield, insieme a una Karen in gran forma nel suo vestito violaceo con maniche a sbuffo leggermente più chiare. La ragazza aveva trovato del tempo per partecipare nonostante i suoi addestramenti intensivi.
Alex si era presentato con una camicetta sobria color guscio d'uovo e Dorothy con un elegante abito blu elettrico che metteva in risalto la sua chioma canuta. Persino Somber si era vestito in maniera elegante, indossando un lungo kimono da cerimonia che ognuno dei presenti trovò fin troppo adatto a lui.
"L'hai preso dall'armadio del maestro?" lo aveva punzecchiato Peter, che era stato bellamente ignorato, oltre che rimproverato da Karen.
Ciononostante, Alex trovò positivo il fatto che riuscissero a scherzare sul maestro Fujiwara nonostante la questione allarmante che lo riguardava, e l'ormai prossima spedizione che avrebbero affrontato per venirne a capo. Si sentì sollevato nel constatare che l'ambiente era rilassante e disteso.
In quel momento infatti erano tutti intenti a godersi il rinfresco, dopo che la cerimonia era stata portata a termine con lo scambio delle promesse dei due sposi. Estrella era apparsa emozionata a tal punto che Saito aveva dovuto tenerle ferma la mano per infilarle l'anello, accompagnato dai versi inteneriti di Dorothy.
I quattro compagni erano seduti a un tavolino insieme a Karen, e bevevano allegri in compagnia. Le decorazioni floreali nello stile di Lyam si abbarbicavano lungo le colonnine che erano disposte in maniera simmetrica nell'area del giardino, conferendo gioia ed eleganza all'ambiente attraverso le loro sfumature tenui dai colori caldi. Era una bella giornata, e ognuno cercava di godersi la festa al meglio sotto quel sole mite.
A un certo punto, tra una risata e una chiacchera di circostanza, Alex percepì con lo sguardo due figure a lui conosciute che chiacchieravano con animosità sedute attorno a un tavolino poco distante dal loro. Riconobbe subito quella chioma che brillava come i raggi solari che quel giorno baciavano i volti dei presenti.
"Amber? Eri qui anche tu?" la chiamò, alzandosi dal suo posto, e attirando l'attenzione degli altri.
La donna si voltò, sentendo chiamare il suo nome, e sorrise ai cinque compagni quando li vide. Un sorriso stanco, notò Alex. Doloroso e un po' forzato.
"Salve, ragazzi. Come stanno i miei scalmanati preferiti?" li accolse comunque con calore, come se non provasse alcun vuoto dentro di lei, come se riuscisse a ignorare l'agonia che provava per la sua perdita. Quella del suo socio e compagno da innumerevoli anni.
Dorothy non poté fare a meno di ombrarsi alla vista della donna, e sentirsi interiormente in colpa. Quella volta, Antonio era proprio davanti a lei, dopo aver ottenuto il suo perdono. Quando Kojiro lo aveva trafitto, apparendo all'improvviso.
Quel colpo era destinato a lei.
Se solo non avesse attirato il commerciante tra gli isolati sobborghi di Dismal, se non lo avesse indotto ad affrontare quel pericolo, adesso forse sarebbe vivo e lei sotto terra. E forse, pensò la giovane donna, sarebbe stato meglio così.
Almeno era ciò che lasciavano trasparire i suoi occhi divenuti a un tratto opachi e spenti come dobloni gettati in mare a smarrirsi e schiarirsi sempre più, perdendo la loro lucentezza.
Dorothy avvertì le dita di Somber intrecciarsi d'improvviso alle sue, e si voltò di scatto verso di lui.
Era presente quel giorno, ricordò. Le aveva salvato la vita, l'aveva protetta. Come lei aveva fatto quando l'aveva cullato e gli aveva mormorato parole di conforto fino all'alba, da bambini, dopo la strage a cui il ragazzo era stato costretto ad assistere nei confronti del suo maestro.
Era questo che facevano, dopotutto. Si proteggevano, si sostenevano a vicenda.
Dorothy gli sorrise di sfuggita, e trovò il coraggio di rivolgersi ad Amber.
"Come va, amica? Quel vestito ti sta benissimo!" Le rivolse un'espressione colma d'amore, indicando la leggera veste color zaffiro che metteva in risalto gli occhi di smeraldo della navigatrice.
Amber dischiuse le palpebre, vedendola. Le sembrava un angelo che trasudava bontà. Sapeva bene che non era sua, la responsabilità dell'accaduto, il colpevole era già stato punito e imprigionato. Non aveva mai serbato rancore per quella ragazza così solare per cui aveva provato dal primo incontro una simpatia innata.
"Anche tu sei stupenda oggi, Dorothy. Siete tutti eleganti e carini, vedo. Ricordo ancora quando eravate degli scriccioli urlanti, ai tempi della prima spedizione!" Rise, positiva.
"Non che per certi aspetti siamo cambiati più di tanto!" ammise Peter, ridacchiando e grattandosi il naso con aria indolente.
"Tu parla per te, contadino." ribatté Somber.
"Ma chiudi il becco, errante del buio da un soldo bucato." rimbeccò Peter.
"Ecco, appunto!" Amber riprese a ridere. "Certe cose non cambiano mai davvero..."
Accanto a lei c'era Larina, in un lungo abito cerimoniale bianco e oro che sfiorava l'erba col tessuto soffice. Sul lato sinistro del capo era legata la sua celebre maschera da gatto, quella volta indossata inusualmente come decorazione.
"Ragazzi, è un piacere vedervi qui." li salutò col suo tono dolce e al contempo autorevole. "Devo ancora una volta ringraziarvi per i servigi resi durante il periodo di guerra. Soprattutto te, Peter, per ciò che hai fatto nonostante non ti spettasse." si rivolse a lui con ammirazione.
Dal canto suo il giovane si grattò il capo con aria imbarazzata. "M-ma no, ma no... L'ho fatto perché i miei amici erano in difficoltà, a nessuno avrebbe giovato la vittoria di quel tipaccio di Kojiro..." balbettò, lusingato.
"Come al solito, non sa accettare i complimenti senza montarsi la testa..." pensò Karen al suo fianco.
"Ben presto ci aspetterà altro lavoro, sappiatelo. La spedizione per il Continente occidentale ci attende!" affermò Amber. "La compagnia Santos & Co. farà di tutto per aiutarvi nella vostra impresa top secret." continuò, fiera in volto. Orgogliosa di rappresentare quell'organizzazione che avrebbe sempre portato il cognome dell'uomo che l'aveva fondata, e che lei aveva amato.
"Siamo nelle tue mani, Amber. Sono sicuro che andrà tutto per il meglio." soggiunse Alex, rivolgendole un sicuro pollice all'insù.
"Deve essere così. La riuscita della nostra missione è di vitale importanza." Il viso delicato di Larina assunse un'aria grave. I capelli che le coprivano l'orecchio mancante presero a oscillare a ritmo più impetuoso a una folata repentina di vento. "Se non interveniamo, non oso immaginare che catastrofe potrà verificarsi. Col potere che risiede in Fujiwara, sommato a quello di Vālkkai, le conseguenze potrebbero essere irreversibili. Secondo le ricerche che ho condotto negli anni per tentare di aiutarlo, ogni volta che nel passato si ha avuto testimonianza di quell'essere non è stato menzionato altro se non morte e dolore. Gli esseri umani soffrono in particolar modo la sua presa, e forse per questo li predilige, amplificando le loro paure o rabbie interiori."
Un'aria pesante coprì come un manto oscuro l'ambiente intorno ai presenti, gravando sui loro cuori già preda di un'ansia intrinseca. In particolare, i quattro allievi di Fujiwara Taiyo parvero atterrirsi a quell'infausta realtà. Sul diario del loro maestro avevano trovato date ed eventi che risalivano ai precedenti individui posseduti dall'entità ancestrale chiamata Vālkkai.
La più datata a cui Fujiwara era riuscito a risalire era Midoru Mingtian, più di cinquant'anni prima. Anche se, naturalmente, secondo le memorie di chi era stato posseduto, miliardi di forme di vita l'avevano preceduta nel corso della storia del mondo, secondo uno scopo, un disegno che sfuggiva alla comprensione umana. Sempre che esistesse, un piano ben preciso.
In seguito, c'era stata una certa Tsuki Araumi, maestra proprio di Taiyo, trovata morta in casa sua, sola, trafitta da una lama. Il samurai non aveva scritto nulla sull'accaduto, nessuno poteva intuire cosa sapesse.
La cosa strana era che in seguito il fardello non era passato a Fujiwara, ma a un certo Padre Isaac, che dirigeva una piccola abbazia isolata. Solo dopo di lui era toccato al leggendario samurai, prima di Somber, salvato infine proprio dal suo maestro che aveva riaccolto quella maledizione in sé.
E adesso, i suoi cinque allievi cercavano un modo di salvarlo, di porre fine a quel dolore perpetuo. Sebbene non sapessero da dove cominciare.
"Noi salveremo il nostro maestro." La voce di Peter risuonò in un baleno tra i compagni, come un fulmine che appicca il fuoco su un albero nella quiete di una lunga notte. "Glielo dobbiamo." proseguì. "Anche se non conosciamo ancora un modo, dobbiamo andare fino in fondo per lui, perché ci ha donato tanto, ci ha accolti come una famiglia. Troveremo un modo a qualunque costo, dovessimo liberarlo a suon di pugni."
Strinse le nocche con vigore, illuminato da quella scintilla che solo i suoi occhi sembravano possedere. Che lo rendevano differente rispetto agli altri, un riferimento da seguire anche alla cieca, poiché riusciva a mitigare la disperazione solo con la sua presenza. Solo perché lui era lì, e ci credeva.
"Ma che begli intenti sani e amorevoli... Sapete, però, non andrete molto lontano armati solo di ideali."
Quella voce fece trasalire Peter, Alex e ogni presente. Era giunta del tutto inaspettata in quel contesto sereno.
"Tu?!" Alex si voltò di getto, riconoscendo in un attimo l'uomo in giacca e cravatta sopraggiunto alle sue spalle, gli occhi coperti da un paio di occhiali da sole e le ciocche che ricadevano flosce come rampicanti lungo il collo.
Accanto a lui, una donna dall'elegante coda laterale vestita allo stesso modo lo accompagnava con la sua glaciale inflessibilità.
"Ciao, piccolo Alex." esordì Connor, sogghignante, gettandogli un molesto braccio attorno al collo. "Ti trovo bene..."
Il ragazzo si irrigidì.
Sentiva lo sguardo di quell'uomo pericoloso puntato dritto su di sé, quei languidi occhi ridotti a due fessure e oscurati dagli occhiali da sole che promettevano scenari tutt'altro che sereni. Con Connor nelle vicinanze era come se non si potesse mai abbassare la guardia, persino a un evento pubblico come quello.
Nessuno pareva essersi accorto della presenza sua e di Satyria fino a quel momento. E anche ora, nonostante si fosse palesato, non aveva sollevato polveroni in modo da non attrarre l'attenzione degli altri invitati, che continuavano a chiacchierare e mangiare ai loro tavolini nei dintorni.
Quei due si erano mimetizzati alla perfezione tra la folla, spacciandosi per normali ospiti.
"Cosa volete? Non abbiamo nulla da dirci, noi tre." Alex restò lucido e mantenne la calma con estrema freddezza d'animo. Temeva che la coppia fatale potesse rivelare la sua partecipazione all'assassinio di Batasar Rocha, ex membro dei leader militari dei Guardians. Ma che motivo avrebbero avuto di farlo? Connor voleva sfidarlo, dunque perché avrebbe voluto farlo arrestare, nel caso?
"Rilassati, Alex. Vogliamo solo proporre un'offerta ad Amber Lullaby. Non c'è motivo per cui ti debba preoccupare." Satyria lo tranquillizzò all'istante, criptica e imperscrutabile. Dal suo viso non trapelava alcuna emozione, dalla voce nessuna incrinatura.
"Un'offerta?" sbottò Dorothy. "Perché mai dovremmo darvi ascolto, sentiamo?"
"Se hanno rischiato così tanto per imbucarsi qui, magari avranno una buona ragione..." constatò Peter, grattandosi i già di loro arruffatissimi capelli di nocciola.
"Non mi fido comunque di loro." insistette Dorothy.
Il sopracciglio di Satyria si mosse appena all'insù, interrogativo. Dal canto suo, Connor si passò una mano tra i ciuffi sottili che gli ricadevano sulla fronte, scompigliandoseli all'indietro.
"Che cattivi, mi si spezza il cuore!" esclamò l'uomo, teatrale. "Sentito, dolce Satyria? Nemmeno il tuo bel viso fa leva sulle loro anime di ghiaccio."
"Piantala." La donna alzò gli occhi al cielo.
Un paio di passi in avanti da parte di Amber spezzarono la tensione. La navigatrice fissò negli occhi entrambi, del tutto neutrale.
"Sentiamo cosa avete da dire. Ma dopo che vi avrò risposto voglio che spariate all'istante. Questo è un evento felice e mi infastidisce che lo contaminiate con la vostra presenza inopportuna." proclamò.
Dorothy la fissò, affascinata dai suoi nervi saldi. Aveva sempre ammirato Amber, sin da quando l'aveva conosciuta al molo di Gloomport Town. Nella sua ostentata compostezza e sicurezza, nella professionalità. Erano qualità che considerava affini a lei, e che intendeva imitare, come fosse una sorella minore.
"Benissimo, qualcuno con un po' di buon senso c'è, allora." disse Connor in tono mellifluo. "Cercherò di essere breve. Sono qui insieme a Satyria per offrirvi i miei servizi in qualità di mercenario. Vorrei che ci faceste partecipare alla spedizione per il Continente occidentale."
"Cosa?" fece Karen. "È assurdo! Perché mai volete una cosa del genere?"
Somber nel frattempo ascoltava in silenzio, un'espressione difficile da interpretare sul viso assorto.
"Karen ha ragione, spiegati meglio." lo intimò Amber.
"Beh, diciamo solo che possediamo informazioni oserei dire cruciali per la riuscita della vostra missione. Naturalmente, non mi conviene affatto rivelarvele tutte adesso. Un prestigiatore non svela mai tutte le sue carte in una volta." Un ghigno vincente fu disegnato sulle labbra di Connor, il tono simile a una nenia ammaliante.
"Informazioni cruciali...? Intendi che sai qualcosa sulla condizione del maestro Fujiwara?!" chiese Peter.
"Sarà meglio per te che non si tratti di una bugia." gli fece eco Alex, distaccatosi intanto dalla morsa dell'ex killer.
Le parole di Connor, per quanto subdole, risuonavano come un soave canto di speranza in mezzo a un incessante turbinio di note stonate. Finalmente si intravedeva una luce fioca e distante nel buio, una mano tesa verso di loro, giunta tra l'altro dalla sponda più inaspettata.
Nessuno aveva idea di cosa potessero quei due misteriosi partner avere a che fare con quella faccenda, ma non intendevano lasciarsi sfuggire un'occasione come quella. A discapiti dei rischi che si correvano nello stare loro troppo vicini.
"Va bene, allora. Se dici che le tue informazioni sono importanti, posso fare qualcosa per aggiungerti alla lista come mercenario, insieme a chiunque tu ritenga necessario avere accanto." concluse Amber, severa. "Ma sappi che al minimo sospetto che nutrirò nei tuoi confronti, ti ritroverai con le spalle al muro, da solo, in mezzo al mare e senza via di fuga. Ricordalo bene, Connor."
"Lo imprimerò nella mente come un marchio indelebile, mio bel capitano." scherzò lui. "Ora, se permettete, faremmo meglio a levare le tende. Complimenti per il rinfresco, comunque. Era tutto ottimo. Ci vediamo sulla nave, caro Alex..." aggiunse, più tetro rispetto a un attimo prima.
Il ragazzo rabbrividì, ma non distolse lo sguardo, fiero.
"Sono contenta che abbiate deciso di ascoltarci." disse Satyria, mentre si allontanava con il compagno. "Per me... per noi conta molto, credetemi."
Dopodiché, i due svanirono in lontananza a passo felpato, osservati dai sei spossati interlocutori.
Le cose iniziavano a mutare rapide, e segnali come l'interessamento improvviso di Connor non sapevano proprio se leggerli come positivi oppure il contrario.
Fatto stava che dei potenziali alleati come lui e Satyria potevano solo far comodo, per la disperata impresa a cui erano chiamati.
"Ragazzi, torniamo alla festa per adesso. Ci ragioneremo a mente lucida in seguito." propose Peter.
Ma, mentre tutti prendevano posto, tentando di alleggerire la tensione in compagnia, non era per nulla capace di assottigliare la massa consistente che avvertiva pesare sopra lo stomaco. Qualcosa di freddo e viscido, che si insinuava fin dentro le sue viscere, dove non poteva arrivare e tutto era buio.
D'istinto, Peter diede a quella sensazione il nome di paura.
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