Capitolo 124
"Taiyo, perché credi che le persone abbiano limiti?"
Il bambino dalla chioma biondo miele, con in mano una corta spada di legno, fissava attraverso i suoi occhioni l'immagine sfocata della giovane donna che gli aveva rivolto quella domanda, sotto la pioggia battente.
L'aria era umida e il vento soffiava leggero sugli steli d'erba curati del giardino in cui l'allievo si stava allenando, ma continuando a cadere e non essere soddisfatto dei suoi movimenti sotto quelle intemperie, aveva iniziato ad assumere un'aria piuttosto corrucciata sulla faccia sporca di fanghiglia e pietrisco.
"Forse perché se potessero fare e capire tutto non avrebbero più il desiderio di vivere?" tentò il ragazzino, interrogativo, le guance gonfie e arrossate per lo sforzo.
La donna sorrise. Un sorriso dolce, ma in cui Taiyo avvertì anche una stanchezza radicata, una rassegnazione che conferivano un fascino esotico a quel viso da cui pendevano ciocche indaco fradicie. "È una bella visione, la tua. Ma io credo che la verità sia diversa."
"Mmh, e qual è allora?" chiese il piccolo.
Lo sguardo della maestra era in ombra a causa della frangia davanti alla sua fronte, oltre all'ombra che il cielo annuvolato gettava su di lei. "Immagina una persona sola che contiene un numero di informazioni tanto vasto da riempire centinaia, migliaia, milioni di vite. Limitiamoci ai semplici ricordi: cosa succederebbe a questa persona, se conservasse dentro di sé memorie risalenti a miliardi di anni fa, fino a oggi?"
"Saprebbe tutto!" esclamò Taiyo, entusiasta all'idea.
"Impazzirebbe." rettificò l'altra, con un lieve sospiro. "O quantomeno, un peso del genere sarebbe troppo da sostenere e finirebbe per crollare. Persino con una volontà d'acciaio."
Taiyo la guardò con occhi curiosi, acuti, sebbene si stesse sforzando di comprendere il punto di vista della sua insegnante. Tuttavia, in quel momento era impossibile per lui farlo. La donna gli accarezzò il capo con fare materno, e lui passò a osservare le misteriose sfumature verde acceso delle ciocche che pendevano in avanti verso di lui, all'inclinarsi della sua schiena.
"La vita è qualcosa di stupendo, Taiyo, il dono più prezioso dell'uomo. Ma come ogni cosa che concepiamo, deve finire, altrimenti può diventare una maledizione. Le persone dovrebbero essere grate della loro ignoranza sulla realtà delle cose, dopotutto la spinta a voler conoscere tutto è la forma stessa dell'esistenza. Così come l'impossibilità che ciò si avveri. Tu pensa solo a rincorrere i tuoi desideri, come ogni essere umano." Gli scompigliò i capelli e fece per allontanarsi, mentre il ragazzino scrutava prima l'erba bagnata sotto di lui, poi il legno della spada nella sua mano destra.
Quelle erano cose che poteva capire, non come il discorso della maestra. E per il momento, tanto valeva concentrarsi su di esse. Pensò che forse era quello il messaggio che lei intendeva mandargli.
"S-sì, maestra Tsuki." biascicò. "Grazie, anche se sono un po' confuso quando dici queste cose." aggiunse, roseo sulle guance piene.
La schiena della ragazza in quel momento gli appariva più alta e larga di qualunque cosa.
"Non pensarci, Taiyo, e vivi." Rise allegramente, voltando il capo, prima di sparire ammantata dal temporale accanto alla catapecchia verso cui stava camminando. "In fondo, nonostante i vincoli che sono loro imposti, le persone sono più libere di quanto pensino."
Il viso del giovane parve rallegrarsi alle risate della maestra, impreziosito dall'acqua che gocciolava dalle punte dei suoi ciuffi scuriti.
Lo stesso volto, adesso, teneva gli occhi puntati verso l'uomo dalla pelle bluastra che lo fronteggiava dal lato opposto. Re Yùn.
Taiyo lo aveva condotto nella stessa radura ormai in rovina dove quella donna, Tsuki Araumi, l'aveva addestrato circa quarant'anni prima. Il villaggio di Araumi.
Ora era disabitato, e le poche abitazioni fatiscenti accentuavano il degrado nel quale gli anni l'avevano trasformato. Proprio come nel suo ricordo, una lieve pioggia stava iniziando a scendere dal cielo, bagnando i suoi lunghi e ondulati capelli. L'ombra che proiettavano su di lui sembrava celare un'espressione provata, molto simile a quella che gli aveva sempre mostrato la sua maestra.
Yùn, però, pur notando il suo stato d'animo, non poté capirlo appieno, e lo scambiò erroneamente per stanchezza nei confronti degli scontri e le morti che si susseguivano ormai senza sosta, confondendo quindi ciò che Taiyo provava con sentimenti simili a quelli che albergavano in lui.
"In questo posto avverto residui di Kaika molto simili a quelli del popolo che ci fece visita nel nostro continente, innumerevoli anni fa. Se non sbaglio, il loro nome era Araumi. Tu li conoscevi, è così?" chiese, voltando il busto da destra a sinistra per contemplare il paesaggio rurale, i prati selvatici che caratterizzavano tutto il circondario.
"È così. Loro mi hanno accolto e addestrato da piccolo, quando non avevo nessuno su cui contare." rispose con un fil di voce Taiyo. "Erano brave persone. Però furono sterminati pochi anni dopo che li lasciai."
"Capisco. Li ricordo anch'io, ciò che dici è vero." concordò Yùn. "Non c'è dunque bisogno che ci affrontiamo. In virtù dell'estinzione di questo popolo che ha giovato a entrambi, potremmo metterci d'accordo per trovare un punto d'incontro, e allearci. Così tornerebbe la pace, e nessuno dovrà più soffrire a causa della guerra come gli Araumi, o innumerevoli altri individui." L'immagine della piccola Huô che gli mostrava tutta contenta i suoi sorprendenti disegni gli addolcì la memoria, così come i suoi ricordi più antichi, risalenti a quando leggeva libri insieme alla vera Huô. O meglio, quella originale. La donna che un tempo amava, prima che gli venisse strappata via.
"Alcune persone meritano di vivere in pace e prosperare, pur essendo deboli. Spetta a noi potenti garantire loro la possibilità di farlo." concluse il re, sicuro delle sue parole, e confidente del fatto che anche l'uomo davanti a lui sarebbe stato d'accordo con esse.
Taiyo però abbassò il capo, curvo su sé stesso. Pareva quasi stesse affrontando una lotta interiore. "È tutto giusto, le tue parole sono a dir poco sacrosante. Per sfortuna, mi è impossibile trattenermi adesso. L'ho fatto troppo a lungo, mi dispiace davvero." Alzò il capo, piano.
Yùn notò che c'era qualcosa di diverso in lui. Aveva l'impressione di star parlando con un'altra persona rispetto a poco prima. Anche il Kaika che avvertiva in lui era differente. Enormemente più grande, sebbene fosse già immenso in precedenza.
"Che cosa... cosa gli sta accadendo?" si domandò Yùn, allarmato da quella manifestazione esorbitante di potere.
Un'aura verde intensa si stava addensando tutt'attorno al corpo di Taiyo, un Kaika che trasmetteva un'unica forte e viscerale sensazione. Il re la percepiva aleggiare dentro di lui come uno sciame di vespe ronzanti. Il respiro gli mancava. Ogni fibra del suo corpo gli diceva di scappare o di aggredire l'uomo di fronte a lui prima che fosse troppo tardi.
"Dimmi, sai cos'è che consuma di più le persone dall'interno?" L'essere che aveva posto quella domanda non era più lo stesso individuo di prima, Yùn ne era sicuro. I capelli erano sfumati in un verde fluorescente, così come i suoi occhi, la sua aura e la lama ricurva della spada che impugnava.
"È la paura." concluse lo spadaccino, con un ghigno indecifrabile.
"Quella è... una specie di maledizione?" D'intuito, il nativo attribuì quell'appellativo al cambiamento che Fujiwara Taiyo aveva subito. A quel Kaika così ricolmo di oscurità, di rimpianto, di terrore puro accumulato nel corso degli anni. Yùn riuscì a leggervi una longevità che sfuggiva a ogni comprensione umana. Qualcosa di tramandato per un periodo di tempo incalcolabile.
Capì di trovarsi di fronte alla più grande minaccia che avesse mai abitato l'intero pianeta. E rimase ammirato dal modo in cui fino a quel momento, forse per anni, il samurai a cui apparteneva quel corpo l'avesse tenuta sigillata dentro di sé.
In cuor suo, ebbe l'impulso istintivo di attaccarlo di sorpresa, prima che le cose si mettessero troppo male.
"Devo porre fine alla sua vita prima che possa fare alcunché. Mi muoverò alla mia massima velocità!" pensò, caricando tutto il peso del corpo nel dorso e nelle gambe, che si piegarono accumulando una quantità considerevole di Kaika, le vene ingrossate per l'incredibile sforzo fisico. Tutto intorno a Yùn, un'aura azzurra dalle sfumature blu simili a saette era rilasciata con furia. I suoi occhi erano concentrati solo sul suo bersaglio: il collo di Fujiwara Taiyo. O meglio, del suo corpo.
Il nemico era ancora impegnato ad accumulare energia su energia, dritto nella postura ma a un primo sguardo per nulla intenzionato ad attaccare o difendersi.
"Questo è il momento propizio!" Yùn partì con uno scatto a mezz'aria verso l'avversario talmente rapido da superare di molto il suono emesso dal balzo, o dalla terra che venne rialzata a formare una fossa piuttosto profondo nel punto in cui si trovava in partenza. "Non può evitarlo. Ho acquisito una velocità ineluttabile." rifletté, sicuro di non fallire.
Ma le sue aspettative furono disilluse.
In un gesto che superò di gran lunga la velocità di Yùn, Taiyo allungò la spada dinanzi a sé e disegnò con la punta una circonferenza perfetta nello spazio infinitesimale che lo divideva dagli artigli del nativo. Quel movimento, quell'unica e semplice mossa, superava qualsiasi concezione umana di velocità. Era semplicemente inevitabile.
Yùn sgranò gli occhi. Non ebbe nemmeno il tempo di formulare un pensiero di senso compiuto.
Nel cerchio disegnato dalla punta, prese forma dapprima una sfera di fuoco molto piccola, che in seguito raggiunse in fretta le dimensioni di una piccola supernova color verde acceso, dalla quale raggi roventi come il sole zampillavano nell'aria.
Era come una stella in miniatura composta di solo Kaika rovente.
La temperatura era infernale. Il calore raggiunse livelli tali da polverizzare ogni cosa che orbitasse intorno alla sfera.
Compreso re Yùn.
Prima di dissolversi, annichilito da quel potere spaventoso, pensò che qualcosa del genere fosse al di là di ogni possibilità per chiunque. Quell'essere aveva liberato d'improvviso tutto il suo potere, e la sfera di fuoco che aveva lanciato rischiava di radere al suolo l'intero pianeta se non fosse stata fermata.
Infine, pensò a Huô. Quella autentica, quella che amava tutt'ora. Cosa ne sarebbe stato della sua reincarnazione? Cosa avrebbe provato quella bambina? Yùn non l'avrebbe saputo, perché era ormai sul punto di sparire dall'esistenza, ma il pensiero lo riempiva comunque di una tristezza insostenibile.
Almeno, si concesse, lei stava ancora bene e di ciò poteva essere sicuro. Per questo durante l'istante precedente alla sua morte, si concesse un debole sorriso.
Il silenzio calò sulla zona. Solo il riverbero del globo infernale occupava l'atmosfera con un ronzio di sottofondo. Nonostante contenesse un potere distruttivo altissimo, questa non si muoveva, restando in stasi, a mezz'aria. Osservata da Fujiwara Taiyo.
Man mano, i fili ondulati che componevano la sua chioma stavano tornando al colorito normale. Sul suo volto albergava una smorfia dovuta allo sforzo interiore che stava sostenendo. Era nel pieno di una vera e propria lotta.
I denti stretti fino a sanguinare, le tempie allargate, la fronte aggrottata all'estremo e gli occhi spalancati. Tutto mostrava il dolore immane che l'uomo stava affrontando per resistere. Per non cedere a quella maledizione.
"Nonostante i vincoli che sono imposti loro, le persone sono più libere di quanto pensino." La voce della sua maestra, Tsuki, risuonò dentro di lui, mentre urlava a squarciagola per trattenere la sfera dallo schiantarsi al suolo, dal raggiungere il nucleo del pianeta, scavando.
"Taiyo, perché pensi che le persone abbiano limiti? La vita è qualcosa di stupendo, il dono più prezioso dell'uomo. Ma come ogni cosa che concepiamo, deve finire, altrimenti diventerebbe una maledizione."
Il samurai richiamò dentro di sé tutto il Kaika verde, simbolo di quella forza dirompente che non era stato più in grado di trattenere. "Devo rinchiuderla ancora dentro me. Almeno per un altro periodo, devo riuscirci..." sussurrò, stremato.
Alla fine, la sfera iniziò per gradi a perdere volume e nitidezza, oltre che energia. Divenne meno calda, la potenza si dissipò, la superficie perse brillantezza. E con un ultimo sforzo da parte di Taiyo fu risucchiata all'interno dalla sua spada, tornando dentro di lui, soppressa dal suo Kaika in un ultimo sbalzo atmosferico.
La quiete tornò a invadere l'ambiente. Ora solo il fruscio del vento tra l'erba residua e l'odore delle foglie bruciate lo riempiva. Oltre ai soffocati singhiozzi dell'uomo solo in mezzo a quel degrado.
Taiyo si inginocchiò e sorrise, infradiciato dalla pioggia.
"Non ancora. Quando lascerò andare una volta per tutte, so che ci sarete voi." Le immagini dei suoi quattro allievi presero forma nella sua mente, quasi riusciva a vedere i loro volti allegri dinanzi a lui come fossero reali. Mentre le lacrime scorrevano lungo le sue guance per il dolore che ancora provava dopo l'ultimo inconcepibile sforzo. "So che sarete all'altezza, ragazzi miei."
La sua espressione era l'incarnazione della stanchezza. Il suo animo la manifestazione della paura.
Nel cortile deserto del palazzo reale a innumerevoli chilometri di distanza dal punto in cui Taiyo si era accasciato, La piccola Huô, accanto alla sua controparte adulta, prese d'un tratto a singhiozzare.
Erano giunte sin lì perché la bambina potesse allontanarsi dagli scontri, ma ormai, si erano rese conto entrambe, non era rimasto più nessuno a combattere. L'assalto era finito, le loro forze decimate. Avrebbero dovuto per forza di cose evacuare la zona. Fino alla fine della guerra, si sarebbero con ogni probabilità ritirati di nuovo nel loro continente d'origine. Il luogo a cui, tutto sommato, appartenevano davvero. Un posto in cui avrebbero potuto coltivare la pace. E magari, più avanti, condividerla con chi sarebbe salito al potere oltremare, come voleva il loro re.
Poco prima di andare con quello spadaccino apparso dal nulla, Yùn si era inginocchiato accanto alla piccola e le aveva chiesto se c'era un modo per annullare il loro legame di protezione. Lei aveva titubato, restia a lasciar andare quella parte della sua essenza. D'altronde, era lo scopo della sua esistenza stessa, lo sentiva nel profondo. Ma allo stesso tempo aveva ceduto allo sguardo autorevole e sicuro del suo re, e aveva compreso che voleva evitarle atroci sofferenze in caso di ferite da lui riportate.
Così, aveva teso le mani verso di lui, sussurrandogli di assorbire in via temporanea tutto il suo Kaika dal corpo: senza quello, il fenomeno che condividevano tra loro non si sarebbe potuto concretizzare, essendo stato creato dal Kaika stesso che ora risiedeva nella bambina. Mentre vedeva l'energia indaco fluire dalle sue minuscole mani alle braccia larghe del re, inondandone il corpo, aveva sentito con chiarezza d'essere privata di una parte di sé.
E ora, avvertendo a distanza quel Kaika scomparire del tutto, quel filo spesso e invisibile venire definitivamente lacerato, si sentiva più svuotata che mai. Come se non possedesse più un'anima, o qualunque cosa risiedesse nelle persone ad alimentarne la forza vitale.
Solo le memorie della sua precedente creatrice rimanevano ormai a legarla al ricordo del suo sovrano. Sfocate.
La guardia reale si inginocchiò accanto alla bimba, notando la disperazione impadronirsi di lei mentre iniziava a piangere con violenza. Per qualche motivo, anche lei cominciò a provare un indistinto magone, un peso allo stomaco dovuto a un orrendo presentimento.
"C-che hai? Perché stai piangendo?" le chiese la guardia, fissandola coi suoi grandi occhi identici a quelli della bambina, anch'essi sull'orlo delle lacrime.
Fu allora che la piccola Huô le parlò per la prima volta, esternando i suoi sentimenti. I sussulti le scuotevano il piccolo corpo e le guance piene erano arrossate, come il nasino all'insù.
"Sento un vuoto..." pianse, stringendosi con forza lo stomaco.
Le due si abbracciarono d'istinto, e rimasero ferme per un po'. Ad ascoltare l'una il dolore dell'altra.
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