Capitolo 104
La banchina in legno sfiorata dalla tenue luce del sole d'autunno era accarezzata dalle onde del mare aperto, che si distendeva nella sua immensità fino all'inarrivabile orizzonte, al di là del cielo limpido. oltre il litorale levigato e roccioso del molo di Gloomport Town, un solitario spadaccino in uniforme da guardia contemplava quello spettacolo con i suoi penetranti e luminosi occhi verdi, circondati da una chioma di capelli lisci e ordinati dalla tonalità rosso scuro, vicina allo scarlatto.
Ammirando l'azzurro chiaro del cielo mescolarsi a quello più intenso e irregolare dell'altrettanto infinita distesa d'acqua, l'uomo non poteva impedire a sé stesso di pensare al compagno di una vita che aveva perduto tre anni prima, alla ferita che quell'evento aveva arrecato al suo cuore e che ancora faceva male a volte, a tratti in maniera insopportabile. E il nero oblio in cui vagava la sua mente, invece, formava dentro di lui l'immagine dell'altro suo caro amico, quello che si era lasciato alle spalle tutto per seguire la via dell'odio, della vendetta e della solitudine. Entrambi avevano reagito in maniera drastica a quella tragedia che li aveva separati anni addietro, ed entrambi erano stati condotti all'autodistruzione.
"Ah, eccoti, Saito. Sei sempre in anticipo, eh? Il solito studente modello." Una voce calda e rassicurante scacciò via le ombre che perseguitavano il samurai, il quale si voltò per salutare l'uomo dalla pelle ambrata e i capelli castani. L'ultimo amico d'infanzia che gli era rimasto.
"Antonio. Invece tu sei sempre l'ultimo a farsi vedere." sorrise, sprezzante, Saito.
"Che posso farci, essere in orario semplicemente non è nella mia natura! Se penso alle botte in testa che il maestro Fujiwara mi ha rifilato negli anni..." ridacchiò il navigatore, caloroso e vitale come sempre.
"Tutte meritate. Ti mettevi a leggere riviste sconce sugli alberi invece di allenarti, o ti assentavi per ore tornando in piena notte con intere serie di fumetti comprate coi suoi soldi."
"E dai, non essere sempre un palo nel deretano." farfugliò Antonio, grattandosi i capelli crespi e arruffati.
"Sei tu che non sei mai valso niente..." bofonchiò il rosso, sognante però mentre rimembrava i tempi andati. Quelli che non sarebbero mai più tornati, né avrebbe più potuto ricordare assieme agli altri due compagni che li avevano condivisi con lui e Antonio.
Takeshi e Karasu.
"Pensi ancora a loro due, ogni tanto?" domandò d'un tratto Antonio, il viso divenuto di colpo preoccupato.
L'altro sospirò, e volse ancora le iridi di smeraldo verso l'orizzonte. "Quando sono da solo è impossibile non farlo." ammise, scuro in volto. "E adesso che la guerra è ormai in via di sviluppo, specialmente dopo l'attentato all'arena di River Town di una settimana fa, non riesco a non chiedermi cosa avrebbe pensato lui... Forse se n'è andato prima che scoppiasse semplicemente perché la sua anima non poteva sopportare un altro conflitto, tutto quel dolore, ancora una volta." Saito abbassò il capo, ma la mano sicura di Antonio sulla spalla gli trasmise ancora quel calore che lui proprio non riusciva a trattenere da solo.
"È inutile stare ad arrovellarsi così, crogiolandosi nel dolore, Saito." L'amico sfoggiò uno di quei sorrisi che facevano apparire persino le più grandi tragedie senza via d'uscita come qualcosa di superabile con pochi sforzi. "Takeshi e Karasu hanno lottato fino alla fine per ciò in cui credevano, e se ne sono andati come volevano, secondo i loro ideali. Quei due testardi... Scommetto che adesso, ovunque si trovino, stanno litigando per qualche futile principio o qualsiasi cazzata sulla quale la pensano diversamente." sogghignò il mercante.
Contagiato dalla sua allegria naturale, Saito lo imitò, e si lasciò andare a un respiro più leggero, riempiendo finalmente i suoi polmoni di freschezza.
"Già! Ed è probabile che Shinzo stia tentando di calmarli a suon di buffetti."
"Però facevano male quelli, altro che buffi dell'affetto!" gli fece eco Antonio.
I due risero insieme, tra il rumore sommesso delle onde calme sulla battigia e il verso di alcuni gabbiani e piccioni che volavano liberi sulla superficie marina.
"Coraggio, andiamo adesso." soggiunse infine Antonio. "La nave per la spedizione è ormeggiata qui vicino, e se tardo anche stavolta, quell'orco di Amber mi costringerà a dormire sul ponte per una settimana intera!"
"Ti comanda a bacchetta." scherzò Saito. "È tutto pronto per il viaggio, dunque?"
"Certo, ormai è un anno che lo prepariamo, alla compagnia. Questo è il momento migliore: la guerra al fronte resterà per poco in fase di stallo e le acque dell'oceano sono calme. Non ci sarà un'occasione più propizia per raggiungere il Continente meridionale e trattare un'alleanza." proclamò Antonio, col pollice alzato e un mezzo sorriso.
"Speriamo vada meglio delle ultime volte, allora. La regina Miranda è davvero una spina nel fianco..." sospirò Saito, prima di incamminarsi con il compagno di vecchia data verso il lato est del porto.
Sulla sponda dov'era ormeggiata la nave, oltre che nei vari membri dell'equipaggio che caricavano le ultime merci a bordo ed eseguivano controlli e collaudi precauzionali, Saito e Antonio si imbatterono in Amber, tutta occupata a guidare alcuni lavoratori con casse contenenti elementi delicati. La giovane donna dai capelli biondi raccolti in un codino aveva un aspetto sorprendentemente autoritario nella sua lunga divisa da marinaia abbottonata, e i suoi intensi occhi simili a foglie illuminate da un sole estivo trasmettevano la grande confidenza che riponeva in sé stessa solo a guardarli.
Non appena la ragazza si accorse dei due, interruppe le sue faccende e si avvicinò per accoglierli.
"Alla fine ce l'avete fatta." esordì, con quell'aria di cruccio che risiedeva sempre sul suo volto quando era contrariata. "Scommetto che Antonio ti ha fatto perdere tempo con le sue chiacchiere, tanto è bravo solo a parlare." si rivolse a Saito.
"Sei sempre carina quando ti arrabbi, Amber!" canticchiò, ironico, Antonio, tentando di cingerle le spalle per calmarla.
"Giù le mani, brutto maniaco paraculo." Sbraitò lei.
"Forza, dolce Amber, non essere il solito gorilla frigido..."
"Come mi hai chiamata?!" ruggì lei, aggredendolo con ferocia.
"Ahia! Aspetta, stavo scherzando, stavo scherzando!" Cercò di difendersi il povero Antonio.
Saito sospirò alla scena, sconcertato. "Da non credere... due secondi a conversare e già sono finiti così." sussurrò. "Mi chiedo come facciano a lavorare insieme."
Eppure, nonostante i litigi e le scaramucce varie, in loro vedeva una sorta di alchimia naturale, di sintonia che li spingeva a comprendersi a vicenda senza sforzo, con naturalezza. Non doveva essere un caso se insieme avevano fatto fiorire in così pochi anni la loro compagnia di trasporti navali: la Santos&Co.
"Mi chiedo in che circostanze si siano incontrati quei due..." rifletté lo spadaccino dalla chioma rossiccia.
Osservando l'enorme imbarcazione che recava sulla superficie lignea il nome della compagnia, però, la mente di Saito tornò a concentrarsi su quella che era la missione di cruciale importanza che gli era stata assegnata, e per cui gli era stato affiancato il suo vecchio compagno d'armi. Se le voci erano vere riguardo l'incredibile potenza bellica che la flotta ribelle aveva acquisito, allora avevano davvero urgente bisogno di un'alleanza con il Continente meridionale per ottenere rinforzi e risorse.
"Credete sia vero..." Saito chiese ai due mentre proseguivano nella loro lotta libera, con un Antonio in netta difficoltà. "Che i ribelli abbiano il supporto di quei nativi dell'est? Voi li avete incontrati di persona, sono realmente inarrestabili?"
Antonio e Amber si irrigidirono un secondo, ripensando ai durissimi e cupi avvenimenti del Continente orientale in cui una Guardian loro amica, Summer Oshino, aveva perso la vita durante gli scontri con quel terrificante potere appartenente ai nativi. Alla fine erano stati costretti a fuggire, neppure Faraday era riuscito a placare completamente l'ira del re di quel popolo amato dal Kaika.
Amber talvolta ancora tremava per le fitte che le cicatrici sulle sue braccia le provocavano nelle giornate più rigide.
"Non mentirò, il loro potenziale è pressoché incalcolabile." confessò Antonio, duro in volto. "Ma nonostante questo, noi siamo riusciti a far fuori una delle loro più forti guardie reali." sogghignò in seguito. "Non sono imbattibili."
"Giusto." concordò Amber, annuendo. "E non dimentichiamoci che dalla nostra abbiamo quei due insieme: Faraday e Fujiwara. Nella scorsa guerra erano nemici, mi chiedo da alleati cosa potrebbero essere in grado di fare."
"A proposito, dov'è adesso il maestro?" domandò Antonio.
"Ho saputo che è tornato al dojo, per ora non si è mai visto sul campo di battaglia, né lui né il presidente. Dopo il suo misterioso viaggio, scoprire della morte di due suoi vecchi allievi dev'essere stato orribile, eppure quando sono andato a visitarlo sembrava sereno..." spiegò Saito, con il dubbio scolpito negli occhi socchiusi.
"Quel vecchio è bravo a nascondere ciò che prova in virtù della serenità di chi lo circonda. Il suo altruismo talvolta mi ha spaventato, ma proprio per questo sono fiero di essere stato suo studente." disse Antonio, sorridendo.
"Già..." confermò Saito.
Attorno ai due venne a crearsi l'alone di malinconia e tenue calore che prendeva forma solo quando erano insieme, così com'era quando accanto a loro rideva e scherzava anche Isao Takeshi.
Come sempre accadeva nei momenti in cui osservava il collega con uno dei suoi compagni, frammenti del suo passato, Amber fu colta da un senso di vuoto interiore. Forse era causato solo da ciò che il suo partner aveva perduto negli anni, o forse era una forma di riverenza nei confronti di quei ricordi sacri per lui, ma ogni volta sentiva di doversi fare da parte, e lasciare che Antonio rivangasse i momenti del passato insieme a chi poteva condividerli con lui, a ciò che di esso rimaneva. E la cerchia di persone che componevano quella lista si stava restringendo sempre di più.
"In momenti come questi mi sento davvero fuori posto accanto a te, Antonio..." rifletté, ammirando il bagliore scaturito dal sorriso nostalgico dell'uomo, fin troppo luminoso perché lei potesse sostenerlo. Abbassò il capo, un'espressione malinconica disegnata sul viso dai dolci tratti. "Ma anch'io sono grata, non sai quanto, di poter alleggerire il tuo dolore ogni giorno, anche indirettamente. Anche da lontano."
Somber contemplava con sguardo assorto l'accampamento che si estendeva al di sotto del promontorio erboso su cui soleva recarsi per riflettere in solitudine. Si trovava nella zona a sud di Southfield, dove il dominio delle forze ribelli era ormai stanziato e minacciava di espandersi sino alla zone centrali della porzione di continente.
Negli ultimi mesi, i Guardians arrancavano all'incalzare vigoroso e costante delle forze ribelli, e tra tutti gli assalti terroristici e i blitz improvvisi negli accampamenti nemici, quello alla South Arena di pochi giorni prima era stata una delle prove di forza più preoccupanti, che avrebbe di certo costretto le forze nemiche a reagire in maniera netta.
Le strategie elaborate dalla mente lucida e fredda del loro leader, Kojiro Nakajima, stavano garantendo risultati piuttosto positivi, anche più del previsto.
Nella mente di Somber però aleggiava altro. Non era mai stato il tipo da esternare liberamente le proprie emozioni, né da lasciarsi andare, dunque ogni volta che sentiva di dover metabolizzare un evento che gli era accaduto si isolava per ragionarci a mente fredda.
E questo da un lato era un bene, poiché per la sua indole distaccata e solitaria riusciva a razionalizzare e affrontare con neutralità ogni cosa. Dall'altro lato però, ciò lo portava sin troppo spesso a caricarsi di pesi enormi senza alcun aiuto, nemmeno da parte di coloro che lo amavano e avrebbero potuto aiutarlo, ascoltandolo.
Tuttavia, in quel momento non c'era nessuno che potesse condividere i suoi pensieri. Non tra coloro che erano i nemici delle persone che aveva deciso di salvare all'arena, perché sentiva di amarle ancora dentro di sé.
"Giuro che non farò mai nulla che possa far del male a te, Peter o Alex." Aveva mormorato a una Dorothy in lacrime, incapace di ribattere, quando l'aveva lasciata.
Quella promessa non poteva infrangerla, perché se avesse tradito gli unici che per lui erano una famiglia, allora non gli sarebbe rimasta nemmeno un briciolo d'integrità morale, a parte i suoi princìpi. Che di certo non gli bastavano per riuscire a vivere in pace. Sperava solo che durante la guerra non li avrebbe più incontrati, altrimenti sarebbe stato costretto a compiere decisioni davvero difficoltose.
"Eccoti, qua, Somberino! Ti vai sempre a nascondere quassù, mh?" Una vocina squillante ruppe la catena di preoccupazioni che ammorbava il ragazzo, e lo riportò alla realtà.
"E tu mi segui ogni volta. Non conosci il concetto di privacy, per caso?" borbottò Somber, scrutando con la coda dell'occhio la graziosa ragazza circondata dalle sue due volpi di nebbia.
"Stavolta non è per spiarti o darti fastidio. Kojiro vuole parlarti." informò Soyo, le mani unite dietro la nuca e gli occhi rivolti verso l'alto, noncuranti.
Per un momento Somber trasalì. "E se glielo avesse detto? Che ho salvato Dorothy e gli altri?" ipotizzò.
Soyo era la persona con cui passava più tempo, dato che Yuki non era molto socievole, un po' come lui. A dire il vero, era lei che lo seguiva ovunque andasse perché a quanto pareva l'aveva preso in simpatia, o forse le interessava per qualche oscuro motivo. Possibile però che l'avesse tradito senza porsi problemi?
L'espressione di Soyo era indecifrabile in quel momento, quindi Somber decise istintivamente di seguirla. Se fossero sorti guai sarebbe stato pronto a fuggire, non aveva scelta. Ma farlo ora sarebbe stato come dichiararsi colpevole, e non era detto che la ribelle avesse già spifferato tutto, in fondo molte volte Kojiro gli aveva chiesto consigli e pareri in passato.
"Cos'hai da guardare? Sono bella, eh?" mugugnò la giovane, con occhi arroganti.
"Macché, fammi strada e basta." replicò lui, sospirando.
"Sagge parole, Somberino! Prima il dovere, poi le dichiarazioni d'amore. Potrai dirmi quanto mi trovi carina dopo aver parlato col capo." cantilenò Soyo, cercando in maniera palese di metterlo in soggezione.
"Ti ho detto che non lo penso, deviata mentale. E non chiamarmi Somberino." disse Somber, placido. "Guarda tu se non devo attirare tutte le problematiche io..." Infatti, nella mente del giovane, l'immagine di Mingtian si sovrappose a quella di Soyo. Sotto molti punti di vista erano simili, rifletté. Per cominciare, entrambe si erano fissate con lui.
Mingtian, o per meglio dire i resti di Mingtian, aveva avvertito i suoi dissidi interiori. Per quanto riguardava Soyo, invece, ancora non lo aveva capito. Ma forse era solo una ragazza infantile, e lui il suo capriccio.
"Ping, Pong, voi restate qui." La ragazza puntò un dito autoritario verso gli animaletti. "Io e il mio amico dobbiamo fare una cosa importante!"
Mentre discendevano lungo il sentiero sterrato in discesa, che con un'ampia curva verso sinistra conduceva a valle del promontorio, dov'era stanziato l'accampamento, sotto la fresca brezza montana che soffiava delicata tra verdi cespugli e chiome d'alberi che cominciavano a indossare i colorati abiti autunnali, i due proseguirono fianco a fianco, silenti. Somber notò che Soyo gli lanciava occhiate furtive a brevissimi intervalli di tempo, tanto che alla fine si stufò a accelerò il passo, lasciandola indietro.
"Ehi, Somberino, perché acceleri?! Non riesci a sostenere la mia presenza schiacciante?" gli urlò l'insistente ragazza.
"Mi irriti!" esclamò Somber, iniziando quasi a correre, mentre Soyo letteralmente lo inseguiva, ridendo di gusto.
Quei suoni vivaci e l'allegria della compagna però, per quanto fastidiosi, contribuivano a far sbocciare dentro Somber una leggerezza che riusciva a tranquillizzargli l'animo. Forse era proprio una persona come lei, ciò di cui aveva bisogno. Insieme a Soyo le giornate di certo passavano più in fretta, e non era costretto a tormentarsi di continuo con le sue inquiete riflessioni.
Continuando a cercare sfuggirle, un accenno di sorriso si formò sul viso pallido del giovane, simile a quello che rivolgeva a Dorothy nei bassifondi che frequentava da bambino.
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