41 - Aurora

Possibile che i miei sogni fossero così realistici? Non mi era nuovo lo svegliarmi in piena notte con le lacrime agli occhi perché avevo fatto un incubo o perché avevo smesso di trovarmi in un sogno meraviglioso senza la possibilità di potervi tornare.

Anche perché più d'un sogno non poteva essere. Era la mia pura immaginazione, i miei occhi erano troppo condizionati da quell'immagine per dimenticarla soprattutto di notte, così mi ritrovavo l'ombra di Simon, alla finestra. Il vero Simon a quell'ora, chissà dove si trovava!

"Aurora...", mormorò quella sagoma nella notte.

Non risposi, e quello che posso dire è solo che il rivederlo mi provocò un sacco di emozioni dolorose una dietro l'altra, poi i miei occhi non ressero, scoppiai a piangere perché quei ricordi erano troppo ardenti, perché era crudele che la mia testa non volesse dimenticarlo e mi giocasse quei brutti scherzi.

Fu in quel momento che vidi l'ombra porgermi una mano e sfiorarmi il braccio, e in quel momento la prima cosa che feci fu arretrare. Avevo paura, non era e non poteva essere Simon quello davanti a me, me lo aveva detto Andrea quella stessa sera. Pensai di stare iniziando a diventare paranoica.

"Aurora, sono io...", mormorò ancora lui sotto voce.

E a quelle allettanti parole decisi di fidarmi, in fondo se era un sogno perché non viverlo fino in fondo?

Mi avvicinai ancora alla finestra e tesi la mano per sentirne il tocco, Simon, o l'ombra di Simon, insomma, quello che era... ricambiò la stretta e rimase fermo con gli occhi chiusi, quasi gli mancasse sentire quella carezza tra le sue dita.

"Sapessi quanto ti ho pensata", sussurrò.

No, questo non era giusto! Nemmeno un sogno poteva indurmi a soffrire così tanto. Cosa avrei detto ad Andrea, lui non meritava che io pensassi ancora a Simon. Lui mi amava, e io amavo lui, niente poteva indurmi a tradirlo, nemmeno uno stupido sogno.

Asciugai le lacrime col dorso della mia mano poi arretrai, la tentazione di stringere quel sogno tra le braccia era forte, ma non era il caso di provarci, ne sarei rimasta delusa.

"Posso entrare?", disse lui con un sorriso malinconico.

Indietreggiai più confusa che convinta e lo vidi scavalcare il davanzale e poggiare silenziosamente i piedi per terra.

"Tu...", provai a rivolgermi all'ombra di Simon, ma non avevo parole.

"Io sono io... non c'è altro da dire... e soprattutto sono qui solo per te".

Non mi lasciò replicare, venne verso di me a passo celere e mi strinse in un forte abbraccio sollevandomi con le sue braccia robuste dal pavimento. Strinsi anch'io ed era lui, era veramente lui in carne ed ossa, era solido, non una figura evanescente, i suoi capelli erano morbidi, i suoi occhi luccicavano e le sue labbra erano rosse e invitanti come lo erano state la sera del nostro addio.

"Perché te ne sei andato?", singhiozzai restando abbracciata a lui.

"Perché sono stato costretto", mi giunse la sua voce all'orecchio.

Continuai a stringerlo, sapevo, ed ero cosciente di stare sbagliando tutto, nei miei confronti, nei confronti di Andrea, di Agàte. Ma lui era vivo, lui respirava, mi stava stringendo, quanto avevo desiderato che accadesse?

Ad un tratto Simon allentò la stretta e mi fissò negli occhi. "Mi hanno allontanato, perché era quella la cosa migliore da fare, ma non è servito a niente".

Strinsi gli occhi nel tentativo di soffocare ulteriori lacrime ma non ci riuscii. "Avevi detto di non amarmi, o comunque, mi avevi fatto capire... che... che non ti importava di me".

"Ho mentito, ho dovuto... mentire". Mi lasciò e andò a sedersi sul letto a testa bassa.

Mi diressi verso di lui e lo affiancai sfiorandogli un braccio con la mano.

Era curioso, sentivo come una scarica elettrica che mi ammoniva del pericolo. In quella stanza c'era un pericoloso Kelsea. Un solo suo morso, se si fosse trasformato, mi avrebbe annientata. Ma Simon non mi faceva paura. Mi fidavo di lui.

"Ti ho aspettato i primi giorni, sai? Speravo che ti fossi fatto vivo e... temevo che ti avessero fatto del male, io stessa mi sono salvata da una punizione severa per un pelo".

Vidi Simon alzarsi e dirigersi verso la finestra.

A quel movimento inaspettato balzai in piedi. "Che fai?", chiesi col panico nella voce.

Simon mi guardò a lungo, poi mi rispose: "Torno da dove sono venuto. Volevo solo che mi vedessi".

Andai in stato confusionario. "No! Tu non... non puoi lasciarmi, tu... non puoi pretendere di farti vivo e sparire di nuovo... con chi credi di giocare? Simon...", lo presi per mano, "ti prego, aspetta...".

Lui mi rivolse uno sguardo sofferente, e mi sentii in colpa anch'io.

"Non ho il diritto di tornare a sconvolgere la tua vita, hai ragione, non sarei dovuto venire...", disse amareggiato.

"E invece sì!", sbottai.

"Appartieni ad un altro...", continuò lui testardo.

Una morsa mi chiuse lo stomaco... era vero, Andrea, come potevo fargli questo?

"Un ireneo può proteggerti meglio di un Kelsea, non credi?".

A quelle ultime parole rimasi attonita. Avevo capito bene? "Cosa... cosa hai detto?".

Simon mi guardò con aria di sufficienza. "Che un Kelsea è fatto per uccidere gli Alessi, non per proteggerli".

Scossi la testa. "Non intendevo questo... che c'entrano gli irenei in questa storia?".

Vidi il suo viso assumere un'espressione stupita. "Non dirmi che non sai che quel tipo con cui eri stasera è un ireneo?!".

La mia bocca si spalancò dallo stupore. "Tu menti!", abbaiai, poi mi portai le mani alla bocca. Non mi ero accorta di essermi messa ad urlare.

"Non strillare, sciocca!". Mi disse Simon tappandomi la bocca.

Troppo tardi, dalla stanza accanto si udì un rumore.

"Oh, cielo!", esclamai in confusione.

"Che c'è?".

"Arriva qualcuno, nasconditi qui sotto, svelto?".

Simon mi guardò incredulo. "Sotto il letto?".

Imprecai. "Certo, veloce, c'è abbastanza spazio per poterci stare".

Simon scosse la testa spazientito e eseguì i miei ordini giusto in tempo che dalla porta della mia stanza sbucò la faccia di un insonnolito Adriano.

"Ehi Aurora, ma che ti prende? Adesso urli anche in piena notte?".

Mi misi a sedere sul letto e assestai un calcio ai piedi di Simon che erano ancora allo scoperto. Udii un imprecazione ma fortunatamente Adriano non se ne accorse, tuttavia quando abbassai nuovamente gli occhi i piedi erano ancora lì, assestai un calcio più forte per invitarlo a ritirarli.

"Ahi cavoli!".

Il lamento di Simon stavolta fu udibile. Mi inventai un attacco di tosse.

"Chi ha detto ahi?", chiese Adriano scattando sull'attenti a quel rumore.

Andai in panico. "Chi ha detto ahi? Mmm... io ho detto ahi, mi sono...", tirai su la mia gamba e finsi di massaggiarmi il piede. "Devo essermi fatta... male alla caviglia".

Adriano sbatté le palpebre perplesso. "E comunque...", ripresi con voce più sicura, "ho soltanto fatto un incubo! Per questo ho urlato... Sì, era un incubo!" annuii vigorosamente col capo.

Adriano si accigliò. "E la finestra aperta?".

Mi contrariai. Aveva deciso di essere sveglio proprio in quel momento, quel guastafeste?

"Avevo caldo!", buttai lì.

Lui mi fissò come si fissa qualcuno con dei problemi mentali. "Ma fuori ci sono otto gradi! Aurora, va tutto bene? Veramente... se vuoi...".

"No, Adriano, voglio che vai a dormire, va tutto bene, anzi... benissimo. È solo stato un incubo, ora chiudo la finestra, torno a dormire e non ci penso più".

Finalmente si arrese. "Okay, sarà... ma secondo me tu hai qualche problema... io torno a dormire allora, buona notte".

"Buona notte...", cantilenai.

Vidi di nuovo sbucare i piedi di Simon, li calciai più delicatamente stavolta, Adriano non era ancora uscito e se ci avessero scoperti sarebbe scoppiato il finimondo. Il mio coabitante uscì, e non appena sentii la porta della sua camera sbattere diedi il via libera a Simon.

"Era ora, mi hai massacrato un piede, piccola Alessi permalosa!".

"Piantala, per poco non ci scopriva. E ora voglio sapere che c'entra Andrea con questa storia?", affermai risoluta.

Simon si accigliò. "Che posso saperne io? Sono appena tornato".

"Hai detto che è un ireneo, non è vero! È solo un Alessi come me".

Simon sorrise ironico. "Si certo! E io sono la fata turchina!".

Mi indignai. "Come hai fatto a capirlo allora, se non ci sono riuscita neanche io?".

"Un ireneo non resta nascosto tanto facilmente agli occhi di un Kelsea, per noi rappresenta il doppio del pericolo".

"Quindi vuol dire...", cominciai.

Ma certo, ora tutto quadrava, i silenzi di Andrea, le sue elusioni. Tutti i pezzi andavano al proprio posto. La simpatia di Agàte verso il mio nuovo ragazzo, le poche o quasi nulle opposizioni al salvataggio di Adriano, e soprattutto me...

Mi gettai faccia in giù sul cuscino. Com'ero stata sciocca a bermi tutte le loro bugie. Andrea per primo.

Scossi la testa disperata. Mi aveva solo mentito... tutte le sue promesse eterne, il suo amore...

Gli era stato ordinato di fare così, per distrarmi, per dimenticare Simon, e soprattutto per farmi stare al sicuro.

Gli irenei sono come i guardiani, ma il loro scopo è quello di mettere le cose a posto, di portare pace. Evidentemente però, la presenza di Andrea non era bastata a plagiarmi. E Andrea era solo un impostore che stava dalla parte di Agàte e Albian.

I singhiozzi eruppero e presto bagnai tutto il cuscino. Simon doveva essere ancora alle mie spalle, ma non mi si avvicinò. Rimase a fissarmi silenzioso senza avere il coraggio di venirmi accanto.

"Mi hanno ingannata tutti...", mormorai.

A quel punto lui mi si sedette accanto di nuovo. "Forse non avrei dovuto dirtelo... in fondo se ti avesse aiutato a dimenticarmi, sarebbe stato tutto più semplice".

Allontanai le sue braccia. "Non ti ho mai dimenticato, dannazione! È questo il punto, Simon. Non capisci che settimane di inferno ho passato in questo posto?

"E ora? Scoprire che Andrea era d'accordo con loro! Avevo creduto di avere trovato un amico. Uno con cui confidarmi... e invece mi ha solo usata per i suoi scopi, o forse per gli scopi di Albian... Secondo loro ero troppo importante per lasciare l'incarico che mi era stato affidato. Avevo ormai la piena fiducia di Gabriele e questo serviva a loro, capisci?".

Simon non rispose. "Gabriele non è più affar mio ormai".

"Siamo comunque come il giorno e la notte, noi due". Dissi. "Il fatto che tu non abbia la mia stessa missione non cambia nulla". Era vero, eravamo troppo diversi per avere un destino comune.

Ero ancora stordita. Non riuscivo a credere che Andrea fosse stato solo qualcosa di studiato a tavolino dai miei superiori. Innamorarmi di lui mi era sembrato così... naturale.

"Vorrei fuggire...", protestai.

"Ci troverebbero... lo sai".

"Non nella nostra forma umana", replicai.

"E per quanto tempo saresti capace di resistere?".

Rimasi zitta.

Simon mi voltò nuovamente le spalle e si diresse verso la finestra.

"Simon", lo chiamai.

Si voltò e mi fissò misterioso.

"Dove vai?", gli chiesi.

"Non ne ho idea", mi rispose.

"Logan non sa che sei qui?", domandai.

"No, e nessuno deve saperlo".

Chinai il capo. "Fammi venire con te!".

"Sei matta!". Mi disse scuotendo la testa.

Scavalcò dalla finestra e saltò giù atterrando quasi con movimento felino.

"Guarda che mi butto!". Minacciai dall'alto della mia finestra.

"Provaci!", mi sfidò lui.

"Giuro che lo faccio!", lo avvertii. Ero decisa a stare ancora un po' con lui a tutti i costi.

Continuò a muoversi verso il cancello senza degnarmi di uno sguardo, e allora presi la mia decisione. Se avessi fatto in fretta nessuno si sarebbe accorto di me.

Mi slanciai dal davanzale e mentre mi trovavo sospesa nel vuoto indussi il mio corpo a cambiare due forme, una dopo l'altra ad altissima velocità.

Molto presto, al posto mio comparve una colomba bianca che con aria di sfida andò a posarsi su una sua spalla.

Simon mi guardò con un sorrisetto compiaciuto. Io ricambiai lo sguardo storcendo la testa di lato, poi volai via e ripresi velocemente forma umana dalla'altra parte del cancello.

"Sei talmente ostinata che venderesti l'anima al diavolo per stare con me". Mi disse seccato mentre scavalcava il cancello per venire fuori.

"Che ore sono?", chiesi.

"Le quattro...", rispose lui fissando l'orologio al suo polso.

"Alle cinque e mezza saremo di ritorno...", decisi. Mi sfregai le braccia. Avevo dimenticato a infilarmi un giubbotto e fuori faceva un freddo cane.

"Sei proprio testarda!", mi disse lui. Si sfilò il giubbotto e me lo porse. "Tieni, metti questo".

"Grazie...", dissi seguendolo. "Dove andiamo?".

"In un posto dove non possano vederci semplicemente affacciando dalla finestra? Che ne dici?".

Non risposi e mi affrettai a seguirlo fino al boschetto vicino casa mia. "Non sono mai stata qui", annunciai.

"Io sì, e pensare che non avevo mai immaginato quanto fossi vicina!".

Sghignazzai.

Giungemmo alle rive di un laghetto. In lontananza si udiva solo l'abbaiare dei cani e qualche auto solitaria che sfrecciava per chissà quale destinazione.

Simon si sedette ai piedi di un albero e io lo imitai.

"Perché fai tutto quello che faccio io?". Mi chiese stizzito.

"Perché mi fa sentire vicina a te", risposi molto sinceramente.

Non seppe replicare.

Il rumore dell'acqua che sbatteva sulle rive del laghetto e le cime degli alberi immobili e silenziose mi diedero una sensazione da brivido. Il cielo era punteggiato di stelle, stavano seduti sulla terra uno accanto all'altra quasi fossimo in meditazione.

Ad un tratto il freddo si fece pungente, iniziai a tremare come una foglia. Che irresponsabile che ero stata. Avrei potuto prendermi una brutta febbre per questa bravata!

"Stai tremando", mi disse Simon fissandomi a fondo.

"Non... m... m... me n'ero accor... t... ta sai?".

Sorrise e mi passò un braccio intorno alle spalle. Mi rannicchiai tra le sue braccia in modo che il mio corpo assorbisse il suo calore.

"Brrrr...". feci.

"Se vuoi possiamo tornare", mi disse.

"No!", quasi urlai per protesta.

Simon scosse la testa con un sorriso. "Lo sai che stiamo sbagliando ancora una volta?", mi disse poi tristemente.

Sollevai gli occhi per fissarlo. Stava per succedere di nuovo? Forse sì, e non ne ero minimamente preoccupata, anzi volevo, che mi baciasse...

"Sì..." continuò lui rispondendo alla mia domanda silenziosa. "Proprio come quella sera...".

"Tu non sei un pericolo per me... lo so...". stavolta ero decisa, e al contrario di quella sera al pub o alla festa sapevo cosa stavo dicendo.

"Non sono tornato per rovinarti la vita...", concluse voltandosi dall'altra parte.

Lo costrinsi a guardarmi. "E allora perché? Perché sei tornato, Simon?".

Non mi rispose, vidi soltanto che tutte le barriere che aveva provato ad ergere, così come quella volta di due mesi fa, crollarono, e non seppe più mentire all'evidenza. Lessi nei suoi occhi tutto quello che provava.

Lo vidi avvicinare le sue labbra alle mie senza difese e dopo tanto tempo sentii che lui era di nuovo vicino a me. Che era lui quello in cui avevo sempre sperato.

Questa volta tenni duro, e ci riuscii, perché la cosa più importante era stare accanto a lui, e questo pensiero fu abbastanza forte da trattenermi dal rivelarci, e credo che anche lui pensò lo stesso. Rimanemmo gli umani di qualche secondo prima e niente sarebbe cambiato, con un bacio umano, tutto sarebbe rimasto lo stesso.

Lo abbracciai stretto, non mi accorsi di stare baciando il mio nemico, era così invitante che se avesse voluto uccidermi avrebbe potuto farlo senza che io avessi potuto opporre resistenza. Ero come consenziente ad esserne la preda.

Le sue labbra erano morbide e fresche, strinsi le sue mani ma poi le lasciai subito per toccargli il viso.

Ancora non credevo che fosse veramente lì vicino a me. Neanche il tocco, il bacio, mi convincevano.

Quando provai ad allontanarmi lui era ancora lì, a tenermi salda, ad impedirmi di prendere le distanze e a baciarmi con decisione quasi violenta, la morbidezza delle sue labbra mi mandava fuori controllo. Sentii le farfalle agitarsi nello stomaco quando percepii le sue mani tra i miei capelli, i nostri corpi, ora, erano vicini, il distacco che avevamo provato a mantenere inizialmente non era servito a niente.

Non so quanto lungo fu quel bacio, ma so che non riuscii nemmeno io ad oppormi più di tanto, e in quel momento compresi quanto Simon fosse potente. Io che ero così vicina a lui potevo percepire la sua aura, sebbene non fosse trasformato. Era pericoloso, e io ero da sola, con lui. Se fosse stata una trappola non avrei avuto scampo.

Quando tornammo a guardarci negli occhi io ero in crisi con me stessa, abbassai lo sguardo e pensai ad Andrea. Ero così incollerita con lui da essere sicura che il suo amore fosse falso. Era veramente così?

Non potevo saperlo.

Vidi Simon fissarmi incuriosito quando tornai a sollevare gli occhi. Mi accigliai, sembrava avere una domanda che gli premeva farmi.

"Come hai fatto poco fa a trasformarti così in fretta da non farti percepire neppure da me?".

Lo fissai incredula, "Duri anni di allenamento!".

Simon batté le palpebre. "È molto complicato, bisogna essere degli esperti...".

Sorrisi. "Cosa credi, Simon? Io ho terminato il mio addestramento! E poi non è difficile, vedilo come il passaggio da umano in Alessi, in più devi solo liberare la parte animale che è in te".

Simon mi fissò allegro, sulle labbra aveva un sorriso furbetto.

"Sai...?", continuai fissando la superficie del lago, "Mi sono sempre domandata quale fosse la tua forma animale...".

Non mi rispose. Continuava a tenere fisso sulle labbra quel sorriso di poco prima, poi si sollevò con le braccia e quando fu in piedi lo vidi assumere un'espressione concentrata.

"Non dirmi che lo stai facendo...", feci preoccupata. Se fosse stato un serpente non avrei retto alla vista, sarei scappata a gambe elevate, la mia era una fobia. Ogni volta che guardavo un documentario di serpenti ero assalita da conati di vomito.

Ovviamente parlai troppo tardi. Mi accorsi che il suo corpo iniziava a cambiare forma, ma mi stupii, quando riaprii gli occhi che avevo chiusi, nel vedere un'enorme pantera nera al suo posto.

"Wow!", esclamai.

L'enorme gattone mi si avvicinò e permise che gli grattassi le orecchie. Il pelo era corto e lucidissimo sotto i raggi della luna, gli occhi gialli luccicavano di una luce sinistra. Passai una mia mano su quel pelo vellutato e vidi che Simon ricambiò strusciando la testa alle mie mani, poi stesi le gambe per poter tendere la mano verso di lui e quando lo feci sussultai.

L'enorme felino mi balzò in grembo con le zampe anteriori. Temetti che avesse voluto farmi del male, ma poi mi accorsi che mi stava solo appoggiando il grande testone sulle ginocchia, grugnendo di soddisfazione con gli occhi socchiusi.

"Non credi sia il momento di essere seri?", gli dissi mentre lo accarezzavo.

Simon sollevò la testa a fissarmi poi il suo corpo cambiò forma e mi ritrovai sotto le mani i suoi capelli al posto del testone della pantera.

"Ora sai in cosa mi trasformo", mi disse mentre teneva ancora il capo poggiato sulle mie ginocchia.

"Già, di me ne faresti un boccone".

Sorrise e tese una mano per accarezzarmi il viso. "Potrebbe darsi. Non è facile dare spazio ai sentimenti nella nostra forma animale... diventiamo aggressivi... ma chissà perché ero sicuro che a te non avrei torto un capello", mi sfiorò i capelli con le dita.

Incurvai le labbra, poi ricambiai la carezza, era ancora curiosamente appoggiato con la testa sulle mie ginocchia.

"Non so come potremo fare a liberarci da tutti i casini che solo noi ci stiamo creando", continuò Simon cambiando discorso.

"Troveremo un modo... forse". Risposi poco convinta mentre tiravo un sospiro di rassegnazione. Per caso guardai l'orologio al suo polso e sussultai. "Oh no! Le cinque e trenta!".

Simon si alzò di scatto. "Dannazione andiamo...".

"No, ho un'idea, resta qui, tornerò in volo".

Annuì frettoloso. "Ottima idea, vai allora".

"Non se prima non mi prometti che ci rivedremo".

"Aurora, vuoi muoverti? Non è il momento!" sbottò.

"Tu promettimelo!".

"E va bene, però svelta", mi disse sospingendomi lontano da lui.

Lo abbracciai, "Grazie", mormorai guardandolo negli occhi, poi mutai forma e con un colpo d'ali mi posai sulla sua mano.

Lui mi prese e mi fissò a lungo, mi sfiorò il collo che senza problemi avrebbe potuto spezzarmi, ma non lo fece. Piuttosto mi avvicinò alle sue labbra e mi baciò il capo, poi mi diede una spinta verso l'alto e presi il volo fino a dirigermi verso casa. Quando la raggiunsi mi infilai dalla finestra e tornai nella mia forma umana dopo essermi tuffata sul letto. Ero arrivata giusto in tempo. Agàte era già sveglia, fortunatamente me l'ero sfuggita per un pelo.

Mi sollevai dal letto e andai a guardare dalla finestra. Davanti al cancello di casa mia, poco più distante e al di fuori dalla visuale della finestra dalla quale Agàte avrebbe potuto vederlo, un enorme felino nero dagli occhi di giada scuoteva la coda e mi guardava mansueto. Quando gli mandai un bacio con la mano lui mi voltò le spalle misterioso e scomparve tra i grossi alberi del boschetto.

In quel momento fui sicura, avrebbe fatto del lago il suo nascondiglio. Mi sarebbe rimasto vicino.

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