28 - Aurora


Okay. Okay. Perché non frenavo quelle fantasie odiose che mi si affollavano nella mente? Che mi stava prendendo? Andrea era carino, bene. Ma perché seppur mi ostinavo a tenerlo lontano la mia mente continuava a rievocare il momento di quel bacio che era stato fin troppo appassionato?

Camminai dritta per tutto il pub alla ricerca di Gabriele, dovevo allontanarmi da Andrea e non cercarlo mai più. E intanto lui che faceva? Mi veniva dietro come un cagnolino.

"Vuoi piantarla di seguirmi?", gli dissi stizzita.

"Fino a poco fa stavamo trascorrendo una serata insieme... o sbaglio?", fece lui con la faccia da innocente.

Sbuffai di disapprovazione e seguitai a camminare alla ricerca del mio protetto.

"Ecco...", lo accusai, "mi hai pure fatto perdere di vista il mio protetto".

"Ma dai!", ghignò Andrea puntandomi di proposito le pupille ardenti negli occhi.

"Smettila di fissarmi in quel modo!", lo apostrofai acida.

"Naaa, perché mai? Sei bellissima angelo, non mi perderei un solo movimento di te!".

Grugnii contrariata e con lo sguardo cercai di scandagliare tutta la stanza alla ricerca di Gabriele.

"Niente, qui non c'è!", sbuffai guardando Andrea in cagnesco.

"Che vuoi che sia?", mi disse Andrea divertito, "Starà approfondendo le conoscenze con Cristina, del resto che torto vuoi dargli, è proprio una bell...".

"Zitto!", lo misi a tacere con un colpo leggero sulla spalla. "Piantala di ciarlare per favore!".

Ero proprio indignata. E anche un po' gelosa. Sebbene non provassi nulla per Gabriele mi dispiaceva sentirmi dire di essere stata scaricata da lui perché troppo impegnato a fare conquiste, anche se, a dirla tutta, io avevo fatto la stessa cosa con lui.

Mi rattristai al pensiero che forse Gabriele mi aveva cercata prima di sparire.

E se quella Cristina fosse stata una Kelsea anche lei? Rabbrividii.

"Cristina era... era un'umana, giusto?", chiesi allarmata ad Andrea.

"Credo di sì", mi rispose lui perplesso. "Era abbastanza imperfetta da essere umana ad occhio e croce, ma non saprei dirti con certezza".

"Perché... noi saremmo perfetti?".
"Fisicamente più degli umani. Non lo sapevi?".

Scossi la testa pensierosa. Mi consolai. Almeno Andrea era tornato serio e dal suo tono appariva evidente che volesse aiutarmi.

"Vuoi che ti aiuti a cercarlo?". Mi chiese preoccupato.

Per un attimo rimasi a riflettere. "Forse è meglio fargli una telefonata. Magari non c'è nulla da temere e sta bene. Vieni, andiamo fuori". Lo presi per una manica e me lo trascinai dietro. Lui apparve parecchio soddisfatto dell'esito della situazione e non se lo lasciò ripetere due volte.

Mi guardai bene dal non tornare nella stanza deserta per non stuzzicare le fantasie di Andrea. Preferii piuttosto attraversare il corridoio affollato perdendo un sacco di tempo.

Quando giungemmo all'esterno ci sedemmo sui gradini in cui eravamo rimasti prima. Intorno a noi c'era qualche coppia troppo impegnata a sbaciucchiarsi per interessarsi ai nostri discorsi e due fumatori a debita distanza che chiacchieravano allegramente.

Tirai fuori dalla tasca il cellulare e mi accorsi che era spento.

"Com'è possibile che il mio cellulare sia spento?". Feci sorpresa.

"Scarico?", buttò lì Andrea.

Già scarico, la sera prima avevo dimenticato di caricarlo. Imprecai furiosa.

"Ehi angelo, tranquilla, chiamiamo col mio. Hai il suo numero?".

Feci mente locale e fortunatamente me lo ricordai. L'avevo imparato a memoria per ogni evenienza. Mi congratulai con me stessa per essere stata così previdente.

Vidi Andrea tirar fuori dalla tasca del suo giubbotto un cellulare ultra tecnologico e sorrisi al pensiero che noi ultraterreni potevamo essere riconoscibili proprio per i nostri gusti eccentrici.

Dettai il numero senza fare alcun riferimento al suo cellulare e guardai Andrea mentre restava in ascolto nell'attesa di una risposta.

"Squilla", mi disse per tranquillizzarmi. Poco dopo udii una flebile risposta dall'altro capo del telefono.

"Pronto, Gabriele?", chiese Andrea. "Io e Aurora ti stavamo cercando, dove sei finito?".

Non udii cosa rispondesse il mio protetto dall'altro capo del telefono ma a questo Andrea rispose con un accesa risata.

"Sì certo, capisco, è stata tutta colpa mia, spero non te la prenda...".

Un'altra pausa snervante.

"Non c'è problema, puoi andare tranquillo, ad Aurora penso io, è in buone mani".

Sgranai gli occhi e sottovoce protestai. "Cosa?".

Andrea non mi calcolò e continuò a parlare al cellulare. "Si puoi stare tranquillo, non è necessario che ritorni. La accompagnerò io!".

Pestai un piede per la rabbia. Avrei dovuto sopportare Andrea per tutto il viaggio di ritorno a casa?

Da una parte la prospettiva di quello che avrei potuto fare se fossi rimasta sola con lui mi atterriva, dal lato più nascosto della mia personalità invece, esultavo di gioia, anche se non volevo ammetterlo.

"D'accordo...", continuò Andrea, "ti avviserà quando sarà tornata a casa... cosa? Lei? Oh, sì certo, è felicissima che tu ti stia divertendo e pensa che sia un'ottima idea che io la accompagni. Sai com'è, non vuole disturbarti...", si portò una mano alle labbra e soffocò una risata.

Ma che impudente! Faceva pure lo spiritoso!

"Certo Andrea, inventa altre scemenze sul mio conto!", sbottai piantandogli la borsetta addosso mentre lui era intento a parlare al telefono con Gabriele.

"Sì, sì, me l'ha appena detto lei!", un'altra risata di scherno. "Okay, non preoccuparti, avrò cura di lei, promesso!", continuò sorridendo mentre con una mano reggeva il telefono e con l'altra cercava di parare i colpi mirati della mia borsetta.

"Sei odioso Andrea! Non ho mai conosciuto qualcuno peggio di te!".

Lui sorrise e dopo aver staccato ripose il cellulare in tasca.

"E per giunta sei un bugiardo!", continuai. "Non sono affatto felice che lui stia da qualche parte, chissà dove, senza di me!".

Andrea lasciò che finissi la mia sfuriata con un risolino divertito sulle labbra.

"Te l'ho già detto che sei fantastica?".

Grugnii. "Vuoi piantarla?!".

Prese la mia richiesta seriamente e finalmente tornò a parlare in tono più coscienzioso. "Okay Aurora. Mi sembra di essere partito col piede sbagliato con te. Ti prego, facciamo pace?".

Incrociai le braccia annoiata. "Dubito che serva a qualcosa".

"Come fai a dirlo se non mi dai un'altra possibilità?", aggiunse lui supplichevole.

Volli metterlo alla prova e annuii. Non mi andava di tenergli il muso durante tutto il viaggio di ritorno. Per tutta risposta lui mi indirizzò un sorriso luminoso pieno di gratitudine.

"Adesso mi riaccompagneresti a casa?", gli dissi paziente.

"Se è quello che vuoi", fece lui un po' dispiaciuto.

"Vado a prendere il cappotto", gli sorrisi grata. "Aspettami qui!".

Mi addentrai nel locale e andai al guardaroba consegnando il mio bigliettino numerato al custode. Quando mi restituì il cappottino bianco lo indossai e al caldo mi sentii risollevata.

Andrea era fuori ad aspettarmi. E in quel momento che mi ritrovai lontana dalla sua influenza riflettei sulla serata appena trascorsa con lui.

Dopo due settimane di angoscia Andrea era riuscito a farmi tornare il sorriso con il suo strano modo di fare. E poi ora che sapevo della sua esistenza non mi sarei sentita più sola. Rimaneva tuttavia il dubbio riguardo alla possibilità di richiamarlo quando sarei arrivata a casa. Avevo riposto il bigliettino col suo numero di telefono nelle tasche del vestito. Vi rovistai e lo trovai ancora lì.

Potevo gettarlo via e far finta di perderlo? Dimenticare per sempre questa serata? Andrea mi avrebbe riaccompagnata a casa e non l'avrei più rivisto. Fine della storia.

Era consigliabile tornare alla vita nera e buia di tutti i giorni? Una vita in cui Agàte ce l'aveva a morte con me, Albian era rimasto deluso, e con Gabriele non ero riuscita a combinare nulla di quanto mi fosse stato intimato di fare dai miei superiori?

No. Stare sotto l'influenza d'Andrea faceva bene sia a me che al mio protetto. Ed era per Gabriele che dovevo farlo. Ma dovevo prima mettere le cose in chiaro col nuovo arrivato. Niente più baci, né relazioni. Solo amicizia.

Quando uscii dal locale Andrea era fuori ad attendermi, bello come sempre. Teneva le mani infilate dentro le tasche del giubbotto e mi sorrideva compiaciuto.

"Possiamo andare", gli dissi sorridente.

Lui mi fece segno di seguirlo e mi guidò nel labirinto di auto fino ad una fantastica Porsche nero metallizzato. Rimasi senza fiato.

"Ti piace la mia auto?", mi chiese lui compiaciuto.

Annuii leggermente stupita.

In quel momento lo vidi fare il giro dell'auto e giungere dalla mia parte. Andrea aprì le sicure col telecomando e con un gesto di galanteria mi spalancò la portiera attendendo che entrassi.

"Oh grazie!", feci divertita.

Con un sorriso richiuse lo sportello e tornò a salire al posto guida.

Mentre eravamo soli in macchina ci fu un momento di silenzio. Non volli nemmeno sapere a cosa stesse pensando. Non ce n'era bisogno. Possibile che fosse veramente così tanto preso da me? Avevo sempre sottovalutato la mia bellezza, era qualcosa che non mi interessava più di tanto, ma ogni volta che Andrea mi guardava in quel modo, o mi faceva un complimento, mi sentivo lusingata. Era qualcosa di nuovo che non avevo mai sperimentato prima della mia missione. Del resto non era semplice affrontare la vita di tutti i giorni ritrovandoti a priori con diciotto anni compiuti.

Notai la radio e la accesi con mano insicura per provare a rompere il ghiaccio. "Che stavi ascoltando?", chiesi.

"È rock, non credo ti interessi", mi disse lui. "Piuttosto dimmi che ne pensi di questa". Tolse il cd e lo sostituì con un altro che aveva riposto nel porta-cd dentro il cruscotto.

Quando mise play l'abitacolo della macchina si riempì di una musica dolce. Il suono sembrava ovattato data l'ottima qualità delle amplificazioni. Per via delle mie conoscenze musicali capii che si trattava di una ballata, e mi piacque.

La voce era dolce quanto bastasse a rendere il senso della canzone. Una voce giovane e fresca. Una chitarra acustica accompagnava il cantante col suo suono pulito.

Sentii Andrea accodarsi con le parole alla voce del cantante. Le due voci si fusero, e divennero una sola.

"Andrea, ma sei tu!". Dissi stupita.

Lui non rispose continuando a cantare mentre con la mano batteva il ritmo sullo sterzo.

"Ma è bellissima! È la tua canzone?".

Lui mi sorrise. "Sì, è la mia preferita. Ti piace? Il suo titolo è fallen angel".

"Stupenda!". Gli dissi sinceramente ammirata. "Mi piacerebbe avere una copia di questo cd!".

"Davvero?", mi chiese lui compiaciuto.

"Sì, sono sincera! È bellissima".

Alle mie parole Andrea spalancò nuovamente il cruscotto e tirò fuori un cd incartato tale e quale a quello che aveva appena inserito nel suo stereo.

"Te lo regalo". Mi disse porgendomelo. "Ne tengo sempre qualche copia in auto".

Sorrisi e lo presi tra le mani osservandone la copertina. Il cd prendeva il nome dalla canzone omonima. E al centro della copertina c'era una ragazza della quale era impossibile definire i tratti del viso. Era avvolta da un drappo bianco e dalla schiena spuntavano un paio d'ali molto simili alle mie. L'unica differenza era che le mie ali erano reali. Quelle della ragazza in copertina erano artificiali e troppo grandi per essere vere. La figura era accovacciata di spalle e guardava in alto.

Un'immagine anonima. Perfetta per la copertina di un cd.

"Bella la copertina!", gli dissi, "Inutile che ti chieda a cosa ti sia ispirato".

Andrea mi rivolse un sorriso tenero. "Allora dove ti porto?", mi chiese mentre metteva in moto la sua auto.

"A casa".

"Non vuoi fare nessun altro giro?"

Non mi sarebbe dispiaciuto. Ma il male che sentivo dentro mi impedì di ricredermi. Seppure tentassi di ignorarlo percepivo ancora un legame troppo presente tra me e Simon.

"No, dai, per oggi è già successo abbastanza". Mi preoccupai di guardare la sua espressione, sicura di scorgervi della delusione. Invece Andrea annuì comprensivo e senza protestare si avviò per la strada di casa ascoltando di tanto in tanto le mie indicazioni.

La sua vicinanza riusciva ancora ad elettrizzarmi, seppure non mi stesse né toccando né guardando. Ci fu un momento in cui mi sentii nuovamente tesa. Ma presto questa sensazione si trasformò inspiegabilmente in puro terrore.

Non capii il motivo ma ero spaventata. Sentii un dolore acuto alla schiena e mi accorsi che anche Andrea frenò l'auto di botto.

"Che succede?", chiesi atterrita. "Perché mi sento in questo modo?".

Andrea si guardò intorno preoccupato.

Il dolore alla mia schiena aumentò e gemetti un'altra volta. Andrea mi osservò con gli occhi spalancati.

"Andrea! Stai pensando a quello che penso io?", dissi quando mi fui ripresa da quella fitta.

"Dovrebbero averti insegnato, no?". Disse lui impaziente.

Urlai di nuovo mentre sentivo le ossa della schiena quasi spezzarsi. "Come mai... come mai tu non senti niente!!!", urlai sofferente.

"Ho... ho una maggiore resistenza", mi disse Andrea mentre inarcava la schiena per sgranchirla.

Tutti e due avevamo compreso cosa stesse succedendo. Me ne avevano parlato durante il mio addestramento. Agàte stessa mi aveva spiegato cosa presagisse un dolore acuto alla schiena e una sensazione di terrore improvvisa. In quel momento un Alessi stava avendo la peggio contro un Kelsea. Da qualche parte, nei dintorni, si stava svolgendo una lotta senza pari.

"Che facciamo?", chiesi spaesata.

"Non saremmo tenuti a rischiare la vita", mi disse Andrea preoccupato per la mia inesperienza.

"Ma non possiamo lasciarlo morire!", urlai.

Andrea sembrava combattuto. Un'altra fitta mi fece piegare in due e notai che anche Andrea reagì similmente.

In effetti non era necessario intromettersi nella battaglia. Significava modificare il destino di un protetto che non ti era stato affidato. Se veramente doveva prevalere il male non si sarebbe dovuto discutere. Altra cosa da notare, era che, se ti fossi messo contro un altro Kelsea avresti avuto a che fare col tuo avversario più l'altro nemico che ti eri andato a cercare tu stessa.

"Non voglio che ti immischi in questa storia". Mi disse Andrea preoccupato per me. "Posso andare io, ma tu devi restare".

"Sei pazzo?!", protestai.

Ero consapevole che se fossimo usciti dal territorio di quell'Alessi il dolore sarebbe cessato e il contatto che si era venuto a creare con quello sconosciuto si sarebbe spento. Era un processo che faceva parte della nostra natura. Un campanello di allarme che ci permetteva di chiedere aiuto all'occorrenza anche se era molto difficile che qualcuno di noi infrangesse le regole, ma soprattutto si trovasse a passare da quelle parti in quello stesso momento. Tuttavia potevamo lasciarlo da solo?

Andrea studiava lo sterzo preoccupato, era indeciso sul da farsi. Non era egoismo quello di lasciare perdere. Erano regole. Ordini supremi.

Bene e male dovevano combattere e tra i due doveva vincere chi lo meritava. Le terze persone sarebbero state perseguibili dai supremi, se si fossero intromesse.

Io e Andrea ci guardammo preoccupati per un attimo.

"Posso azzardare l'ipotesi che mentre noi stiamo a guardarci in faccia quel poverino stia esalando il suo ultimo respiro?". Feci indignata.

"Non voglio coinvolgerti! Chiusa discussione!". Andrea rimise in moto ma lo bloccai.

"Vuoi lasciare che muoia?".

"È una regola Aurora... l'hai dimenticato?".

"Noi Alessi non siamo fatti per seguire delle leggi ingiuste. Un nostro simile in difficoltà merita di essere aiutato!", sbottai.

"Molte cose del nostro modo di essere risultano paradossali! Non te l'hanno mai spiegato?".

"Andrea smettila di raccontarmi frottole, se non ci fossi stata io tu saresti già accorso!". Con quella frase lo misi in difficoltà. Non seppe negarmi l'evidenza.

"E va bene. Facciamo a modo tuo. Ma tu stanne fuori e non cacciarti nei guai!". Mi disse puntandomi un dito al naso e voltandomi le spalle per scendere dall'auto.

La strada era deserta. Andrea si tolse il giubbotto e si sfilò la maglietta. Il suo petto chiaro era magro ma tutto muscoli. La sola visione mi fece correre dei piccoli brividi sulla schiena. Lo vidi poggiare i vestiti sul sedile del guidatore e richiudere lo sportello.

"Non ti trasformi?", gli chiesi scendendo dall'auto a mia volta.

"Non ora. Devo prima trovare il luogo preciso. Il Kelsea potrebbe accorgersi della mia presenza".

Annuii comprensiva. Lo seguii cauta e insieme corremmo nel semibuio della strada male illuminata.

Era un sentiero di campagna. Ci trovavamo fuori dal campo d'azione di Andrea e altrettanto fuori dal mio, in un paesino prossimo a quello nel quale ero stata inviata per la mia missione.

Tutto era deserto e questo rendeva il luogo l'ideale per una battaglia.

Andrea chiuse l'auto col telecomando e si addentrò in una macchia d'alberi sul margine della strada.

Lo seguii senza perderlo di vista, mentre gli alberi si infittivano e formavano delle calotte sopra la nostra testa.

"Da questa parte". Mi disse aguzzando l'udito. Non me lo lasciai ripetere due volte.

D'un tratto i rumori di una colluttazione ci fecero sobbalzare.

"Siamo vicini". Sussurrò Andrea.

E infatti non camminammo per molto che ci trovammo ai margini di una radura nella quale stava avvenendo lo scontro. Spalancai la bocca nel vedere le condizioni dell'Alessi impegnato nel combattimento.

"Sta morendo!", dissi terrorizzata ad Andrea gettando un passo avanti.

"Dove credi di andare?!". Mi rimproverò lui trattenendomi per un braccio.

"Almeno aiutalo tu!", lo supplicai.

Il demone che stava avendo la meglio era un ragazzone alto e robusto. Il ghigno sul volto del Kelsea mi terrorizzò quando vidi lo sgomento stampato sul viso dell'Alessi e qualcosa mi ribollì nello stomaco.

Non potevo starmene a guardare mentre un ragazzo come me soffriva in una tale maniera!

Lo straniero aveva più o meno la mia età. I suoi capelli erano corti e biondi. Il colore dei suoi occhi era impossibile da definire a causa della distanza.

"Vai Andrea". Supplicai il mio amico.

Rabbrividii quando vidi l'Alessi accasciarsi quasi vinto a terra. Il viso era una maschera di sangue e polvere e le sue ali erano parecchio mal ridotte. Il ragazzo sembrò non avere più la forza di alzarsi e il Kelsea soddisfatto si calò verso di lui con un ghigno divertito.

"Hai perso amico!". Gli disse avvicinandosi all'altro senza sfiorarlo. Con un fiotto di fuoco e una risata tonante lo vidi bruciare la punta di un'ala dell'Alessi.

Per la prima volta sentii il grido di dolore di un mio simile a cui veniva maltrattata l'ala. Quella che era la sua parte vitale.

Le ali erano per noi ciò che il cuore era per gli umani. Si trattava del punto più debole delle nostre figure incorporee.

Se un pezzo d'ala ci viene recisa nel giro di pochi minuti moriamo. Se viene bruciata il dolore è insopportabile.

E capii in quel momento che quel povero ragazzo stesse patendo le pene dell'inferno. Da una posizione più vicina percepii un'altra presenza angelica e nello stesso istante vidi Andrea alzarsi in volo per andare a colpire il Kelsea con un calcio dritto alle spalle, evitando però, di toccarne la pelle.

Nel semibuio non riuscii a cogliere perfettamente la forma incorporea di Andrea, ma di una cosa ero sicura, le ali gli donavano a meraviglia. Belle e imponenti. Era semplicemente fantastico!

Il Kelsea imprecò. "Chi diamine sei? Vuoi forse impicciarti?".

"Lascialo andare...", ringhiò Andrea tra i denti.

"È una lotta che non ti riguarda, stanne fuori prima che riduca in poltiglia anche te!". Lo avvertì il Kelsea irritato per essere stato interrotto.

"Non vado da nessuna parte!". Continuò il mio amico, scendendo in picchiata verso il basso e poggiando saldamente i piedi.

"Vuoi sfidarmi dunque?", ghignò il Kelsea soddisfatto.
"Proprio così!", sorrise ironico Andrea.

Il Kelsea lo scrutò incuriosito. Sembrava essere stizzito per la consapevolezza di doversi battere con qualcuno più riposato di lui. Nei suoi occhi si accese l'istinto di sopravvivenza e provò a fuggire.

Vidi Andrea sbarrargli la strada deciso. Dalle sue mani presero forma delle piccole e micidiali sfere di luce che partirono sfrecciando alla volta del nemico. Il Kelsea fu molto accurato nell'evitarle una dopo l'altra, ma l'ultima lo colpì di striscio ad una gamba. In quello stesso istante un suo urlo disumano risuonò per la foresta.

Mi nascosi dietro all'albero più vicino per evitare che mi vedesse. Se mi avesse catturata minacciando di farmi fuori avrei messo in difficoltà ad Andrea. Sarei stata solo d'impiccio, e in questo non potevo dar torto al mio amico.

Il Kelsea però sembrava ormai stanco di limitarsi a evitare gli attacchi tentando di fuggire di tanto in tanto.

Mi chiesi da quanto tempo fosse durato il combattimento con l'Alessi precedente, perché il demone sembrava davvero a corto di poteri e la forza sorprendente del nuovo arrivato lo spaventava.

"Fatti sotto !", lo invitò Andrea con un ghigno.

Il demone per tutta risposta concentrò le sue energie in una sfera di fuoco che Andrea mancò con una capriola in aria ben calibrata. Il Kelsea allora si fermò esausto ed ansimante e Andrea gli assestò un calcio energico alla pancia approfittando della sua spossatezza nell'avere usato un potere troppo grande per le sue condizioni.

Alla fine cedette. Stanco del combattimento. "Pietà", biascicò mentre tentava di rimettersi in piedi a fatica.

"Mi spiace, non posso. Mi farei dei nemici spiacevoli". Gli rispose Andrea con voce melodiosa. Scorsi un'espressione di trionfo sul suo viso quando una nuova sfera di luce argentata glielo illuminò. Mi tappai gli occhi con le mani quando vidi Andrea puntare alle ali dell'avversario, e per un attimo riuscii anche ad avere pietà del Kelsea che stava per soccombere.

"Che fai?", chiese il Kelsea terrorizzato ad Andrea.

"Quello che è tenuto a fare ogni Alessi contro ogni Kelsea... ti elimino!". E con queste ultime parole lasciò andare la sfera che si infranse sulle ali del demone mandandole in mille pezzi. Il corpo senza vita del demone piombò a terra con un tonfo e si dissolse a poco a poco diventando cenere, che una forte folata di vento spazzò via.

"Andrea!", urlai quando fui sicura di non correre nessun pericolo. Andrea si voltò dalla mia parte e presto le sue ali scomparvero, lasciandolo nuovamente nella sua forma terrena.

Lo abbracciai lieta che non gli fosse successo niente ma lui si sciolse dall'abbraccio e mi prese per mano. "Vieni", mi disse portandomi con sé. "Dobbiamo aiutarlo a guarire".

"Come?".

Riflettei sui metodi di guarigione. Un Alessi poteva essere guarito dai poteri di un guardiano o solo cercando di farlo tornare nella sua forma terrena. In questo modo se per qualche mese avesse evitato di trasformarsi il corpo umano si sarebbe rigenerato dando all'anima la possibilità di purificare se stessa, e anche la nostra figura incorporea sarebbe guarita.

"Ehi amico, mi senti?", chiese Andrea scuotendo il viso dello sconosciuto.

Il ragazzo gemette e aprì gli occhi.

"Devi tornare terreno. Pensi di farcela?".

Vidi lo sconosciuto respirare a fatica nel tentativo di concentrarsi.

"Concentrati. Pensa alla tua figura umana, abbandona i ricordi della battaglia. Solo così puoi salvarti", gli ricordò Andrea.

Il ragazzo grugnì e poi urlò all'improvviso.

"Soffre?", chiesi allarmata ad Andrea.

"Il corpo si rifiuta di impiegare altre energie!". Mi spiegò lui. "Sforzati!", continuò poi a incitare l'Alessi sconosciuto. "Imponi la tua forza di volontà!".

Le ali iniziarono a svanire a poco a poco accompagnate da una smorfia di dolore.

"Bravo ce l'hai fatta!", lo incoraggiai anche io.

L'operazione sembrò costargli tutta l'energia che aveva in corpo e non appena tornò a essere umano il ragazzo perse completamente i sensi.

"Ora che facciamo?", chiesi ad Andrea preoccupata." Non possiamo lasciarlo qui. Qualcuno dovrà prendersi cura di lui".

"Non lo so", disse sincero. "Abbiamo violato un regolamento".

"Sai bene che ogni Alessi violerebbe questo genere di regolamento, Andrea. La punizione infondo è solo una sgridata del capo. Anche gli Angeli, come noi, hanno pietà. La solidarietà fa parte del nostro essere. Non esistono delle vere punizioni a riguardo".

"Questo è vero!", annuì Andrea.

"Allora portiamolo da me. Agàte saprà cosa è bene per lui, sono pronta alla sgridata che mi spetta".

Andrea fece spallucce. "Se lo dici tu!".

Si chinò e con una forza sorprendente prese tra le braccia il corpo del ragazzo privo di sensi. Insieme tornammo alla macchina e lo riponemmo disteso si sedili posteriori.

"La mia povera auto!", mugugnò Andrea.

Non gli diedi torto, infondo quei sedili immacolati stavano per essere sporcati di fango, sangue e sudore.

"La porterai al lavaggio!", gli sorrisi dandogli una pacca sulla schiena.

Lui ricambiò il sorriso, irritato, e aprì la portiera del posto di guida per tornarsi a infilare la maglietta. Mentre la indossava alla luce della luna scorsi sulla sua spalla il tatuaggio di due piccole ali d'angelo e sorrisi.

"Sai che sei meraviglioso anche tu con le ali?". Gli dissi.

Lui si girò a guardarmi. Ero sicura che non si aspettasse da una che l'aveva preso a colpi di borsa per tutta la sera una tale affermazione. Ci azzeccai, perché mi disse: "Devo rischiare di farmi ammazzare per aspettare che tu mi faccia un complimento?".

"Perché no?", gli risposi. "Sa di eroico...".

Salii in auto e lui mi seguii dentro con un sorriso a trentadue denti. "La prossima volta che ci sarà l'occasione allora ricorderò di farmi ammazzare!".

Gli diedi una pacca scherzosa sulla spalla che lo fece ridere. Poi accese l'auto e sgommammo a tutta velocità in direzione di casa mia.


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