24 - Aurora
Ed eccomi là. Tutta silenziosa dopo quasi due settimane d'attesa, a rimescolare la tazza di cioccolata fumante che quel pomeriggio avevo deciso di prepararmi. Era stata una mattinata dura, avevamo avuto compito di matematica e per di più avevo dovuto sorbirmi la puntigliosa interrogazione di Agàte che di me non aveva avuto pietà. Mi aveva fatto l'interrogatorio su Alessandro Manzoni.
Avevamo avuto supplenza di inglese, e questo mi aveva permesso di stare un po' di più col mio protetto. La supplente che era arrivata ci aveva lasciato liberi di fare quello che volevamo a patto che avessimo fatto silenzio, e così noi ci eravamo organizzati in gruppi. C'era stato chi aveva preferito ripassare per l'imminente interrogazione dell'ora seguente, chi aveva preferito fare un giro di battaglia navale, e chi, come me e Gabriele aveva preferito fare una conversazione. Ci eravamo seduti nello stesso banco dato che Matilde non era venuta a lezione quella mattina, e parlando del più e del meno eravamo giunti a parlare del conservatorio. Avevamo avuto lezione il giorno precedente, e io, che in quei giorni non avevo avuto altro da fare se non studiare al pianoforte, avevo fatto un'ottima figura col professore.
"Aurora, non voglio che ti isoli in questa maniera". Mi aveva detto Gabriele allarmato. "Non capisci che di questo passo non migliorerà niente?".
Io avevo annuito distratta, ma lui non se l'era bevuta.
"Ehi, piccola, non eri così quando ti ho conosciuta il primo giorno di scuola... e sono sicuro che la causa del tuo malumore sia Simon, vero?".
Beh, evviva. Aveva fatto cilecca. Non stavamo parlando di musica? Come eravamo finiti a quell'altra conversazione?
Comunque quella volta non elusi come avevo fatto sempre, avevo bisogno di aprirmi a qualcuno, e siccome Matilde non era di certo la migliore confidente, avevo deciso che Gabriele poteva meritare la mia fiducia, nei limiti del possibile.
Non potevo rivelare tutto così presto, non avrebbe sopportato il fatto che io fossi diversa da lui ma provai a dargli fiducia.
"Sì, c'entra lui".
Lui sospirò. "Vuoi che ti ascolti?".
Mi incantai del modo in cui lo disse. Era stato così dolce e comprensivo che non esitai oltre.
"Simon mi piace, lo sai...", constatai.
Lui fece di sì con la testa, anche se sembrava essere leggermente deluso.
"Gabriele, se sto male, è solo per il fatto che se n'è andato".
Lui scosse la testa. "Non può essere solo questo il motivo. L'altra sera, alla festa. È successo qualcosa tra voi. Non è vero?". Fece dolce. Si appoggiò al banco con le braccia e volse la testa verso di me.
Annuii risentita.
"Vi siete baciati, non è così?".
Ciondolai il capo una sola volta, e Gabriele sospirò.
"E ora lui ti ha piantata...". Terminò Gabriele come se fosse la cosa più evidente.
No, non era andata così, ma che potevo dire a lui?
"Gabry, non è come credi. È... complicato".
Lui sorrise dolcemente. "Non c'è niente di strano in una ragazza innamorata".
Sospirai infelicemente.
"Non voglio dirti di metterci una pietra sopra. Anche se sarebbe la cosa più ovvia da fare. Capisco che ancora lo pensi, è troppo presto per dimenticare, ma vedrai, passerà. Simon non avrebbe dovuto fare una cosa del genere! A te! E pensare che era un mio amico!".
Fissai i miei occhi su quelli scuri e comprensivi di lui. Sentii un tuffo allo stomaco a quello sguardo ravvicinato. Mi ero quasi dimenticata di trovarmi in classe tra i miei compagni.
Gabriele prese la mia mano destra tra le sue e me la accarezzò.
"Non sopporto di vederti così. C'è qualcosa che posso fare per te? Vuoi uscire? Svagarti? Non prenderlo come un tentativo di rimorchio, ma se vuoi posso passarti a prendere questa sera. Andiamo fuori paese, facciamo un giro un po' più lontano".
All'inizio scossi la testa. Il pensiero di uscire e stare in mezzo alla gente mi atterriva. Poi però ci ripensai. In fondo trovavo la compagnia di Gabriele più che gradevole. Avrebbe avuto cura di me, ne ero sicura.
Mi vergognai a quel pensiero. Che stupida ero! Dovevo essere io a proteggere lui, ma in quel momento avevo scambiato quel suo atto di pietà per una protezione.
La campanella suonò segnando la fine dell'ora. Gabriele rimase al mio fianco. Il posto accanto a lui era vuoto da quando Simon non c'era più.
Nelle ore seguenti non avevamo più parlato. Io ero tornata a chiudermi in me stessa facendo finta di ascoltare la lezione. Gabriele, comprensivo, non volle importunarmi.
Fu all'uscita che prendemmo l'appuntamento per la stessa sera.
Un rumore in salotto mi annunciò l'arrivo di Agàte. Era uscita per fare delle compere e tutto il pomeriggio la casa era rimasta silenziosa. In perfetta simbiosi con il mio umore nero.
"Ciao Aurora", mi salutò svelta passando oltre la porta e puntando dritto verso le scale.
Non mi curai di rispondere. In quei giorni ce l'avevo a morte con lei. Non mi comprendeva, non si sforzava nemmeno di farlo. Non mi calcolava né le importava se mi sentiva urlare nel sonno o piangere prima di addormentarmi. Oh, sì... perché ne ero sicura. Sapeva l'inferno che stavo passando. Faceva solo finta di non capire. Forse era una sorta di punizione che voleva infliggermi.
Squillò il mio cellulare. Una canzone che mi si addiceva, in quel momento. Mi faceva pensare a lui, in ogni singola parola.
La traduzione diceva: Nessuno sa cosa pensi, nessuna sa cosa vorresti vedere, i giorni sono grigi e pieni di dolore...
Ed era vero. Nessuno mi capiva, né sapeva cosa o chi volessi veramente. Agàte compresa.
Voltati, sono qui, se lo vuoi è me che vedrai. Non tenere conto se vicino o lontano, io posso stringerti. Se lo vuoi, è me che vedrai...
Vicino o lontano... e Simon era lontano. Era lontano da me ma io lo sentivo sempre presente. In tutto. Ed ero sicura che quella canzone avesse ragione. Simon sarebbe tornato, per me!
Mi ero distratta ad ascoltare la canzone e così il telefono aveva smesso di suonare, imprecai guardando a chi apparteneva la chiamata persa. Era Gabriele.
Lo richiamai. Due squilli e la voce di Gabriele rispose all'istante.
"Ehi Aurora, non hai sentito il cellulare?".
"Sì, scusa Gabry, ma quando ho cercato di rispondere tu avevi già riattaccato. Dovevi dirmi qualcosa?".
Lo sentii ridere dall'altro capo del telefono, e dal rumore era chiaro che stava guidando. Lo rimproverai. "Un momento, sai che quando si è al volante non si parla al telefonino? Buona parte degli incidenti avviene proprio per questo motivo!".
Lui sghignazzò di nuovo. "Non preoccuparti per me. Piuttosto, va a prepararti, sono già sotto casa tua".
"Cosa?". Non capii. L'appuntamento era per le nove, non di certo per le sette.
"Sì, hai capito bene. Anticipiamo".
Rimasi interdetta e provai a sbirciare dalla finestra. Era vero, l'auto di Gabriele era parcheggiata davanti il giardino di casa mia.
"Ma io non...".
"Fai presto, a dopo...". Uno schiocco e mi chiuse il telefono in faccia.
Carino da parte sua mandarmi un bacio e chiudere di botto senza che potessi chiedere spiegazioni. Sospirai irritata. Non mi ero psicologicamente preparata a uscire due ore prima. Lo vissi come un vero e proprio trauma.
Mi consolai pensando che Gabriele voleva solo il mio bene.
Soffiai seccata mentre mi fiondavo sotto la doccia. Feci tutto il più in fretta possibile e liquidai Agàte con un: "Esco con Gabriele".
La vidi in lavanderia quando mi stavo dirigendo verso le scale.
La guardai in faccia e notai che in un primo momento tornò ad accendersi sul suo viso una leggera preoccupazione, ma questa lasciò presto il posto al solito cinismo degli ultimi giorni. "Accertati che Logan non ti segua". Mi disse noncurante mentre stirava il bucato.
Annuii e raccolta la borsetta sul letto di camera mia mi diressi in giardino.
Non appena mi vide, Gabriele mi sorrise. Era bello come non mai nella sua maglietta aderente e nei jeans perfetti. Il sorriso era quello pulito di sempre. I denti bianchissimi e un profumo di dopobarba invitante mi colse di sorpresa quando entrai in auto.
"Come mai questo grande anticipo?". Sbottai contrariata.
Lui si voltò a guardarmi nel semibuio della sua auto. "Perché, più tentavo di studiare più vedevo quella faccina triste di questa mattina... non ho resistito oltre".
"Quindi?". Feci sempre seria e scocciata.
Lui non parve preoccuparsi del mio umore. "Quindi ceniamo insieme", fece con un sorriso sghembo. "E naturalmente offro io!".
Sospirai senza sapere che dire. "Come vuoi...". Feci rassegnata.
Mise in moto all'istante e imboccò la strada che portava fuori dal nostro paesino di periferia. Credo proprio che fossimo diretti alla grande città più vicina.
"Allora", chiesi curiosa, "che c'è in programma per stasera?". Pur non volendolo sentivo di starmi risvegliando dal torpore della tristezza. Gabriele era in grado di mettere il buon umore solo con la sua presenza. Mi chiese chi dei due, tra me e lui, fosse il vero guardiano.
Lui, ovvio! Se non mi ero ancora arresa dovevo dire grazie a lui.
Allungai una mano e accesi lo stereo facendo un veloce giro delle stazioni radio. Incontrai la canzone che avevo udito allo squillare del telefono quel giorno.
"Ti piacciono queste canzoni?", fece Gabriele con malcelato disgusto. Il tono era quello di un incredulo.
Lo guardai strana. "Sì, mi piacciono le loro canzoni, ho conosciuto questa band qualche giorno fa alla radio e ho subito scaricato la canzone assieme ad altre...".
Lui si mise una mano agli occhi come a volerla dire lunga.
"Ma li hai visti? Il cantante sembra addirittura una donna".
Mi voltai con aria di sfida verso di lui. "Sì, li ho visti, ma ti dirò. A me non importa il loro stile. Ma le loro canzoni!".
"Tutte pessimiste". Continuò lui risoluto nel difendere la sua tesi.
"Vuol dire che ho bisogno di sentire delle canzoni pessimiste in questi giorni"constatai.
Fece una smorfia divertita. "Devi stare proprio male se ascolti questa roba".
"Lascia in pace i miei gusti, mi piace e la ascolto. Punto".
Sorrise rassicurante mentre era intanto a guardare la strada. "Tranquilla, sei libera di ascoltare tutto quello che ti pare".
Risposi al sorriso, stupendomi del modo in cui Gabriele sapesse porsi dolcemente anche quando doveva dire qualcosa di meno gradevole. Era un grande! Dovevo ammetterlo. E quella discussione non aveva intaccato di un minimo il mio umore.
Piombò di nuovo il silenzio tra noi. Le canzoni alla radio si susseguirono una dopo l'altra. Talvolta facevamo un commento su quella canzone o su quell'altro cantante. Il tempo nel silenzio ovattato dell'automobile sembrò volare, e presto giungemmo davanti un'affollatissima pizzeria.
Scesi dall'auto e subito Gabriele mi imitò. Quando ebbe chiuso l'auto con un bip del telecomandino ci dirigemmo ambedue verso l'entrata del vasto locale.
Era una pizzeria piena di tavoli, tutta arredata in stile rustico. La pizza in quel posto veniva cucinata col forno a legna. Quindi doveva essere un posto dove si mangiava più che bene.
"Fanno la pizza migliore del luogo, in questo posto". Mi informò Gabriele.
Un giovane cameriere si diresse verso di noi per le ordinazioni. Io preferii una classica pizza margherita con contorno di patatine fritte. Gabriele prese invece una quattro gusti.
Il cameriere si soffermò al nostro tavolo anche dopo che avemmo ordinato le nostre pizze. Il ragazzo mi scrutò enigmatico per un attimo e i nostri sguardi si scontrarono causandomi una spiacevole sensazione di vuoto allo stomaco.
"Ci siamo visti da qualche parte?", mi disse lo sconosciuto curioso.
Gabriele spostò lo sguardo da me al cameriere in maniera perplessa, io invece rivolsi un'occhiata talmente stupita al giovane davanti a me che questo scoppiò a ridere di gusto.
"Okay, okay, credo di averti confusa con qualcun'altra".
Rimasi incantata da quel sorriso luminoso. Lo osservai mentre si voltava dall'altra parte e ci dava le spalle con un sorrisino malizioso.
Gabriele mi guardò sospettoso. "Ma chi era quello?".
"Non ne ho proprio idea", risposi io sinceramente curiosa.
Quel ragazzo aveva un che di magnetico. Quando mi voltai a guardarlo lo sorpresi di nuovo con gli occhi puntati addosso a me. Ero sicura che non mi avesse scambiata per nessun altra. L'oggetto della sua curiosità ero proprio io, e si notava eccome!
Tentai di distrarmi dal pensiero fisso di quel giovane poco più grande di me che di tanto in tanto passava al nostro tavolo e continuava a rivolgermi calorosi sorrisi.
Arrossii quando per sbaglio, mentre stavo andando a rifarmi il trucco in bagno, per poco non ci sbattevo contro, distratta com'ero.
Al mio ritorno Gabriele mi rivolse un sorriso simpatico. "Sai che questa sera sei proprio strana? Non so, sembri confusa!".
Già, lo ero. Ed era tutta colpa di quella faccia tosta del cameriere che continuava a fissarmi in maniera fin troppo insistente.
"Conosci quel tipo?", chiesi a bruciapelo al mio protetto.
Lui mise su un cipiglio serio. "No, non credo, deve essere nuovo di questo posto".
Fissai il cameriere. Era un ragazzo normale, l'aspetto era davvero affascinante. Aveva dei capelli neri raccolti e pettinati all'indietro col gel, ma non era il classico sfigato, tutt'altro. I capelli non erano schiacciati sulla testa. Erano morbidi e gonfi. Uno stile atipico e molto originale insomma, quasi da cantante rock. Portava un simpatico piercing al sopracciglio e gli occhi erano castani e belli quanto luminosi, coronati da lunghissime ciglia scure che ne definivano bene il contorno morbido. Le labbra erano morbide, carnose, invitanti...e sulla sinistra del mento aveva un curioso neo. Era alto, slanciato e molto magro, ma perfetto. Quando incrociò nuovamente il mio sguardo mi fece un occhiolino divertito.
Ingurgitai la saliva di troppo e avvampai nuovamente tornando a fissare Gabriele. Lui sembrò essere allarmato.
"Vuoi che mi informi su quel tipo?". Mi disse tranquillo.
"Ma... Gabry!", balbettai imbarazzata.
"Qualunque cosa per farti tornare il sorriso Aurora, e vedo che quel ragazzo ti incuriosisce".
"Ma...".
Gabriele sorrise e prima che potessi tirarlo per una manica mi sfuggì dalla presa e si diresse verso il cameriere. Io distolsi lo sguardo. Se la terra mi avesse inghiottita in quel momento le sarei stata eternamente grata, tanta era la vergogna.
Quando Gabriele tornò al nostro tavolo lo aggredii letteralmente. "Ma come...come ti è saltata in mente una cosa simile...!".
Lui mise le mani avanti per calmarmi ma io non volli ascoltarlo.
"No! Fammi parlare. Chi ti ha dato il permesso?".
"Ehi Aurora, stammi a sentire...".
"No! Tu stammi a sentire, signorino!".
"Aurora!". Sbottò lui frenando le mie mani sbraccianti. Mi fermai e quando rivolsi lo sguardo poco più lontano vidi il cameriere sogghignare mentre mi osservava. Un'altra scenata e per poco non rotolava sul pavimento dalle risate.
Arrossii fino alla più remota punta dei capelli. Rivolsi lo sguardo a Gabriele seccata.
"Finalmente hai placato le tue furie!", ansimò il mio protetto.
Continuai a guardarlo imbronciata.
"Non ho fatto niente, Aurora...".
Cambiai la mia espressione in una più rilassata.
"Ho solo pagato il conto e... mi sono fatto consigliare un bel posto per passare una serata in compagnia della mia amica... se è interessato a te, quando avrà smesso il suo turno ci verrà a trovare là, dato che gli ho fatto capire che ci saremmo andati".
"Come fai a esserne sicuro? E poi chi ti ha detto che lui mi interessi?".
"Non sei nemmeno curiosa di sapere per quale motivo ti fissi così tanto?".
"Se ha una cotta per me è un problema suo...", sbottai.
"No, non ha nessuna cotta. L'ho notato da come ti fissa. C'è... qualcos'altro credo".
Lo spiazzai con la mia aria di sufficienza.
"E va bene... mettiamo il caso che... non lo so, sappia qualcosa di te che lo faccia tanto ridere... e poi in questo modo la tua serata sarebbe più movimentata, faresti nuove conoscenze...".
Mi rattristai. Ero consapevole che tutto questo faceva malissimo a Gabriele, eppure faceva di tutto per compiacermi.
"Gabry, non fingere che tu sia felice... non sopporti l'idea di vedermi soffrire per Simon, come non sopporteresti che mi affezionassi a qualcun altro!".
Gabriele a quel mio discorso sorrise ironico. "Sai Aurora? Forse hai ragione...". Rimase in silenzio a riflettere, poi tornò a parlare. "Però quello che conta è che tra noi non finisca mai. Mi basta la tua amicizia, e so bene che al cuor non si comanda. Neanche al tuo. Non ho mai avuto un rifiuto da una ragazza. Come vedi, ce ne sono a bizzeffe che mi vengono dietro, ma mi sono reso conto che per ora voglio stare da solo. Tu mi stai accanto da amica, e mi sta bene! La avessero tutti un'amica così!".
Sorrisi lusingata da quel discorso.
"Se lui può farti tornare a ridere, ben venga!". Con un cenno del capo indicò il ragazzo dietro la cassa. Era intento a dare il resto ad una donna, e dopo averle ceduto lo scontrino le aveva rivolto uno dei suoi soliti sorrisi luminosi e gentili.
Sospirai triste e raccolsi la borsetta per prepararmi ad andare. Gabriele mi imitò e raccolto il cellulare si avviò con me verso l'uscita. Mentalmente mi organizzai per affrontare un altro sorriso dello sconosciuto. Il cuore iniziò a battermi inspiegabilmente, e in quel momento riuscii addirittura a dimenticare Simon.
Quando fui a un passo dalla cassa non potei fare a meno di alzare lo sguardo. I nostri occhi si incontrarono di nuovo e un brivido mi percorse la schiena. Lui mi sorrise, ancora, e mi piacque tantissimo. Il suo occhio scattò in un guizzante occhiolino, poi si morse le labbra attendendo una mia risposta.
Esitai per un attimo al mio posto, ma poi decisi che il minimo che avrei potuto fare sarebbe stato rispondere quantomeno al sorriso. Senza voltarmi indietro seguii Gabriele fuori dalla porta e salimmo in auto alla volta del misterioso locale consigliatoci dal ragazzo del ristorante.
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