12 - Aurora
Ero euforica, troppo euforica per rendermi conto di stare guidando. Le mie labbra ridevano da sole e io non facevo che pensare a quel bacio... Il bacio più bello di tutta la mia vita.
Cioè, era stato il mio primo e unico bacio, e lo attendevo da vent'anni... più di vent'anni.
Le regole ad Alexan erano ferree. Non potevi trovare il tuo compagno nella comunità. Non potevano esserci storie d'amore tra due Alessi dello stesso posto, era severamente vietato.
Così si spera sempre nella vita da terreni. Qui potresti trovare nel protetto il tuo compagno. Sempre che questo non ne abbia già una, oppure, com'era successo a me, potevi innamorarti di un altro terreno.
Simon era fantastico, bellissimo, ma che dico? Stupendo!
Ripensai a quel bacio, un bacio leggero, casto. Più ci pensavo su e più mi sfuggivano i particolari. Mi disperai. Non era giusto! Ricordavo solo che era stata una sensazione bellissima, ma non rammentavo più altro. Era stato troppo veloce perché mi si imprimessero i particolari nella mente.
Guardai il mio cellulare tenendo sempre un occhio vigile al volante. Lo gettai contrariata sul sedile del passeggero. Non era giusto. Non avevo neanche il suo numero di cellulare!
Poco male, me lo sarei procurato.
Imboccai la strada che portava alla mia casetta di campagna e quando arrivai mi stupii di trovare il cancello spalancato.
Com'era possibile? Ricordavo di averlo chiuso quella mattina prima di andare a scuola!
Entrai con l'auto e quando posteggiai Netty scesi guardandomi intorno circospetta.
In quel momento mi accorsi che anche la porta di casa era aperta. E la finestra della cucina, quella che dava sul giardino, aveva le persiane spalancate.
Impossibile. Ricordavo di avere chiuso anche quelle di mattina! Ma del resto chi poteva entrare in casa mia? Nessuno la vedeva come una casa abitabile. Non credevo che dei ladri avrebbero voluto scassinare una catapecchia pericolante. L'unico che la vedeva così com'era, era...
Oh, no! Non poteva essere. Come faceva il Kelsea a sapere chi ero, e soprattutto dove abitavo?
Con un groppo in gola mi diressi alla finestra a passo silenzioso. Mi preparai mentalmente all'evenienza di combattere e trasformarmi nel caso ce ne fosse stato bisogno.
Arrivai al lato sinistro della finestra e cauta affacciai la testa per spiare in cucina.
Quello che vidi per poco non mi fece balzare su tutte le furie. Entrai in casa coi nervi a fior di pelle e spalancai gli occhi indignata. Agàte era in cucina e indossava un grembiulino tutto fiocchi e merletti mentre teneva fra le mani uno spolverino. Era così dedita alle pulizie di casa che nemmeno si era accorta della mia presenza.
Misi le mani ai fianchi indignata. "Agàte!".
Lei si girò a fissarmi. Smise di canticchiare la canzoncina che stava intonando e mi fissò sorridente. "Oh ciao Aurora. Bentornata".
Continuai a osservarla imbronciata. "Come ti è saltato in mente di farmi prendere questo spavento. Avresti potuto avvisare!".
Lei parve capire la mia indignazione. Mise su un espressione supplichevole. "Hai ragione, scusa, è che... volevo farti una sorpresa!".
"Lo capisci che mi stava quasi per venire un infarto? Solo il Kelsea può vedere questa casa così com'è. Pensavo che fosse arrivato per annientarmi".
Lei rimase a guardare con espressione innocente. Le piccole labbra contorte per il dispiacere.
"Che ci fai qui, comunque?". Continuai spazientita.
Lei rimise su il sorriso di sempre. "Ti presento la tua nuova zia. Venuta da Milano per vivere con te!".
"Cosa?", feci incredula.
"Sì, Albian vuole che ti tenga d'occhio più da vicino...".
Sbuffai di disapprovazione. "Perché, cos'ho che non va?".
"Beh, dopo quella strana visione, tutti gli anziani sono preoccupati, e per di più Albian guarda con sospetto la tua tresca amorosa con quel ragazzo. Simon".
Le parole di Agàte risvegliarono nella mia mente quello che era successo poco prima con Simon. Mi tornò spontaneo il sorriso ora che ero più tranquilla.
"Non vedo che ci sia da ridere", disse Agàte dubbiosa. Voleva cogliere l'ironia di quello che aveva appena detto. Mi morsicai la lingua. Pensai che dire del bacio con Simon ad Agàte non sarebbe stata un'idea saggia.
"Beh, niente...", tergiversai, "Che si mangia di buono, zia?".
Agàte spalancò la bocca in un sorriso accogliente. "Ravioli ai funghi, fatti apposta da zia Agàte!".
"Mmmm, buoni!", sapevo che Agàte era un ottima cuoca, così corsi a sedermi a tavola.
Lei si sfilò il grembiule di dosso, passò a preparare i piatti e tutte e due ci sedemmo a mangiare. Ne divorai due porzioni. Come detto prima Agàte era fantastica in cucina, e poi, avevo una fame da lupo!
"Se ti interessa saperlo...", dissi tra un boccone e l'altro, "ho un appuntamento con Gabriele oggi pomeriggio. Andremo insieme al conservatorio".
"Magnifico!", si illuminò la mia tutrice.
"Tu hai nulla in programma da fare?".
Agàte si accigliò sovrappensiero. "No, credo proprio che oggi pomeriggio mi dedicherò allo shopping sfrenato!". Mise le mani nelle tasche del suo maglioncino e ne trasse fuori due carte di credito. "Prendila, una Albian la manda a te".
La raccolsi in mano e la osservai. "Oh, grazie". Feci imbarazzata, "Quanto credito possiedo? Per curiosità...".
"Cinquecentomila euro a carta, cioè cinquecentomila nella mia e cinquecentomila nella tua, per essere chiara. E ovviamente ne avrai degli altri se terminerai i soldi della carta che ti ho dato...".
Spalancai la bocca stupita. "Cosa... cosa me ne faccio di cinquecentomila euro?".
Agàte sorrise tranquilla, poi si alzò da tavola. "Quello che vorrai. Puoi comprare auto, piscine, un pianoforte... noto che qui non ce n'è, e ti servirà se dovrai frequentare il conservatorio".
"Sì, ma...". Riflettendoci non sarebbe stata una cattiva trovata. "Ho un idea, vieni con me dopo lezione, lo andremo a comprare insieme! Magari invito anche Gabriele, sono sicura che accetterà entusiasta!".
Ad Agàte parve un'ottima idea. "Molto bene. Io intanto la prima tappa che farò oggi pomeriggio sarà quella di una concessionaria di auto. Mi serve una macchina tutta per me".
Sorrisi innocente. Già immaginavo la macchinona che avrei trovato questa sera in giardino. Conoscevo molto Agàte e i suoi gusti eccentrici.
"Per andare in giro avrai bisogno della mia auto per ora...", constatai.
"Sì, direi di sì...", disse la mia insegnante pensandoci un po' su.
"Molto bene, allora alle quattro e un quarto mi verrai a lasciare al luogo dell'appuntamento. Lì io andrò con Gabriele e tu andrai a comprare la tua nuova auto".
"Perfetto!", disse Agàte raggiante.
Mi alzai dal mio posto a sedere e mi diressi di sopra per andare a recuperare i miei libri. Li misi in una borsa di medie dimensioni poi andai in bagno per darmi una rinfrescata al viso e ai denti e rifeci il trucco.
Trascorsi il tempo rimasto a ripassare gli esercizi di solfeggio che già sapevo a memoria e quando finii mi accorsi che erano già le quattro.
Agàte aveva continuato a fare le pulizie maniacali in cucina e non si era resa conto dell'orario. La chiamai. "Agàte, devi accompagnarmi, ricordi?".
"Arrivo!". Mi urlò lei dall'altra stanza. Dopo dieci minuti era già con le chiavi di Netty tra le mani.
"Su andiamo".
Salii al posto di guida e mentre lei ingranava la marcia io impostai la zona sul navigatore satellitare.
Quando giungemmo a piazza Cavour, Gabriele era già là che mi aspettava. Sedeva in auto e tamburellava con le dita sullo sterzo a ritmo di musica.
Salutai Agàte dicendo: "Ciao zia!".
Lei mi rispose con un occhiolino complice e scomparve da dove eravamo arrivate.
Gabriele dovette vedermi arrivare perché quando mi diressi alla sua macchina lo sportello della sua auto era già aperto.
"Ciao Gabry". Gli diedi un leggero bacio sulla guancia. Lui si voltò a fissarmi cordiale come sempre.
"Ciao Aurora... puntualissima".
Sorrisi.
Mise in moto poi mi chiese: "Eri con tua madre? Se era lei, devo dire che vi somigliate molto...".
Non sapevo cosa dire, poi mi tornò in mente la mia storia. "No, non era mia madre. I miei genitori sono manager e viaggiano sempre... Quella era mia zia Agàte".
"Capisco!". Disse il mio protetto tranquillo con un sorriso.
"Ehi Gabry...". Mi venne in mente che avevo un invito da recapitargli.
"Sì?", mi chiese lui interrogativo mentre era assorto a guidare.
"Volevo chiederti una cosa. Come tu sai non è da molto che mi sono trasferita qui, così avrò bisogno di acquistare un pianoforte. Mi chiedevo se ti facesse piacere venire con me oggi pomeriggio. Dovrei andare a sceglierlo e mi piacerebbe essere consigliata un po' anche da te".
Gabriele si illuminò. "Volentieri Aurora".
"Ci andrò subito dopo lezione".
"Contaci, ci sarò".
Gli sorrisi timida. "Grazie mille!".
Lo guardai mentre guidava. Di profilo era ancora più bello con i capelli corti e il naso appuntito. Era affascinante. Il suo aspetto era gradevole, il colorito chiaro della pelle si avvicinava a un rosa pesca.
Giungemmo al conservatorio. All'esterno era un enorme struttura dal prospetto giallo ricca di finestre.
"Capisco che non ci sarai mai stata". Mi disse Gabriele. "Ti do una mano. Torno a fare da guida", ironizzò. Prese i libri sotto braccio e mi fece segno di seguirlo. Io gli andai dietro fiduciosa. Varcammo la soglia e vidi Gabriele soffermarsi a parlare col bidello.
"Il professore Corli?". Domandò.
"Aula cinque, primo piano". Fece questo leggermente annoiato.
Gabriele si voltò a guardare dalla mia parte. "Il tuo professore?", mi domandò.
Mi illuminai. "Corli è anche il mio professore!".
Sorridemmo insieme. "Perfetto allora, vieni con me". Mi prese per mano e salimmo le scale fino al primo piano.
Dalle varie aule provenivano i suoni e le musiche più disparate.
In cima alle scale trovammo un'altra bidella dall'aria disattenta molto simile a quello del piano terra. Io e Gabriele la oltrepassammo e insieme guardammo i cartellini delle aule soffermandoci all'aula numero cinque.
"È questa". Mi disse Gabriele.
"Vai prima tu...", lo invitai, "io non conosco nessuno".
Gabriele bussò alla porta poi la aprì educatamente. "Buon pomeriggio maestro".
Una voce accogliente giunse dall'interno: "Oh, Tereni! Entra, accomodati pure!".
Gabriele mi sorrise e mi fece cenno di seguirlo. Entrammo in un'aula illuminata, all'interno della quale stava un elegante pianoforte a muro e una cattedra.
Il professor Corli era un uomo alto, sui quarant'anni, con occhi azzurri e capelli brizzolati. Portava un pizzetto e dei baffetti che lo facevano apparire ancora più giovane e di bell'aspetto.
"Accomodatevi", fece gentile indicandoci due sedie davanti la cattedra.
Ci fissò per qualche secondo poi si rivolse a Gabriele. "E questa ragazza? Deve essere Aurora Fresè, giusto?", aggiunse scorrendo un elenco sul suo registro.
"Sì, si è trasferita quest'anno in città".
Il professore annuì con gentilezza. "Da dove vieni, Aurora?".
"Da Milano...", risposi tranquilla.
"Bene, e in accademia che anno frequentavi?".
"Il quarto", dissi.
"Molto bene". Fece l'insegnante sereno. "Siete quindi dello stesso anno. Credo che comincerò col farvi lavorare allo stesso metodo allora".
Lo vidi scribacchiare qualcosa sul registro e poi rialzare la testa tutto concentrato sul da farsi.
"Su, vieni qui tu, Aurora. Vediamo un po' la tua preparazione, così potrò orientarmi sul programma da fare. Per Tereni non c'è problema. Lui lo conosco da tre anni". Batté una pacca sulla schiena al mio protetto poi andò a sedersi in uno sgabello vicino al pianoforte invitandomi a prendere posto nell'altro affianco a lui.
Mi accomodai. Ero un po' tesa, ma lui mi tranquillizzò con un sorriso.
"Proviamo qualche esercizio...".
...
La mia lezione durò un'ora. E devo dire che me la cavai egregiamente. Anche Gabriele era bravissimo e fece tutti gli esercizi che gli erano stati assegnati alla perfezione.
Quando finimmo il professore era più che soddisfatto, sia di me che di Gabriele. Ci salutò cordiale dopo aver fissato l'appuntamento per la prossima settimana.
Quando uscimmo dall'aula Gabriele tirò un sospiro di sollievo. "Meno male, avevo paura che nell'esercizio numero dieci sbagliassi il passaggio centrale".
"Ma che dici? Se sei stato bravissimo", Lo incoraggiai soddisfatta.
Attraversammo il lungo corridoio a ritroso, ma quando stavo per imboccare le scale Gabriele mi bloccò un braccio e mi trascinò con sé in un altro corridoio deserto.
Dalle porte provenivano suoni indistinti, segno che qualcuno all'interno delle aule stava facendo lezione. Poi Gabriele si fermò davanti un'aula e tese le orecchie per ascoltare.
Io lo osservai curiosa e leggermente stranita dal suo comportamento. Era normale che si mettesse a origliare dietro le porte?
Quando fu sicuro che all'interno dell'aula non ci fosse nessuno Gabriele mi prese per mano e aprì la porta.
La classe era buia. Sul fondo, alla parete, c'era un pianoforte identico a quello che avevamo usato nella nostra aula. Il mio protetto accese la luce e richiusa la porta alle nostre spalle mi condusse davanti al pianoforte.
Si sedette facendomi segno di accomodarmi accanto a lui.
Lo guardai interessata, chiedendomi cosa intendesse fare. Ma lo capii non appena posò le sue dita sicure sui tasti del piano.
La musica incantevole che quella mattina avevo sentito nel suo auricolare riempì la stanza più viva che mai. Vidi le sue dita agili e sottili accarezzare i tasti con una dolcezza snervante, mentre la sua espressione concentrata sembrava godere di quella musica meravigliosa di cui solo lui era l'esecutore.
Rimasi ad ascoltare estasiata. Quella meravigliosa musica sembrava scendermi nell'anima, farsi spazio tra i miei ricordi, farsi spazio nel mio cuore per rimanervi impressa.
Di tanto in tanto Gabriele nei passaggi più lenti distoglieva lo sguardo per puntarlo su di me, e poi ancora sulle sue mani.
Durò circa tre minuti, eppure avrei voluto tanto che non terminasse mai.
Sentii un groppo allo stomaco, una forte emozione. Capii in cosa Gabriele mi somigliasse tanto. Metteva il cuore e l'anima in tutto ciò che faceva. E in quel momento lo sentii infinitamente vicino a me.
Piano piano la musica sfumò, divenne sempre più leggera, fin quando non si spense del tutto.
Gabriele tenne le dita sui tasti qualche altro secondo. In aula scese il silenzio, poi si voltò a guardarmi e mi sorrise.
"È... bellissima...". Gli dissi rapita.
"Sapevo che ti sarebbe piaciuta, ed è per questo che voglio dedicartela".
Vidi il suo viso a un centimetro dal mio, mi stava sorridendo, e sembrava felice.
"Sai Aurora, non pensavo che in soli due giorni avrei potuto conoscere così bene una persona. E soprattutto che mi sarei trovato a meraviglia con lei".
Mi chiesi dove volesse arrivare con quel discorso. Era ovvio che stesse alludendo a me. Avevo le gambe molli, il mio cuore era ancora per Simon, non volevo innamorarmi e non sentivo di essere innamorata di lui. Però mi sentivo strana. Qualcosa mi spingeva a fidarmi.
"La mia ragazza non ha mai apprezzato questo mio hobby. Lo definisce del tempo perso...", continuò Gabriele pensieroso. "Però io credo in qualcosa di più... tu che dici?".
Mi sintonizzai di nuovo su di lui. Il fatto che mi avesse appena rivolto la parola cancellò ogni ripensamento.
"Che devi credere in quello che fai, che devi perseverare per realizzare i tuoi sogni e infischiartene di chi non ci crede. Anche se questa è la tua ragazza".
Lui mi sorrise. Il suo viso ancora vicino al mio. Sollevò una mano e mi accarezzò il viso con gesto insolito. Sentii la sua mano morbida scivolare sulla mia pelle e strisciare il pollice sul contorno inferiore delle mie labbra.
Il cuore mi si agitò nel petto. Ma abbassai lo sguardo imbarazzata e lui tolse la mano dal mio volto. L'incanto si ruppe all'improvviso. Ci alzammo in piedi tutti e due impacciati, senza sapere veramente cosa fare. Poi il mio telefonino vibrò.
Grata di quel colpo di fortuna guardai sul display dove lampeggiava il nome di Agàte.
"È mia zia...", feci in un sorriso timido. "È già arrivata, ci sta aspettando giù".
Gabriele annuì e scendemmo insieme fino all'ingresso. Una Ferrari rosso fiammante ci aspettava in strada. Guardai allibita da quella parte. Già... avevo dimenticato che quel giorno Agàte si era data allo shopping sfrenato. Alla faccia dello sfrenato!
"Di là...", spiegai a Gabriele che sembrava essere caduto in trance.
"A... Aurora, non mi avevi detto che tua madre...".
"Mia zia...", lo corressi.
"Tua zia...", continuò lui allibito.
"È una pazza?", ironizzai.
"No... che possiede una così bella automobile".
Mi sfregai gli occhi. "Infatti non la possedeva. È un acquisto dell'ultimo momento... su vieni". Lo trascinai per un braccio e aprii lo sportello per farlo accomodare. Io mi sedetti al posto del passeggero.
"Ciao zia...", salutai Agàte con un tono che voleva lasciar intendere: facciamo i conti dopo...
Agàte mi fece un occhiolino riparatore che non cambiò di una virgola il mio umore.
"Allora, vi piace la mia macchina nuova?".
"Accidenti se non è stupenda...". Sentii ululare Gabriele da dietro.
"Vedi tesoro? Qui c'è qualcuno che se ne intende...", mi disse Agàte indignata.
"Zitta zia... e guida...", la incalzai tra i denti.
Il negozio di musica si trovava nei pressi del conservatorio. Io e Gabriele scendemmo e dopo poco ci raggiunse Agàte.
"Questo non è male...", mi disse Gabriele indicando un pianoforte a muro che a me parve abbastanza costoso.
"Io ne prenderei uno a coda...", si intromise Agàte. "In salotto starebbe un incanto. Guarda un po' quello bianco là in fondo. Non è meraviglioso?".
Vidi Gabriele sbarrare la bocca dallo stupore, e quando capii quale stava indicando la mia insegnante compresi il perché della reazione del mio protetto. Il prezzo era di gran lunga esorbitante. Mi sarei prosciugata una carta di credito solo per quello strumento.
"Allora Aurora? Che ne dici?".
Non sapevo cosa rispondere. La cifra mi sembrava esagerata. D'altra parte quel pianoforte mi piaceva, eccome se mi piaceva! Ripensai alla carta di credito, beh, infondo Albian me ne avrebbe data un'altra quindi, se Agàte si era divertita a spendere perché non potevo chiudere un occhio anche io per quel giorno?
"D'accordo, vada per quello!". Confermai entusiasta, senza guardare nessun altra cosa ormai. "Tu che ne pensi Gabry?".
Il mio amico sembrava aver perso il dono della parola. Ma poi parve riprendersi dal duro colpo. "Lo voglio provare quando lo porterai a casa tua". Poteva definirsi un sì, insomma.
Non risposi però alla sua richiesta indiretta, e a quelle parole quasi non mi venne un colpo. Già, a casa mia! Come l'avrebbero consegnato a casa mia se nessun umano poteva vedere la nostra casa così com'era?
"Agàte... ", la chiamai tra i denti mentre Gabriele era poco distante a osservare un altro pianoforte. "Come pensi di farlo consegnare a casa... se la casa per loro non esiste?". Sibilai indicando la negoziante.
Lei parve non sentirmi tanto era euforica, poi soffiò. "Stai tranquilla".
Volli fidarmi. Tirai fuori la mia carta di credito e la porsi ad Agàte che effettuò il pagamento e diede l'indirizzo per la consegna. Gabriele mi raggiunse raggiante. "L'hai acquistato allora?".
Annuì felice.
"È di ottima fattura! È semplicemente fantastico".
"E poi è bianco...", lo incalzai.
"Già, un colore insolito e per questo ancora più bello!".
Agàte era già uscita dal negozio sbarazzina, col suo cappellino elegante, il montoncino bianco e la borsetta abbinata al resto. "Coraggio ragazzi, andiamo", aveva detto in tono spiccio.
Io e Gabriele ci affrettammo a seguirla, parlando ancora del più e del meno.
Lasciammo il mio protetto alla sua auto. Lo accompagnai fino alla portiera e qui lo salutai con un leggero bacetto sulla guancia.
"È stato un pomeriggio bellissimo", mi disse quando stavo per andare via.
"Già, anche per me", dissi sincera.
Lo vidi chinarsi nella sua auto e rovistare tra alcuni cd. Me ne diede uno. "Tieni, te lo regalo".
Lo guardai perplessa. "Cos'è?".
"Ascoltalo prima di andare a dormire. Domani mi darai un parere". E con un ultimo sorriso dolcissimo salì in auto e mise in moto. Io mi recai allegra da Agàte, pronta per raccontare tutta la mia giornata. Tutta, ma naturalmente a esclusione del bacio di Simon.
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