Capitolo 1-Sono così

Suona la sveglia e, come ogni giorno, prende avvio quella routine che ormai è diventata noiosa anche per me: alzati dal letto, vai a lavarti, vestiti, fai colazione in fretta e poi precipitati giù in strada, ad aspettare un autobus guidato da un uomo completamente sordo e poco incline alle conversazioni di prima mattina, anche se costituite da due parole al massimo per ciascuno.
La giornata comincia proprio in questo modo, per cui nulla mi sorprende, né la fretta con cui svolgo le prime incombenze quotidiane, né tantomeno, il carattere poco estroverso dell'autista. Come ogni mattina, mi siedo sempre al solito posto nelle ultime file del bus, vicino al finestrino, con le cuffie, pronta ad ascoltare musica rilassante (l'unica cosa che mi calma e mi prepara ad affrontare la giornata), e, ovviamente, un buon libro davanti. So di poter sembrare la solita asociale che si vede spesso nei mezzi pubblici, la ragazza solitaria che vuole star lontana dai suoi coetanei, preferendo leggere o guardare fuori dal finestrino, ascoltando musica triste e deprimendosi perché la vita non le ha regalato tutto ciò che aveva sempre voluto. Ma questa descrizione non mi calza a pennello, al contrario di quanto la maggior parte delle persone potrebbe arrivare a pensare, guardandomi.
Ma magari, per una volta, forse potrei anche raccontare un'altra verità. Che ne dite di: "Sono un'assistente dell'FBI, giunta in città in veste di adolescente, per osservare con attenzione ciò che fanno i giovani di oggi, pronta a captare qualsiasi illegalità commessa da loro; o, magari, per imbucarmi alle loro feste, bevendo fino a vomitare, cercando così di convincerli a fidarsi di me, per poi vincere le loro resistenze e coglierli sul fatto"?
Okay, forse così il tono assolutamente sarcastico della mia voce potrebbe essere notato. Quindi, torniamo a noi.
Mi dispiace deludere le aspettative, ma non ho alcuna storiella da raccontare per aiutare a capirmi un po' meglio, per aiutarvi ad entrare nel mio mondo, per sue ragioni, in particolare. Inanzitutto, sono una persona molto introversa, che non ama parlare di sè nemmeno sotto tortura: sarà che sono cresciuta in una famiglia dove regna il silenzio, oppure il mio è solo un problema di carattere; secondariamente, per quanto ami sfatare i falsi miti o quantomeno gli stereotipi che si riducono sempre a dei semplici modelli inutili, quando si tratta di conoscere veramente una persona, preferisco sempre concentrarmi su altri "personaggi", che su di me. Già, forse l'unico aspetto della mia persona che amo profondamente, e su cui non smetterei mai di parlare, è proprio la mia passione: adoro scrivere, adoro il fruscio della penna che graffia il foglio, adoro l'idea di immortalare delle idee e dei pensieri che continueranno per sempre a fendere il tempo, senza che alcuno possa distruggerli. Perché la letteratura, di qualunque periodo e luogo e ambito, è viva, in quanto rappresenta la vita stessa: anche se non conosciuta da tutti gli uomini, una lettera d'amore, ad esempio, non potrà mai essere distrutta, rimarrà per sempre nel cuore di chi l'ha ricevuta, quella stessa persona che potrà rivivere ancora ed ancora le emozioni, suscitate in lei, la prima volta che ha spiegato il foglio. Ed ecco perché giudico la mia dedizione alla scrittura l'unico elemento di rilievo della mia personalità: credo che essa mi nobiliti, mi inondi di una luce nuova e m'induca a guardare il mondo con occhi diversi. Con ciò, però, non desidero far nascere dei fraintendimenti: amo scrivere, porto sempre con me un piccolo taccuino che apro immediatamente nel momento in cui l'ispirazione prende il sopravvento; inoltre, leggo, perché così la mia mente è libera di vagare verso lidi sconosciuti e mi dà la possibilità di rasserenarmi, quel tanto che basta per avere le idee chiare e prendere la penna in mano, ma non desidero far conoscere a nessuno quello che provo scrivendo, né tantomeno ciò che creo con la penna. Neanche la mia famiglia è al corrente della passione con cui mi dedico alla scrittura, né i miei compagni di classe o altri, eccetto la Signora Rossi, la mia vicina di casa, nonché bibliotecaria e collezionista di libri rari, l'unica di cui mi fidi e con cui mi sento veramente al sicuro e libera di esporre i miei pensieri. Probabilmente vi starete chiedendo il motivo di tanta riservatezza, ma, come vi dicevo prima, sono una ragazza particolarmente introversa, con una naturale propensione alla riflessione e, per questo, credo ci sia molto a questo mondo su cui indulgere con i propri pensieri, senza affatto badare alla mia persona. Certo, mi piace molto interrogarmi spesso su ciò che sono e su ciò che saró, ma questo non vuol dire che senta di aprire il mio cuore ad estranei. In fondo, è ciò che penso anche per la scrittura: la reputo un'attività mia e di nessun altro, una passione che mi strappa sempre un sorriso quando sono triste, o mi asciuga una lacrima, o mi abbraccia, quando ne ho bisogno. Da tempo, oramai, mi sono convinta che la penna mi conosca meglio di quanto potranno mai arrivare a conoscermi gli altri, perché da lei non sento mormorii, giudizi accennati a mezza voce, sguardi di indifferenza o di condiscendenza; da lei, non sento altro che l'incoraggiamento di cui ho un impellente bisogno di sentirmi viva e libera, libera di parlare e ridere, ed essere semplicemente e unicamente ciò che sono. Senza paura di deludere aspettative che non sono coerenti con la mia persona, ma solo con l'immagine offuscata e falsa di un'idea che si ha di me.
Uno sguardo distratto lanciato fuori dal finestrino mi riporta alla realtà: sono proprio di fronte a scuola, per cui mi affretto a raccogliere lo zaino e il giubbotto, solo dopo aver riposto, naturalmente, il libro al suo posto, insieme alle cuffie e al taccuino con la penna, che non ricordavo di aver tirato fuori. In un lampo, mi ritrovo giù dal bus, intenta a camminare per il cortile esterno della scuola, il quale, come al solito, è gremito. Osservo capannelli di persone che chiacchierano animatamente, probabilmente del fine settimana. Credo di non aver mai sentito tanti "wow", "incredibile" e "da sballo" in tutta la mia vita, ma, d'altra parte, io sono considerata quella strana, giusto? Quella che non capisce cosa ci sia di davvero esaltante a trascorrere un weekend esattamente uguale a quello appena trascorso: feste, feste e ancora feste, con un assortimento abbastanza ricco di bevande alcoliche e fumi sospetti che aleggiano in aria e permeano le stanze. Scrollo la testa e sorrido. Sì, ho anche una naturale propensione alla critica, se non lo si era ancora capito. E, per questo, desidero farvi sapere che, per quanto non ami trascorrere il tempo nel suddetto modo, ciò non significhi necessariamente che io sia un'ingenua o, addirittura, un'aliena, quando si parla delle normali attività dei sedicenni di adesso. Tuttavia, nonostante le mie immense e lodevoli conoscenze in proposito, come vi ho detto, prediligo altri comportamenti e modi di passare il tempo, non per un mio impellente desiderio di distinzione e neanche per un'assurda voglia di criticare sempre e comunque gli altri, innalzandomi a titolo di "ragazza perfetta", ma semplicemente per una inclinazione di carattere. Purtroppo, nessuno sembra d'accordo con me: se volete, posso anche accennare alle interminabili prediche da parte di mia madre, la quale, sempre con un sorriso aperto e gioviale, non fa altro che ripetermi gli innumerevoli vantaggi che potrebbero arrivare, comportandomi da "normale adolescente", non mancando mai di sottineare l'importanza di una vita sociale attiva, nonostante -temo- non abbia la minima idea di cosa succeda davvero alle feste da lei tanto caldeggiate. Esatto, perché, pur avendo già passato di qualche anno la soglia dei cinquanta, il suo passato di figlia in una famiglia dove l'ottimismo e la fiducia erano i condimenti ideali per un buon pasto e il presente di donna e moglie, sempre pronta a lusingare il marito in ogni modo possibile, la rendono particolarmente ingenua. Oppure, posso prospettarvi le continue spintarelle da parte di mia sorella, Silvia. Con i capelli biondi, gli occhi verdi e felini, le gambe snelle e slanciate e il fisico asciutto, è sempre stata la bellezza della famiglia, oltre ad essere la consulente sempre pronta a dare consigli alle nostre cugine, con cui si intrattiene spesso in lunghe telefonate, cercando di rispondere nella maniera più esauriente possibile alle loro domande sulla strategia migliore per conquistare l'ultimo ragazzo della settimana, incontrato, sicuramente, in qualche locale. Nonostante la sua esperienza in materia, però, di rado ascolto i suoi consigli. Mia sorella sembra intrappolata nella convinzione che tutti gli esseri umani provino i suoi senti sentimenti e abbiano le sue stesse convinzioni, facendo di sé stessa una sorta di modello, cui chiunque dovrebbe attenersi. È proprio per questa completa mancanza di interesse verso il mio mondo, o, dall'altra parte, l'assoluta ingenuità di mia madre a spingermi ad evitare il confronto con loro. Del resto ci sono abituata: durante gli anni, ho davvero conosciuto poche persone in grado di comprendermi. Da tempo, mi sono chiesta perché nessuno sembra pronto ad abbattere la corazza di cui mi sono circondata; perché nessuno voglia davvero arrivare a capire la causa del mio atteggiamento, del modo in cui io guardo il mondo. Ecco quindi la risposta: non parlo di me, perché so che a nessuno importa conoscere la verità, ma solo affidarsi all'aspetto esteriore, non badando alla possibilità di non trovare conferme nell'interiorità di una persona. Io non voglio essere così. La scrittura mi aiuta proprio in questo: mi ha insegnato a lottare per inseguire la verità, con tutto ciò che essa comporta, con tutte le implicazioni negative che essa porta con sè.
Le mie riflessioni, però, ancora una volta, sono interrotte, questa volta da un ragazzo che si sta avvicinando a me. Porta un paio di jeans sbiaditi, una maglietta bianca che sottilinea il fisico asciutto, mentre la felpa nera con il cappuccio gli conferisce un'aria trasandata.
"Ehi, scusa il disturbo. Avrei bisogno di un favore", esordisce. Noto che ha il viso arrossato, cose se avesse corso e immediatamente capisco di non averlo mai visto a scuola, ma che ha un'aria vagamente familiare.
"Sì, certo, chiedi pure", rispondo educatamente, fermandomi e mettendo le mani dentro le tasche.
"Volevo chiederti se potevi indicarmi la classe 3B, se sai dove si trova. Oggi è il mio primo giorno, visto che sono nuovo, e quindi sono un tantino disorientato, per non dire molto". La sua battuta è seguita da una breve risatina divertita, accompagnata da un sorriso più che amichevole. Nonostante l'approccio non troppo originale, non poteva negare che il suo sorriso pronto di certo non era passato inosservato.
"Sì certo, so dov'è, è una delle classi al mio stesso piano. Se vuoi, puoi seguirmi" rispondo, iniziando nuovamente a camminare con lui al mio fianco.
"Bene, tu come ti chiami? Io sono Andrea, Andrea Pappalardo".
"Io ho un nome un po' particolare, sai..."
"Adoro imparare cose nuove", ribatte lui, per nulla turbato.
"Non ne dubito, ma io non amo insegnarle, queste cose nuove..."
"Ritengo che le tue capacità saranno più che abbastanza. Forse dovresti avere più fiducia in te stessa e provarci". Nel frattempo siamo entrati nell'edificio, insieme a molti altri gruppetti di ragazzi che arrancano in mezzo agli altri, con un malcelato desiderio di fare dietrofront, uscire dai cancelli e tornarsene a casa. Saliamo al primo piano e, fatti pochi passi, gli indico la classe.
"Ecco qua, missione completata", dico con una disinvoltura davvero poco da me.
"Bene, forse tu hai compiuto la tua missione, ma io non posso dire lo stesso", si gira verso di me e mi guarda negli occhi.
"Non dovevi andare in classe? Beh, con tutta la mia gentilezza, ti ho aiutato a farlo", mi giro a mia volta verso di lui.
"Non direi, mi hai aiutato solo a metà, il tuo nome non me l'hai ancora detto".
"Io credo che a volte la vita comporti delle sconfitte".
"O magari ci dà la possibilità di incontrare una persona con i tuoi stessi gusti per la lettura", risponde, con un sorriso indecifrabile. Questa volta non so cosa rispondere, per cui distolgo lo sguardo, cercando di capire dove volesse andare a parare con quella conversazione.
"Forse, hai ragione, ma non credo sia questo il caso".
"O forse è qualcosa che pensi solo tu. Comunque, la campanella sta per suonare, dobbiamo andare in classe, ma mi piacerebbe poter continuare questo discorso", dice, avvicinandosi a me "magari davanti a un buon libro di Jane Austen, come quello che stavi leggendo stamattina". Detto questo, entra in classe e rimango in corridoio per qualche secondo, fino a quando mi decido a proseguire verso la mia di classe.
È vero, la giornata è cominciata senza alcuna differenza dalle altre, una semplice x in più nel calendario della mia vita, ma, spesso, anche nei momenti più impensati si può essere sorpresi da qualcosa che sconvolge e cambia tutto.


~Spazio autrice.
Siete arrivati alla fine del primo capitolo, spero che sia stato di vostro gradimento. In questo primo episodio, avete potuto fare un giro nella testa un po' stramba della protagonista. Cosa ne pensate del suo carattere, o della sua intensa passione per la scrittura? E ancora, il libro di Jane Austen darà un'occasione ai nostri ragazzi per conoscersi meglio? Fatemi sapere giù nei commenti e se la storia vi ha incuriosito o trasmesso qualcosa, cliccate la stellina.

Alla prossima!

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