Zia Charlotte e il passato dei Fairchild

All'alba il trio di L.S. era davanti l'uscio di casa dei Fairchild. Nessuno dei due era riuscito a chiudere occhi ma purtroppo, Chester si addormentò prima che le nocche di Michael arrivassero a battere sulla porta. 

«Siamo noi, ragazzi» Franklin annunciò la combriccola, aprendo la porta senza attendere il permesso. Di fatto trovarono Chelsea seduta sul divano con la testa del fratello sulle gambe, addormentatosi come un sasso.

«Finalmente siete tutti qui...» la frase della sorella Fairchild era rivola a tutti e tre gli arrivati, ma solo uno si fece avanti per prenderle il viso e controllarla il ogni minimo particolare.

«Ti hanno fatto qualcosa, huh? Che cazzo è successo?! DIMMI C-» la ragazza mise una mano davanti alla bocca di Trevor, sibilando tra i denti uno "sssh" e indicando con lo sguardo il fratello addormentato. «Sedetevi... vi racconterò tutto con calma». Chelsea non era mai sembrata così triste. Aveva gli occhi scavati dal pianto e dal sonno, sembrava sul punto di addormentarsi lì dove si trovava. Michael si sedette sulla poltrona, sentendo dentro di sé che il momento della verità era vicino. Franklin provava la medesima cosa, finalmente avrebbero saputo qualcosa in più sui due fratelli venuti da chissà dove e con chissà quale passato alle spalle. Trevor si sedette a terra, gambe incrociate e tutta l'attenzione rivolta alla donna più giovane che abbia mai fatto parte della sua vita dal punto di vista sentimentale.

«Io e mio fratello siamo nati a Ludendorff , nel North Yankton. Abbiamo vissuto lì fino a quando non abbiamo deciso di scappare».

A questo dettaglio già due dei tre ospiti ingoiarono a vuoto.

«La nostra era una famiglia normale. Eravamo io, mia madre Cherry e mio padre Charles. Quando mia madre diede alla luce Chester, le cose iniziarono a cambiare. Dopo il parto mia madre iniziò a dare segni di squilibrio. Dicevano che era una sorta di sindrome che si manifestava dopo aver partorito e che finiva con lo sdoppiamento della personalità. Il ciclo della malattia si chiuse quando Chester aveva sei mesi e fino a che non fece un anno, mia madre aveva tentato almeno dieci volte di uccidere mio fratello. Mio padre si vide costretto a chiuderla in una clinica sotto consiglio di mia zia Charlotte, la sorella di mia madre. Siccome nostro padre era occupato con i turni di sicurezza in stazione lei si prendeva cura di noi. Si è "presa cura" di noi per circa otto anni. Mi trattava come una pezza da piedi perché sapeva che non avrei detto nulla o se la sarebbe presa con mio fratello, minacciando di incolpare me per ogni livido che gli avrebbero trovato addosso» raccontava il tutto con una calma straziante, mentre la sua mano accarezzava i capelli arruffati del fratello «Ci teneva in pugno perché le serviva la nostra firma per il patrimonio della mamma ancora viva ma chiusa in manicomio. Poi... morì anche nostro padre nella sparatoria del 2004 alla banca della città. Lavorava nelle forze di polizia di North Yankton. La zia lo condizionava a fare più turni possibili così da tenere noi sott'occhio e lui lontano da casa, sempre più stanco. Se quella sera non fosse stato il suo turno sarebbe ancora vivo... a quel punto la zia ebbe il pieno monopolio sulle nostre vite. Oltre all'eredità vagante della mamma chiusa in manicomio, ancora viva e imbottita di farmaci, si aggiungeva la nostra tutela e il testamento di nostro padre. Pur di avere entrambe le cose provò ad ucciderci, dicendo che una volta data la notizia a nostra madre si sarebbe certamente suicidata per la disperazione e avrebbe avuto anche i suoi soldi. Avrebbe avuto tutto quello che la sorella le aveva "rubato". Per questo una notte decidemmo di scappare con il camper con il quale nostro padre ci portava in vacanza. Quella notte imparai a guidare sulla superstrada in uscita da North Yankton e non ci mettemmo più piede. Abbiamo vagato per dieci anni da un accampamento di senza-tetto all'altro, da casa a casa delle vecchine più ospitali e edifici abbandonati. Ci è andata bene... ma ora la zia è riuscita a trovarci. Non so come è riuscita a rintracciare il mio numero di cellulare ma mi ha geo-localizzata. Sa dove siamo... e sta venendo a farci fuori. La prescrizione sull'eredità dura quindici anni... non sappiamo se nostra madre sia ancora viva, ma siccome siamo entrambi maggiorenni ora l'eredità dovrebbe essere tutta nostra e lei non dovrebbe avere alcun potere su di noi... quindi non mi spiego perché voglia ancora farci fuori. Vi stiamo- ... vi sto raccontando tutto questo perché altrimenti saremmo stati costretti ad andarcene e lasciarci tutto alle spalle. Questa casa, Los Santos... voi. Abbiamo vissuto dieci anni senza mai guardarci indietro perché non vi era nulla al quale far ritorno. Ora ci siete voi e non vogliamo abbandonarvi. Abbiamo bisogno del vostro aiuto».

Domande come "perché non l'avete fatta fuori?" o "perché non avete avvisato la polizia", domande più che lecite, non arrivarono mai. Michael era impallidito, bocca e occhi spalancati. Non ci credeva. Trevor era lo stesso, per la prima volta sentiva il cuore stretto in una morsa e i sudori freddi senza dover prendere la meth. Quella notte di dieci anni fa Trevor Philips, Michael De Santa e Brad Snider - pace all'anima sua - rapinarono la banca centrale di North Yankton. Migliaia e migliaia di proiettili vennero sputati da decine e decine di armi da fuoco. Chi aveva colpito il signor Charles Fairchild? Quale di quella cinquantina di uomini abbattuti era esattamente? Non potevano saperlo allora e non lo avrebbero saputo ora che erano davanti ai suoi figli. Franklin sapeva della rapina e proprio perché non vi aveva preso parte, trovò la forza per parlare a nome degli altri due «Vi aiuteremo, Chelsea. Siamo una famiglia ormai... nessuno viene lasciato indietro. Giusto Mike? T?».

Gli altri due si scambiarono uno sguardo complice e annuirono all'unisono con gli occhi sgranati rivolti a all'uomo dalla pelle nera. Paradossalmente, era l'unico con un barlume di raziocinio lì dentro. Bisognava tenere la bocca chiusa. Se i due Fairchild l'avessero scoperto... allora sì che sarebbe andato tutto all'aria. 

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