Thirteen
Inizio scusandomi per l'enorme lasso di tempo durante il quale non ho aggiornato, ma ultimamente sono un po' giù di morale e sempre stanchissima.
Faccio persino fatica a camminare, rendetevi conto.
Comunque, ci sono due nuovi personaggi che non avevo previsto (che in realtà sono tre, ma ad uno ci stavo già pensando da un po'), che però ho inserito poiché non riuscivo ad andare avanti nella narrazione.
Non credo avranno un ruolo fondamentale, però ormai ci sono.
Adesso vi lascio leggere in santa pace.
[Ti voglio tanto bene, Sun. Questo è per te.❤️]
Buona lettura. xx
•••
Erano passati sei giorni.
Sei giorni che Michael non vedeva Ray, e Ray non vedeva Michael.
Michael non le aveva chiesto spiegazioni, quando lei se n'era andata da casa sua come una furia.
Avrebbe voluto farlo, avrebbe dovuto.
Ma semplicemente non l'aveva fatto, poiché aveva avuto la sensazione di doverla lasciar andare. E così aveva fatto.
Mentre passeggiava senza una meta per le strade di San Francisco, aspettando un messaggio di Luke, passò davanti ad un negozio di musica.
Nonostante non avesse un soldo e quindi non potesse comprare nulla, anche se avrebbe voluto ardentemente farlo, entrò ed ammirò le chitarre e i bassi appesi alle pareti e migliaia e migliaia di cd, dvd e persino vinili, posti ordinatamente su delle mensole.
Quando alzò lo sguardo e vide una chitarra classica nero lucido, gli brillarono gli occhi.
Da quanto tempo era che non toccava le corde di una chitarra?
Troppo tempo. Pensò e si avvicinò allo strumento, sognando di poterlo suonare un giorno.
«Sai suonarla?» chiese qualcuno, distogliendolo dal sogno ad occhi aperti che stava facendo e facendogli ritirare la mano di scatto.
«Cosa?» chiese Michael, confuso.
«La chitarra, sai suonarla?» ripeté pazientemente il ragazzo che gli si stava avvicinando.
«Sì, la suonavo. Fino a qualche anno fa.» ammise Michael, abbassando lo sguardo.
«Ora non la suoni più?»
«Non ho più i soldi per permettermene una.» disse, sorridendo tristemente.
«La vuoi suonare?» chiese sempre quel ragazzo, «Ti piacerebbe suonare un po'?» continuò.
«Mi stai prendendo in giro?»
«No, ma non suonerai quella. È nuova e, se si fa anche solo un minuscolo graffietto, mio zio mi uccide.» ridacchiò e a Michael mancò il respiro.
«Vuoi davvero farmi suonare una chitarra?» chiese senza voce.
«Perché no? Mi sembri un tipo in gamba.»
Detto questo, il ragazzo andò nel retro e prese una chitarra classica di legno segnata dal tempo, per poi porgerla a Michael.
«Avanti, non ti mangia.» disse il ragazzo del negozio, sorridente.
Michael afferrò la chitarra con le mani tremanti, si sedette su uno sgabello lì vicino e passò una mano sulle corde, quasi accarezzandole.
Sentì un groppo in gola e le lacrime formarsi sui propri occhi.
«Io sono Ed comunque.» si presentò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli rossicci.
«M-Michael.» balbettò, osservando ancora intensamente la chitarra.
«È-è strano,» deglutì Michael, «è strano avere una chitarra in mano dopo così tanti anni.» sospirò. «Era da tanto che sognavo di poter suonare di nuovo, ed ora che ne ho l'occasione, non riesco a trovare un'accordo da cui inziare.» e sentì una lacrima solleticargli la guancia.
Michael si affrettò ad asciugarsi velocemente gli occhi con i polsini della felpa, e poi tornò con gli occhi sullo strumento.
Pensò a Ray e a quale canzone potesse suonare che le sarebbe piaciuta.
E Boulevard Of Broken Dreams dei Green Day gli risuonò nella testa.
Posizionò i polpastrelli delle dita della mano sinistra sulle corde e cominciò a suonare quella canzone, senza però cantarla, dato che era senza voce.
Sentì il proprio cuore stringersi in una morsa di tristezza al pensiero di Ray e a quanto le mancasse.
Ad ogni nota, il cuore di Michael faceva un po' più male.
«Va tutto bene?» chiese Ed, vedendo Michael, che quasi non respirava più.
Michael strinse gli occhi ed annuì debolmente, cercando di resistere, di non scoppiare a piangere così all'improvviso.
«Michael, non piangere. Non qui, non ora. Tu sei forte e ce la puoi fare, okay? Ti prego, non iniziare a piangere qui, perché non devi farti vedere debole e lo sai.»
Le parole di Ray gli risuonarono nella testa, mentre cercava di calmarsi.
E ci riuscì, riuscì a respirare profondamente, deglutire piano e far sparire ogni traccia di lacrime dai propri occhi.
Guardò la chitarra, e scelse di suonare un'altra canzone. Una dei Coldplay, questa volta.
Quando anche Ed capì quale canzone volesse suonare, prese una chitarra elettrica e gli disse «Usa questa.», per poi prendere lui la chitarra classica.
Suonarono insieme una delle prime canzoni di quel gruppo, il loro primo singolo che fece davvero successo.
Yellow.
E Michael negli assoli che fece con quella chitarra elettrica ci mise l'anima, ci mise tutto se stesso, ci mise tutto quello che non aveva potuto esprimere in quei quattro anni.
E si sentì felice, felice per davvero, di una felicità che nient'altro e nessun'altro poteva dargli.
Michael e Ed cantarono anche insieme, risero e diventarono amici.
E quella giornata che non sembrava potesse avere nulla di positivo, terminò nel migliore dei modi, mentre Michael aiutava Ed a mettere a posto il negozio e a chiudere, per poi camminare verso un locale parlando di musica.
Si sedettero ad un tavolo, ordinarono due birre e «Edward, non ci presenti il tuo amico?» sentì Michael, vedendo due ragazze che si stavano avvicinandosi a loro.
«Oh, certo. Kendra, Violet, lui è Michael.» rispose Ed, sorridendo verso le due ragazze.
Kendra era alta, magra, ma muscolosa, con i capelli biondo scuro tagliati corti, vestita con un paio di jeans un po' strappati, una maglietta bianca e una felpa verde scuro. Ai piedi aveva un paio di anfibi neri ed era truccata pochissimo, solo un po' di mascara nero sulle ciglia.
Violet era più bassa di Kendra, magra, con i capelli viola, come il suo nome, lunghi fino alle spalle, vestita con una gonna lunga fino al ginocchio nera, una canotta nera ed un cardigan grigio. Aveva una riga di eye-liner nero sugli occhi e un rossetto lilla ad evidenziare le sue labbra carnose.
Erano carine, entrambe, ma da come intuì Michael, erano lesbiche.
Erano una bella coppia, davvero, e se non fossero state lesbiche, avrebbero avuto un sacco di ragazzi intorno.
«Cosa prendete?» chiese Ed, dato che era arrivata la cameriera.
«Per me una birra.» rispose Kendra. «Tu?» chiese poi a Violet, seduta di fianco a lei.
«Una Coca-Cola.» rispose, sorridendo timidamente.
Dopo che la cameriera portò le bevande, Kendra chiese a Michael «Quanti anni hai?», mettendo un braccio attorno alle spalle di Violet.
«Diciannove. Voi?»
«Diciannove anch'io. La mia Vio ne ha solo sedici, invece.» rispose Kendra.
«Ken, ne ho quasi diciassette.» sbuffò scherzosamente l'altra ragazza.
«Lo so, piccola, era per prenderti un po' in giro.» ridacchiò affettuosamente la più grande, per poi baciarle l'angolo delle labbra.
Michael le guardava, assorto nei propri pensieri, non facendo caso al fatto che le stesse fissando da un po', con una strana espressione sul viso.
«Beh? Che hai da guardare?» ringhiò Kendra.
«I-io non... È-è solo che... È che siete carine. Come coppia intendo.» balbettò Michael, mordendosi il labbro.
Quel gesto gli ricordò Luke, e del fatto che non aveva controllato se gli avesse mandato il messaggio che aspettava.
«Grazie.» sussurrò Violet, arrossendo.
«Per come ci guardavi, pensavo fossi omofobo.» disse sinceramente Kendra, ridacchiando.
«No, no, assolutamente no. Siete davvero bellissima come coppia.» disse Michael, finendo la propria birra.
«Mi dispiace lasciarvi così, ma devo proprio andare.» disse ancora Michael, alzandosi dal tavolo.
«Amico, vai pure, alla birra ci penso io.» gli disse Ed, capendo che Michael non avrebbe potuto pagarla.
«Ti devo un favore, anzi due. È stato bello conoscervi, buona serata.» e Michael se ne andò, uscendo nell'aria fredda della sera, prendendo poi il proprio cellulare e vedendo un sacco di messaggi e chiamate perse.
Senza nemmeno leggere tutti quei messaggi, chiamò Luke, il quale rispose subito.
«Mike? Sei vivo?»
«Sì, Lucas, sono vivo. Scusa se non ti ho risposto, ma ero in un locale con degli amici e mi sono scordato di guardare il cellulare.»
«Oh...»
«Cosa volevi dirmi?»
«Niente, è che... Beh, dovevamo incontrarci cinque ore fa, ma non mi hai più risposto, quindi ora sono a casa di Meredith con sua figlia e Cory a guardare un film melenso, mentre Hannah piange e si dispera perché il suo ragazzo l'ha lasciata e l'ha tradita con tutte le cheerleader della scuola, e io... Ti prego, Michael, vieni qui e tienimi un po' di compagnia, sto impazzendo.»
«D'accordo, Luke, arrivo tra qualche minuto. Cerca di resistere.»
«Grazie a Dio, muoviti.» e gli chiuse il telefono in faccia.
Michael rise, mentre camminava lungo i marciapiedi illuminati di quella città, che però non era e non sarebbe mai stata la sua città.
•
«Fa male.» sussurrò a se stessa, cercando di mandare giù il groppo di singhiozzi che aveva in gola e che minacciava di uscire.
Quel dolore al cuore la stava uccidendo: era forte, pungente, le toglieva completamente il respiro e la lucidità mentale.
Sentiva un vuoto intorno a sé immenso, ma quello che sentiva dentro di sé era davvero incolmabile.
Stava lottando contro se stessa per non piangere, ma era davvero difficile; inoltre sia Lucinda sia suo padre avrebbero potuto entrare nella stanza da un momento all'altro.
Si raggomitolò su di sé e cercò di respirare e di calmarsi.
Ma la verità era che quella volta non ce l'avrebbe fatta, perché era da troppo ormai che si tratteneva, che annullava le proprie emozioni per non mostrarle agli altri.
Si alzò dal letto, chiuse la porta a chiave, si mise sotto le coperte e pianse tutte le lacrime che non aveva versato negli ultimi anni, quelle che aveva dovuto mandare indietro per non mostrarsi debole agli altri.
Perché lei lo sapeva bene, che se ti mostri debole gli altri ne approfittano e ti feriscono, lasciandoti poi solo.
E si addormentò tra le proprie lacrime, sperando ancora in un futuro migliore.
•
Nessuno ricordava come fossero finiti lì, a giocare ad obbligo o verità sul pavimento della stanza di Hannah.
«Michael!» squittì Hannah. «Obbligo o verità?»
«Verità.» rispose il ragazzo.
«Uffa, odio quando qualcuno dice "verità".» sbuffò la bionda, sistemandosi la scollatura della maglietta. «Comunque, ti sei già sbattuto Tay?» disse infine, masticando rumorosamente il chewing gum alla fragola.
«Si chiama Ray.» precisò Michael, infastidito dal fatto che Hannah sbagliasse di proposito il nome della ragazza. «E no, non me la sono "sbattuta" e non mi sembra il caso di parlare così volgarmente riferendosi a Ray, dato che non è una stupida sporca puttana. Andiamo avanti, grazie.»
«Uuuh, scusami, piccolo. Non pensavo fossi così infatuato di quella ragazzina.» disse fastidiosamente Hannah, guardandosi le unghie.
Michael si alzò in piedi di scatto, «Qual è il tuo fottutissimo problema, Hannah? Che cazzo ti ha fatto Ray, per meritarsi un trattamento così? Cos'ho fatto io, per sentirmi prendere per il culo così? Perché tratti tutti così, compresa tua cugina? Si può sapere cosa ti abbiamo fatto?» urlò contro la bionda.
La ragazza intanto aveva lo sguardo abbassato e sentiva le lacrime crescere nei propri occhi, mentre cercava attentamente di non lasciarsi andare e di riflettere sul fatto che faceva così da tanto ormai.
Hannah non era una ragazza bionda dai facili costumi, non era stronza e non era tutto quello che fingeva di essere.
Ma doveva esserlo, doveva corrispondere all'immagine che gli altri avevano di lei.
Perché lei in fondo sapeva chi era?
Sapeva di avere bisogno solo di un po' d'amore?
Sapeva di essere una ragazza gentile e disponibile, nonché altruista e intelligente?
No, tutte queste cose non le sapeva, o faceva finta di non saperle.
«Luke, io devo tornare a casa. Buonanotte a tutti.» concluse Michael, prendendo le proprie cose ed uscendo da quella casa.
Dopodiché ci fu un lungo silenzio nella stanza di Hannah, fino a quando Cory prese un respiro profondo per parlare.
Ma, «Uscite dalla mia stanza,» la precedette Hannah, «lasciatemi sola.»
Luke e Cory si guardarono, non sapendo cosa fare.
«Adesso.» ribadì la bionda, con tono deciso.
Gli altri due si alzarono ed uscirono dalla camera da letto di Hannah e chiusero la porta dietro di loro, per poi dirigersi nella stanza di Luke.
Si sedettero sul letto, l'uno di fianco all'altra, ma senza stare troppo vicini.
«Potremmo... Fare il gioco delle trenta domande, mh?» propose Luke, dopo qualche minuto passato a fissare il vuoto.
«Trenta? Non erano venti?» chiese Cory, perplessa.
«È lo stesso. Ti va?»
Cory annuì, anche se non del tutto convinta.
«Facciamolo.»
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