Sixth

Erano rimasti in silenzio un paio di minuti, così che Michael riuscisse a rimettere a posto i propri pezzi.

«Allora,» cominciò Ray. «suoni la chitarra.»

«Sì, sia quella classica sia quella elettrica.» ammise Michael, sorridendo.

«È fantastico.»

«Già. Tu suoni qualche strumento?» le chiese Michael, per non avere tutta l'attenzione su di sé.

«Un po' di pianoforte.» rispose lei, scrollando le spalle. «Lo suonava mia madre.» aggiunse.

«Ray, io...»

«È tutto okay. È solo che... È difficile crescere senza la propria madre.» si rattristò la ragazza. «Però ho Lucinda.»

«Sei molto legata a lei, vero?»

«Sì.» ammise Ray, sorridendo. «Mi ha cresciuta lei come se fossi sua figlia, quindi è praticamente diventata mia madre.» continuò, annodando le proprie mani tra di loro.

«Ora basta parlare delle nostre famiglie, perché ci stiamo deprimendo.» ridacchiò Michael.

«Già.» annuì Ray.

Poi cadde un silenzio assordante, che faceva male ai timpani di entrambi i ragazzi.

Quel silenzio urlava tutti i loro pensieri, le loro paure, i loro vuoti.
Quel silenzio diceva tutto e non diceva niente.

Entrambi avevano l'impulso di cercare un maggiore contatto con l'altro, ma avevano paura.
Paura di essere respinti, paura di affrettare le cose, paura di non essere pronti.
Ma pronti per cosa?

«Rayleigh...» cominciò Michael, ma venne interrotto.

«Non chiamarmi con il mio nome intero.» disse Ray acidamente.

«Perché? Cos'hai contro il tuo nome?»

«Lo sai benissimo.» rispose secca lei, alzandosi e andando in bagno per rinfrescarsi.

Le ricorda sua madre, certo. Che imbecille che sono. Pensò Michael, passandosi una mano tra i capelli e sospirando.

Si alzò e camminò fino alla porta del bagno, per poi parlare.

«Scusami. Ray, io... Mi dispiace.» disse, passando il palmo della propria mano sulla superficie di legno della porta, come per accarezzarla.

Ray, dall'altra parte di quella porta, si teneva la testa fra le mani e stava impedendo a se stessa di piangere.

Non piangerò, no, non lo farò. Non posso farlo.

Dopo qualche secondo aprì la porta e le candide e forti braccia di Michael la catturarono in un abbraccio.

«Tranquillo, va tutto bene.» disse la ragazza, sforzandosi di sorridere.

No, ti prego, Ray: non farlo anche tu, non mentire a te stessa.

Ma era inevitabile che anche lei mentisse a se stessa, perché loro due, Michael e Ray, erano più simili di quanto pensassero, avevano più cose in comune di quante credessero.
Ma, allo stesso tempo, erano quasi l'uno l'opposto dell'altra.
Erano gli opposti ma erano simili.
Erano come lo yin e lo yang, opposti, ma con una parte simile all'altro.

«Ti piacciono gli One Direction? Seriamente?»

Ray ridacchiò imbarazzata.

«Ascolti delle band fantastiche e poi... Loro?» continuò Michael.

«Hai qualcosa in contrario? Vorrei solo ricordarti che sono in vetta alle classifiche mondiali e che hanno avuto successo oltreoceano più in fretta di altre band leggendarie come i Rolling Stones. Ah, e ti avverto: non metterti contro di loro, perché ci sono milioni, anzi, miliardi di loro fan che sarebbero pronte a trucidarti, me compresa.» rispose Ray, con tono di superiorità.

«Non ho nulla contro di loro, anzi, sono bravi e hanno successo, questo bisogna dirlo. Solo che non pensavo ti piacesse anche quel genere di musica.» ridacchiò il ragazzo. «Anche se un po' li ascolto anche io.» aggiunse in un sussurro.

Ray sgranò gli occhi e, dopo aver realizzato le parole di Michael, sorrise e urlò dalla gioia.

«Finalmente, dannazione!» e gli saltò addosso, facendolo indietreggiare fino al letto, per poi caderci sopra, ridendo.

«Un ragazzo che li ascolta, alleluia! Perché tutti gli altri ragazzi hanno il cervello bacato? Qual è la loro canzone che preferisci? Il componente che ti piace di più? Aspetta, non sei gay, quindi questa domanda non vale. O forse sì? Oddio, scusa, ti sto ammazzando con queste domande.»

Michael intanto rideva, stringendo la ragazza tra le proprie braccia.
Avrebbe davvero voluto baciarla fino a togliersi il respiro. Ma, semplicemente, era troppo timido.

«Niall Horan è un gran figo, comunque.» commentò.

Ray spalancò gli occhi e sorrise maliziosamente.

«Vogliamo parlare di Harry Styles?»

«Beh...» annuì Michael.

«È UN FOTTUTISSIMO FIGO DELLA MADONNA, PORCA PUTTANA.» sospirò Ray, sognante.

E risero entrambi per la schiettezza della ragazza.
Michael la trovava bellissima, in ogni cosa che facesse.
Era diversa dalle altre ragazze: non era vanitosa o snob, né stronza. Okay, forse un po' lo era, ma non è questo il punto.
Michael stava bene con lei, si sentiva felice. E questo era già tanto per lui.

Il mattino seguente, Ray arrivò al locale dove lavorava Michael alle 7 del mattino, precisa come un orologio svizzero.

«Stanno sbiadendo.» commentò lei, guardando i capelli di Michael.

«Stanno sfumando verso il viola-lilla, non sbiadendo.» la corresse lui.

Ray alzò le mani in segno di resa e rise.

«Clifford, brutto coglione, va' a prendere quegli scatoloni che ti ho detto, prima che ti mandi a calci in culo!» urlò Dan dal retro.

Sempre molto gentile ed elegante.

Michael sospirò, poi sussurrò «Torno subito.» a Ray e fece ciò che gli era stato detto.

Ray lo aspettò, seduta su uno dei vecchi sgabelli tutti arrugginiti posti vicino al bancone, mentre giocherellava con l'anello al dito medio della mano sinistra.

Sbuffò, portandosi una ciocca di capelli tinti la sera prima di castano chiaro dietro l'orecchio.

Quando Michael finì di spostare scatoloni, erano quasi le 8, quindi Ray lo prese per mano e lo trascinò fuori dal locale in fretta e furia, per poi correre verso la scuola.

«Ti sei tinta i capelli.» constatò il ragazzo, mentre correvano. «Ti sta bene il castano chiaro.»

«Sarebbe il mio colore naturale.» ammise lei, continuando a correre.

Anche il mio. Pensò Michael, senza però dirlo ad alta voce.

Arrivarono davanti a scuola e le loro mani erano perfettamente intrecciate e non volevano staccarsi l'una dall'altra.

Poco prima dell'ingresso, Michael si fermò e tirò la ragazza a sé.
Avrebbe voluto baciarla, l'avrebbe fatto, se solo non avesse avuto paura che lei se ne andasse come avevano fatto tutti gli altri.
Quindi semplicemente la abbracciò e le baciò la testa.

Ray avrebbe voluto che lui la baciasse, ma non sapeva come lei stessa avrebbe reagito.

«Devo andare, Mikey...» disse lei, con una nota di malinconia.

«Lo so.» rispose lui. «Resta ancora qualche minuto, ti prego.»

«Resterei per tutta la vita; ma, se arrivo in ritardo il mio secondo giorno, chiameranno mio padre e lui non mi permetterà più di vederti. Resterò per tutta la vita, te lo prometto. Solo... Adesso devo andare a lezione.»

Resterò per tutta la vita, te lo prometto.
Michael aveva bisogno di sentirselo dire, ne aveva davvero bisogno; sciolse l'abbraccio e sorrise, per poi baciare dolcemente la guancia destra di Ray e lasciarla andare.

Grazie, Ray. Spero che tu mantenga la tua promessa.

Ray sapeva che non sarebbe potuta restare, ma glielo promise lo stesso, perché le sembrava la cosa giusta da fare.

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