Second
«Ora sei ufficialmente un diciannovenne!» urlò Luke dall'altra parte del telefono.
Michael rise e si passò una mano sul viso.
«Ti salutano anche Cal e Ash. Li ho sentiti poco fa. Ashton è qui, a Sydney, e Calum è in Brasile con i suoi.» continuò Luke.
«Come stanno?» chiese Michael.
«Bene, dicono. Tu, invece, come stai? Hai conosciuto qualche ragazza, eh?» chiese Luke con un po' di maliziosità.
«In realtà, sì.» rispose Michael sinceramente.
«C-cosa? Davvero?» e Luke sclerò un po', forse troppo, sperando che il suo migliore amico potesse innamorarsi.
«Adesso mi racconti TUTTO. Nei minimi particolari!» riprese, dopo essersi calmato.
Michael rise nervosamente e poi rispose.
«Non c'è molto da raccontare, in realtà. È la figlia di un vecchio amico di Dan, a quanto pare. Si chiama Ray e ha diciassette anni. Ascolta i Nirvana, i Green Day, gli AC/DC e i Metallica. Ha i capelli tinti di viola scuro, non troppo formosa, occhi luminosi color argento e... Beh, è estroversa e ha una risata che... Dio, è indescrivibile.» e rimase a fissare il cielo plumbeo di novembre oltre il vetro della finestra.
Luke sorrise e gli si scaldò il cuore, perché finalmente il suo migliore amico sembrava spensierato, una spensieratezza che si è soliti avere quando si è innamorati.
Michael, forse per la prima volta, era veramente interessato ad una ragazza.
Certo, nei suoi dieci anni a San Francisco aveva avuto delle ragazze, ma nessuna di loro valeva la pena di essere ricordata.
«Come l'hai conosciuta?» chiese Luke, veramente interessato.
«Stamattina, al locale, Dan ha incontrato suo padre e, mentre loro parlavano, lei si è seduta al bancone e mi ha chiesto di dirle qualcosa di me.»
«Sul serio? Così, dal nulla?»
«Praticamente sì. Poi si è presentata lei e abbiamo cominciato la conversazione su che band ascoltiamo e così via.» ammise Michael.
«Beh, Mikey, spero che tu non ti faccia sfuggire questa Ray.»
Michael sussultò.
Ray, quel giorno, l'aveva chiamato con lo stesso soprannome con cui lo chiamavano solo Luke, Calum e Ashton.
Nessun'altro lo chiamava Mikey.
Come faceva lei a sapere il suo soprannome?
«C-certo, Lukey. Ci sentiamo. Salutami anche Cal e Ash.» rispose Michael, riprendendosi dai suoi pensieri.
«Sarà fatto. Ti voglio bene, Michael.»
«Anch'io, Luke.»
Michael chiuse la chiamata e posò il suo iPhone nero (un regalo di Luke, perché "il telefono di prima era un vecchio catorcio e un insulto alla tecnologia") sul comodino, poi si sdraiò sul letto.
Rimase a fissare per un tempo interminabile il soffitto sporco della sua stanza, annegando nei propri pensieri.
A Michael mancavano i suoi amici.
Gli mancava anche l'Australia.
Voleva tornare a casa, la sua vera casa.
Quanto avrebbe dovuto ancora aspettare?
•
Ray era comodamente seduta sul suo letto matrimoniale con le cuffie nelle orecchie e un libro tra le mani.
Era la terza volta che rileggeva la trilogia di Hunger Games e, ad ogni singola parola che leggeva, amava sempre di più quei libri.
Ray sognava di trovare anche lei il suo Peeta, un giorno magari non troppo lontano.
Sognava di essere amata a tal punto da qualcuno, da non poter vivere senza l'amore di quella persona.
Sognava di essere Katniss, ma nei suoi diciassette (che dopo sette mesi sarebbero stati diciotto) anni non aveva ancora trovato il suo Peeta.
Certo, aveva avuto dei ragazzi, ma nessuno di quelli l'aveva veramente fatta innamorare.
Tutte le volte che ripensava al suo primo bacio, Ray veniva scossa da conati di vomito.
Tutte le volte pensava "ma cosa diavolo avevo nel cervello quando ho deciso di baciarlo?" e doveva smettere di pensarci, altrimenti avrebbe seriamente vomitato.
Le note di Holiday dell'album American Idiot dei Green Day risuonavano nelle sue orecchie e le trasmettevano energia.
Era in uno dei suoi momenti.
Suoi, perché non aveva bisogno di nient'altro in quei momenti.
Suoi, perché non pensava a nient'altro in quei momenti.
Suoi, perché c'erano solo lei e le cose che amava.
Ma ovviamente la suoneria del suo cellulare interruppe quel momento.
Spense la musica, chiuse il libro e rispose svogliatamente (molto svogliatamente) alla chiamata.
«Sì?» disse, sospirando.
«Rayleigh, sono tuo padre.» rispose la voce metallica dall'altra parte del telefono.
«Mh, che c'è?» chiese, un po' sgarbatamente.
«Domani mattina, che inizi le lezioni alle nove, io non posso portarti.»
E te pareva. Pensò Ray.
«Quindi pensavo di lasciarti da quel mio amico da cui siamo andati ieri, ricordi?»
E i pensieri della ragazza furono subito diretti a Michael.
«Poi da lì ti fai accompagnare dal ragazzo strano.»
Sì, perché per il padre di Ray, Michael era il "ragazzo strano".
«Va bene. Ma smettila di chiamarlo "ragazzo strano", è snervante.» rispose Ray.
«Okay. Uhm, stasera non vengo a cena: ho un'importante cena di lav-»
«Sì, ciao. A domani.» lo interruppe Ray, chiudendo la chiamata.
Poi buttò il proprio iPhone bianco sul cuscino di fianco a lei.
Suo padre le aveva regalato quel telefono a Pasqua, quello stesso anno.
Lei giustamente l'avrebbe di gran lunga preferito nero, ma andava bene anche bianco.
Suo padre era un famoso e ricco imprenditore e le dava sempre tutto quello che voleva. Ma non era mai a casa, non era mai presente.
Lavorava tutti i giorni ed era spesso fuori casa per lavoro.
Ripensandoci, Ray e suo padre non facevano una vacanza insieme da più di sette anni.
Rayleigh, anzi no, Ray aveva solo suo padre.
La madre era sparita quando Ray aveva a malapena una settimana e la ragazza non ricordava altro che i suoi occhi.
Quegli occhi erano blu, un blu da far invidia al mare.
Però c'era Lucinda.
Lucinda era la governante latino-americana che si era sempre presa cura della ragazza.
Era stata come una madre per Ray e si volevano molto bene a vicenda.
Lucinda non aveva figli, né un marito o altri parenti, quindi si spostava sempre con loro e viveva nella stessa loro casa.
Ray la poteva considerare a tutti gli effetti una zia, diciamo.
E proprio in quel momento Lucinda bussò alla porta della stanza di Ray.
«Entra pure, Lu.» disse la ragazza, facendo comparire un sorriso colmo d'affetto sul proprio volto.
La donna entrò e le appoggiò sul comodino una tazza di tè caldo e due biscotti al cioccolato e cocco che aveva appena sfornato.
E poi, prima di uscire dalla stanza, lasciò un tenero bacio sulla fronte della ragazza, che sorrise amabilmente.
Quando Lucinda chiuse la porta, Ray sospirò, poi ritornò a leggere il suo amato libro.
Catching Fire.
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