Fifth
Dopo aver pranzato, i due ragazzi erano rimasti in camera di Ray a parlare per ore.
«Dio, il tuo cognome mi ricorda troppo 50 Sfumature Di Grigio. È inquietante. Hai tipo uno zio che si chiama Christian?» disse Michael, con una nota di preoccupazione nella voce.
«Uno zio no, ma, se ricordo bene, ho un cugino che si chiama così. E abita a Seattle.» ammise Ray, ridendo.
«Stai scherzando, spero.» rispose lui, scioccato.
Ray scosse la testa, negando.
Entrambi scoppiarono a ridere.
«Seriamente il tuo nome è Rayleigh? Come quello delle onde sismiche?» chiese Michael, cambiando argomento.
«Esatto, come quello delle onde sismiche.» rispose Ray, ridendo.
«Perché? Insomma, perché ti hanno dato questo nome?»
«Beh, mia mamma studiava i terremoti e...»
«Studiava? Quindi è... Morta?» chiese Michael, pensando di aver detto un'enorme cazzata.
«Beh, in realtà non lo so. È sparita qualche settimana dopo la mia nascita e non l'ho mai conosciuta. Mio padre non parla mai di lei. Tutto ciò che so su di lei me l'ha raccontato Lucinda. L'unica cosa che ricordo sono i suoi occhi: un blu da far invidia al mare.»
Ray si stupì di se stessa.
Non aveva mai raccontato a nessuno la storia di sua madre, nemmeno alla sua ex migliore amica, che aveva conosciuto tre anni prima in Spagna.
Non si erano più tenute in contatto dopo l'ennesimo trasferimento di Ray, per questo erano "ex migliori amiche".
Ray e suo padre (e ovviamente anche Lucinda) avevano viaggiato molto.
Avevano vissuto praticamente in tutti i paesi del mondo. Tranne l'Australia.
Ray parlò a ruota libera anche di questo, dicendo tutto ciò che le passava per la testa a Michael.
«Non sei mai stata in Australia? È un posto fantastico. Io ci sono cresciuto. Beh, fino all'età di nove anni vivevo lì e ogni tanto ci tornavo per passarci le vacanze estive. Ormai sono quattro anni che non ci torno.» disse Michael, con una nota di malinconia nella voce.
«Perché non ci sei più tornato?»
«I miei genitori si sono separati quattro anni fa e da allora mia madre mi ha affidato a Dan, che è un mio lontano parente. Dan detesta l'Australia e allora non mi ha mai più lasciato tornare. Dice che sto meglio qua.»
Michael si passò una mano sul volto, cercando di reprimere le lacrime il più possibile.
«Sai, mi mancano i miei amici. L'ultima volta che li ho visti, volevamo mettere su una band. Io, Luke, Calum e Ashton. Cazzo, sono passati quattro anni. Quattro fottuti anni che li sento solo per telefono. Chissà quanto sono cambiati. Luke mi ha chiamato l'altro giorno per farmi gli auguri di compleanno e, cazzo, quando ho sentito la sua voce non l'ho riconosciuto. Mi ha detto di essersi fatto un piercing al labbro e mi ha anche mandato una foto. Sai, all'inizio io e Luke non andavamo d'accordo, per via di una ragazza, credo. Poi però siamo diventati praticamente fratelli. Calum è stato il primo con il quale ho stretto amicizia e abbiamo iniziato insieme a suonare la chitarra. E poi Ashton. È sempre stato dolce e comprensivo nei miei confronti, ma quando suonava la batteria diventava un demone. Gli uscivano quasi le fiamme dagli occhi, talmente era energico.» raccontò Michael, lasciandosi trasportare dai ricordi.
«Mi ero promesso di non piangere, ma mi mancano così fottutamente tanto.» continuò, asciugandosi un lacrima.
«Non è molto da duro piangere davanti ad una ragazza, vero?» disse il ragazzo, cercando di sdrammatizzare.
Michael era seduto sul letto e Ray era seduta sulla poltrona lì vicino.
La ragazza, comprendendo la fragilità del ragazzo in quel momento, si alzò e si sedette sul letto di fianco a lui.
«Michael, sfogati. Ci sono solo io qui e non ti giudicherò.» gli disse, prendendogli le mani.
«No, tranquilla. Va tutto bene.» rispose lui, facendo un sorriso forzato.
Va tutto bene.
Una menzogna che si ripeteva spesso, sin da quando era bambino.
Un piccolo Michael con i capelli di un colore ancora normale, tra il castano e il biondo, era seduto alla scrivania nella propria cameretta.
Stava colorando con i pennarelli nuovi il quaderno nuovo pieno di disegni.
Mentre colorava, cantichiava alcune canzoni che aveva sentito in radio quello stesso giorno; il giorno del suo compleanno.
I pennarelli e il quaderno glieli aveva comprati suo padre quel giorno allo zoo, che erano andati a visitare in occasione del quinto compleanno del bambino.
Era tutto sereno, tranquillo e all'apparenza normale, quando il piccolo e sicuro mondo di Michael crollò.
Il bambino smise immediatamente di canticchiare e di colorare.
Aveva sentito un rumore provenire dalla cucina, come se qualcosa si fosse rotto.
Così, a passettini lenti e silenziosi, uscì dalla propria stanza e si diresse al piano inferiore per vedere cosa fosse successo.
«Come hai potuto? Il giorno prima del compleanno di tuo figlio, come hai potuto?!» urlò sua madre.
Michael si fermò al fondo delle scale e rimase immobile a fissare il vuoto davanti a sé.
«Dio, Karen, non metterla così sul tragico! Non è nemmeno detto che sia rimasta incinta!» replicò suo padre.
«Come hai potuto fare questo a me? Come hai potuto fare questo a noi?» disse sua madre, mentre la voce le si spezzava.
«Noi siamo la tua famiglia! Come hai potuto farci questo? Tradirci in questo modo?» singhiozzò la donna.
«Smettila di fare tutto questo rumore, altrimenti spaventerai Michael!» ringhiò l'uomo contro di lei.
Michael sentiva i singhiozzi di sua madre e lentamente cominciò a piangere anche lui.
Corse in camera sua, senza preoccuparsi di fare un gran baccano, e si chiuse dentro a chiave.
Era la prima volta che sentiva i suoi genitori litigare così tanto.
Solitamente si trattava di una discussione un po' forte, ma non avevano mai alzato i toni di voce e non si erano mai messi a piangere.
Il piccolo Michael si nascose sotto le coperte blu a righe grigie del proprio letto e mise anche la testa sotto di esse, mentre si tappava le orecchie con le mani per non sentire più il mondo fuori dal proprio rifugio.
«Va tutto bene.»
«Michael? C'è qualcosa che non va?»
La voce un po' preoccupata di Ray lo riscosse dai suoi ricordi.
Michael sbatté le palpebre un paio di volte e poi si passò una mano sul viso, come per scacciare via le preoccupazioni.
«Va tutto bene.» disse, più a sé stesso che alla ragazza.
Va tutto bene.
Va tutto bene.
Va
tutto
bene.
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