Eighth

Ray non si accorse di essersi addormentata, fino a quando non si svegliò.
Era sul divano di casa sua, avvolta da una morbida coperta di pile verde.

Avrebbe voluto sentire le braccia di Michael che la stringevano mentre si svegliava, ma lui non c'era.

«Michael?» chiamò lei a bassa voce.

Nessuno rispose.
La ragazza si guardò attorno, alla ricerca di un segno di Michael, ma non trovò nulla.

«Michael?» richiamò, questa volta più forte.

Nulla, nemmeno questa volta.
Forse era già uscito.

Guardò sul tavolino di fronte al divano e vide un biglietto.
Su questo biglietto, con una calligrafia disordinata e veloce, c'era scritto un messaggio.

"Buongiorno principessa,
Questa mattina sarei voluto restare a dormire abbracciato a te, ma purtroppo devo andare al lavoro, altrimenti Dan mi butta fuori di casa.
Il film è stato bello, ma tu lo sei milioni di volte di più.
Appena ti svegli, chiamami.
Un bacio x
Il tuo Michael."

Ray sorrise, mordendosi il labbro.
Poi cercò il proprio cellulare per chiamarlo e, quando lo trovò, digitò il suo numero.
Appoggiò l'apparecchio all'orecchio destro, giocherellando con una ciocca di capelli nell'attesa.

«Hey, piccola.» la voce roca di Michael già di mattina fece rabbrividire di felicità Ray.

«Buongiorno, Mikey. Perché tutte queste attenzioni e cose sdolcinate?» chiese lei, diretta.

«Sinceramente? Non lo so. È che sei piccola e ho l'istinto di prendermi cura di te

«Michael, ho solo due anni in meno di te, dai. Non sono piccola.» ribatté Ray.

«Andiamo, Ray. Sto cercando di essere un ragazzo romantico e tu... Oh, dannazione. Sei intrattabile di mattina.» sbuffò lui.

«Lo so. Ma potrei perdonarti se oggi pomeriggio mi accompagni in libreria.»

«E per cosa dovrei farmi perdonare?»

«Per essere sparito senza nemmeno salutarmi. Mi hai lasciato a malapena un biglietto.»

«Scusa, non volevo andarmene, davvero. E non volevo svegliarti. Se ti accompagno in libreria e ti offro una cioccolata calda, mi perdoni?»

«D'accordo, Mikey. Per che ora passi a prendermi?»

«Verso le 4 del pomeriggio. Va bene?»

«Mmh, certo. A più tardi, Gordon.»

«Non chiamarmi con il mio-» Michael si interruppe e Ray si preoccupò.

«Cosa c'è?» chiese lei, sentendo delle urla.

«Scusa, era Dan. Ora devo proprio andare. Ciao, piccola principessa.» e riattaccò.

Ray sospirò, appoggiando il telefono di fianco a sé sul divano.
Guardò l'ora: erano solo le 10 e qualche minuto, aveva sei ore in cui non sapeva cosa fare.

«Scrivo l'elenco dei libri che devo prendere, così non ne dimentico nessuno.» si disse, e si alzò, dirigendosi in camera sua.

Dan aveva lasciato che Michael tornasse a casa, dato che gliel'aveva chiesto Leila.
Leila avrebbe voluto diventare una parrucchiera e spesso Michael faceva da cavia per gli esperimenti di tinte della ragazza.
Quel giorno Leila aveva in mente di colorare i capelli di Michael di un colore abbastanza normale.

Mezz'ora dopo circa, Michael uscì di casa e si passò una mano tra i capelli colorati di un biondo chiarissimo.

Guardò l'ora dal cellulare e si accorse che era in ritardo.
Sussurrò tra sé e sé "cazzo" a denti stretti e cominciò a correre per arrivare a casa di Ray.

Quando finalmente intravide il portone di casa Grey, aveva il fiatone e piccole goccioline di sudore gli imperlavano la fronte.

Fece due respiri profondi e poi suonò il campanello. Ma nessuno rispose.
Risuonò dopo qualche minuto, e la governante rispose al citofono.

«Chi è?»

«Sono Michael. Devo accompagnare Ray in libreria, sono solo un po' in ri-»

«Ray è già andata

«Cosa? D-davvero?»

«Certo, sarà già arrivata e avrà già comprato dozzine di libri

«In che libreria è andata?»

«Quella in centro, vicino al municipio

«Grazie, arriverderci.» disse Michael, prima di iniziare a correre.

Alla prima fermata del pullman, salì su uno di essi che portavano in centro.
Provò ripetutamente a chiamare Ray, ma lei non rispondeva.

Merda, merda, merda.

Scese alla fermata più vicina al municipio e cercò disperatamente una libreria.
Quando ne vide una, un po' antica e malandata, capì che forse era quella giusta.
Vi entrò e un odore di inchiostro, polvere e tè gli arrivò al naso, calmandolo.
Adorava già quel posto.

Non vi era molta gente, a parte il proprietario e una ragazza, al piano superiore, che stava accarezzando dolcemente la copertina di un libro.
Ray.

Salì velocemente, ma silenziosamente, le scale e arrivò fino allo scaffale dove si trovava Ray.
Lei non si accorse di lui fino a quando non le sfiorò un braccio. Si ritrasse immediatamente al tocco.

«Ray, io-»

«Risparmiati scuse, Michael.» disse freddamente lei, voltandosi e cominciando a camminare tra il labirinto fatto di scaffali.

«Lascia almeno che ti chieda perdono.»

«Perdono per cosa, eh? Per essere arrivato in ritardo, perché volevi farti la tinta? No, Michael, non mi interessano le tue scuse e non ho nemmeno voglia di perdonarti.»

Allora Michael la afferrò per un braccio e la strattonò verso di sé, facendole cadere i libri che aveva in mano.

«Dannazione, ascoltami!» le urlò.

Lei si sentì vulnerabile e in pericolo e si strinse nelle spalle, come se in quel modo potesse proteggere il proprio cuore da ferite mortali.
Ma semplicemente non poteva, perché sapeva che se avesse mostrato i propri sentimenti a qualcuno, quel qualcuno avrebbe fatto in modo di usare le sue debolezze contro di lei.

Ray aveva paura e voleva solo piangere e chiudersi in sé stessa, in modo da provare a curare quel cuore, devastato dai troppi sentimenti, che si ritrovava.

Anche Michael aveva paura, perché sapeva che lei non era come lui, che lei non avrebbe mai usato le debolezze degli altri contro di loro, perché lei non era così.
Lei non distruggeva gli altri, lei aiutava gli altri a ricostruirsi. Però distruggeva sé stessa, per fare in modo che gli altri stessero bene.

Michael l'aveva capito, l'aveva capito fin dal primo istante che dietro a quella ragazza chiassosa e iperattiva si nascondeva una persona sensibile e altruista. Aveva anche capito che lei rideva più forte quando stava più male, per sovrastare il rumore dei propri pensieri distruttivi.

Perciò non disse più nulla, si limitò a raccogliere i libri e accompagnare Ray alla cassa.
Non la toccò più, non la abbracciò, anche se avrebbe voluto.
In quel momento lei aveva bisogno di rimettere a posto i mattoni rovinati del proprio muro e doveva farlo in silenzio e senza essere toccata, perché altrimenti sarebbe crollata, lì davanti a tutti.

Erano seduti ad un tavolino di un bar vicino alla libreria, mentre sorseggiavano le proprie cioccolate calde, senza dire una parola.

Michael si voltò verso Ray e la osservò: aveva i capelli raccolti in una coda disordinata, le labbra screpolate, le mani nascoste nelle maniche lunghe del maglione grigio che indossava, il quale avrebbe fatto risaltare i suoi occhi, se solo non fossero stati spenti e persi nel vuoto.

«Non dovevo reagire così. È stata colpa mia e non avevo il diritto di arrabbiarmi.» disse poi, appoggiando la tazza sul tavolino di legno.

Ray sembrò riscuotersi dai propri pensieri e guardò Michael.
Aveva i capelli arruffati, ma di un bellissimo biondo, e stava dannatamente bene.
Ma quando vide i suoi occhi lucidi, Ray si spostò e si sedette di fianco a lui, gli prese le mani e parlò.

«Michael, non piangere. Non qui, non ora. Tu sei forte e ce la puoi fare, okay? Ti prego, non iniziare a piangere qui, perché non devi farti vedere debole e lo sai.»

Lui chiuse gli occhi e deglutì, respirò profondamente e annuì.

«Sì, okay, così. Adesso andiamo a casa e stiamo un po' tranquilli, d'accordo?» disse Ray.

Michael annuì, si alzò e andò a pagare il conto del bar.

E poi entrambi saltarono sul primo pullman per andare a casa.
Ma casa dove?

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