- Mr. BrightSide

Happy Pride!

14 giugno 2024 - tre anni dal disbanding

Mi faccio strada fra i volti mascherati che già dominano l'ambiente del vialetto antistante la villa, dimora del magnifico Agust D. La musica si sente da fuori. Aggiusto la mia, di maschera, la assicuro con un nastro dietro al capo, e mi avvicino ai bodyguard per accedere ufficialmente alla festa. La folla di fan nostalgiche cresce ogni minuto di più oltre la prima barriera di transenne, e io m'appresto a cercare riparo prima che diventi troppo calda per esser gestita. Anche i paparazzi spingono per allargare la visuale sulla folla di partecipanti.

«Buonasera. Documento?» mi chiede uno dei bodyguard. Lo guardo negli occhi, credendo di poter riconoscerlo. Niente, non ci riesco. Alzo di poco la maschera, e scopro il viso per intero.

«Ce n'è davvero bisogno?», mostro uno dei miei sorrisi più conosciuti, quello a metà strada fra un ghigno e una rappresentazione di vera felicità. Credo di non aver mai smesso di essere J-Hope, a partire dal modo di parlare fino a quello di pensare. Tre anni sono passati dal disband, tre anni senza vedere gli altri ragazzi, tre anni senza avere più il reale bisogno di agire come se fossimo ancora una piccola grande famiglia. Ognuno è andato per le sue, c'è chi ha avuto ancora più successo - come Yoongi o Jungkook -, chi invece ha deciso di ritirarsi definitivamente e presenziare a qualcosa come ospite - Namjoon, attualmente in servizo militare -, chi si è dedicato alla recitazione - Taehyung e Seokjin - e chi invece è sparito definitivamente dalla scena - io e Jimin. Dell'ultimo ragazzo in questione non ho davvero avuto più notizie, neppure attraverso la TV come per gli altri sei. E dopo tutto questo, ancora non mi sono liberato di J-Hope.

«Oh, signor Jung. Benvenuto. Prego.» e mi fa gesto di continuare a camminare per il viale. Forse ancora un po' di potere dato dalla fama mi è rimasto. Cammino per la stradina ghiaiosa verso il portone d'ingresso, e mi guardo intorno. Riconosco qualche volto, qualcuno perché senza maschera, qualcuno per porzioni di viso. C'è Jennie, Kim Jennie, che con la sua statura minuta sembra perdersi fra le altre persone; Jackson Wang in un angolo che brinda con altri ragazzi mascherati; Jinho dei Pentagon sorride e discorre con Woosong dei The Rose. Non credevo che Yoongi avesse tutti questi contatti. Mentre varco l'entrata e mi rendo conto dell'effettiva quantità di persone presenti, confermo che sì, è impossibile che Yoongi abbia tutti questi contatti. Sicuramente la festa si è riempita per passa parola.

D'improvviso sono immerso in un mare di vestiti, colori, tacchi a spillo e abiti firmati. Non so se tutto questo mi sia effettivamente mancato, ora che ne faccio di nuovo parte. D'improvviso mi sento fuori luogo. È così imbarazzante non avere il coraggio di giocarmela come pochi anni prima, con quella semplicità e spensieratezza che mi caratterizzava. Mi chiedo se, bevendo un po', la situazione si possa smuovere.

«Ma guarda un po' chi si rivede!» Una mano si appoggia sulla mia spalla, e mi volto. Quella voce, così familiare e segno di mancanza. Quegli occhi vispi, scuri, con un guizzo fissi nei miei. E il suo sorriso appena accennato. Bang! Lui è come un colpo in pieno petto.

«Yah, signor Min, Agust D, Min Suga! Che magnifica reggia!» esclamo con quel modo di fare così da J-Hope. Yoongi ride alle mie parole.

«È da una vita che non ci vediamo... come va?» Ha la voce leggermente impastata, forse ha già bevuto e qualcosa sta iniziando a fare effetto, ma sembra quasi brillare.

«Non c'è male. La vita da idol in pensione è decisamente vivibile.» Accompagno una risata alla mia affermazione. «Scrivo ancora pezzi ma ho deciso di prendermi una pausa, come vedi.» Mi limito a sorridere. Cos'altro potrei fare?

«Yah, sono così contento che tu stia bene.» Continua a sorridere. «Hai notizie degli altri, a proposito? Io non li sento tutti dall'annullamento del contratto, praticamente.» Fa una pausa, e con un gesto vago si porta una mano alla tempia destra. «Beh, tutti tranne Jimin e Jungkook, che mi ha chiesto aiuto per un pezzo...»

Scuoto la testa. «Credo di saperne tanto quanto te. Ormai l'unico contatto è dato da Dispatch o l'Mnet.» Accompagno uno sguardo amaro.

Yoongi mi guarda ancora. Cerca qualcosa nei miei occhi, o forse è una mia impressione. Ricordo di quando mi sono infatuato di questo ragazzo pochi mesi prima lo scioglimento del gruppo, di quanta paura mi aveva assalito e del desiderio che tutto sparisse. Lo desideravo perché sapevo che a Yoongi non interessavo, ovviamente aggiungerei, perché aveva così tanta brama di concentrarsi su se stesso da non pensare neppure ai sentimenti o anche solo all'intento di trovarsi qualcuno. Io non ero riuscito a fare altrettanto, non ero riuscito neppure a fare coming out...

«Vieni con me.» D'improvviso mi prende per un polso. La pelle formicola. «Ti porto a prendere da bere.» Mi trascina per il grande salone addobbato a festa, poi oltre le scale che probabilmente portano alle stanze e al bagno, fino alla cucina. Raggiunto a fatica il tavolo dei drink me ne porge uno. Osservo il liquido, il ghiaccio che ci galleggia dentro. «Non preoccuparti. Solo tequila.», me lo mette in mano. Ne bevo un sorso, continuando a sentire il suo tocco dolce sul mio polso. Sì, mi è ufficialmente mancato, ed è dura da accettare. Dura, perché non è facile dimenticare qualcuno che ti è stato vicino negli anni migliori e peggiori della tua vita...

«Quindi, fammi capire...» inizio per distrarmi dai miei stessi pensieri. «Ti sei comprato tutto questo posto per viverci da solo?»

Ride ancora: «"Viverci " è un'esagerazione. Ci passo alcune notti quando non sono in tour, in viaggio o in studio di registrazione. In una settimana ci passo davvero poche ore... e difficilmente da solo.» Rischio di affogare nel mio stesso sorso di tequila. Mi sta sicuramente prendendo in giro, eppure non posso fare a meno di pensarci.

«"Difficilmente da solo"? Sei diventato quel tipo di idol, per caso?» Rido per smorzare l'imbarazzo. Yoongi si fa serio per un secondo, e mi domando se l'ho ferito. «Sei un idiota, e non sono quel tipo di idol. Mi capita spesso di ospitare colleghi, membri del mio staff... niente di serio.»

Sorrido mestamente, simulando delle scuse silenziose. Yoongi scuote la testa e butta giù un altro shot di soju. Sembra davvero che io abbia toccato un tasto dolente e me ne dispiaccio infinitamente.

Mi prendo qualche secondo per osservarlo: solo ora mi rendo conto di quanto mi sia mancato, e di quanto sia cambiato. Ha una luce diversa negli occhi ormai totalmente liberi dal trucco, e non fa più quel gesto di leccarsi il labbro superiore con la punta della lingua, o quello di guardare spesso a terra. È più presente ora di come lo sia mai stato... ma è sempre lui, è sempre Yoongi. Quello che la fama doveva cambiare l'aveva cambiato negli anni in cui vivevamo sotto lo stesso tetto... ma ora mi sembra molto più sereno. Credo che il suo senso creativo fosse decisamente messo a freno dagli obbiettivi e dalle regole del nostro gruppo. Ora vedo finalmente il vero Suga, o meglio, il vero Agust D.

«Senti, io vado a salutare le persone che non ho ancora accolto, e anche a cercare Jimin; dovresti vedere com'è cambiato! Tu bevi un po' e divertiti. Dovrebbero esserci i maknae da qualche parte. Non so se hai ascoltato il loro nuovo album ma, beh, è una vera bomba!» Viene inghiottito dalle persone, ma riesco ancora a seguirlo con lo sguardo. E sospiro, constatando che la simpatia e il bene che provavo verso di lui non è diminuito neppure di un grammo. Per ora nessun altro sentimento all'orizzonte. Sospiro di sollievo quando lo realizzo.

Ripenso poi alle sue parole. Jimin? Jimin è qui? Possibile che non lo abbia neppure intravisto? Ma poi ricordo che Yoongi stesso ha detto che è cambiato. Guardo a terra e spalanco gli occhi. Sarebbe bello parlarci di nuovo, capire come sta. Scuoto la testa per disincantarmi: non ho una sincera voglia di mettermi a cercarlo fra tutta quella gente. In ogni caso, se dovessi trovarlo non esiterei a parlarci, e a riportare alla luce anche la sensazione di mancanza provata per uno dei migliori compagni di stanza - e di vita - che io abbia mai avuto.

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Scovo il volto di Soobin fra gli innumerevoli senza maschera. Non pensavo sarebbe stato facile trovarlo, e invece...

«Hyung!» mi chiama a gran voce, «È così bello vederti ancora!» Mi si avvicina e sorride ancora di più. È cambiato dall'ultima volta che l'ho visto: sembra più sicuro di sé, più maturo. Ho sentito alcuni dei pezzi rilasciati dai TXT nell'ultimo periodo, sono ad un livello superiore rispetto ai nostri a tre o quattro anni dal debutto.

«Soobin-ah! È un piacere anche per me.» Mi inchino e lui fa lo stesso. «Come vanno le cose al centro di comando?» Centro di comando: casa discografica.

«Uhm, molto bene! Da quello che ci hanno detto la popolarità ha cominciato a risalire, secondo statistiche e sondaggi che noi non capiamo assolutamente!» Scoppiamo entrambi a ridere. Non deve esseres stato facile per lui e gli altri ragazzi essere l'unica colonna portante di un - ormai - colosso come la Big Hit, diventata tale per la fama del mio gruppo a livello mondiale. Ci penso davvero e quasi sono contento di non essere nei suoi panni.

Parlo ancora, e come se dovessi tirargli su il morale: «Come ci si sente ad essere i numeri uno del centro di comando?» Sorrido attendendo la risposta.

«Uhm...» Soobin tace e riflette per pochi secondi. «È decisamente più... rassicurante? Nessuno può più accusarci di essere "raccomandati", o di chiedere sempre degli aiuto al tuo gruppo... siamo più originali agli occhi dei media, ecco.»

Pensavo mi avrebbe dato risposte totalmente diverse, riguardo magari le alte aspettative verso di loro. Invece no, sembra che lo stiano affrontando con forza e serenità.

«Ah, non hai idea di quanto questo possa rendermi felice!» Sento che la conversazione sta per ricadere, così con un leggero riso mi congedo. Sento qualcosa crescermi dentro, una sensazione che ha il colore blu, e credo di dover ritirarmi in un posto tranquillo. «Continuate così, vi auguro il meglio.»

«Grazie hyung!» inizia, ma io sono già sparito fra la folla.

Devo sembrare impazzito mentre cerco un posto tranquillo. D'improvviso mi ricordo del piano superiore, e mi rendi cinto che l'unico posto dove potrei trovarmi tranquillo sarebbe il bagno. Prendo così le scale e raggiungo il piano superiore; davanti a me si srotola un lungo corridoio e diverse porte, alcune aperte, altre chiuse. La luce è soffusa, i suoni d'improvviso attutiti: non mi stupirei se trovassi qualche coppietta appartata, in cerca di privacy. E' proprio ciò che temo mentre sbircio attraverso le porte aperte, che si rivelano non essere nient'altro che camere per gli ospiti. Busso a tre porte, nessuna risposta, fin quando arrivo alla quarta nonché ultima. E' accostata, ne deduco quindi che sia vuota. Ci entro senza esitare, ma me ne pento quasi subito.

Sono finito nella camera di Yoongi. Lo riconosco perché è l'unica arredata in modo, come dire, personale, con foto e qualche quadro. La tappezzeria rosso sangue colora le pareti ampie, un lussuoso lampadario si apre sopra il letto, spazioso e ricco di cuscini. Sulla destra c'è una teca lunga quasi tutta la parete: sono esposti premi e riconoscimenti, ma solo per metà. Posso leggere in quello spazio vuoto la voglio di uscire di Yoongi. E' uno spazio tutto suo, tutto da riempire del suo talento. La mia attenzione viaggia verso le foto; fra queste ne noto una del gruppo, una delle poche che facemmo senza renderla pubblica: ci ritrae in pigiama, sdraiati per terra, mentre mangiamo del cibo d'asporto. Sorrido al flebile ricordo, sempre più lontano. Le altre foto sono sue e della sua famiglia, una foto di Holly ancora piccolina, una invece dell'Empire State Building illuminato di viola per noi. Tra i quadri, invece, trovo una riproduzione della Notte Stellata di Van Gogh, l'unico che riesco a riconoscere. L'aria è satura di un profumo che non saprei nominare, ma che nonostante tutto riconosco come il suo, una delle poche cose in cui non è cambiato. Tutto qui dentro è e sa di lui in modo così aggressivo che quasi mi sembra di fare parte di quel suo piccolo angolo per sé stesso.

Penso di non poterlo reggere, sposto lo sguardo. E noto una porta che da sulla stanza, semi aperta: un bagno. Sospiro di sollievo, pensando già allo scorrere dell'acqua del rubinetto sul mio volto accaldato dalla festa appena iniziata. Tutte quelle persone e quelle emozioni; tutto quel rumore e quei sapori, tutti riversati come calore sul mio viso. Mi chiedo se a Yoongi possa disturbare che io usi il suo bagno, perché già mi sembra di averlo invaso a sufficienza. Cerco la risposta attorno a me, il mio sguardo torna sulla parete delle foto. E inaspettatamente ne trovo una nostra, solo io e lui. Eravamo in un parco a New York, credo, e avevamo deciso di fare una passeggiata la sera tardi, forse le due del mattino. Avevamo parlato tanto e bevuto insieme, come amici di vecchia data che non si rivedevano da anni. Yoongi si era quasi messo a nudo davanti ai miei occhi quella sera, come mai aveva fatto in sei anni di conoscenza...

Lo prendo con un permesso non verbale. Ha deciso di aprirsi a me quella sera, non c'è niente che lui debba aver paura di nascondermi, allora. Accedo quindi al bagno, accendo la luce su questa ambiente modesto, e richiudendo la porta dietro di me mi porto al lavandino. Faccio scorrere l'acqua e mi guardo allo specchio. E' da tanto che non mi guardo davvero allo specchio, perché ho sempre paura di quello che potrebbe uscire dalla mia immagine riflessa. Ad ogni parte o dettaglio del mio corpo solitamente associo un immagine o un ricordo, ed è proprio di essi che posso avere terrore. A molto del mio viso, per esempio, associo Yoongi. Non c'è una ragione precisa, è che molto di me è stato suo, senza che io potessi evitarlo, senza che io potessi volerlo. Non perché a lui associ il terrore, assolutamente, ma perché non ho ancora imparato a vivere con la sua mancanza, e lo realizzo ora. Perché sono chiuso nel suo bagno e non sono con lui al piano di sotto a chiacchierare? Non ragiono, non ho logica, non ho una spiegazione per il mio comportamento.

Mi osservo le labbra, poi le guance e gli occhi. Realizzo ciò che non avrei voluto mai realizzare: lo amo ancora. E' folle, dannatamente folle, perché non è da me amare in questo modo. Non credo neppure di sapere cos'è l'amore, anche se ormai ho ventinove anni. Ho creduto di provarlo quella sera a New York, quella della foto, quando lui mi ha rivelato le sue paure, quelle più profonde. Non voleva essere debole ai miei occhi. E io ne ero rimasto così stupito da averlo stretto forte a me, dicendogli che poteva e doveva essere debole ai miei occhi perché così gli avrei voluto ancora più bene. Fu quando pronunciai quella frase che realizzai la vera natura dei miei sentimenti verso di lui. In quel momento specifico della mia vita credetti di sapere che cosa fosse l'amore, come ci si sentisse ad essere innamorati, e quindi ne rimasi altrettanto spaventato. Ma lui era lì, così debole e stanco e vivo, e come avrei fatto io a non innamorarmi? Mi sembrò un obbligo, un ordine superiore. Solo dopo mi resi conto che non aveva senso, perché non gli sarei mai interessato, in primo luogo essendo uomo, in secondo essendo un amico-collega. Così mi richiusi a guscio in questa mia consapevolezza e trattenni tutto dentro di me. Idea a dir poco idiota, perché sapevo che prima o poi sarebbe tornato tutto alla ribalta. Ma così ho fatto, e ora ne pago le conseguenze, chiuso nel suo bagno e ormai alla mercé di me stesso.

Fino a quando.

Fino a quando non vengo bruscamente interrotto da una serie di passi oltre la porta scorrevole. Deve essere Yoongi, magari sta cercando qualcosa nella stanza. Credo sia ora di uscire allo scoperto, ma poi tendo meglio l'orecchio. I passi sono troppi per appartenere ad una persona. La curiosità mi sta letteralmente divorando all'improvviso. Mi dico che non dovrei, che è sbagliato, ma non posso fare a meno di aprire uno spiffero e osservare che cosa sta succedendo. Perché, perché l'ho fatto? Intravedo due figure avvinghiate. L'unico suono che sento è uno schioccare di labbra insistente e improvvisamente fastidioso. Riconosco la figura di Yoongi. Ed è totalmente la fine. La gelosia inizia ad emergere e a ribollire, sfigurandomi dall'interno. Vorrei ma non posso staccare gli occhi da lui e dalla figura che sta praticamente divorando: questa ha i capelli lunghi fino alle orecchie, tinti di biondo: porta dei semplici jeans e una camicia larga, gli occhi coperti da una maschera. Il suo corpo si muove sinuoso, ma brama un possesso che non è per nulla... femminile? Fa viaggiare le mani sulla schiena di Yoongi. Mi sembra di conoscerle, quelle mani, ma no, è impossibile. Non può essere.

La nausea mi cattura quando mi ricongiungo con quello che sto vedendo e l'invidia che prende possesso di me. Non avrei mai pensato di vedere davvero il ragazzo che ho amato per tutto questo tempo darsi a qualcun altro, un qualcuno che non sono io. Che egoista, che illuso.

Ma ora, oh dio, ora lui le sta sfilando la camicia. Lasciatemi andare, mi sta uccidendo.

E poi, poi ho la conferma d ciò che mai mi sarei aspettato, nonostante tutto di lei me lo stesse dicendo. Non è difatti una lei, ma un lui. Quel tatuaggio, che poi perché diamine se l'è fatto?, sembra voler replicare la sua natura sulle mie cornee.

Nove lettere, nove lettere capaci di ferirmi come poche cose al mondo. Nevermind.

Iniziano a pizzicarmi gli occhi in quel modo insopportabile. Jimin, Jimin. Il mio cervello è pieno del suo nome, e rimpiango tutto di quella sera, rimpiango tutto della mia vita, quasi. Questo dolore più unico che raro, corrode come acido e mi fa venir voglia di urlare, mentre sembra che le cose si stiano muovendo a rallentatore.

Il problema non è mai stato il mio orientamento sessuale, o quello di Yoongi. Il problema non è stato che io non fossi una donna, o che lui fosse eterosessuale o meno. Dio, no, il problema sono sempre stato io come Jung Hoseok. Deve essere per forza così; non si spiegherebbe, se no, quell'impeto verso Jimin. Significa che Yoongi non ha scelto me. Chissà da quanto tempo andava avanti questa cosa, chissà da quanto aspettavano di potersi vivere a vicenda. Tutto sommato, avrebbe fatto meno male se Yoongi fosse stato eterosessuale e basta.

Sospiro, capisco che devo muovermi di lì, che non posso più spiarli e privarli della loro privacy. Con un gesto secco apro la porta e attiro la loro attenzione. Ogni mia difesa cade nel momento stesso in cui le loro iridi mi riconoscono e mi fissano. Vedo il volto di Jimin, e forse preso dall'invidia e dalla rabbia, mi dico che con quel taglio di capelli è davvero orribile. Mi risulta quasi brutto, ma il mio stato d'animo deve essere sicuramente compromesso. Il suo petto scoperto si alza e si abbassa furiosamente, i suoi occhi sgranati.

Ma poi vedo Yoongi, immobile e silenzioso. Ha la bocca semi aperta, il volto pallido e gli occhi rossi per la stanchezza. Per la prima volta non voglio sapere niente da loro. Non voglio leggere ciò che c'è dietro, non voglio conoscere tutta la sua rabbia o confusione al momento, non voglio che mi ricordi che cosa ho sognato e che cosa ho evidentemente perso. Mi sono sprecato con lui e per lui, eppure non ne ho avuto ancora abbastanza. Fa tutto così schifo.

«S-scusate.» sussurro, perché non trovo altre parole. Le lacrime mi passano inermi sulle guance. Non so neppure se io debba nasconderle o meno. «Non volevo interrompervi...»

E con questo mi dileguo ufficialmente, fuori dalla porta e poi per il corridoio. Le loro presenze sono solo qualcosa che devo lasciarmi dietro, insieme ai ricordi e a tutto quel male che sento dentro.

Che cosa dovrei fare ora che ho il cuore a cielo aperto? Lasciare che qualcuno ci sbirci dentro e gli scagli addosso lapidi?

Poi ci penso. Non posso permettermi di mostrare tutto questo dolore e questa perdita infantile e momentanea. Sono ancora J-Hope, non è così?

Rimango sconcentrato, sorrido e faccio finta di nulla. Sono e sarò sempre Mr. LatoPositivo.

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