Katia

"I pazzi osano dove gli angeli temono d'andare.
(Alexander Pope)"

Milano, via Ripamonti. 
Ore 7:45 di un mattino freddo e piovoso di dicembre del 2019.

Nicko Neri, infermiere del Centro Psico-Sociale Milano 1, se ne stava seduto sul tram 24 ad ascoltare dagli auricolari bluetooth le ultime notizie da RaiNews.
Una, in particolare, aveva rapito la sua attenzione…

“...nelle prossime ore la NASA invierà una sonda, la Dagon 1, per studiare da vicino il misterioso oggetto celeste, simile a un buco nero ma senza campo gravitazionale, che si è materializzato nei pressi di Farout, il pianeta nano più distante del sistema solare. Da circa sei mesi questa anomalia cosmica, ribattezzata Nebbia Senza Nome, sta facendo impazzire astronomi e cosmologi.
Non sembra casuale, infatti, che essa sia apparsa nel momento in cui, l’estate scorsa, si sia compiuta la rarissima triangolazione astrale Giove-Saturno-Betelgeuse, evento cosmico che avviene ogni due miliardi di anni. Anche sui social Nebbia Senza Nome è diventato oggetto di discussione per complottisti, fanatici religiosi e ignoranti funzionali di ogni genere…”

Dall’altoparlante del tram una voce annunciò l’imminente fermata di Via Bellezza.
L’infermiere scese dal mezzo senza neanche aprire l'ombrello, nonostante la pioggia battente. Il bar Il Picchio distava neanche dieci metri, sull'altro lato della strada.

Notò che il Centro Psico-Sociale era già aperto. Qualche collega del mattino era già arrivato.
E infatti Lorenz, l'infermiere bergamasco, lo stava aspettando davanti al bar per il caffè di rito di inizio turno.
Nicko agitò la mano in segno di saluto e l’altro entrò nel bar, facendogli segno di seguirlo.

«Ti ho ordinato un caffè lungo. Sapevo che a un quarto alle otto saresti apparso» disse il collega, sorridendo. Aveva un'aria stanca.
«Che ci fai qui così presto? Di solito tu appari davanti alla timbratura alle otto in punto...», chiese Nicko, perplesso.
«In realtà sono qui già dalle cinque».
«Le cinque?!?»
«Sì, i colleghi del Centro Riabilitativo Avanzato mi hanno tirato giù dal letto. Avevano bisogno di aiuto. Katia è stata male stanotte».
«La violinista? Che ha avuto?»
Lorenz sorseggiò il suo caffè, poi guardò Nicko di traverso, abbassando la voce.
«Si è auto-vampirizzata».
«Cazzo! Ancora?»
«Sì, ma peggio dell'altra volta. L'hanno portata in Policlinico per trasfonderla».
«Porca zozza! Così, all'improvviso?»
«No. Già da ieri sera era strana, mi ha detto Boldi. A un certo punto aveva smesso di suonare Paganini. Dal suo violino uscivano suoni strani, striduli. Note tetre che avevano messo in agitazione anche gli altri pazienti».
«Che note?»
«Cazzo ne so, Neri! Mica capisco di musica come te?» rispose Lorenz, sarcastico.
«E poi?»
«Poi, pare che verso le tre del mattino abbia smesso. Boldi si è insospettito del silenzio improvviso ed è entrato in camera di Katia. Era completamente nuda e si stava succhiando il sangue dall'arteria radiale. Una roba spaventosa. 
Rosy, la studentessa infermiera che era in turno con Boldi, è svenuta dopo aver visto la scena. 
Lui ha fatto una fatica boia a medicare e sedare la paziente, per questo stamattina mi ha fatto arrivare con tre ore d'anticipo».
«Ma le era già successa 'sta cosa, no?», chiesi, incuriosito.
«Sì ma all'inizio, quando le avevano diagnosticato pure la Sindrome di Renfield, oltre a tutti gli altri casini nella sua testa. Era successo alla Scala di Milano, la sera della prima del Rigoletto. Katia era la prima violinista dell'orchestra, dirigeva il Maestro Muti. Fu una roba terribile, peggio che un film dell'orrore. C'erano un sacco di V.I.P che scapparono via terrorizzati, calpestandosi tra di loro.
Fu necessario un T.S.O. per portarla via».
«Un T.S.O. ... quel T.S.O., intendi?»
«Esatto! Quello dove il dottor Lauri perse l'articolazione normale della parola per lo shock ...»

Gli occhi di Nicko si illuminarono. Quanto avrebbe voluto esserci quella sera.
Glielo avevano descritto come un evento più unico che raro in ambito psichiatrico, per le unicità di quanto accade. Ma lui all’epoca lavoravo altrove e non avevo idea di cosa significasse avere a che fare con la Follia... 

«Però, da quando la conosco, Katia ormai stava bene».
«Benone, certo. Ancora due mesi e sarebbe andata a casa. Ma ormai hai cominciato a capirlo anche tu, coi matti non v'è mai certezza».
Nicko finì caffè in un unico sorso.
«Riusciamo ad andarla a trovare stamattina?»
«Se ti va, perché no?»

La mattinata si trascinò come al solito, al Centro Psico Sociale, fra telefonate di pazienti che volevano rinviare le visite programmate, o semplicemente dare sfogo ai loro deliri col primo malcapitato operatore che beccavano.
Come infermieri, quel mattino, c'erano Nicko, Lorenz e Alessandro, un milanese quarantacinquenne e misogino con la vocina sottile e la battuta feroce sempre pronta.
Trovavo Alessandro una persona insopportabile, per quanto intelligente. Tuttavia, la sua preparazione ed esperienza in ambito psichiatrico erano innegabili.
Lui, tra l'altro, era il case manager di Katia Di Giacomo, e di lì a breve sarebbe andato a farle visita in Policlinico.
«Posso venire con te, Ale?»
«Se non hai di meglio da fare, qui, vieni pure».
«Andate pure. Resto io di guardia qui, ragazzi», rispose Lorenz da dietro un'enorme fotocopiatrice.

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