Il Seme del Dio Demente

Quando rientrarono al Centro, Alessandro si sedette al computer e scrisse la sua relazione sulla cartella clinica di Katia, senza dire una parola.

Lorenz guardò prima lui, poi Nicko, con un punto di domanda negli occhi,
ma questi abbassò lo sguardo, facendo finta di cercare qualcosa nella sua scrivania.
Dopo quanto accaduto in Policlinico, non aveva idea di cosa dire e si sentiva in imbarazzo. Non era in grado di dare risposte neanche a sé stesso, e un feroce mal di testa aveva iniziato a tormentarlo, partendo dalla base del cranio.
Era come se il suo inconscio avesse rimosso una parte di quanto accaduto nella camera di degenza di Katia, ma ora stesse premendo per tornare...

L'ingresso del coordinatore, Marco Rigoni nella segreteria infermieristica fu provvidenziale e spezzò l'atmosfera tesa che si stava creando.
«Ragazzi, abbiamo un po' di imprevisti da risolvere».
«Che succede?» chiese Alessandro, senza staccare gli occhi dal pc.
«Oggi è la seconda settimana che il signor Tornese non si presenta per la somministrazione del farmaco depot e il dottor Lauri teme che anche a casa non stia assumendo la terapia.
Chi di voi lo segue?»
«Non lo abbiamo ancora preso in carico. Lo seguiva Manuela, che non lavora più qui», rispose Alessandro. «Vuoi che me ne occupi io?»
«Sì Ale. E per favore vai a fare un sopralluogo a domicilio, subito. Portati la valigetta col farmaco, magari riesci anche a somministrarglielo».

Dopo che Alessandro fu uscito, Rigoni si rivolse a Nicko e Lorenz.
«Chi di voi si può fermare a fare le dodici ore oggi? La Dani è stata male, stanotte».
«Mi fermo io, Marco. Non ho impegni oggi pomeriggio», rispose Nicko, cercando di ignorare i morsi della cefalea.
Sapeva che, se fosse tornato a casa, si sarebbe bruciato il cervello nel cercare di capire cos'era successo in Policlinico. Prolungare l'orario di lavoro lo avrebbe aiutato a distrarsi, e poi dovevo togliersi un certo dubbio dalla testa...

Disse a Lorenz che andava in pausa pranzo e, cercando di farsi vedere da meno persone possibile, salì al primo piano, al Centro di Riabilitazione Avanzata.
Sentì la voce dell'infermiere di turno, Aldo Baldassarri, che stava parlando al telefono in medicheria. Nel corridoio non c'era nessuno, i pazienti stavano pranzando.

Col passpartout aprì la porta della stanza di Katia, e ciò che vide lo fece precipitare nello sconforto.
Il suo violino era lì, appoggiato sul suo letto.
Aveva davvero avuto le allucinazioni in Policlinico?

All'improvviso il mal di testa esplose, letteralmente, invadendo ogni fibra del suo corpo, riempendolo di una sofferenza mai provata prima.
Sbatté più volte le palpebre e si ritrovò di nuovo in ospedale, nella stanza di Katia. Lei era ancora seduta sul letto a suonare le sue raccapriccianti note col violino, ma in qualche modo non era più lei.

La ragazza si era trasformata in una creatura inumana: completamente nuda, la sua pelle riverberava di una luce rossa e incandescente, come la lava di un vulcano attivo. Gli occhi erano gialli, senza iridi. Solo i lunghi capelli corvini erano gli stessi della Katia che conosceva.

All'improvviso smise di suonare e, strisciando sinuosamente sulle ginocchia, si avvicinò a Nicko.
«Devo darti una cosa...»
Di nuovo Nicko indietreggiò, terrorizzato.
«Non aver paura... Non ti farò del male».
Aveva le mani giunte. Una luminescenza putrida riverberava tra le sue dita.

In un attimo fu addosso a Nicko, che proruppe in un urlo terrificante.
La creatura gli strofinò la testa e il viso con quella sostanza vischiosa e immonda, finché l'infermiere non trovò la forza di ritrarsi.
La strana gelatina putrescente bruciava sulla pelle, accentuando il senso di fastidio e dolore che provava in tutto il corpo.

Nicko corse verso lo specchio rettangolare attaccato a una parete del minuscolo bagno della stanza di degenza, e quello che vide scatenò in lui il terrore: la testa e il viso erano completamente rivestiti da uno strato di muco grigio/bluastro, che si spostava sulla pelle grazie a migliaia di minuscoli e orribili pseudopodi.

Sulla sua superficie si formavano continuamente vesciche e piaghe, che scoppiavano in schizzi di pus e sbuffi di tossine venefiche e maleodoranti,  immediatamente riassorbiti dalla stessa sostanza catarrosa.

Nel muco traslucido affioravano piccole teste deformi che sembravano guardare negli occhi di Nicko, per poi sparire nella stessa patina gelatinosa e oscena da cui erano affiorate.

L'infermiere si sentiva risucchiare il cervello, mentre i minuscoli pseudopodi si estroflettevano in orrendi artigli e scavavano nel suo cranio.
Nicko si accasciò a terra, sputando grumi di catarro bluastro, mentre l'essere che era stato Katia continuava a tormentare il suo violino, gridando ad alta voce: «Ricevi il Ghadamon! Accetta il Seme Primigenio del Dio Demente! Īa īa Az'thot!»

All'improvviso Nicko si ritrovò sdraiato sul pavimento della camera di Katia al Centro di Riabilitazione Avanzata. Il mal di testa era sparito e il violino della ragazza era ancora appoggiato sul letto.
Si rimise in piedi, confuso e spaventato.

«Che cerchi, Neri?»
La voce di Aldo Baldassarri alle sue spalle lo fece trasalire. Si sentì come un ladro.
«Cercavo... quel coso lì» rispose, indicando il bel violino di pregiata ed elegante fattura, in contrasto con la biancheria del letto, in disordine e ancora imbrattata di sangue.

«Agli Oss è stata data indicazione di non toccare niente, di non rifare neanche il letto» rispose Aldo. «Stiamo aspettando che la Polizia venga a fare i rilievi di routine. Ma tu perché cercavi il violino?»
«Perché... quando io e Ale siamo andati a trovare Katia in Policlinico, mi è successa una cosa strana».
«So tutto, Nicko. Ale è passato da me, poco fa, prima di uscire».

«Lo immaginavo! Quello stronzo ora andrà in giro a raccontarlo a tutti. Passerò per pazzo e mi farà licenziare!»
«Allora dovrà far licenziare anche me. Non ho ancora detto niente a nessuno perché ho paura anch'io delle conseguenze, ma... è successo qualcosa di molto strano anche qui, stamattina. Più o meno alla stessa ora in cui tu e Ale eravate da Katia».
«Che è successo? Dimmelo!»

Aldo si mise il dito indice sulle labbra e si avviò verso il locale-biancheria, facendogli segno di seguirlo.
Una volta dentro si chiuse la porta alle spalle e spalancò gli occhi, fissando Nicko come uno spiritato.

«Ero in medicheria e all'improvviso i pazienti si sono messi a gridare e a lamentarsi in modo ossessivo. Qualcosa li stava disturbando.

Uno di loro, GianMaria Colli, è venuto da me e mi ha detto, piagnucolando, che Katia era tornata e stava suonando il suo violino. Mi sono affacciato sul corridoio ed effettivamente dalla stanza della ragazza provenivano delle note musicali. Ma erano distorte, malevole, era come se mi entrassero nell'anima e me la riempissero di tenebre e angoscia. Ho avuto un forte capogiro mentre mi dirigevo nella camera, le note di violino erano sempre più strudenti, cattive, e appena sono entrato mi si è appannata la vista e ho vomitato.
Ma quando mi sono ripreso, c'era solo silenzio.
Nella stanza di Katia non c'era nessuno, i matti erano tutti tranquilli.
Ho cercato di chiedere a GianMaria cosa avesse visto, ma si è chiuso a riccio e ha cominciato a ondeggiare avanti e indietro, isolandosi in sé stesso».

«Che sta succedendo, Aldo? Che cazzo sta succedendo qua dentro?»
«Non lo so, ma per ora mi basta sapere che non siamo impazziti all'improvviso. Facciamo finta di niente e teniamo gli occhi aperti».

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