Ghadamon
Il reparto di Ematologia del Policlinico distava meno di due chilometri. I due infermieri li percorsero in parte in tram, in parte a piedi, sotto il temporale.
Era quasi mezzogiorno ma il cielo era rimasto plumbeo.
Trovarono subito la stanza in cui era ricoverata Katia. Mostrarono i badge a Marika, una O.S.S. giovane e carina che Nicko conosceva da tempo ed entrarono.
Katia stava apparentemente bene, come se nulla fosse successo.
Stava suonando il suo violino, ma le note che produceva non erano quelle allegre e vivaci a cui erano abituati.
La musica era sconcertante, spaventosa, con suoni cupi, ombrosi e spettrali.
Pur se Alessandro era il suo infermiere di riferimento, non lo degnò di uno sguardo.
Appena vide Nicko smise immediatamente di suonare, accogliendolo con un ampio sorriso.
«Ciao Nicko! Che bello! Sei venuto a trovarmi».
«Ciao Katia. Come stai?»
«Bene. Ma non mi piace qui. Quando mi fate tornare al Centro di Riabilitazione Avanzata?»
«Appena starai meglio, Kat. Che mi combini, pure te?»
La ragazza tornò seria e posò lo strumento sul letto. Giunse le mani e cominciò a sfregarle rapidamente tra loro. A Nicko sembrò che brillassero di una strana luminescenza verdognola e putrescente.
L’infermiere si girò verso Alessandro, ma questi era distratto da qualcosa che stava osservando fuori della finestra. Tornò a rivolgere lo sguardo a Katia e incrociò i suoi occhi. Facevano paura.
«Avvicinati. Devo dirti una cosa», sussurrò la ragazza.
Nicko ebbe un fremito di terrore.
«Non ti farò del male. Avvicinati. Ho qualcosa per te...»
«Cosa... cosa devi d...»
«Una cosa preziosa. Ti proteggerà e ti renderà… potente! Baluardo della Terra, sii degno del Ghadamon!» e con un balzo si avventò su Nicko, spalmandogli sulla testa e sulla faccia una melma luminosa verdastra e maleodorante.
Nicko si ritrasse, spaventato a morte.
Alessandro lo distolse dallo shock, prendendolo per un braccio.
«Dai, andiamo, Nicko. Lasciamola tranquilla».
Si lasciò trasportare fuori dalla stanza, girandosi un’ultima volta a guardare quella stramba paziente.
Ma la ragazza dai capelli corvini non lo guardava più. Aveva ripreso a suonare le sue note strazianti.
Ripercorsero la strada del ritorno a piedi. Ormai aveva smesso di piovere.
«Cazzo Ale, ma hai visto cosa ha fatto quando ha smesso di suonare il violino? Potevi almeno darmi una mano, cribbio! E se mi ammazzava?»
«Eh?» si limito a rispondere l’altro, continuando a camminare.
«Ma mi è saltata addosso, fortuna che si è limitata a strofinarmi in faccia quella porcheria!»
Alessandro si fermò, squadrando Nicko come se fosse un pazzo furioso.
«Porcheria? Saltata addosso? Ma... ma che ti sei fumato?»
«Perché? Che ho detto di strano?»
Il suo collega scoppiò a ridere.
«Vabbè, mi stai prendendo in giro...» disse, riavviandosi subito verso via Ripamonti.
Nicko lo afferrò per una spalla, scuotendolo.
«Cosa ho detto di strano, ti ho chiesto?»
«Tu sei fuori! Era lì sdraiata, mezza morta, bianca come un cadavere, incosciente e attaccata all'ossigeno... e mi dici che ti è saltata addosso dopo che ha smesso di suonare il violino?!? E il violino dov'era? E di che porcheria parli? Tu i violini e le porcherie ce li hai nella testa, fidati!»
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