01. AZIONI
"Chi lotta contro i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro..."
Vivian
Tell you you're the greatest
But once you turn, they hate us
Oh, the misery
Everybody wants to be my enemy
Spare the sympathy
Everybody wants to be my enemy
ENEMY, di Imagine Dragons
La prima cosa che sento è il rumore, il suono della carne lacerata e dei tendini rotti.
Poi vedo il sangue. Fuoriesce a fiotti dalla ferita e mi macchia il vestito. Boccheggia alla ricerca di aria, nel tentativo disperato di recuperare attimi preziosi che io gli sto rubando. Tiro il coltello fuori dalla carne e un gemito lascia le sue labbra. Il suo incarnato si fa pallido ed emaciato in poco tempo.
Le gambe cedono improvvisamente, un sospiro sommesso mi abbandona il petto.
Che cosa ho fatto?
-Vivian...Ti prego...-
Allunga una mano verso di me, le dita tremolanti sporche di rosso. Mi macchia la guancia con una macabra carezza, tatuandomi sulla pelle l'atto deplorevole appena compiuto.
Asciugo le lacrime e il sangue che mi segna la pelle furiosamente, sicura che lui non mi avrebbe riservato la stessa premura.
Lo afferro per le spalle e lo faccio sdraiare sul pavimento mentre i suoi respiri si fanno più affannosi e le forze lo abbandonano. Lo osservo spalancare le fauci, incamerando quanta più aria possibile. Osservo la vita abbandonare i suoi occhi, mentre le mani cercano di aggrapparsi a me. Le scaccio con forza allontanando il suo corpo dal mio, il disgusto che mi impedisce di esprimere a parole il disappunto.
Verso chi? Verso di lui o verso te stessa?
Abbandona la testa contro il legno del parquet, gli occhi semichiusi e la camicia bianca sporca di sangue. Solo quando il suo petto smette di muoversi in movimenti lenti e regolari mi rendo conto del danno commesso.
Ho ucciso un uomo. Ho messo fine ad una vita innocente. E non la vita di chiunque.
Mio padre. Cazzo.
La testa inizia a pulsare sotto il peso dell'omicidio e dello stress di una serata che ho evitato come la peste.
Bugia. Da quando ho scoperto che razza di uomo era non ho fatto altro che desiderare di piantargli un pugnale nel petto.
Forse questo mi rende una persona orrenda. Chi vorrebbe mai avere accanto un'assassina? Una persona capace di uccidere il sangue del suo sangue, colui che ti ha donato la vita, che ti insegnato ad andare in bicicletta per la prima volta, che ti ha fatto mangiare il cioccolato anche dopo cena... Chi potrebbe mai fare una cosa del genere?
Io, ecco chi.
Lo sguardo mi cade accidentalmente sulle mani sporche di rosso, il vestito rovinato, il corpo accanto al mio. Un corpo così familiare, così freddo al tocco.
Pianto le unghie nella pelle del palmo fino a quando non sento il dolore pungente irradiarsi per tutto il braccio.
Non puoi vomitare ora, Vivian.
Mi guardo intorno. La casa curata, le pareti decorate da quadri famosi, il camino acceso, il divano comodo sul quale ero solita studiare...
Dove cazzo lo seppellisco ora?
Un senso di vuoto mi corrode le membra, inghiottendomi dall'interno. Un vuoto in cui vorrei solamente sprofondare per potermi nascondere dal resto dell'umanità.
Osservo il cadavere, poi il camino che lui soleva accendere durante le notti più fredde, quelle in cui nemmeno il calore familiare sembrava allontanare i demoni.
I tuoi o i suoi?
Potrei bruciare il cadavere. Farlo mangiare dalle fameliche fiamme che lambiscono corpi e nascondono misfatti. Scomparirebbe da questa terra in via definitiva. Nessuno potrebbe seppellirlo, nessuno potrebbe piangerlo, nessuno potrebbe trovarlo. Rimarrebbe solo nei ricordi di mia madre e nei miei incubi più terrificanti.
È la cosa giusta da fare.
Strappo il coltellino dalla carne ponendolo nella tasca del giaccone. Il suo coltellino.
Afferro con mani tremanti la bottiglia di scotch che aveva iniziato di recente, la apro annusando il liquido ambrato che porta memorie rilegate alla mia pelle.
Poi ungo la sua, quasi santificando il suo corpo già martoriato.
Quando avevo sedici anni mio padre mi ha comprato un accendino, Diceva che mi sarebbe servito in due occasioni: o per accendere le sigarette di un pacchetto appena comprato o per esprimere un desiderio quando fossi rimasta sola e nessuno mi avrebbe portato una torta ricoperta di candeline sottili.
Non avrei mai pensato che ci potesse essere una terza opzione.
Faccio scorrere il pollice sporco di rosso sulla rotellina in metallo, la fiamma che si allunga verso l'alto messa in pericolo dal mio respiro affannoso. Osservo le lingue di fuoco nel camino e poi quella piccola miccia nella mia mano.
Il corpo andrà in putrefazione se non lo faccio. Anche se dovessi nasconderlo, i vermi si nutriranno della sua carne, le mosche troveranno rifugio tra le sue ossa, i capelli si staccheranno a uno a uno, gli occhi traslucidi si spegneranno.
Lo faccio per lui. Perché nonostante tutte le cose orribili che ha fatto, la pietà è un dono che si concede ogni giorno. Sento le lacrime scorrermi sulle guance, il respiro bloccarsi nel petto.
Ho ucciso. Il rimorso e il rimpianto mi troveranno, prima o poi. Ma non ora.
-Vivian... -
O forse ora.
Mi giro lentamente, terrorizzata ancora prima di vederla. I suoi occhi incontrano i miei, perlustrano la stanza, il mio corpo e anche il suo.
Un grido silenzioso le percuote le membra, la porta a spalancare le labbra tinte di rossetto.
Anche le mie sono colorate, ma del sangue di mio padre. E questo per lei è troppo.
Si lascia cadere a terra, il vestito che si sporca di alcool e di rosso. Striscia verso di me, verso il marito. Lentamente, inesorabilmente. Con mani tremanti gli scosta le ciocche di capelli dalla fronte sudata. La mia mano, d'altra parte, si consuma sotto il calore dell'accendino.
Quando gli occhi di mia madre si chiudono pieni di lacrime è come se tornassi in me. La testa prende a fare male, il respiro a farsi affannoso, il pianto a farsi copioso. Il rimorso. La pena. Il dolore. Sopraggiungono insieme, mettendomi sulle spalle un peso che non ho mai voluto, marcando la mia anima in una colpa non necessaria.
Forse era necessaria.
Mi accuccio accanto a lei, accarezzando con le nocche la sua guancia rigata di mascara colato. La chiamo, come quando ero bambina e mi aggrappavo alla sua veste cercando di attirare la sua attenzione.
-Corri, Vivian. – risponde, la voce graffiata dall'odio e dalla sofferenza.
-Perché? –
-Perché se rimani qui non esiterò a chiamare la polizia. –
Sposta lo sguardo rammaricato su di me, gli occhi traboccanti di pensieri che non può pronunciare.
Non mi sposto di un millimetro. In mano stringo l'accendino ormai consumato. Sono consapevole di quello che vuole fare, ma ciò nonostante non riesco a sottrarmi dall'accusa alla quale sono chiamata.
Ho ucciso mio padre, per motivi sensati e giusti, e ne pagherò le conseguenze anche se tutte le azioni deplorevoli che ho compiuto sono altrettanto ragionevoli.
Non passa molto tempo prima che luci rosse e blu si proiettino sulla parete davanti alla mia faccia. Ombre di uomini e donne si allungano sul cartongesso con celerità come incubi pronti a rapire un bambino.
Ma io non sono una bambina indifesa. Ho accettato le mie azioni nel momento esatto in cui il telefono ha smesso di squillare e quelle parole hanno abbandonato la bocca di mia madre.
Mia figlia ha ucciso mio marito.
Quindi non mi spavento quando il portone di legno sbatte con forza contro il muro provocandone la rottura. Né quando quattro agenti mi puntano addosso le canne di lunghe
pistole cariche solo per me. Fremono tra le loro dita, quasi come i proiettili non vedessero l'ora di trapassarmi la pelle al cenno di una mossa sbagliata.
Non mi preoccupo nemmeno quando uno di loro si posiziona dietro di me e spinge a terra il mio corpo fermo, in ginocchio dove sono sempre stata. Né nel momento in cui mi stringono i polsi in una gelida presa pari a quella della morte.
La paura arriva inaspettatamente. Il mio animo era troppo calmo durante il susseguirsi di tutto questo, dunque dopo qualche minuto soltanto ho assimilato quelle parole.
Vivian Rey, sei in arresto. Hai il diritto di rimanere in silenzio. Tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te. Hai diritto ad un avvocato. Se non te lo potrai permettere te ne sarà assegnato uno d'ufficio.
È surreale. Il giorno prima guardi un film poliziesco in cui il cattivo della storia viene imprigionato per le sue azioni, punito per gli atti deplorevoli che la sua anima nera lo ha spinto a compiere.
Il giorno dopo diventi un cattivo.
Il sangue di mio padre si secca sulla pelle, si deposita sotto le unghie. Mi sporca il volto, le mani, le labbra, il vestito. Si cicatrizza su di me come promemoria di ciò che sono ora.
Non l'eroina, non la protagonista.
Una mano si posa sulla mia nuca portandomi a chinare la testa. Il gesto riporta alla mente ricordi di una vita passata ormai finita all'inferno.
Non puoi vomitare ora, Vivian.
Le gambe si muovono meccanicamente. Prima una, poi l'altra. Finisco seduta dietro a sbarre che lasciano intravedere il volto rammaricato di mia madre che si rovina le unghie smaltate con i denti. Cerco il coltellino nella tasca quasi come se fosse un'àncora per la mia testa, ma non lo trovo. Confiscato.
Osservo la casa che si staglia dietro di lei, teatro di bugie e dolore. A poco a poco le luci lampeggianti abbandonano il loro posto fisso sulle pareti beige, segno che ci stiamo muovendo.
Non sento niente. Non vedo niente.
Sento solo le ultime urla di mio padre nella testa. Vedo solo il suo sangue.
SPAZIO AUTRICE
ECCOCI! Iniziamo con il botto, eh? Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Lasciate una stellina⭐
XOXO💕
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