6 | coincidence

Tutti, a volte, necessitavamo di un qualcosa che ci salvasse dalla vita ordinaria che conducevamo; che ci facesse rilassare, prendendo una pausa da quel che, spesso, pareva troppo da sopportare; che facesse tacere il mondo e permettesse a noi, di dire – senza troppe esitazioni – quello che ci ronzava nella testa. Quel qualcosa per me, come altri nel mondo, era l'alcol. Lo reputavo il mio secondo migliore amico, dopo Toni; non mi aveva mai delusa, se non per quelle volte in cui mi risvegliai in un letto sconosciuto. Mi piaceva ubriacarmi, bere fino a star male e continuare a volerne ancora e ancora perché la sbronza in sé era l'unica cosa che mi ricordava di essere viva, disconnettendo la parte più intelligente del mio corpo, il cervello.
E anche questo, come il discorso sulle notti, era qualcosa che facevo nel passato. Adesso ero adulta, dovevo comportarmi adeguatamente e dovevo fare da esempio ai più piccoli. Ah, ma al diavolo! Io, in primis, ero consapevole di avere ancora la loro psiche.

Stentatamente alzai le palpebre, che parvero pesare quanto un'ancora di una nave. Non venni accecata da alcuna luce intensa, poiché astutamente prima di dormire avevo abbassato le serrande, facendo sì che il buio dominasse nella mia camera. Mi tirai su in piedi e battendo la spalla e il mellino ovunque, raggiunsi il bagno e liberai il mio fegato da qualsiasi cosa avessi ingerito la sera precedente. Di punto in bianco, Toni mi affiancò e mi raccolse i capelli scompigliati e pieni di nodi, in una coda bassa cosicché non li mischiassi assieme al mio vomito. Era sempre così: nonostante prima avessimo litigato, non smetteva mai di prendersi cura di me.

"Perché hai bevuto?" chiese con un cipiglio misto tra il deluso, preoccupato e arrabbiato.
Mi schiarii la gola e mi pulii sia la bocca che il naso, ma poi ci misi tre minuti per trovare una risposta alla sua domanda.

"Un momento di debolezza, Toni. Nulla di cui preoccuparsi." tentai di rasserenarlo, ma invano.

"Dopo ben tre anni e mezzo sei ricaduta in tentazione." mi rimproverò e lo odiai per aver ripreso quel puzzle del mio passato, ricordandomi quanto bevessi, il perché lo facessi e dove finii, cioè a far parte degli alcolisti anonimi.

"So controllarmi, tranquillo." ribadii, ma più cercavo di rassicurarlo, più si alterava e prendeva diverse sfumature di rosso per la rabbia.

"Lo spero per te." mi augurò e si indirizzò verso il corridoio, ma lo rincorsi e lo supplicai:"Non guardarmi così, ti prego."

"Così come?"

"Nello stesso modo di pochi anni fa, quando mi venivi a prendere nel cuore della notte ed ero brilla." mi tremò persino la voce. Benché avessi trascorso notti e notti a bere, una cosa che non fui in grado di dimenticare era quel suo sguardo deluso e al contempo inviperito, ma che mi lasciava anche intendere che dinanzi a sé avesse una persona rotta con scarse possibilità di essere riparata. E, diamine, io non volevo essere quella persona.

"Brilla? Eri ubriaca fradicia, eri un'alcolizzata." strillò e io urlai usando il medesimo tono ed enfatizzando il fatto che si fosse espresso con l'imperfetto:"Esatto! Ero, quindi non guardarmi come se lo fossi nuovamente."

"Vai a correre o non fai in tempo a lavarti dopo." sviò l'argomento e mi diede le spalle per poi rinchiudersi nella sua stanza. Io, invece, presi un'aspirina e mi cambiai per fare, appunto, la mia corsa mattutina; corsa che quel giorno avevo bisogno più di ogni altra cosa.
Fortunatamente era domenica e non avrei dovuto lavorare perciò, rimasi in riva al mare più del solito. Puzzavo di vomito e di sudore, ma non mi importava. Non conoscevo nessuno di lì quindi non avevo il timore di essere vista e affiancata da qualcuno, ma a quanto pare mi sbagliavo dato che nella strada di ritorno, incrociai Stefan che si affrettò a parlare con la sottoscritta.

"Ciao! Sai che non ho ancora presente il tuo nome?"

"Mi chiamo Caroline e scusami se puzzo, ma ho vomitato per la sbronza e ho sudato per la corsa." parlai velocemente spiegando già perché puzzassi in quella maniera impressionante e lui ridacchiò in risposta, dicendomi che non avevo niente di cui vergognarmi, che sapeva emanare un odore più sgradevole quando andava in palestra.

"A proposito di ieri sera, come fai a conoscere Klaus Mikaelson?"

Risultò stranamente interessato e, senza troppi problemi gli riferii di averlo conosciuto alla mostra d'arte, circa due venerdì fa.

"Ascolta il consiglio di un amico ed evitalo." mi suggerì per la seconda volta, ma non avrei mai dato retta alle parole di uno sconosciuto. Volevo conoscere Klaus e così avrei fatto. Se risulterà la decisione peggiore della mia vita, me ne farò una ragione, ma ero intenzionata a scoprirlo.

"Amici? Ti conosco appena." affermai, ma non mollò.

"E io conosco lui da una vita." replicò passandosi una mano tra i capelli, probabilmente alla ricerca di qualcosa che potesse persuadermi.
In effetti, il fatto che mi stesse mettendo in guardia dalla scorsa serata, fece sorgere in me differenti domande, ma le accantonai in un angolo e rimasi fedele al mio nuovo obiettivo, ossia quello di capire chi fosse Klaus, senza ma senza se.

"Stefan, io devo tornare a casa." lo avvisai e prima di permettermelo, mi lasciò il suo numero in caso di emergenza. Fu un gesto inaspettato e lievemente preoccupante, ma forse quel che aveva affermato serviva solo a registrare il proprio numero nel mio cellulare. Ci stavo pensando troppo per i miei gusti e decisi dunque di preoccuparmi di altro, per esempio di cosa avrei indossato alla festa dei Mikaelson.
Tornata all'appartamento, mi lavai, mi vestii e uscii di nuovo per girare nei negozi. Feci un salto da Blanco, ma i prezzi alti mi incitarono a cercare altrove, ché non era certamente per me dato che non avevo un albero di danaro. Proseguii la mia ricerca, ma alla fine non trovai un abito che mi piacesse e mi fasciasse alla perfezione, bensì dei pretzel enormi in uno dei mercatini europei presente nella piazza di Nizza. Passeggiai per un tempo indeterminato in città, sino a giungere difronte ad una fontana, accanto alla quale vi era una miriade di persone che dipingevano sul momento sulle proprie tavole.
Era uno spettacolo e lo fu ancora di più quando mi accorsi di un quadro familiare.

"Klaus?" mi avvicinai all'uomo quasi certa che fosse lui e miracolosamente ci azzeccai.

"Oh, salut, Care." si voltò e sorrise sorpreso. Abbandonò immediatamente il suo lavoro e si parò davanti a me, mentre con si puliva le mani con un piccolo asciugamano, ormai sporco di tempere ad olio.

"Come è possibile che ti incontri sempre adesso?!" chiesi sconcertata dalle differenti e sempre più frequenti coincidenze.

"Sto bene, grazie per l'interesse." scherzò e poi il suo occhio cadde sulla busta contenente il mio cibo, che tenevo come se fosse il mio tesoro. "Uh, hai preso un brezel anche per me?"

"Cosa? Eh? No, sono per me."

"Ne hai comprate tre e sono tutte per te?" strabuzzò gli occhi, ma rimaneva comunque divertito. Che male c'era? Una ragazza non poteva mangiare tanto quanto un ragazzo?

"Qualche problema?"

"No no, ma..." e trattenne una risata.

"Non osare continuare quella frase."

"Okay." disse e cambiò argomento:"Come mai sei da sola qui in città?"

"Stavo cercando un vestito per la fantasmagorica festa dei Mikaelson."

"Tu e la tua ironia siete impressionanti, mi riservi un ballo, vero?" cercò conferma, ma io non gliela diedi, non sapendo se farlo o meno. Sì, la mia opinione su di lui stava variando positivamente, ma ad intralciarmi non c'era solo il fatto che lo conoscessi poco e niente, ma c'erano anche le parole di Stefan.
Klaus, visto il silenzio tetro che si era creato, cambiò nuovamente argomento e lo ringraziai mentalmente. "Comunque, vedo che ti sei ripresa subito dalla sbronza."

"Ho vomitato l'anima stamani, ma sì."

"E ti ricordi ogni singolo dettaglio di ieri?" domandò e io sapevo alla perfezione che non aspettava altro che ripetere quel che gli avevo detto in confidenza, ma non gli avrei dato tale occasione.

"Qualche frammento... e sì, la parte in cui ti ho detto tu sai cosa è inclusa."

"Tranquilla, faccio finta di non avere mai sentito le tue parole." rise e io sprofondai dalla vergogna. Non mi ero limitata ad un semplice complimento, ma ero andata ben oltre affermando che aspiravo a dargliela un giorno e a provare posizioni ambigue.

"Ti ringrazio, anche perché non penso a quelle cose, cioè dai... no." tentai di convincerlo, ma con scarsi risultati.

"Sì, certo."

"Torna ad usare il tuo pennello." arricciai il naso e lui senza neppure farselo ripetere, obbedì, non prima di controbattere:"E tu ad abbuffarti."

Mi scappò un sorriso, che, grazie a Dio, non vide. Tornai sui miei passi e mi fermai un attimo vicino alla fontana per esprimere un desiderio; lanciai una moneta da due euro e desiderai di trovare la felicità. Poteva suonare banale e troppo generico, ma per me significava tutto. Ero consapevole che le stelle cadenti, le candeline sulla torta di compleanno e il resto non servivano a nulla, che era solo un'usanza, ma a me piaceva crederci.

"Cosa hai espresso?"

Sobbalzai per lo spavento alla scoperta che Klaus era dietro di me.

"Mi è quasi venuto un infarto! Non stavi mica dipingendo?" mi portai una mano al cuore che, ora come ora, stava battendo talmente forte e veloce che ebbi la paura che di colpo si arrestasse.

"Il mio quadro può aspettare." mi comunicò facendomi l'occhiolino.

"Sì, e nel frattempo perché non spaventare Caroline?" sbraitai ancora scossa.

"Esatto," affermò e dando un'occhiata all'acqua della fontana, constatò:"Ci sono poche monete."

"E che cazzo c'entra adesso?" chiesi antipatica.

"Sei una delle poche che crede ancora a questa cazzata illusoria." contestò e notando il mio cipiglio spiazzato, aggiunse:"Non fraintendermi, è una bella cosa."

"Non la fai sembrare una bella cosa." ribattei a mia volta, tirando fuori un pretzel per poi mangiarlo. Emisi un gemito per la bontà di esso mentre lui portò avanti il discorso:"Credere in qualcosa è bello."

"E tu in cosa credi?" mi finsi interessata nonostante fossi più presa dal mio amato acquisto.

"Io credo nell'arte perché mi fa stare bene, perché mi rilassa e mi permette di esprimermi a modo mio." rispose conciso, "E tu in cos'altro credi? Oltre a questa scemenza, intendo." precisò, ammirando intensamente ciò che avevo tra le mani. Era inutile che facesse così, non ero quel tipo di persona che amava condividere.

"Nel mio fegato." risposi decisa, senza nemmeno rifletterci.

"Perché?"

"Perché è ancora forte nonostante tutto l'alcol." ed effettivamente era la verità. Insomma, fu un miracolo che non cedette durante il mio periodo di alcolizzata suprema, ché incazzata con chiunque.

"Sei incredibile! Mi aspettavo una risposta più smielata, che so io?, per esempio l'amore."

"Non fa per me, a dir la verità."

"E dove pensi di finire con me?"

"Magari diventiamo buoni amici."

"Mi deludi con le tue risposte! Mi aspettavo dicessi sesso; dopotutto, ieri hai messo bene in chiaro le cose." ammiccò ancora alla sbronza della sera precedente e ciò alimentò la mia voglia di mettergli le mani addosso per farlo tacere.

"Lurido! Poco fa hai detto che avresti fatto finta di niente."

"Ops."

"E io che stavo pensando di darti uno dei miei pretzel!"

"Davvero?" il volto gli si illuminò e sembrò addirittura un bambino al quale avevano appena comunicato che Babbo Natale era passato e gli aveva portato moltissimi regali.

"No, ma volevo illuderti come tu hai illuso me."

"Stronza e infantile, ma non ti giudico."

"L'hai appena fatto, coglione incoerente."

Ridacchiammo e io dovetti congedarlo, ché si era fatto tardi e avrei dovuto cucinare io il pranzo quel giorno.

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