3 | three things
Nella vita, tre cose, di nota importanza, ci fottono: l'amore, il quale può stravolgerti in un solo colpo positivamente o negativamente che sia, anche se tu non lo vuoi. Se bussa alla tua porta, sei costretto a spalancarla, inutile opporre resistenza.
Il tempo, il quale migliora o peggiora la situazione, allevia o aggrava il dolore fisico o mentale, ma soprattutto ricorda che nessuno ti attende e che devi, dunque, far sì che ogni giorno tu vada a letto e pensi che ne sia valsa la pena.
E, infine, la morte, la quale é una benedizione e una maledizione al contempo, ché ti libera dalla sofferenza vissuta, ma che ti priva anche di quel che ti fa sentire vivo. Tre semplici parole che mi spaventavano, che trasformavano le mie gambe in gelatina. Provavo un astio incredibile per queste, ma era così che funzionava, non è vero? Provavi odio per qualcosa che, in fondo in fondo, temevi perché per quanto tu provassi a controllare, a respingerle, era una sconfitta già in partenza e tu ne eri consapevole, ma eri anche testardo. Io l'avevo fatto, ma solo perché ero fermamente convinta che l'amore non fosse per me, che sicuramente non sarebbe stato epico come quello che si scambiarono Romeo e Giulietta fino alla morte, come quello che si scambiarono Achille e Briseide in guerra, come quello che si scambiarono Paride ed Elena fregandosene di tutto e di tutti.
Quell'amore che tanti desideravano: passionale, pericoloso, platonico e immortale. Vedevo esso come un miscuglio di emozioni che ti consumavano e che, spesso, ti travolgevano, e io non lo volevo, mi terrorizzava.
Per quanto riguarda il tempo, che dire? Lo trovavo egoista, più egoista di me e ce ne voleva per superarmi. Le lancette dell'orologio andavano avanti e tu, a volte, nemmeno te ne rendevi conto. Volevi, magari, qualche secondo, qualche minuto, qualche ora in più ancora per te, che so io?, magari dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro.
Per non parlare di come i bambini volessero crescere in fretta, di come gli adolescenti volessero diventare adulti e al contempo tornare piccoli, di come gli adulti volessero fare tutt'altro che sgobbare ventiquattro ore su ventiquattro. Se a volte il tempo sembrava non passare mai, altre sembrava che passasse Barry Allen nelle vesti di Flash.
Sulla morte, invece, non avevo molto da ribadire, insomma, per quanto la vita potesse essere faticosa, non volevo di certo andare nell'oltretomba. Avevo preso una brutta piega, sì, ma non rinuncerei mai al calore del Sole a contatto con la mia pelle, alle emozioni che provavo in qualsiasi momento, a qualsiasi cosa che mi facesse sentire viva, anche il dolore.
E adesso, s'aggiungeva pure Klaus Mikaelson nella lista, anche senza fare niente! Dopo soli due incontri casuali, mi stava fottendo il cervello. Immaginavo costantemente il suo sorriso, quasi mai presente sul suo viso. Immaginavo lui, con quei suoi occhi belli e terrificanti. Immaginavo come sarebbe stata la cena di Venerdì, che sarebbe domani, invito al quale non ebbi il tempo di rispondere.
"Caroline, smettila di startene lì in piedi." mi riprese, come sempre ormai, Alaric.
Mi ero incantata dal quadro che mi aveva già ammaliata una volta e dire che mi consideravo una stupida, sarebbe risultato solo un complimento. Dovevo arrendermi all'idea che non l'avrei più rivisto. Abbassai lo sguardo, amareggiata, e poi tornai a lavorare: leggevo e leggevo i fascicoli, scrivevo e altre baggianate per cui venivo pagata. Ad un tratto l'occhio mi cadde su un post-it che sicuramente non avevo appiccicato io sulla scrivania e con riluttanza lo afferrai e lessi:
ci vediamo al ristorante Le Sejour Cafè, 11 Rue Grimaldi, alle 19:00. Tre parole: non darmi buca. – tuo, Klaus.
Mi fissai attorno felice alla ricerca delle sue iridi verdi, anche se l'idea che mi stesse prendendo in giro mi era passata davvero per l'anticamera del cervello. La risatina del mio collega, dipendente dal caffè, mi distrasse. Parevo una bambina innamorata, mi derise e poi aggiunse che poco fa, mentre ero impegnata a non fare nulla, Klaus aveva domandato a lui di attaccare quel bigliettino. Mi maledissi mentalmente perché diamine avevo la testa tra le nuvole?! Tentando di non saltellare per l'allegria che ciò mi aveva provocato, terminai il mio lavoro, incapace di non distrarmi.
Entrai a casa, pronta per abbassarmi per accarezzare Sparkle, ma aprendo la porta, colpii una persona, precisamente una ragazza e, mortificata, la aiutai ad alzarsi, ma non appena ebbi una prospettiva migliore per vederla, la riconobbi: Vivian Fernandez, una vecchia conoscenza di Mystic Falls. Era dimagrita parecchio, potevo addirittura paragonarla a quelle ragazze anoressiche di Victoria's secret, e non era di certo un complimento: sembrava portare più anni sulle spalle e la singolarità della sua bellezza, era rovinata. S'era perfino tinta i capelli, roba da non credere; al liceo mi puntava sempre il dito solo perché ero bionda. Tuttavia, avevamo trascorso dei bei momenti insieme e se era lei la ragazza che frequentava Toni, dovevo comportarmi bene.
"Oddio, Vi?" esclamai sorpresa, sotto sotto frustrata, e lei non appena focalizzò la mia faccia, strabuzzò gli occhi.
"Che cosa ci fai qui?"
"Sei tu la coinquilina di Toni?"
"E tu la ragazza misteriosa?"
Ponemmo velocemente senza degnare nessuna delle due delle risposte e quando ce ne accorgemmo, scoppiammo a ridere facendo sì che Toni ci raggiungesse, confuso.
"Che sta succedendo qui?" si allarmò grattandosi la nuca mentre un cipiglio preoccupato occupava il suo visetto.
"Non mi avevi detto che frequentassi una delle mie vecchie amiche." parlai io e lui parve avere ricevuto una coltellata nel cuore.
"State scherzando, vero?"
"Perché non rimani a cena, Vivian?" le proposi ignorando totalmente il mio migliore amico che aveva l'impressione di volermi prendere a calci.
"Mh, io dovrei andare, facciamo la prossima volta, va bene?" rimandò Vivian e anche se triste, annuii lasciandole lo spazio necessario per andarsene. Mi lasciò un bacio sulla guancia e si volatilizzò definitivamente.
Non avrei mai creduto di potere ritrovarla qui, nel mio appartamento dato che avevamo troncato la nostra amicizia.
"Dimmi perché cazzo l'hai invitata a cena!" esigé inviperito, sporgendosi verso di me facendomi sentire, di conseguenza, piccola piccola.
"Non riscaldarti, é una mia amica, non posso?"
"Mi ha appena piantato." abbassò il tono della voce e a quel punto fui io quella che venne accecata dalla rabbia.
"Quella brutta zoccola!" sbottai con l'intento di rincorrerla, ma Toni mi prese in braccio impedendomelo. Mi dimenai come una bambina capricciosa fino a quando mi stancai e mi mise giù. Non potevo crederci, se c'era una cosa che non sopportavo, era vedere triste il mio migliore amico. Okay che era un coglione, ma chiunque lo facesse soffrire, le avrebbe prese da me - anche se era un'amica per la sottoscritta.
Toni ridacchiò per il mio scatto improvviso di violenza e mi abbracciò, grato.
"Che farei senza di te?" chiese.
"Faresti schifo." scherzai tenendo salda la stretta. Non eravamo soliti abbracciarci, perciò io ne approfittavo quando accadeva.
"Come é andata oggi a lavoro, stronzetta?" sciolse il contatto fisico e mise un po' di acqua dentro la pentola per la pasta per preparare la cena.
"Ricordi che Klaus mi aveva invitata ad un appuntamento pochi giorni fa?" sussurrai timida.
"No, non me l'hai raccontato." inarcò un sopracciglio e sogghignò.
"Mh, ecco, allora, all'inizio volevo fare la preziosa, ma prima ancora che rispondessi, mi ha voltato le spalle e si é indirizzato verso l'uscita. Proprio oggi ho trovato un post-it sulla mia scrivania che mi dice che devo presentarmi a Le Sejour Cafè per l'appuntamento." riassunsi rapidamente, imbarazzata. Da che cosa, ancora non lo avevo capito, ma quando si trattava di uomini, provavo disagio a discuterne con Toni, giacché mi istigherebbe a buttarmi, a cogliere l'attimo.
"Vacci, una scopata dovrebbe addolcirti un po'." ecco appunto! Roteai gli occhi al cielo, o in quel caso, al soffitto e lo mandai a quel paese. Non era in grado di propinarmi consigli quasi mai e ciò era alquanto frustante.
"Sono serio, sei troppo stronza e tesa. Dovresti farti controllare da un dottore, la tua condizione potrebbe peggiorare." s'abbassò alla mia altezza per irritarmi ulteriormente.
"Smettila, mongolo." lo spinsi contrariata, anche se un briciolo di verità nelle sue parole vi era seriamente.
La serata proseguì tra chiacchiere e amorevoli insulti fino a quando non ci addormentammo sul divano, in posizioni alquanto scomode. Alla fine Toni mi aveva messa conoscenza del fatto di avere lasciato Sparkle da un suo amico perché i piani per quella sera erano di conquistare sia il cuore che la vagina di Vivian, ma non era stato un successo.
Mi svegliai ai primi chiarori dell'est e schizzai in piedi quando realizzai che era giunto il famoso e atteso venerdì. Avevo un mal di schiena assurdo, per non parlare del collo, ma tralasciando ciò, corsi verso il mio armadio per scegliere l'abbigliamento per l'appuntamento, sebbene avessi ancora tutto il pomeriggio libero. Sprizzavo gioia da ogni mio poro, ma ero anche tanto nervosa perché non uscivo con un ragazzo o uomo da quando avevo terminato gli studi. E se non ci sapessi più fare? Con le paranoie a farmi compagnia, riuscii a trovare un vestito adatto per l'uscita, senza rendermi conto di avere perso nuovamente la cognizione del tempo ch'ero, dunque, in ritardo per il lavoro.
Giunse sera e non avendo il tempo necessario per tornare a casa a cambiarmi, lo feci nel taxi, purtroppo sotto gli occhi curiosi dell'uomo al volante. Battei la testa una miriade di volte e dentro di me speravo che non si formasse nessun bernoccolo.
Misi dentro la borsa i miei vestiti da ufficio e poi ricontrollai il mio trucco, ma quel deficiente che guidava, frenò di colpo facendomi sbattere contro il sedile davanti e facendomi cadere il piccolo specchio, cui vetro si ruppe. Come minimo avevo il mascara rovinato e non avevo modo di aggiustarlo! Grazie mille, tassista di merda.
Lo pagai e uscii dall'auto giá di brutto umore, ma quando rammentai il motivo della mia presenza lì, abbozzai un grosso sorriso.
Conoscevo da poco, anzi, non conoscevo per niente Klaus e, probabilmente, non avrei neanche dovuto accettare il suo invito, ma per una volta volevo provare la sensazione di essere una semplice donna a cena con un semplice uomo conosciuto in una semplice serata nella sua galleria, niente di chissà cosa. Eppure, in lui vedevo qualcosa di strano, di diverso e ciò mi attraeva; giá il suo modo di fare era particolare.
Camminai per quel poco che mi divideva dalla destinazione, ansiosa di rivederlo, ma quando giunsi dinanzi al ristorante, non lo vidi. Forse ero in anticipo o lui in ritardo, ciononostante rimasi lì fuori ad aspettarlo.
E fu così per svariati minuti, che diventarono poi ore che azzerarono di conseguenza la mia pazienza. Entrai nel ristorante da sola e chiesi un tavolo, determinata a non tornare a casa finché non fossi stata sazia ed appagata. Ordinai non so quanti piatti, certi anche costosi, e come tocco finale anche un alcolico alquanto pesante. Bevvi tre o quattro calici o forse anche di più, ma me ne fregai e crollai sul tavolo.
"Ehi, ti senti bene?" mi richiamò un uomo di, sì e no, ventisette anni. Annuii in risposta e senza spiccicare alcuna parola, uscii informando il cassiere che avrebbe pagato il signore che m'aveva riportata alla vita reale.
Ero fuori di me e sotto sotto mi sentivo anche in colpa per aver agito in quel modo, ma tanto non avevo ordinato i piatti più costosi e poi lui, era sicuramente uno di quelli dell'alta società che cagavano danaro.
Abbottonai il mio cappotto, infreddolita e delusa perché Klaus mi aveva tirato il pacco e perché l'alcol non aveva fatto alcun effetto. Biascicavo tra me e me frasi piene di odio, ma di punto in bianco la mia attenzione fu attirata da qualcuno in lontananza che sventolava la mano per aria, e quel qualcuno era proprio Klaus. Lo raggiunsi rapidamente pronta a dirgliene quattro, ma mi precedette:"Hai aspettato tanto."
"Non mi dire! E tu sei stato qui a fissarmi? Complimenti, davvero!" la frustrazione lo si poteva sentire nelle mie parole e nel tono che stavo usando, ma, purtroppo, vi era anche qualche traccia di tristezza.
"Mi hai aspettato due ore." disse sogghignando, con un'espressione stupita.
"Ne sono consapevole, razza di imbecille!" gli gridai contro e lui rise ancora più forte.
"E poi sei entrata." continuò a ripercorrere le mie azioni e avendo perso qualsiasi interesse verso i suoi confronti, feci voltarmi e lasciarlo solo, ma mi fermò prendendomi il polso.
"Vuoi sederti?" mi invitò senza ridere, mantenendo comunque le labbra leggermente piegate.
"Tu sei pazzo." sputai acida.
"Forse, ma non vuoi conoscere questo pazzo?" inarcò un sopracciglio e la mia bocca prese la forma di una O perfetta: credeva davvero che mi sarei trattenuta lì con lui dopo avermi dato il due di picche?
"Tre cose: va' a fanculo."
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