Capitolo 8
“Hai una bella casa. È grande e spaziosa”.
“Grazie. Purtroppo ad essere così grande mi sembrava solo più vuota”.
Osservo Katie mentre ispeziona interessata la mia vecchia camera. Non è ancora stata toccata e mi viene da chiedere il motivo, considerando quanto poco erano dispiaciuti i miei genitori della mia morte.
“È la camera meno femminile che io abbia mai visto. Mi piace”, commenta osservando il caos sui miei mobili.
“Sono agender, non mi sentivo bene con me stess* a vestirmi tutto pizzi e merletti. Infatti mi davano tutti della lesbica”, affermo osservando il mio telefono abbandonato sulla scrivania.
“Beh, ora sì che capisco perché quando parli di te tronchi le parole!”, esclama ad alta voce facendomi ridere e insieme irrigidire. Anche se so che nessuno può sentirci ho paura che la porta si apra ed entri mio padre armato di nonsocosa.
“Ehi, non avere paura. Siamo fantasmi, non può succederci nulla. Nessuno può più farti del male. E comunque tecnicamente lesbica lo eri, voglio dire, sei innamorat* di una ragazza! Non negare, vedevamo tutti come sbavavi dietro a Hanna”.
“Poteva non voler dire niente, tutti sbavavano dietro ad Hanna”.
“Io no. Comunque, dov’è il bagno? Voglio che tu scriva un messaggino per i tuoi genitori”.
Glielo indico, confus*. Katie va allo specchio e fischia ammirata.
“È gigantesco! E questa vasca, nemmeno in una suite si trova una cosa simile!”.
“Me lo dicono tutti”, commento imbarazzat*.
“Bene, prendi un rossetto. Uno che abbia il colore del sangue”.
Ho una vaga idea di cosa abbia in mente. Concentrandomi per restare solid*, frugo nell’astuccio dei trucchi finché non trovo un rossetto rosso sangue.
“Perfetto, ora scrivi la frase che ti detto”.
Nello scriverla capisco perché tutti ammiravano Katie. Era simpatica, adorabile, perfida… la migliore delle amiche e la peggiore delle nemiche. Lo capisco appieno quando guardo mia madre entrare nel bagno. Sono nella vasca accanto, posso vedere ogni sua reazione.
Quella che vedo è paura misto a sconvolgimento. Il minimo che deve provare.
Chiama mio padre ed entrambi guardano basiti la frase.
Quali genitori tratterebbero un figlio come se non fosse mai nato?
Vedo mia madre scoppiare a piangere e urlare, prendendo a pugni il marito e sbraitandogli contro.
“Te l’avevo detto che era colpa nostra, è per noi che è finita in quella bara, sei un fottuto idiota!”, urla uscendo correndo dalla stanza.
Mio padre osserva la scritta e vedo una singola lacrima scendergli lungo il volto.
È tardi per piangere, vecchio. Ormai io non sono più lì.
Credete pure che sia vostra la colpa. Lo è.
Ma non siete gli unici che ne hanno. Me lo ricorda Katie prendendomi per un polso e trascinandomi fuori dal bagno attraverso il muro.
“Ora andiamo a scuola. Quel bullo ha bisogno di una bella sistemata”.
“Che piano hai in mente?”.
“Cerchiamo un indelebile”.
Arriviamo a scuola nel momento dell’intervallo. Perfetta puntualità.
Katie ruba un pennarello indelebile dalla segreteria e mi raggiunge davanti all’armadietto del ragazzo. Velocemente scrive una frase sull’armadietto.
Quale persona ha bisogno di far del male agli altri per sentirsi più forte?
“Avresti potuto fare una raccolta di poesie che contengono questo genere di frasi”, commento osservando la frase sul muro.
“Ormai è tardi”, fa lei volando via e rimettendo a posto il pennarello.
La campanella suona, i ragazzi tornano in corridoio e tutti si fermano davanti all’armadietto.
“Che diavolo ci fate tutti fermi?! Fatemi passare, mocciosi!”.
Sento l’ansia che mi pervade a sentire quella voce. Lui è lì, sta arrivando, e sento la stessa paura che ha ognuno di loro.
Arriva. Vede quelle scritte e la sua espressione più furiosa compare sul suo volto.
“Chi cazzo è stato?! Si faccia avanti o finirete tutti con la testa nel cesso!”, urla a tutti quelli lì presenti.
“Ascoltami. So che ti chiedo molto, ma devi renderti visibile a tutti, davanti a lui. Fai poi il gesto come di colpirlo con la mano aperta, al resto penso io”, mi dice Katie.
Ho paura a mettere in atto un simile piano, ma so che non rischio nulla.
Vado davanti a tutti quei ragazzi e mi concentro. Uno sforzo immane e la mia figura appare nitida a tutti i presenti, lasciandoli ammutoliti.
Guardo intensamente il bullo, e per la prima volta lo vedo terrorizzato.
Tiro indietro il braccio e spingo verso di lui. Katie compare davanti a lui e gli dà uno spintone che lo butta contro l’armadietto.
Mi giro verso quei ragazzi spaventati e prendo un indelebile dalle mani di uno di loro.
Sullo stesso armadietto scrivo una frase.
L’unione fa la forza. Ribellatevi. Fatelo per noi.
Lo sento, il mio nome, ed è girandomi nel sentirlo che capiscono la verità. Torno invisibile e scappo prima che qualcos’altro possa succedere.
Cado in ginocchio per terra nel cortile e guardo l’erba senza fiatare.
Katie si siede accanto a me e mi appoggia una mano sulla spalla.
“Ora sanno”.
“Ho fatto un disastro”.
“Ora sa che ci siamo noi a proteggerli. Li hai aiutati. Brav*”.
Mi lascio abbracciare per calmarmi. Alla fine dice: “Ci resta una sola cosa da fare oggi”.
La guardo perpless*.
“Dobbiamo catturare lo stupratore e fermarlo prima che accada di nuovo. A quel punto potremo avere pace”.
Sono pront*. So di esserlo.
Mi alzo e la seguo, discutendo con lei del piano da mettere in atto.
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