Capitolo 4

Il giorno seguente raggiungo la scuola e sento l'aria pesante che c'è su di essa. Non mi sono preoccupat* di informarmi circa il mio corpo umano, ma è evidente che ora tutti sanno per certo del mio suicidio.

Sono sorpres* di vedere così tanti ragazzi vestiti di nero per il lutto. Probabilmente è perché volevano che io restassi viv*, così il bullo avrebbe continuato a perseguitare me. La parte razionale mi dice che sono seriamente dispiaciuti, quella paranoica resta con la sua idea precisa.

Il bullo è proprio tra coloro che non è vestito di nero, anzi, lo vedo spintonare chiunque sia vestito di quel colore. Lo seguo fino alla mensa, dove lo sento urlare: "Finitela di fare i fottuti depressi, ci siamo levati un fottuto fardello!".

Un ragazzino - avrà forse due anni in meno di lui, ma data la stazza del bullo sembra molto più piccolo - si alza ed esclama: "Non era un fardello, era una persona, esattamente come lo sei tu! Sei irrispettoso nei suoi confronti!".

"Le vite non hanno tutte lo stesso valore, tappetto. La sua, come la tua, vale meno di un nichelino", dice lui altezzoso sedendosi al tavolo con i suoi compari.

Vorrei ringraziare il ragazzino, ma non posso farlo. O forse posso, ma non lo so ancora fare.

Rimango a seguire qualche noiosa lezione pomeridiana finché non sento le campane rintoccare pesantemente.

Campane del morto. Funerale.

È il mio.

So che mi si riapriranno le ferite appena ricucite ad andare laggiù, ma lo faccio comunque. Volo verso il cimitero, con una lentezza tremenda: il vento è ancora più forte del solito.

Raggiungo il cimitero mentre viene calata la bara nella fossa. Le persone che vedo intorno alla fossa sono poche, non che mi aspettassi di trovarne di più.

Sono sorpres* di vedere i miei genitori qui. Come noto subito, però, mio padre è totalmente indifferente, come se si fosse liberato di un fardello. Mia madre ha gli occhi lucidi, non so cosa le impedisca di piangere per davvero come sarebbe bello facesse. Percepisco però che è sinceramente distrutta.

Le altre persone le avrò viste una volta in vita mia. Parenti, immagino, di quelli che si vedono al massimo una volta all'anno, o direttamente solo per la cresima o eventi occasionali simili.

Nessuno di loro piange. È esattamente come quando li ho visti in vita: fanno presenza per fingere che qualcosa gli importi.

Me ne vado senza guardare nessuno dei presenti una volta di più. Mi sento male, sono disgustat* da tutti loro.

È disgustoso vedere la loro indifferenza più completa nei miei confronti. Come fanno a non capire che è per colpa loro se sono in queste condizioni?! Come fanno a restare indifferenti quando io sono mort* per colpa loro?!

Esco dal cimitero sentendomi da schifo. Voglio andarmene da quel posto, ma so che non posso farlo. Non ancora, almeno.

Il pensiero ritorna ad Hanna. Vorrei abbracciarla, rifugiarmi tra le sue braccia, ma so di non poterlo fare. Non avrei potuto nemmeno in vita, del resto.

È il pensiero con cui mi stendo sul tetto di un palazzo ad osservare il cielo coperto di nubi.

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