Cap. II Randagio Parte II
Dopo la telefonata a Jorge spostai lo sguardo sull'Animus. La corta giacca di pelle nera, aperta sul petto, mostrava il cordoncino di caucciù da cui pendeva la piastrina di metallo con il suo nome.
Mostrava anche che Jorge non si era preoccupato di fornirgli uno straccio di T-shirt da indossare al di sotto.
Sapevo come avrebbe commentato una qualsivoglia osservazione sulla sua negligenza verso il ragazzo: "Gli Animus non soffrono il freddo né il caldo. Non sudano né rabbrividiscono. Quella giacca di pelle sfoderata basta e avanza!"
Già, se almeno fosse stata abbastanza lunga da arrivargli all'ombelico!
Di sicuro il mio "punto di riferimento" spagnolo non si sarebbe mai preoccupato di spendere i soldi del Ministero Internazionale dei Trasporti per fornire a una creatura artificiale come Blue un guardaroba decente.
Che taccagno!
Mi avvicinai al ragazzo per osservare da vicino il suo abbigliamento. I jeans erano stretti, tanto che mi domandai in che modo riuscisse a muoversi, e scommisi che erano anche corti, sotto gli stivali da cow-boy.
Da come gli scendeva la vita dei pantaloni sui fianchi mi fu chiaro che non potevano essere della sua taglia.
– Alza un po' le braccia – gli ingiunsi. Ormai, dopo la paura iniziale, lo avevo preso in consegna e mi venne spontaneo comportarmi come avevo fatto con Clio.
L'Animus eseguì l'ordine e io infilai le dita nei passanti dei suoi jeans e feci forza per tirarglieli un po' su, ma per quanto m'impegnassi non salivano di un millimetro. Quando la mia mano sfiorò un elastico scuro sospirai.
– Almeno Jorge ti ha rimediato un paio di boxer! – sbottai. – Vorrei proprio sapere come gli è venuto in mente di vestirti come uno stripper!
– Non mi ha vestito lui – rispose Blue, fissando un punto nel vuoto. – È stata la signora Magdalena a occuparsi di me.
Aggrottai la fronte, comprendendo tutto in un istante. La segretaria di Jorge era una donna davvero... particolare. Era sposata da vent'anni e aveva due figli. Nessuno avrebbe mai messo in dubbio che fosse una moglie serissima. Non aveva avuto in mente mai nessun altro se non il marito, che era stato il suo primo amore, nato addirittura tra i banchi di scuola. Anch'io avrei scommesso tutto sulla sua fedeltà coniugale.
Solo che aveva una smisurata passione per le riviste patinate con i modelli più quotati del momento ed era una fan accanita delle boy band di tutto il mondo. Una volta aveva persino completato un intero album di figurine di un gruppo di cantanti asiatici appena maggiorenni e lo trattava come fosse una reliquia.
Quando sfogliava certi magazine per ragazze si entusiasmava più di sua figlia quindicenne.
– Che cos'è uno stripper?
La voce di Blue mi fece tornare alla realtà. Alzai leggermente la testa per guardarlo negli occhi. – Devi aver avuto un proprietario davvero serioso, per non conoscere il significato della parola "stripper"! Non che io abbia mai assistito a spettacoli di strip-man... eccetto l'anno scorso per la festa della donna con le colleghe della Fnac, ma quella volta non conta!
Guardando le sue ciglia azzurre sbattere mi resi conto che stavo sparlando. – Lascia perdere. Per me puoi anche continuare a ignorare chi sia uno stripper. Piuttosto...
Avevo parlato del suo proprietario senza intenzione, ma già che c'ero...
– Dov'è il tuo Danzatore del Sangue? – domandai, stringendo appena le palpebre. In realtà c'erano molte altre cose che avrei voluto chiedergli: da dove fosse spuntato, così all'improvviso, perché riuscisse a evocare un Golem tramite il proprio sangue... ma forse mi sarei potuta accontentare di ricevere almeno la risposta a quell'unica domanda a cui avevo dato voce.
Lui abbassò lentamente le braccia, mentre il suo respiro si spezzava per qualche secondo e poi tornava regolare. – Non sono autorizzato a parlarne. C'è un'indagine in corso.
Doveva aver ricevuto da Jorge delle istruzioni ben precise. Per quanto m'irritasse non avere una risposta, mi dissi che forse sarebbe stato meglio non sapere. Dopo qualche ora avrei riportato all'ufficio preposto l'Animus e tutto sarebbe finito là. Adios, amigo!
Stavo per dire a Blue che potevamo metterci in cammino, anche se non sapevo ancora per dove, quando la porta del locale dal quale eravamo usciti si aprì all'improvviso, lasciando passare un gruppetto di ragazzi.
Chiacchieravano allegri, intenti a scegliere il locale successivo. Uno di loro aveva i capelli biondi e la voce melodiosa. Non mi ero accorta di quanto fosse bella, quella voce, mentre era sovrastata dalla musica disco.
– Elias? – Lo chiamai ancora prima di riflettere e lui si voltò.
Quando mi vide, il sorriso che aveva sulle labbra si estinse di colpo. Mi girò le spalle con aria delusa mentre cercavo di andargli dietro con l'obiettivo di scusarmi per il mio comportamento.
Fu in quel momento che mi resi conto che avevo ancora le dita nei passanti dei jeans di Blue e che le sue mani sfioravano i miei fianchi.
– Oh, porca...! – Mi affrettai a divincolarmi; dopo aver gridato all'Animus di non muoversi, raggiunsi il gruppo di amici e chiesi a Elias di potergli parlare solo un momento.
– Mi dispiace davvero tanto per essermi comportata in modo strano, prima, nel bar! – lo assalii non appena restammo un po' in disparte rispetto agli altri. – Giuro che non pensavo che potesse accadere!
Lui mi fissò come per dire: "Potesse accadere cosa?" e io mi sentii annaspare.
Era inutile! Sbagliavo sempre ogni mossa!
– Possiamo scambiarci il numero di telefono? – domandai avvampando, giocandomi l'ultima carta a disposizione.
Cercai di ignorare la sua espressione sempre più stupita.
Quando stavo ormai perdendo ogni speranza, Elias mi sorrise. – E il tuo fidanzato geloso non si arrabbierà?
Mi voltai d'istinto verso Blue, che ci fissava impassibile, poi tornai a guardare lo svedese. – La tua era una battuta, vero? Quello non è il mio ragazzo. È solo... – Cercai le parole, ma, chissà perché, in quel momento tendevano a evaporarmi tutte sulla punta della lingua. – Lui è...
– Va bene – m'interruppe il ragazzo, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. – Dimmi qual è il tuo numero, così ti faccio uno squillo e puoi memorizzare il mio.
In quel momento mi sarei messa a ballare per la felicità. Era incredibile come la serata stesse assumendo la piega giusta, finalmente!
– Un'unica cosa... – Elias mi guardò stringendo il telefono con aria di attesa. – Non mi hai ancora detto come ti chiami.
– Shanti – risposi, mentre il cuore mi piroettava nel petto in modo quasi molesto.
– Bellissimo anche il nome – commentò lui, abbassando gli occhi sullo schermo.
Quando ci salutammo, restai a guardare la schiena di Elias per una buona manciata di secondi sentendo le labbra tese in un sorrisetto sciocco. I vicoli del Casco erano diventati all'improvviso ampi come Paseo de la Independencia e illuminati come le vetrine dei negozi la Vigilia di Natale.
Reprimendo la mia esultanza, compii un mezzo giro sulle punte dei piedi con le mani dietro la schiena, ma quando i miei occhi si posarono di nuovo su Blue ritornai in un istante alla realtà.
Guardai l'orologio da polso con un sospiro, poi raggiunsi l'Animus pensando a cosa farne fino alle sette del mattino.
– Ti va di andare in una churreria? – gli chiesi. – Ce n'è una aperta tutta la notte.
Non mi ero aspettata davvero che mi rispondesse. La verità era che non avevo perso l'abitudine di parlare con gli Animus, così come a volte parlavo con me stessa.
Il ragazzo infatti restò muto, indifferente. Quando cominciai a camminare si mise comunque al mio fianco, guardando dritto davanti a sé: per lui qualsiasi luogo sarebbe andato bene. L'importante era che stesse con me, come gli era stato ordinato da Jorge.
Ci spostammo a piedi nel quartiere della Magdalena, più silenzioso di quello da cui provenivamo, ma comunque animato. Era la zona "multiculturale" della città, dove s'incontravano locali arabi specializzati nel servire tè orientale e bar in cui si suonava musica reggae.
Passammo davanti alla chiesa in stile mudejar che dava il nome alla zona per poi raggiungere un locale dall'insegna luminosa con le vetrine in bella vista.
All'interno si scorgevano diversi tavolini con coppie di amiche o di fidanzati impegnati a conversare davanti a una tazza di cioccolata calda. Poiché non tutti gradivano churros e cioccolata o caffè di notte, al bancone servivano anche tapas salate e ottima birra, per chi sapeva apprezzarla.
Io e Blue entrammo e, quando mi sedetti a uno dei tavoli, lui fece lo stesso. Il suo sguardo vacuo parve d'un tratto animarsi nel momento in cui gli porsi il menù.
– Scegli quello che vuoi – lo esortai, mentre l'eccitazione dovuta al pensiero di avere il numero di telefono di Elias scemava, soppiantata da un'improvvisa stanchezza.
– Io non mangio – disse in tono piatto.
– Non per necessità – replicai, continuando a tendergli il foglio plastificato sul quale erano elencate le specialità del locale. – Mangia per farmi compagnia. Offro io!
Poiché restava immobile, ritrassi la mano e posai il menù sul tavolo, dicendo seccamente che avrei ordinato io anche per lui.
Mi feci portare la classica cioccolata bollente accompagnata da churros dorati per entrambi. A quell'ora sarebbe stata un pugno nello stomaco, probabilmente, ma pur sempre un pugno tollerabile, paragonato allo shock di essermi trovata Blue davanti nel bar in cui avevo conosciuto Elias.
– Fa' come me – dissi, intingendo uno dei dolcetti fritti nella tazza. – Voi Animus siete bravi a imitare.
Lui sbatté le palpebre, poi copiò i miei movimenti e si portò alle labbra un churro coperto di cioccolata. Lo mangiò tutto senza mai staccare gli occhi dal mio viso.
Ero abituata al passaggio repentino dalla modalità "sguardo fisso nel vuoto" a quella "sei il centro del mio piccolo mondo". Era tipico degli Animus.
Un'improvvisa nostalgia degli occhi azzurri di Clio puntati su di me mi pungolò, facendomi contrarre lo stomaco.
Era orribile che avessi nostalgia di lei, dopo ciò che aveva fatto. Davvero orribile.
Posai con forza la tazza dalla quale stavo bevendo la cioccolata e il piattino con i churros sussultò brevemente.
– Dov'è il tuo Animus?
Le mie sopracciglia si curvarono, avvicinandosi sulla fronte aggrottata. – Che hai detto?
Blue ripeté la domanda: – Dov'è il tuo Animus?
Restai a fissarlo in silenzio per diverso tempo, con le dita che tamburellavano sul tavolino. Mi aveva fatto una domanda. Di solito gli Animus non facevano domande, eccetto quelle che servivano a chiarire le istruzioni ricevute o a chiedere spiegazioni su cose che non capivano.
Mi schiarii la voce tossendo nel pugno, poi immersi un altro churro nella cioccolata e me lo ficcai tutto in bocca, riempiendomi le guance. Guardai il ragazzo pallido di fronte a me con occhi torvi.
Non mi piace. Non mi piace per niente!
– Dov'è il tuo...?
– Smettila di chiederlo – sbottai, rischiando di strozzarmi. Avevo alzato talmente la voce che le persone presenti nel locale si voltarono tutte a guardarci.
– Non devi essere indiscreto – aggiunsi, pulendomi la bocca con un tovagliolino di carta e tenendolo fermo davanti al viso come se volessi farmene scudo.
– Tu mi hai chiesto del mio Danzatore – obiettò lui. Il suo tono non esprimeva alcuna emozione, eppure notai che le sue dita avevano giocherellato con un churro fino a ridurlo in briciole sul tavolino.
Oltre a fare domande inopportune, quell'Animus pareva avere la risposta pronta.
Malissimo! Gli Animus non replicavano. Eseguivano gli ordini. Punto.
Anche se ero rimasta turbata dal suo commento preferii troncare subito quel principio di discussione: quando mai si era sentito che si poteva discutere con un giocattolo o con il frullatore?
Guardando il viso perfetto di Blue pensai che forse paragonarlo a un frullatore non gli rendeva giustizia, ma era meglio che pensarlo simile a un essere umano. Avevo fatto quell'errore con Clio e ancora ne soffrivo.
Facendo finta di non aver sentito le sue parole, mi trincerai dietro uno spesso silenzio. Mi concentrai sulla musica in sottofondo del locale e sui noccioli delle olive che, gettati a terra dai clienti, andavano accumulandosi ai piedi del bancone.
E incredibilmente mi addormentai.
Non mi ero accorta del sonno che aveva reso le mie palpebre di piombo né della musica che era diventata alle mie orecchie una sorta di ninna nanna. Era accaduto di colpo. Quando riaprii gli occhi mi ritrovai con una guancia premuta sul tavolino e un filo di saliva che mi bagnava il mento in maniera imbarazzante. Mi affrettai a chiudere la bocca e cercai di asciugarmi le labbra, ma non ci riuscii.
Raddrizzai la testa di scatto, sorpresa; mi resi conto che Blue mi teneva bloccate sul tavolo entrambe le mani con il palmo rivolto in su. Dopo avermi evidentemente sfilato i guanti a mezze dita, osservava con attenzione le mie spirali tatuate e mi parve di avvertire un quasi impercettibile movimento rotatorio che mi strisciava sottopelle.
– Ma che fai?! – esclamai tentando di ritirare le mani, dalle quali si era sprigionato un leggerissimo odore di metallo.
Lui chiuse gli occhi e piegò la testa, tanto da sfiorarmi le spirali con le labbra. – Una Danzatrice ambidestra...
Riuscita finalmente a liberarmi, mi tirai indietro, lasciandolo ad annusare il tavolo. Quando levò di nuovo lo sguardo, stavo controllando che i miei tatuaggi fossero in posizione di riposo e che non ci fossero tracce di sangue in qualche punto del mio corpo.
– Chiralità – scandì, mentre io mi tastavo le braccia, trafelata.
– Si può sapere che diavolo significa?! – esclamai, guardandolo con gli occhi spalancati.
Lui indicò le mie mani. – La proprietà per la quale due immagini speculari non sono sovrapponibili. Esattamente come la mano destra e la mano sinistra. Lo stesso vale per le tue spirali tatuate.
Mi alzai in piedi con uno scatto, accorgendomi che la churreria era ancora abbastanza piena: non dovevo aver dormito molto.
– E questo chi te lo ha insegnato? Il tuo misterioso Danzatore?
L'Animus non rispose, ma si alzò anche lui. – Sono davvero rari, i Danzatori ambidestri, intendo... non ne ho mai incontrati prima, a parte te.
La sua osservazione mi suonò strana. – Perché? – gli chiesi. – Quanti Danzatori hai incontrato, oltre a me e al tuo proprietario?
Io ne avevo visto soltanto uno, durante il mio addestramento per il Ministero Internazionale dei Trasporti.
– Vorrei proprio conoscere il luogo da cui provieni! – esclamai subito dopo, visto che non rispondeva. Sistemai con un movimento brusco la sedia sotto il tavolino e raggiunsi come una furia il bancone per pagare.
All'uscita dal locale mi sentivo così esasperata che già non ne potevo più di stare in compagnia di quell'Animus che, ormai ne ero certa, doveva essere assolutamente difettoso.
E un Animus difettoso era sinonimo di pericolo.
– Andiamo! – esclamai, prendendolo per un braccio. – Ne ho abbastanza di te!
Lui sgranò leggermente gli occhi. – Dove andiamo?
Mancavano ancora tre ore alle sette, ed ero certa di non voler continuare a fare da balia a una creatura instabile come Blue.
– Mi dispiace per Jorge, – borbottai frugandomi nella borsa con la mano libera, alla ricerca del cellulare, – ma adesso chiamo un taxi e ti porto a casa sua.
L'Animus s'immobilizzò all'istante. – No – disse con decisione, fissandomi dritto negli occhi. – Non sono queste le istruzioni che ho ricevuto.
– E pensi che m'importi?! – replicai tirandolo per il polso, pur senza smuoverlo di un millimetro.
– Jorge mi aveva avvertito che sarebbe potuto accadere – rispose lui, con la voce diventata d'un tratto di velluto. Le sue dita scivolarono lungo il mio braccio quasi con dolcezza mentre si fletteva sulle ginocchia, piegando un po' la schiena.
Stavolta fu il mio turno di paralizzarmi. – Come dici?
Lui spinse in avanti il petto, afferrandomi come se volesse abbracciarmi o farmi una proiezione per buttarmi a terra. Difatti passò con la testa sotto il mio braccio e mi sollevò le ginocchia come se nulla fosse mentre emettevo un urlo stridulo.
Mi ritrovai con la schiena sull'asfalto e la nuca dolorante.
– Esegui gli ordini, Danzatrice – disse l'Animus in tono asettico, mentre mi teneva giù con il peso del suo corpo.
Un gruppo di amici con delle birre in mano ci passò accanto gettandoci delle occhiate divertite. – Ehi, fatele in hotel le vostre cose! – ci gridò uno di loro, dando una gomitata d'intesa all'amico al suo fianco.
– Aspettate! – gridai, ma i ragazzi erano troppo sbronzi e troppo allegri per capire che vedevano la realtà attraverso una lente deformante chiamata alcol.
Quando, rassegnata, tornai a guardare Blue, mi parve deciso a non lasciarmi andare se prima non gli avessi garantito che sarei rimasta con lui fino all'orario stabilito.
Mi morsi le labbra, poi stesi il braccio sinistro in un movimento subitaneo, schiacciando il palmo contro il suo viso.
– Blue. – Era forse la prima volta che lo chiamavo per nome. Il suo respiro accelerò sulla mia pelle. – Credo che questo non sia il modo giusto di interagire con me.
Stavo mantenendo miracolosamente la calma, anche se sentivo la spirale sinistra fremere per avvitarsi su se stessa.
– Sono davvero stanca. Te lo chiederò con gentilezza, va bene? – proseguii, cominciando ad avvertire un po' di dolore al petto, schiacciato contro il suo. – Per le tre ore che restano, dove vuoi che ti porti, escludendo la casa di Jorge?
Fargli del male era una possibilità che non volevo prendere davvero in considerazione, anche se ogni particella del mio essere mi gridava di tenerlo a distanza perché rappresentava un pericolo.
Mi sarei rassegnata a trascinarmi ancora in giro come una zombie per locali o strade deserte, tenendo sempre alta la guardia ed eseguendo gli ordini, come lui voleva.
E poi, arrivate le sette, avrei preso a parolacce Jorge per il casino in cui mi aveva cacciata.
Sempre se fossi sopravvissuta.
Mentre il ricordo di Xaghra che tentavo di tenere a bada da anni minacciava di dilagare, percepii che cominciavo d'un tratto a tremare. Avevo freddo e... mi sentivo soffocare.
Immagini che di solito emergevano nei miei incubi notturni si agitarono nella mia mente, riflesse in un fiume color porpora.
Poi, con le lacrime agli occhi, vidi Blue che alzava lo sguardo al cielo. – Voglio che mi porti a casa tua.
Fu lo sconcerto provocato da quelle sette parole la miglior cura per le mie lacrime. Fissai l'Animus a bocca aperta per qualche secondo, finché non mi ripresi dallo stupore per esclamare: – Non dici sul serio, vero? A casa mia? Per tre ore? Alla mia coinquilina verrebbe un infarto!
Lui tornò a guardarmi, prendendomi per le spalle e aiutandomi a mettermi a sedere. Ciocche di capelli blu gli sfiorarono gli occhi, incastrati nei miei come tessere di uno stesso puzzle.
– Non mi bastano tre ore – dichiarò, sbattendo le ciglia. – Prendimi con te. Voglio essere il tuo Animus.
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Buonasera a tutti!
Questo è periodo di esami e ne approfitto per fare l'in bocca al lupo a tutti i lettori che stanno leggendo questa storia e che stanno studiando per la Maturità 😊.
Siamo arrivati anche alla conclusione del secondo capitolo. Come al solito vi chiedo un parere e vi faccio qualche domandina extra... Cosa vi aspettate da questa storia? Azione, romanticismo, qualche tocco cruento?
Pensate di continuare a seguirla? (Naturalmente mi risponderanno solo quelli che diranno di sì... Tutti gli altri resteranno un'incognita ^.^').
Be', chiaramente dobbiamo ancora entrare nel vivo, magari qualche piccolissimo colpo di scena potrebbe anche esserci...
Per il momento vi do appuntamento al prossimo capitolo e magari anche su Instagram per chiacchierare un po' <3
A presto e... buonanotte!
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