Cap. I Rhapsody in Blue

Per la Fiesta del Pilar una folla colorata e chiassosa riempiva le strade del centro di Zaragoza. Seguendo la massa, procedevo verso il lungofiume costellato di bancarelle mentre l'Ebro pareva scorrere, pigro, al mio stesso ritmo.

Camminare in mezzo a tanta gente non mi dava fastidio; al contrario, mi dava l'illusione di essere meno sola. Mi piaceva ascoltare il chiacchiericcio dei passanti che sciamavano senza fretta sul Puente de Piedra.

M'immaginavo a partecipare alle conversazioni di quegli sconosciuti, tra i quali molti turisti, e a ridere e a scherzare come le altre ragazze della mia età. Da quando non ero più una Danzatrice del Sangue, dopo la strage di Xaghra, mi ero sforzata di conquistare quella normalità che pensavo di meritarmi, ma non ero ancora riuscita nell'intento.

E forse, a ben pensarci, non mi ero neppure impegnata particolarmente per guadagnarmela.

Come diceva Josefa Torres, la mia coinquilina quarantenne, nonché padrona di casa, ero una ragazza testarda e più solitaria che socievole.

Eppure avevo cercato continuamente di dimostrare a lei e a me stessa il contrario: uscivo tutte le sere per poi tornare poco prima dell'alba, riportavo a casa sottobicchieri di cartoncino con i nomi stampati di locali sempre diversi, raccontavo spesso dei miei colleghi di lavoro alla Fnac, dove avevo un posto come commessa.

Quello che evitavo di rivelare era che con i miei colleghi parlavo a malapena e che quando uscivo la sera ero quasi sempre sola, fatta eccezione per i ragazzi che tentavano di rimorchiarmi nei bar.

La mia vita non era quella di una comune e spensierata ragazza di quasi ventidue anni. Era quella di una ex Danzatrice, ed ex messaggera, che si era buttata nel mondo senza sapere esattamente cosa fare, tranne inventarsi un'esistenza "normale" ascoltando stralci di conversazioni di perfetti sconosciuti.

Per essere ottobre era una giornata piuttosto calda, quasi afosa, e il cielo era grigio di nuvole che promettevano pioggia. I tuoni che rimbombavano in lontananza venivano percepiti come una minaccia dalla gente uscita di casa per godersi le celebrazioni in onore della Vergine del Pilar. Uomini e donne in maniche corte, con giacche antipioggia allacciate in vita, levavano pensierosi gli occhi al cielo scrutando l'orizzonte.

Raggiunsi la piazza del Pilar proprio mentre cominciavano a cadere le prime gocce di pioggia.

Su un palco approntato di fronte alla monumentale basilica intitolata alla Vergine, i ballerini di jota danzavano imperterriti, malgrado l'acqua che tamburellava sul palco.

Da quando ero arrivata nella capitale aragonese, ormai tre anni prima, era la prima volta che vedevo la pioggia rovinare i festeggiamenti del 12 ottobre.

Mi fermai di fronte ai danzatori, osservando la gigantesca piramide di fiori in cima alla quale svettava la statua della Vergine del Pilar. Allestita dietro il palco, incombeva quasi minacciosa, protetta da transenne grigie che ne fiancheggiavano tutti i lati.

Mi toccai gli auricolari che avevo spinto nelle orecchie come se avessi voluto fonderli con i timpani. Poi selezionai un brano dalla mia playlist sul cellulare.

Una musica suadente, graffiante, ondeggiò nella mia mente, sovrastando il vociare della folla e le note del ballo tradizionale della jota, accompagnate dal ticchettio delle nacchere.

Mentre chiudevo gli occhi, la "Rapsodia in blu" di Gershwin mi trasportò in un altro luogo, in un altro tempo dove io non esistevo. Dove nessuno esisteva.

Immaginavo che il "blu" del titolo dovesse riferirsi più a un certo tipo di sonorità musicale che al colore vero e proprio, ma quando ascoltavo quel pezzo era all'azzurro che pensavo.

Un azzurro sconfinato senza dimensioni in cui riecheggiava la voce del clarinetto, seguito dai fraseggi del pianoforte.

E mi piaceva quella sensazione di vuoto che veniva colmato dai suoni che rotolavano uno dopo l'altro, inseguendosi sulla tastiera per poi rimbalzare nel blu; sbocciavano tutti insieme tra gli strumenti di un'invisibile orchestra.

Mentre volavo, inconsistente come polvere, sulla melodia dei flauti traverso, la "Rapsodia in blu" s'interruppe di colpo.

Un silenzio fatto di una pesante cappa avvolgente aderì al mio corpo, stringendomisi intorno al collo. Avvertendo una sensazione di soffocamento mi portai le mani alla gola, mentre il mio volo immaginario cessava.

Spalancai gli occhi nello stesso momento in cui un boato di voci infrangeva il silenzio. Catturai la corsa frenetica della gente in fuga e il riverbero colorato dell'Emisfero che inglobava la piazza del Pilar, estendendosi a coprire, mi parve, tutto il centro storico.

A quanto sapevo erano anni, forse decenni, che non si vedevano Emisferi in Aragona. In realtà tutta la penisola iberica sembrava essere stata preservata da tempo dalla presenza degli Speculi; dopo aver lasciato Malta l'avevo scelta proprio per quella ragione.

Un paio di anni prima si era verificata qualche infestazione in Portogallo, nella città di Porto, e poi, in Spagna, a Valencia e a Barcellona. Ma l'entroterra era stato risparmiato.

Fino a quel momento.

Quando un uomo con al collo un fazzoletto a quadri rossi e neri mi urtò malamente, facendomi quasi perdere l'equilibrio, cominciai a indietreggiare. Avvertivo sulle mani il sudore che scorreva copioso sotto i guanti di pelle a mezze dita.

Senza staccare gli occhi dalla cupola trasparente che si stava allargando su di me, mi domandai quando lo Speculo si sarebbe fatto vedere.

La sua presenza non si manifestava sempre in concomitanza con la comparsa dell'Emisfero. Per secoli quelle creature avevano prediletto i luoghi deserti, non antropizzati. Si sarebbe detto che non gradissero particolarmente gli esseri umani.

Quando sulla terra posti con quelle caratteristiche avevano cominciato a scarseggiare, erano comparsi anche nei centri abitati, ma avevano disdegnato le grandi città. Non cercavano vittime umane. Se ne andavano in giro senza uno scopo apparente, assumendo le fattezze, seppure alterate in maniera mostruosa, di qualunque cosa destasse il loro interesse.

Era per questo che erano stati chiamati "speculi", specchi.

Sebbene non fossero pericolosi per coloro che si barricavano in casa, lo sventurato essere umano che si fosse trovato a incrociare fortuitamente il cammino di uno Speculo avrebbe trovato una morte lenta e dolorosa.

Per una sorta di riflesso incondizionato, quei mostri divoravano qualsiasi cosa si muovesse. Animali, buste di plastica abbandonate sulla strada e spinte dal vento. Persone.

Mi guardai intorno, nel fuggi-fuggi generale, alla ricerca dello Speculo. Avvertivo la sua presenza nell'aria, benché tardasse a palesarsi.

E sapevo che, allo stesso modo, anche lui avvertiva la mia.

Ma adesso non avevo un Animus per fronteggiarlo. Se mi avesse trovata, sarei stata spacciata.

L'Emisfero si era ormai stabilizzato. La pioggia s'infrangeva contro la sua superficie, per poi scivolare in torrenti come lungo una grondaia.

Per un istante non riuscii a muovermi: guardare quello spettacolo mi provocava sempre un turbinio di emozioni contrastanti, in cui però tendevano a prevalere meraviglia e ammirazione.

Mentre guardavo in alto, notai il riflesso della Fuente de la Hispanidad situata sul lato occidentale della piazza: la cupola rimandava l'immagine un po' nebbiosa della fontana, modellata in modo da ricordare il profilo dell'America meridionale. L'acqua scorreva lungo una parete inclinata, confluendo in un placido lago interrotto da un passaggio pedonale.

Senza pensarci un secondo di più corsi verso la Fuente, gettandomi in ginocchio sul margine della vasca. Mi sfilai in fretta il guanto della mano destra, concentrandomi sulla spirale tatuata.

Un fiotto di sangue sprizzò dal centro del palmo, sporcando di rosso l'acqua della fontana.

Strinsi i denti mentre il braccio mi tremava: non avrei dovuto esagerare con la quantità di sangue da spargere, ma quella era la prima volta che utilizzavo il tatuaggio per qualcosa che non fosse la Danza e non ero certa di riuscire a contenermi.

Quando in passato avevo evocato il Golem, il sangue che serviva a nutrirlo alla fine mi era stato restituito, ma adesso non stavo facendo un'evocazione. Non avrei mai recuperato il liquido vitale perso.

Immersi la mano nell'acqua, poi la agitai per qualche secondo, tirandola fuori che ormai la spirale tatuata aveva smesso di muoversi, impedendo al sangue di continuare a uscire.

Me l'asciugai sommariamente sui jeans, poi coprii di nuovo il tatuaggio con il guanto e mi rimisi in piedi.

Alle mie spalle percepii una presenza che riconobbi subito. Nel voltarmi, scorsi una figura fumosa proprio accanto alla piramide di fiori sormontata dalla statua della Vergine.

Eccolo!

Era lo Speculo più grosso che avessi mai visto. Mentre correvo per allontanarmi il più possibile dalla creatura, considerai che doveva essere alta almeno otto o nove metri.

Le urla della gente si moltiplicarono all'improvviso. Non mi domandai perché.

Caddi tuttavia rovinosamente a terra quando una parte della piramide di fiori impattò sulla pavimentazione della piazza a un paio di metri da me, in un vorticare di migliaia di petali colorati. Mentre cercavo di trascinarmi indietro, scivolando sul sedere, cadde anche una transenna alla mia destra. Subito dopo fu la statua delle Vergine a schiantarsi quasi ai miei piedi.

Una donna poco distante da me gridò un'invocazione alla Madonna e si fece il segno della croce prima di fuggire via.

Io mi rialzai e mi lanciai una rapida occhiata alle spalle, scorgendo la colonna di fumo scuro dello Speculo che si piegava sull'acqua della fontana.

Feci un profondo respiro, tentando di calmarmi: forse avevo trovato il modo per guadagnare tempo e sparire prima che il mostro si accorgesse di me.

Se era vero che gli Speculi non cercavano vittime umane, non era corretto asserire che il discorso valeva per tutti gli esseri umani. I Danzatori del Sangue, infatti, erano la classica eccezione che confermava la regola.

C'era un odio atavico tra Speculi e Danzatori come quello esistente tra i cobra e le manguste.

Il fiuto degli Speculi era in grado di cogliere l'odore di quelli come me, distinguendolo tra tutti gli altri. Per questo mi era venuto in mente di spargere il mio sangue nell'acqua della Fuente de la Hispanidad e pareva che la mia strategia stesse funzionando.

Lo Speculo era stato attirato dall'afrore metallico che neanche il cloro era riuscito a mascherare e indugiava sul bordo della fontana.

Cercando di non voltargli le spalle per poterlo tenere ancora un po' sotto controllo, arretrai lentamente, passo dopo passo, fino a inciampare in ciò che restava della statua che si era frantumata nel violento impatto con il suolo.

Temendo di cadere chiusi un istante gli occhi. Solo un istante. Ma quando riacquistai l'equilibrio e sollevai le palpebre la paura mi congelò il respiro.

Lo Speculo era proprio davanti a me, etereo come un'apparizione e ineffabile come il fumo che lo avvolgeva e che, in quella specie di incubo, cominciò a diradarsi. Al posto del velo oscuro ormai dissoltosi, ben presto comparve il corpo nudo e sproporzionato della gigantesca creatura, il cui volto aveva assunto le mie fattezze.

Mi venne il voltastomaco nel vedere l'immagine del mio viso deformata e resa mostruosa dalle orbite cieche e dalla bocca che correva da un orecchio all'altro, in un ghigno spaventoso.

Quando l'enorme testa dello Speculo si avvicinò alla mia, così tanto che potei sentirne l'alito pestilenziale sulla faccia, ormai avevo ripreso a respirare. E lo facevo tanto celermente da emettere continui ansiti di terrore.

– Va' via, va' via, va' via... – mormorai come se stessi recitando una preghiera.

Per tutta risposta, il mostro spalancò le fauci e i suoi denti acuminati arrivarono a sfiorarmi la punta del naso.

Con le mani dietro la schiena mi sfilai rapida il guanto sinistro e tesi il braccio in avanti, ma non feci in tempo neanche a sfiorare lo Speculo. Una forza improvvisa e sconosciuta lo allontanò da me in modo tanto violento che la creatura finì a terra rotolando per diverse decine di metri, scontrandosi con la preziosa facciata neoclassica della cattedrale del Salvatore, dalla parte opposta della piazza.

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, fissai il Golem dall'armatura argentata che aveva scagliato via, come fosse un fuscello, il gigantesco Speculo.

Malgrado fosse tanto pesante e robusto, si mosse con estrema agilità e rapidità per raggiungere il mostro, che si stava rialzando scuotendo la testa. Dal corpo della creatura piovvero i calcinacci che si erano staccati dalla facciata della cattedrale al momento dell'impatto.

Il sudore mi colò dalla fronte finendomi negli occhi, che mi strofinai con il pugno chiuso.

Guardai il Golem che afferrava per il collo lo Speculo sollevandolo da terra. Fu solo con uno sforzo di concentrazione che riuscii a scorgere la sottile scia scarlatta che vibrava nell'aria, come il filo di una ragnatela percorsa dal ragno.

La seguii con gli occhi fino a trovare il punto in cui aveva origine: la mano destra di un ragazzo forse un po' più grande di me. Stava dritto, in piedi, con il braccio teso perfettamente immobile e il volto che non esprimeva alcuna emozione.

Un... Danzatore?

Era la seconda volta che ne incontravo uno. La prima era stata quando mi avevano addestrato per farmi diventare una messaggera: all'epoca avevo conosciuto un Danzatore del Sangue che mi aveva raccontato la sua esperienza insieme ai trasportatori, ma lo aveva fatto in modo laconico, senza scendere in alcun dettaglio. Quando gli era sembrato che non ci fosse più nulla da dire, se n'era andato senza neppure darmi la possibilità di fargli una domanda.

Quelli come me erano esseri umani davvero rari, per questo venivano mandati in tutto il mondo al seguito dei convogli incaricati di oltrepassare la barriera degli Emisferi.

Trovai quindi strana la presenza fortuita di due Danzatori del Sangue – anche se io non praticavo più – nello stesso luogo e nello stesso momento.

Ancora più insolito era il fatto che il Golem e il suo proprietario fossero comparsi dal nulla poco dopo che si era materializzato l'Emisfero. In una zona, tra l'altro, dove non si vedeva un'infestazione da decenni.

Guardando l'evocatore, mi parve che ci fosse in lui qualcosa che non andava. Era troppo pallido, con le labbra livide, e anche se il suo corpo appariva saldo quanto una roccia io ebbi comunque l'impressione che potesse perdere i sensi da un momento all'altro.

Mentre il Golem si accaniva sullo Speculo, sbattendolo a terra e torcendogli le braccia dietro la schiena fino a farle scricchiolare, il Danzatore restò impassibile. Eppure notai che il sottile nastro di sangue andava rapidamente ingrossandosi, fino ad assumere l'aspetto di una fune.

È troppo... Sta usando troppo sangue!

Il ragazzo non era molto distante da me. Avrei dovuto correre per una quindicina di metri per raggiungerlo e lo feci non appena fui capace di riempirmi i polmoni d'aria con un respiro profondo.

– Smettila! – gridai mentre correvo, quando ebbi la certezza che fosse abbastanza vicino da sentirmi. – Rallenta il movimento della spirale o soccomberai!

Lui girò riluttante la testa verso di me. – Spirale... – ripeté, con occhi vacui. Non capii se mi avesse fatto una domanda.

– Sì, il tuo tatuaggio! Il Marchio!

Non mi piaceva chiamarlo così. Marchio. Mi faceva sempre pensare ai processi alle streghe durante l'epoca d'oro dell'Inquisizione, quando a una donna bastava un neo per essere processata e bruciata sul rogo. Il marchio di Satana, come lo definivano gli Inquisitori.

Mi precipitai ad afferrare il braccio del ragazzo, poi feci forza per abbassarglielo, ma lui oppose resistenza.

– Devo nutrire il Golem – mormorò, con esasperante calma.

– Se continui a nutrirlo, – replicai, – non avrai nemmeno la forza per invertire il movimento del Marchio e perderai tanto sangue da morirne! Perciò adesso fermati, ti dico!

Quando gli mostrai il palmo della mano sinistra mi parve confuso. – Una Danzatrice mancina?

Scuotendo il capo tolsi anche il guanto destro e la sua confusione aumentò.

– Un Marchio su entrambe le mani...

– Sì. Vuoi che ti mostri che cosa fa quello sinistro?

Per un momento scorsi un vivido bagliore attraversargli lo sguardo, ma subito dopo i suoi occhi, di un blu acceso come certi azulejos portoghesi, tornarono inespressivi. – Non sarà necessario.

Mentre un improvviso silenzio calava su di noi, guardai verso il Golem, che svettava con lo Speculo tra le braccia. Il mostro aveva la testa riversa all'indietro e la bocca spalancata da cui, tuttavia, non usciva nemmeno un respiro.

Il suo corpo si sgretolò rapido, sparendo in volute di fumo nero intorno al gigantesco cavaliere che aveva preso ad avanzare verso di noi.

– Adesso sbrigati! – sollecitai il Danzatore del Sangue, pur senza distogliere lo sguardo dal Golem. – Fa' tornare il tuo Animus allo stadio originario, muoviti!

Sotto i passi del cavaliere evocato, la terra vibrò tanto che una sensazione di angoscia crescente mi avviluppò, soffocante. – Che stai aspettando?! – tentai di gridare, ma la voce mi uscì strozzata.

Quando finalmente mi decisi a guardarlo, il ragazzo aveva appena chiuso gli occhi.

– Ti prego, non svenire! Ti...! – Mi crollò addosso senza emettere un gemito. Riuscii a sostenerlo e ad accompagnarlo con delicatezza a terra, dove lo feci sdraiare. Gli sollevai la mano destra osservandone il palmo completamente ricoperto di sangue: il movimento della spirale tatuata doveva essere finalmente cessato, ma adesso sarebbe stato necessario che si avvitasse al contrario, altrimenti...

Mio Dio! Morirà dissanguato!

Il Golem ormai incombeva su di noi. Visto da così vicino appariva spaventosamente grande, più di quanto non fosse stato il mio. Sull'armatura c'erano incisi numerosi glifi dorati di una lingua arcaica e sconosciuta; una luce sanguigna proveniva dalla fessura orizzontale che gli attraversava la testa, in corrispondenza del punto in cui si sarebbero dovuti trovare gli occhi.

Il sangue del Danzatore si stava rapprendendo rapido, incrostando il metallo perfettamente levigato.

D'un tratto, con il ragazzo a terra immerso in una pozza scarlatta e, quasi su di me, il Golem su cui non potevo esercitare alcun potere, rivissi ciò che era avvenuto a Xaghra quattro anni prima.

Quando chiusi gli occhi, tentando di fuggire dal ricordo del passato, vidi il volto pallido di Lars con un tale nitore che li riaprii subito.

Non succederà... di nuovo...

Stringendo la mano destra del Danzatore, puntai la sinistra verso il Golem e gli mostrai il palmo. Sentendo il tatuaggio avvitarsi in senso orario nella carne, mi resi conto che il sangue che ancora brillava sul corpo della creatura si ritraeva simile alle onde del mare dalla riva.

Con un movimento fluido e ritmato ruotai il polso, come per guidare la trina purpurea che ora galleggiava nell'aria. Percuotendo il vuoto con il taglio della mano, impartii un ultimo ordine e il sangue del Danzatore fu risucchiato dalla mano destra del legittimo proprietario, ancora privo di sensi.

A quel punto avrei potuto quasi tirare un sospiro di sollievo, ma non ero certa di aver scampato ogni pericolo.

Sollevando lo sguardo verso il Golem, vidi la sua armatura tremolare come un miraggio e poi sbriciolarsi, riducendosi in minuscoli granelli di sabbia.

In quello stesso istante la musica vibrante della "Rapsodia in blu" tornò a martellarmi nelle orecchie, rivelandomi il crollo della cupola dell'Emisfero, di cui non mi ero ancora accorta.

La pioggia mi scrosciò addosso con violenza, incollandomi i capelli alla faccia. Quando scostai le ciocche dagli occhi cercai con lo sguardo l'Animus che aveva dato al Golem una parvenza di vita.

Il mio cuore impazzì di colpo mentre constatavo che di fronte a me c'erano solo le tracce dei mucchi di sabbia che la pioggia stava rapidamente lavando via.

Dove diavolo è finito?!

Fui quasi sopraffatta dal terrore di averlo alle spalle. Per quanto mi sforzassi, la notte continuavo a sognare Clio che mi si scagliava contro, facendomi a pezzi. E il suo maledetto ansito non mi abbandonava quasi mai, soprattutto quando intorno a me regnava il silenzio. Per questo in genere tenevo la musica alta o mi conficcavo letteralmente gli auricolari nelle orecchie, anche se mi facevano male.

Mi guardai intorno in modo frenetico, eppure non riuscii a vedere l'Animus. Sembrava che fosse svanito nel nulla o che non fosse mai esistito.

Non è possibile, Shanti, mi dissi. Non può essere.

Lentamente, molto lentamente, tolsi gli auricolari dalle orecchie, trasformando la "Rapsodia in blu" in un semplice ronzio di sottofondo.

Guardai il ragazzo che giaceva accanto a me, riuscendo a percepire una specie di rantolo provenire dalle sue labbra.

Mentre la pioggia mi scivolava gelida sulle braccia, fui percorsa da un brivido. Mi resi conto che stringevo ancora la mano destra del Danzatore e la osservai meglio, esponendone il palmo al flusso dell'acqua.

Quando il sangue venne lavato via, scoprii che sulla pelle non c'era nessuna spirale tatuata. Non c'era nulla, in realtà. Sotto le mie dita era liscia in modo innaturale, priva dei solchi che avrebbero dovuto caratterizzarla.

Niente linea della vita, quindi. Niente linea dell'amore.

Niente.

– È... è... – biascicai, lasciando andare subito la mano del ragazzo. – È lui l'Animus...

Mentre cominciavo a camminare all'indietro strinsi tra le mani il telefono e mi affrettai a comporre un numero che conoscevo a memoria, anche se negli ultimi tempi non l'avevo usato quasi mai.

Una voce familiare mi rispose, calma e sonora. – Shanti? È un piacere sentirti, dopo tanto!

Io inspirai allargando la cassa toracica il più possibile, poi espirai gonfiando le guance.

– Jorge? – chiamai. – Hai già saputo dello Speculo a Zaragoza?

– Direi che qualche voce mi è giunta, sì. Fuori dagli Emisferi i dispositivi tecnologici funzionano alla grande. Ho pensato a te non appena ho sentito... Stai bene?

Ero talmente intenta a osservare l'Animus a terra che dimenticai di rispondere.

– Ne ho... – dissi, invece. – Ne ho trovato uno...

– Uno di che?

– Un randagio.

Jorge si prese qualche secondo prima di rispondere: – Vuoi dire un cucciolo pulcioso o stai parlando di un ronin?

Mi sentii profondamente irritata da quella sua mania di cambiare i nomi alle cose.

– I ronin erano samurai senza padrone. Gli Animus senza proprietari si chiamano randagi!

Avevo alzato talmente la voce che lui mi rimproverò di avergli perforato un timpano.

Dopo essermi scusata, tentai di calmarmi. – Devi mandare qualcuno a prelevarlo. Fai in fretta!

Spiegai a Jorge dove ci trovavamo e un attimo dopo terminai la chiamata, mentre in lontananza si sentivano le sirene delle autoambulanze.

Vincendo la repulsione mi avvicinai di nuovo al ragazzo, osservandolo con maggiore attenzione. Non mi spiegai come avessi potuto non accorgermi prima che non si trattava di un essere umano. Che razza di Danzatrice del Sangue ero?

Un'ex Danzatrice, precisiamo! E per di più una che ingurgita tranquillanti come fossero mentine.

L'Animus aveva l'incarnato chiaro, in quel momento tendente al livido; i capelli erano piuttosto lunghi per essere quelli di un maschio, di un colore azzurro scuro tendente al blu elettrico. Ricordava quello dei suoi occhi.

Mentre m'inginocchiavo accanto a lui, notai che portava al collo un cordoncino di caucciù da cui pendeva una specie di piastrina di metallo, simile a quelle dei militari. La presi tra le dita per esaminarla, leggendo l'unica parola che vi era stata incisa: Blue.

– Oh, bene – mormorai, lasciando andare la piastrina. – Allora non sono l'unica ad affibbiare dei nomi agli Animus...

E per un brevissimo istante mi sentii un po' più normale e un po' meno sola.

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Eccomi! In questo periodo pensavo che non sarei più riuscita a concludere un capitolo

Invece alla fine ce l'ho fatta!

Che mi dite? Da Malta ci siamo spostati in Spagna, a Saragozza, dove abbiamo ritrovato la nostra Shanti quattro anni dopo gli eventi del prologo. Vi avevo già detto su Instagram che in questo libro mi sarei divertita a viaggiare per il mondo, no? 😉

Be', per il momento siamo rimasti in Europa, poi chissà! Avete mete da suggerire? XD

Per il resto... avete conosciuto il personaggio di Blue, il randagio di questa storia. Personaggio abbastanza misterioso, no?

Secondo me avete già capito cosa potrebbe succedere... Dai, forza, ditemi tutto!

Aspetto come al solito i commenti e scusate se a volte non riesco a rispondere. Di solito sono più libera dopo aver pubblicato e rispondo subito, ma dopo diventa più difficile (poi dipende pure dall'ora della pubblicazione, ovviamente). Vabbè, era la solita tiritera che faccio sempre... Chiedo perdono X'D

Vi aspetto sul prossimo capitolo <3


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